A cura dell’Avv. Valerio Girani e della Dott.ssa Camilla Perani La professione del Dottore Agronomo e Dottore Forestale: l’attività professionale, tra deontologia e responsabilità. Relazione presentata al corso di aggiornamento promosso dall’Ordine dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali delle province di Forlì-Cesena e Rimini del 21.04.2018 A cura dell’Avv. Valerio Girani e della Dott.ssa Camilla Perani
Il percorso: I. Ordinamento professionale II Il percorso: I. Ordinamento professionale II. Deontologia e responsabilità disciplinare III. Formazione professionale continua IV. Obbligo assicurativo V. Responsabilità
I Ordinamento professionale
Definizioni CONAF: è il Consiglio dell’Ordine Nazionale dei dottori Agronomi e dottori Forestali di cui alla L. 3/1976; ORDINE: è l’Ordine dei dottori Agronomi e dottori Forestali di cui all’art. 9, comma 1, L. 3/1976 e successive modifiche (circoscrizioni territoriali capoluogo di provincia); FEDERAZIONE REGIONALE: è l’istituzione a livello regionale di rappresentanza dell’Ordine, così come definita dall’art. 21 bis, L. 3/1976 e successive modifiche; ISCRITTI: sono i dottori Agronomi e dottori Forestali, soggetti abilitati all’esercizio della professione ed iscritti agli albi della sezione A di cui all’art. 3, L. 3/1976, così come modificato ed integrato dal D.P.R. 328/2001 e Agronomi Iunior e Forestali Iunior, Biotecnologi Agrari, abilitati all’esercizio della professione ed iscritti alla sezione B di cui all’art. 10, comma 4, D.P.R. 328/2001;
Fonti Con il R.D. 25.11.1929, numero 2248, viene definita la professione di “Dottore in Scienze Agrarie”; In seguito, l’ordinamento professionale è stato disciplinato con L. 3/1976, Legge professionale e ss. mod. (L.152/1992 su modifiche ed integrazioni e nuove norme concernenti l’ordinamento della professione) e con il Regolamento di esecuzione della legge professionale di cui al D.P.R. 350/1981 e ss. modifiche, intervenute con l’emanazione del D.P.R. 328/2001, sui requisiti per l’ammissione all’esame di Stato; D.P.R 169/2005, sul riordino del sistema elettorale e composizione degli organi; da ultimo, del D.P.R. 137/2012 sulla Riforma degli ordini professionali, emesso a norma della legge 148/2011, di conv. del d.l. 138/2011.
Nel quadro normativo di riferimento vi sono poi Regolamenti CONAF e le Circolari che attuano le norme primarie: 1/2013 obbligo assicurativo, 2/2013 codice deontologico, 3/2013 formazione ecc.. La legge n. 183 del 2011, ovvero Legge di stabilità 2012 (come modificata dalla legge n. 27/2012 che corregge il tema dei soci non professionisti), all’art. 10 ha previsto l’istituzione delle Società tra professionisti (STP). Hanno fatto seguito il D.M. 34/2013 e la Circolare CONAF 45/2016. In tema di trattamento economico (compensi), vi è il passaggio da ‘ vecchie tariffe’ a ‘nuovi parametri’, avvenuto grazie al D.L. 1/2012 sulla concorrenza e liberalizzazioni (Art. 9 comma 1), convertito dalla legge 27/2012 e con successivo D.M. 140/2012. Si deve aggiungere la Legge 172/2017 sull’equo compenso. Il quadro di riforma non è ancora concluso e vi è la necessità di un T.U. per riordinare la normativa e chiarire le incompatibilità tra le norme esistenti.
La professione evolve…un’opportunità Maggiore responsabilità delle strutture ordinistiche e terzietà del giudice “disciplinare”.. Obbligo formativo.. Dalle ‘vecchie tariffe’ ai ‘nuovi parametri’.. Maggiore trasparenza e garanzia nei rapporti con i clienti (informazioni, compenso, obbligo assicurativo).. Società tra professionisti..
