HANNAH ARENDT (1906 – 1975) Azione e banalità del male.

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Transcript della presentazione:

HANNAH ARENDT (1906 – 1975) Azione e banalità del male

Nata da una famiglia ebrea a Könisberg, nel 1929 pubblica la sua tesi di dottorato sul concetto di amore in S. Agostino. Dopo gli studi universitari – fra i suoi maestri vi furono Heidegger, con il quale ebbe anche una relazione sentimentale, Husserl e Jaspers –, nel 1933 abbandona la Germania per motivi politici; rifugiatasi inizialmente in Francia, nel 1941 si trasferisce definitivamente negli USA. Qui insegna in diverse università (Chicago, Princeton, New York) e continua la sua attività di studio fino alla morte, che la coglie mentre si accinge a scrivere la terza e ultima parte di La vita della mente, pubblicata postuma nel 1978. L'opera che la rende famosa in tutto il mondo è il saggio del 1951, prodotto in collaborazione con il marito Heinrich Blücher, Le origini del totalitarismo, cui nel 1958 segue La condizione umana (questo titolo sarà preferito dall'editore americano, mentre l'autrice prediligeva quello di Vita activa, conservato nella traduzione italiana dell'opera realizzata nel 1964) e nel 1963 La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, che ripropone in un unico volume i resoconti del processo ad Eichmann (svoltosi a Gerusalemme nel 1961) redatti inizialmente come inviata del “The New Yorker”.

EICHMANN DURANTE IL PROCESSO A GERUSALEMME APRILE – DICEMBRE 1961 «Il pentimento è roba da bambini.» «Il linguaggio burocratico è l'unica lingua che parlo»

LA “BANALITÀ DEL MALE” LA QUESTIONE DEL MALE RADICALE: LA VOLONTÀ DI FABBRICARE UNA NUOVA NATURA DELL'UOMO PRIVATA DI OGNI ASPETTO SPECIFICAMENTE UMANO E PERSONALE, IN CUI “TUTTI GLI UOMINI SONO DIVENTATI EGUALMENTE SUPERFLUI”. Testo di riferimento: Le origini del totalitarismo, 1951 LA QUESTIONE DELL'AGIRE POLITICO E DELLA SUA SCOMPARSA NELL'ETÀ MODERNA: L'ATTIVITÀ UMANA SI RIDUCE AD UN INSENSATO “DARSI DA FARE”. Testo di riferimento: Vita activa, 1958

Le forme della vita attiva secondo Arendt Animal laborans: L'attività lavorativa Zoon politikón: L'agire politico Corrisponde all'azione comune basata sul discorso e sul dialogo fra le persone; è il modo in cui l'agente si inserisce nel mondo e rivela agli altri il proprio “chi”, la propria unicità. Si dà nella dimensione della pluralità non mediata dalle cose materiali. Homo faber: L'operare Corrisponde allo sviluppo biologico del corpo umano, ossia al lavoro che l'animal laborans deve compiere per soddisfare le esigenze fondamentali della vita (la cura e il nutrimento di sé). Corrisponde alla dimensione non- naturale propria dell'homo faber, il quale produce oggetti artificiali e opere durature (città, ponti, strade, ma anche monumenti e opere d'arte) modificando l'aspetto del mondo.

Essere liberi ed agire sono la stessa cosa - Descritta come un fine in sé, l'azione è, fra le attività umane, l'unica capace di dare vita al nuovo. - Attraverso l'azione l'essere umano conferisce senso alla propria esistenza: si riscatta dalla naturalità del genere affermandosi nella sua singolarità. - L'agire, i cui esempi sono tanto la virtù del cittadino greco quanto la sete di gloria dell'eroe omerico, diventa propriamente politico quando si coniuga a due requisiti fondamentali: il discorso e la pluralità. - La lexis conferisce senso alla praxis, distinguendola al contempo da quell'ambito della violenza entro cui invece si muove la poiesis, la fabbricazione di oggetti. - L'azione discorsiva, innovativa e libera, ma anche agonale, riscatta l'essere umano dalla mancanza di senso della mera vita biologica ed è costitutivamente legata alla pluralità, è legata cioè alla possibilità che i molti com-paiano gli uni agli altri in uno spazio di visibilità reciproca.