Albo Ai nostri giorni, l’Albo dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali è diviso in due sezioni: Sezione “A” (iscritti in possesso di laurea specialistica) e Sezione “B” (iscritti in possesso di laurea di primo livello ); Agli iscritti nella sezione “A” spetta il titolo di Dottore Agronomo o Dottore Forestale e le relative competenze professionali sono stabilite dalla normativa di riferimento; Spettano agli iscritti nella Sezione “A” anche le competenze degli iscritti nella Sezione “B”; Tutti gli iscritti nella Sezione “A” dell’Albo hanno le stesse competenze, indipendentemente dal tipo di laurea conseguita.
II Deontologia e responsabilità disciplinare Il Codice deontologico (Reg. 2/2013) La sanzioni disciplinari (artt. 37-45 L. 3/1976 Legge Professionale) La procedura disciplinare ( Artt. 46, 47 e 48 L. 3/1976; art. 26 D.P.R. 350 del 1981, Regolamento di esecuzione della legge professionale; art. 8 del D.P.R. 7 agosto 2012, n. 137; Regolamento Conaf del 21.11.2012 e Circolare 17/2013)
I Consigli di disciplina territoriali Art. 8, D. P. R. 137/2012 – Art I Consigli di disciplina territoriali Art. 8, D.P.R. 137/2012 – Art. 2, regolamento CONAF del 15.01.2013 Presso i consigli dell’ordine o collegio territoriali sono istituiti Consigli di Disciplina Territoriali, cui sono affidati i compiti di valutazione in via preliminare, istruzione e decisione delle questioni disciplinari riguardanti gli iscritti all’albo; Sono composti da un numero di consiglieri pari a quello dei consiglieri che, secondo i vigenti ordinamenti professionali, svolgono funzioni disciplinari nei consigli dell’ordine o collegio territoriali presso cui sono istituiti. Le funzioni di Presidente del Consiglio di Disciplina Territoriale sono svolte dal componente con maggiore anzianità d’iscrizione all’Albo o, quando vi sia anche un solo componente non iscritto all’Albo, dal componente con maggiore anzianità anagrafica; Ferma l’incompatibilità tra la carica di consigliere dell’ordine o collegio territoriale e la carica di consigliere del corrispondente consiglio di disciplina territoriale, i consiglieri componenti dei consigli di disciplina territoriali sono nominati dal Presidente del Tribunale nel cui circondario hanno sede, tra i soggetti indicati in un elenco di nominativi proposti dai corrispondenti consigli dell’ordine o collegio; Il suddetto elenco è composto da un numero di nominativi pari al doppio del numero dei consiglieri che il Presidente del Tribunale è chiamato a designare.
I Consigli di disciplina nazionali Art. 8, D.P.R. 137/2012 Presso i consigli nazionali dell’ordine o collegio che decidono in via amministrativa sulle questioni disciplinari, sono istituiti Consigli di disciplina nazionali cui sono affidati i compiti di istruzione e decisione delle questioni disciplinari assegnate alla competenza dei medesimi consigli nazionali, anche secondo le norme antecedenti all’entrata in vigore del D.P.R. 137/2012.
Le sanzioni disciplinari Artt. 39, 40, 41, 42, L. 3/1976 Avvertimento: consiste nel rilievo della trasgressione commessa dal professionista e nel richiamo all’osservanza dei suoi doveri. Viene inflitto nei casi di abusi o mancanze di lieve entità; Censura: consiste nel biasimo formale per la trasgressione commessa dal professionista. Viene inflitta nei casi di abusi o mancanze di non lieve entità che non ledono, tuttavia, il decoro o la dignità professionale; Sospensione dall’esercizio professionale per un periodo non inferiore a quindici giorni e non superiore a due anni: può essere inflitta nei casi di lesione della dignità e del decoro professionale. Oltre i casi previsti dal c.p., la sospensione opera di diritto nei casi di: interdizione dai pubblici uffici per una durata non superiore a tre anni, ricovero in manicomio giudiziario o in casa di cura e custodia, applicazione di misura di sicurezza non detentiva ex art. 215, comma 3, nn. 1-2-3 c.p., applicazione di misura di sicurezza ordinata dal Giudice ai sensi degli artt. 140 e 206 c.p.; Radiazione: può essere disposta quando l’iscritto riporta, con sentenza irrevocabile, condanna alla reclusione per un delitto non colposo, ovvero quando la sua condotta ha gravemente compromesso la propria reputazione e la dignità professionale. Opera di diritto nei casi di: condanna con sentenza irrevocabile per i reati previsti dagli artt. 372, 373, 374, 377, 380, 381 c.p., interdizione dai pubblici uffici perpetua o di durata superiore a tre anni e interdizione alla professione per uguale durata, ricovero in manicomio giudiziario nei casi indicati dall’art. 222 c.p. o l’assegnazione a colonia agricola, casa di lavoro o casa di cura e custodia.
Il procedimento disciplinare Artt. 46, 47, 48, L Il procedimento disciplinare Artt. 46, 47, 48, L. 3/1976 - Circolare CONAF n. 17/2013. Linee guida per il funzionamento dei consigli di disciplina. Il Collegio di Disciplina è composto da tre membri designati dal Presidente del Consiglio di Disciplina, dei quali un membro con funzioni di Presidente (il più anziano di iscrizione o di età nel caso di non iscritto all’albo) ed un membro con funzioni di Segretario (il più giovane di iscrizione o di età nel caso di non iscritto all’albo) ed è l’organo deputato alla trattazione del procedimento disciplinare ai sensi degli artt. 37 e ss., L. 3/1976 e artt. 26 e 27, D.P.R. 350/81; Del collegio giudicante potrà far parte lo stesso Presidente del Consiglio di Disciplina che, in tal caso, presiederà pure il collegio; Il Presidente valuterà la sussistenza o meno di cause di incompatibilità dei componenti del collegio rispetto al caso trattato. In caso di riscontro di cause di incompatibilità di un componente, verrà richiesta al Presidente del Consiglio di Disciplina la sua sostituzione;
Istruttoria preliminare. Qualora il Presidente del Collegio di Disciplina ravvisi i presupposti per un’azione disciplinare, può procedere a comminare direttamente la sanzione disciplinare dell’avvertimento nei casi di mancanze o abusi di lieve entità, mentre, negli altri casi, attiva il procedimento disciplinare, nominando tra i membri del collegio un relatore, il quale, nel giorno fissato per il procedimento, espone al collegio i fatti per cui si procede; Il collegio, udito il relatore, delibera l’apertura del procedimento disciplinare definendo gli addebiti e procedendo alla convocazione dell’incolpato. La contestazione dell’addebito costituisce comunicazione di avvio del procedimento. In caso contrario, il Collegio delibera il proscioglimento che è pronunciato con la formula «non essere luogo a provvedimento disciplinare»;
Svolgimento del procedimento disciplinare. Il Consiglio, udito l’interessato ed esaminate le eventuali memorie e documenti, delibera a maggioranza dei presenti; Se l’interessato non si presenta o non fa pervenire alcuna memoria difensiva né dimostra un legittimo impedimento, si procede in sua assenza; La deliberazione deve contenere l’indicazione dei fatti, i motivi della decisione e la decisione del Consiglio; Il proscioglimento è pronunciato con la formula: «non essere luogo a provvedimento disciplinare».
Comunicazione della decisione. Le decisioni del Collegio in materia disciplinare sono notificate, entro trenta giorni, all’interessato, al presidente dell’Ordine territoriale, al Consiglio Nazionale, al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale, al Procuratore Generale presso la Corte d’Appello del distretto ove ha sede il Consiglio, nonché al Ministero della Giustizia; La decisione costituisce chiusura del procedimento disciplinare. Il relativo fascicolo viene archiviato a cura del Consiglio di disciplina in apposita sezione giurisdizionale dell’archivio del Consiglio dell’Ordine.