«Lo spazio dell'apparenza si forma ovunque gli uomini condividano la modalità dell'azione e del discorso, e quindi anticipa e precede ogni costituzione formale della sfera pubblica e delle varie forme di governo, le varie forme cioè in cui la sfera pubblica può essere organizzata.» Lo “spazio pubblico”, “spazio dell'apparenza”, “spazio politico” ha per Arendt innanzitutto un significato ontologico: più che identificarsi con qualche territorio o spazio determinati, sta ad indicare la condizione di possibilità dello stare insieme. Lo spazio pubblico è il trascendentale della politica. La sua peculiarità consiste nell'unire e al tempo stesso separare: articolare le pluralità dei singoli attraverso relazioni che non siano né verticali né gerarchiche, e che al contempo impediscano la ricompattazione unitaria. Oltre a consentire l'“individuazione del chi”, lo spazio pubblico è anche l'ambito in cui la realtà del mondo si disvela. Proprio perché in esso ogni cosa, in quanto può essere vista e udita da molti, trae conferma della propria esistenza reale. La pluralità irriducibile delle prospettive da cui gli agenti guardano la realtà fa tutt'uno con il suo essere “in comune”.

Il “male radicale” in Le origini del totalitarismo, 1951 Totalitarismo: il concetto 1923-25: nasce in Italia per designare il regime fascista. 1934: nella voce “Stato” dell'Enciclopedia statunitense della Scienze Sociali indica tutte le dittature monopartitiche contemporanee sia fasciste sia comuniste: tendenza del potere politico a dominare in modo onnipervasivo e monopolistico la società e gli individui. Arendt: il totalitarismo – il regime nazista e il regime stalinista - distrugge il “mondo comune”, lo spazio che mette in relazione gli esseri umani, ma al contempo li distingue e li separa. Soltanto i regimi totalitari novecenteschi, nati in seguito all'affermazione della società di massa, riescono ad eliminare il singolare per l'universale, le parti per il tutto.

- Esclusione di qualsiasi forma di articolazione tra i diversi ambiti della vita individuale e associata (partiti, chiese, sindacati, organi dello Stato come parlamenti e corti costituzionali). - Lo Stato diventa strumento di una politica rivoluzionaria promossa dal partito unico. - Utilizzazione dell'ideologia e del terrore per consentire ai detentori del potere – e in particolare al leader carismatico – l'assoluta discrezionalità dell'agire in un quadro formale di legalità. - La “volontà di potenza” costruttivistica e razionalistica del totalitarismo si esprime mediante un'ideologia politica fondatrice di una prassi in grado di trasformare persino la natura umana. - Simbolo e cuore del fenomeno totalitario: il campo di sterminio, “il laboratorio” in cui si vuole sperimentare l'assunto secondo cui “tutto è possibile”.

MALE RADICALE O BANALE? L'essere umano, annientato prima come persona giuridica, poi come persona morale, ed infine come individualità unica e singolare, è ridotto ad un fascio di reazioni animali che cancellano ogni traccia di libertà e spontaneità. Eichmann in divisa da SS La coscienza di Eichmann era come un contenitore vuoto; essa non aveva un proprio linguaggio, ma articolava la lingua della società rispettabile. La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, p. 30

Lo sguardo di Hannah Alla luce della “banalità del male”, ciò cui non si può più credere è che il soggetto porti con sé, qualsiasi sia la fonte della conoscenza morale – dai comandamenti divini alla ragione naturale – un codice etico seguendo le cui regole sia in grado di astenersi dal commettere il male. L'eredità che la riflessione arendtiana ci lascia: La sfida di un'etica che sappia conciliare responsabilità personale e assenza di leggi morali a priori o precostituite, libertà e singolarità, resistenza al conformismo e consapevolezza dello spazio comune cui si rivolgono le nostre azioni. «questo parlare con se stessi è appunto il pensare e tutti gli uomini ne sono capaci.»