Annotazione Albo. Il Presidente del Consiglio di Disciplina trasmette i provvedimenti disciplinari adottati al Presidente del Consiglio dell’Ordine, che procede all’inserimento del dispositivo del provvedimento nel fascicolo personale dell’iscritto ed annota il procedimento disciplinare nell’Albo a norma dell’art. 3, comma 1, D.P.R. 137/2012.
Norme di rinvio e prassi. Per quanto non definito, si farà riferimento alla normativa professionale ed alla prassi finora adottata per lo svolgimento del procedimento disciplinare.
Le impugnazioni Art. 26, D. P. R. 350/1981 Le impugnazioni Art. 26, D.P.R. 350/1981. Ricorsi avverso le decisioni del Consiglio dell’Ordine e ricorsi in materia elettorale e disciplinare Il ricorso al Consiglio dell’Ordine Nazionale è presentato o notificato nel termine prescritto dall’art. 54 della Legge 3/1976 (trenta giorni) al Consiglio dell’Ordine competente; se ricorrente è il professionista, all’originale in bollo del ricorso sono allegate due copie in carta libera; Il segretario del Consiglio dell’Ordine annota a margine del ricorso la data di presentazione, rilasciandone ricevuta, e lo trasmette senza indugio in copia al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale nella cui circoscrizione ha sede l’Ordine, se il ricorrente è il professionista, ovvero al professionista se il ricorrente è il Procuratore della Repubblica; Il ricorso contiene i motivi su cui si fonda ed è corredato: della indicazione degli estremi del provvedimento impugnato e, se il ricorso riguarda la materia elettorale, dagli estremi della elezione cui si riferisce e, se del caso, della proclamazione del risultato elettorale; dai documenti eventualmente necessari a comprovarne il fondamento;
Quando non sia proposto dal Procuratore della Repubblica, il ricorso è accompagnato dalla ricevuta del versamento, eseguito presso un ufficio del registro, della tassa stabilita all’art. 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato del 13 settembre 1946, n. 261, e successive modificazioni, e contiene l’indicazione del recapito al quale l’interessato intende siano fatte le eventuali comunicazioni o notificazioni da parte del consiglio dell’ordine nazionale. In mancanza di tale indicazione, le comunicazioni e le notificazioni sono depositate, ad ogni effetto, presso la segreteria del Consiglio dell’Ordine Nazionale;
Il ricorso e gli atti del procedimento rimangono depositati presso il Consiglio dell’Ordine per un periodo non inferiore a trenta giorni, nel quale il procuratore della Repubblica e l’interessato possono prendere visione degli atti depositati, proporre deduzioni ed esibire documenti; nei dieci giorni successivi è consentita la proposizione di motivi aggiuntivi; Il Consiglio dell’Ordine, decorsi i termini di cui al comma precedente, trasmette nei quindici giorni successivi al consiglio dell’Ordine nazionale il ricorso ad esso presentato o notificato, unitamente alla prova della comunicazione di cui al secondo comma e alle proprie conclusioni, nonché il fascicolo degli atti con le deduzioni e i documenti; Il Consiglio dell’Ordine Nazionale, ricevuti dal Consiglio dell’Ordine il ricorso e gli atti relativi, comunica entro otto giorni al ricorrente, a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, le conclusioni del Consiglio dell’Ordine, assegnandogli un termine non inferiore a trenta giorni per le sue repliche.
I diversi gradi di giudizio Posto che, per espressa previsione dell’art. 26, comma 1, lett. h) della Legge professionale n. 3/76, il Consiglio dell’Ordine nazionale decide in via amministrativa anche sui ricorsi in materia disciplinare, si può ipotizzare il seguente percorso impugnatorio avverso il provvedimento del Consiglio di Disciplina Territoriale: Consiglio di Disciplina Nazionale (amministrativo); Tribunale della sede del Consiglio dell’Ordine; Corte d’Appello; Corte di Cassazione.
III Formazione Professionale Continua L’ Art. 7, comma 1 del D.P.R. 7 agosto 2012, n. 137, prevede che «Al fine di garantire la qualità ed efficienza della prestazione professionale, nel migliore interesse dell'utente e della collettività, e per conseguire l'obiettivo dello sviluppo professionale, ogni professionista ha l'obbligo di curare il continuo e costante aggiornamento della propria competenza professionale secondo quanto previsto dal presente articolo. La violazione dell'obbligo di cui al periodo precedente costituisce illecito disciplinare.». Sulle modalità della formazione, il comma 3 demanda ad un Regolamento CONAF 3/2013 (pubbl. boll. uff. n. 22 del Min. Giustizia il 30.11.2013). Il Codice di deontologia, all’art. 13, comma 2, del Regolamento CONAF 2/2013 (approvato con Delibera di Consiglio 185 del 13 giugno 2013), prevede che il mancato adempimento dell’Obbligo di formazione continua costituisce un illecito disciplinare e come tale è sanzionato in virtù del richiamo operato dall’art. 37 del Codice Deontologico stesso che rinvia alle sanzioni dell’Ordinamento Professionale, previste dagli artt. 37 e seguenti, L. 3/1976 e ss. mod.
IV Obbligo assicurativo Per effetto del D.P.R. 137/2012 art. 5, dal 13 Agosto 2013, è obbligatoria la polizza professionale. I professionisti hanno l’obbligo di sottoscrivere, anche tramite convenzioni collettive negoziate dai Consigli Nazionali e dagli enti previdenziali, una polizza professionale, per i danni provocati al cliente in conseguenza dell’esercizio della propria attività. Si fa riferimento al Regolamento CONAF 1/2013 di attuazione dell’art. 5 comma 1, approvato con Delibera del Consiglio n. 87 del 14 marzo 2013 e linee guida CONAF, di cui alla Circolare 42 del 2013. In base alla nuova normativa, il professionista deve informare il cliente del grado di complessità dell’incarico e deve fornire tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell’incarico. Deve indicare, inoltre, i dati della polizza professionale (massimali, numero identificativo). L’inottemperanza costituisce illecito disciplinare del professionista.
Polizza collettiva: è il contratto che assicura la Responsabilità Civile Professionale degli Iscritti agli Albi, stipulata dal CONAF, in nome e per conto di tutti i soggetti che sottoscrivono l’adesione; Polizza individuale: è il contratto che assicura la Responsabilità Civile Professionale dell’Iscritto all’Albo, stipulata dall’Iscritto singolarmente o quale socio di società professionale o dalla società professionale istituita nelle forme stabilite dalla normativa vigente; Massimale: è il limite di risarcimento per sinistro e anno assicurativo a disposizione di ogni Assicurato, riferito al singolo Assicurato o alla società professionale istituita nelle forme stabilite dalla normativa vigente; Premio assicurativo: è l’importo che il Contraente della polizza paga alla compagnia assicurativa (il CONAF per la polizza collettiva ed il singolo Assicurato o la società professionale per la polizza individuale); Contributo assicurativo: è l’importo che ciascun iscritto tenuto all’obbligo assicurativo versa direttamente al CONAF per la gestione della polizza collettiva.
Art. 5, regolamento di attuazione dell’obbligo assicurativo ai sensi dell’art. 5, comma 1, D.P.R. 137/2012 Responsabilità e vigilanza. L’iscritto all’Albo dei dottori Agronomi e dottori Forestali è ritenuto personalmente responsabile dell’inadempienza all’obbligo assicurativo e della verifica dell’idoneità della polizza assicurativa individuale secondo quanto previsto dall’art. 4 del presente regolamento, che definisce i criteri di idoneità della polizza, nello specifico: la stessa deve avere come attività assicurata quella prevista e disciplinata dall’Ordinamento Professionale vigente; deve prevedere la copertura di tutti i danni provocati ai terzi/clienti/consumatori nell’esercizio dell’attività professionale, ivi inclusi quelli di natura non patrimoniale; deve avere massimale di copertura per ogni sinistro per anno, secondo la tabella A; deve basarsi su valore e tipologie delle prestazioni professionali che identificano il rischio dell’assicurato, secondo la tabella B; deve prevedere che la copertura sia valida con retroattività illimitata e ultrattività decennale per i professionisti che cessino l’attività nel periodo di vigenza della polizza;
Il Consiglio dell’Ordine Territoriale cura l’osservanza dell’obbligo assicurativo; Ai sensi dell’art. 5, comma 2, D.P.R. 137/2012, in caso di inadempienza rispetto all’obbligo assicurativo, l’iscritto è sottoposto a procedimento disciplinare.
V. La responsabilità
LA RESPONSABILITA’ CIVILE Può sorgere in conseguenza di: 1) inadempimento delle obbligazioni nascenti da contratto o dagli altri atti o fatti idonee a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico, ai sensi dell’art. 1218, c.c.: responsabilità contrattuale; 2) fatto illecito, ai sensi dell’art. 2043 c.c.: responsabilità extracontrattuale;
RESPONSABILITA’ CONTRATTUALE ART. 1218 C.C. «Il contraente (debitore) che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile»; L’inadempimento si ha quando il debitore non esegue la prestazione dovuta, ovvero la esegue in modo tardivo o inesatto; Presuppone un preesistente rapporto fra i soggetti; L’impossibilità, per essere idonea a liberare il debitore, deve essere assoluta, cioè insuperabile, oggettiva, riconoscibile in base a criteri obiettivi;
E’ richiesta la sussistenza dell’elemento soggettivo, costituito da dolo (inadempimento cosciente e volontario) o colpa (omissione di diligenza, prudenza, perizia); Per quanto riguarda la colpa, è necessario fare riferimento al grado di diligenza richiesto, che è differente a seconda della natura professionale (diligenza qualificata) o meno (diligenza del buon padre di famiglia) dell’attività nel cui ambito si inserisce l’obbligazione; Trova applicazione il principio della ‘presunzione’ della colpa e la ripartizione dell'onere della prova è stata specificata dalla giurisprudenza (Cassazione civile, SS. UU., 30 ottobre 2001, n. 13533): mentre il creditore deve provare il titolo costitutivo del rapporto e, se vi è un termine, che questo è scaduto, potendosi limitare ad allegare l'inadempimento, è il debitore a dover dimostrare di aver adempiuto ovvero che l'inadempimento non è a lui imputabile;
Quanto al termine danno, che compare nell’art. 1218 c. c Quanto al termine danno, che compare nell’art. 1218 c.c. («risarcire il danno»), si deve fare riferimento al profilo patrimoniale della vicenda lesiva e, di conseguenza, alla ricostruzione in termini economici dell’interesse violato; Il risarcimento del danno ricomprende sia la perdita subita dal creditore (danno emergente), sia il mancato guadagno (lucro cessante), in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta, dovendo risultare positivamente accertato il nesso di causalità tra il fatto ed il danno; Il risarcimento è limitato al solo danno che poteva prevedersi, secondo un criterio di normale diligenza, nel tempo in cui è sorta l’obbligazione, tranne nel caso in cui l’inadempimento sia doloso: il dolo esclude l’esigenza di una proporzione tra il risarcimento e la normale utilità della prestazione.
RESPONSABILITA’ EXTRACONTRATTUALE ART. 2043 C.C. «Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno»; Sorge quando un soggetto subisce un danno a causa della condotta di altri e tra di essi manca un rapporto obbligatorio; Fatto illecito è qualsiasi azione umana, commissiva, ovvero omissiva se viola un obbligo di attivarsi imposto dall’ordinamento giuridico; È necessaria la sussistenza dell’elemento soggettivo, costituito da dolo (avere intenzionalmente e coscientemente provocato l’evento) o colpa (l’evento non è stato determinato intenzionalmente ma si è verificato per negligenza, imprudenza o imperizia ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline);
È necessaria la sussistenza del nesso di causalità tra il fatto illecito ed il danno che si è verificato; Il danno ingiusto si riferisce anche al c.d. danno conseguenza che indica quali sono le conseguenze dannose, economicamente valutabili che, derivando dalla lesione del bene, attribuiscono il diritto al risarcimento, distinguendosi in: Danni patrimoniali, cioè lesioni al patrimonio economico del soggetto, che comprendono la perdita subita (danno emergente) e il mancato guadagno (lucro cessante) (artt. 1223 e 2056 c.c.); Danni non patrimoniali, cioè tutti quei pregiudizi alla persona non immediatamente quantificabili economicamente, che si sviluppano nelle categorie del danno morale, danno biologico e danno esistenziale (art. 2059 c.c.);
In generale, va ricordato che, nella realizzazione del danno: Può concorrere la responsabilità solidale di più persone: in questo caso, ogni singolo soggetto risponde per l’intero nei confronti del danneggiato (art. 2055 c.c.); Può concorrere il fatto colposo del danneggiato: in questo caso, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Il risarcimento non è invece dovuto per i danni che il danneggiato avrebbe potuto evitare utilizzando l’ordinaria diligenza (art. 1227 c.c.).
Fino ad ora abbiamo parlato della responsabilità per fatto proprio, doloso o colposo. Tuttavia, vi sono altre due differenti tipologie di responsabilità: Responsabilità indiretta: è chiamato a rispondere del danno un soggetto diverso da quello che ha commesso il fatto (es. responsabilità dei padroni e dei committenti, ai sensi dell’art. 2049 c.c.); Responsabilità ‘oggettiva’ (presunta o aggravata): chi ha commesso il fatto è chiamato a risponderne anche se lo ha commesso senza dolo o senza colpa, ovvero è chiamato a rispondere del danno un soggetto che non ha commesso alcun fatto illecito, basandosi la sua responsabilità su una data relazione fra lui e la cosa che ha cagionato il danno (es. danno cagionato da cose in custodia, ai sensi dell’art. 2051 c.c.);
Art. 2051 c.c. – Danno cagionato da cose in custodia «Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito» Il danno non è riferibile ad alcun comportamento, commissivo od omissivo, del soggetto chiamato a risponderne; Questi ne risponde solo perché si trova in una data relazione con la cosa; La responsabilità ha origine dal danno che la cosa stessa ha prodotto per non essere stata convenientemente custodita; Manca l’estremo del fatto doloso o colposo;
La figura del custode Colui che ha un effettivo e non occasionale potere fisico sulla cosa, quale che sia il titolo sul quale questo potere si fonda (proprietà, usufrutto) ed anche in assenza di titolo, trattandosi di semplice potere di fatto, per possesso o detenzione; Tale potere ed il contemporaneo dovere di governo sulla cosa deve essere tale da escludere, in modo legittimo, qualsiasi altro soggetto dall’esercizio della custodia; Sussiste in capo al custode un vero e proprio dovere di custodia, consistente nel conservare il potere di controllo sulla cosa, o meglio, sull’operato della stessa.
Cessa di essere custode il proprietario se ha dato in locazione la cosa? O se questa è nella totale disponibilità dell’appaltatore? La risposta negativa si impone per tutte le cose che non passano nella custodia del conduttore, che non potrebbero essere da questo manomesse e sulle quali egli non ha titolo di intervenire al fine di prevenire o riparare danni; Mentre risponde il conduttore se il danno deriva da cose che rientrano nella sua disponibilità e, quindi, nella sua custodia.
La cosa che cagiona i danni: Questa può essere anche una cosa in sé inerte e priva di un proprio dinamismo; Deve essere la causa dell’evento e non una mera occasione per la verificazione dello stesso; Si considera arrecato «dalla cosa» il danno non solo «provocato dal dinamismo proprio della cosa stessa e, quindi, a causa di un suo intrinseco potere, ma anche perché dovuto a causa di un agente o processo dannoso insorto od eccitato nella cosa»; La giurisprudenza tratta spesso dell’albero in custodia come se avesse un dinamismo naturale ed autonomo da controllare. Si sostiene che il danno è cagionato nell’ambito del dinamismo connaturato alla cosa; per il Giudice spesso è connaturato all’albero il fatto di cadere, cioè l’albero ha un suo dinamismo che si esplica nella caduta;
In sintesi: Il danno deve essere cagionato dalla cosa in ragione del dinamismo connaturato e/o dell’agente esterno occorso; Si deve prescindere da ogni valutazione in ordine alla diligenza o meno del custode (si parla a proposito di rischio da custodia); E’ irrilevante ogni indagine sulla insidiosità della cosa stessa, in quanto l’accertamento della responsabilità in questione (di natura oggettiva) attiene alla esistenza del solo nesso eziologico.
Il nesso di causalità fra la cosa ed il danno. Viene provato alla stregua del criterio tradizionale della causalità adeguata (evento prevedibile in base alle regole statistiche o scientifiche e quindi per così dire oggettivizzate in base alla loro preponderanza o comune accettazione, rapportato ad una valutazione ex ante); Il danneggiato ha l’onere di dimostrare semplicemente il collegamento tra la cosa e l’evento dannoso.
La prova liberatoria Consiste nel caso fortuito, cioè ogni avvenimento imprevedibile ed inevitabile che abbia da solo determinato le condizioni dell’evento dannoso. Si distingue tra: fortuito autonomo, consistente in un fattore esterno, estraneo alla sfera di controllo del custode, che ha interferito nel decorso causale, interrompendo il rapporto fra la cosa e il danno; fortuito incidentale, quando la cosa in custodia ha provocato il danno per l’azione su di essa esercitata da un terzo o dal danneggiato stesso, come nei casi di uso improprio della cosa; Le valutazioni sull’inevitabilità ed imprevedibilità dell’evento devono essere relative al soggetto custode e al luogo in cui si è verificato l’evento. … si può essere chiamati a rispondere del danno anche se le cause restano ignote!
Cassazione, SS. UU. , sent. 12019 dell’11. 11 Cassazione, SS.UU., sent. 12019 dell’11.11.1991 «L’albero, il pescatore e le sezioni unite» Caso in cui un pescatore era stato danneggiato dalla caduta di un ramo di un albero sito in un terreno di proprietà comunale e concesso in locazione ad un’associazione di pescatori. Il pescatore, dopo aver ottenuto la condanna dell’associazione, decideva di procedere anche contro il Comune, al fine di ottenere il risarcimento del danno, ritenendo sussistere in capo a quest’ultimo responsabilità solidale, in quanto proprietario del terreno.
Alcuni estratti della sentenza in esame: Ai sensi dell'art. 2051 c.c., il profilo del comportamento del responsabile sembrerebbe di per sé estraneo alla struttura della normativa; né può esservi reintrodotto attraverso la figura della presunzione di colpa per mancata diligenza della custodia, giacché il solo limite previsto nell'articolo in esame è l'esistenza del caso fortuito; Il dato lessicale della norma ritiene sufficiente, per l'applicazione della stessa, la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo. Occorre, cioè, distinguere tra "fatto della cosa" e "fatto dell'uomo", ai fini dell'individuazione dell'ambito d'applicazione dell'art. 2051 c.c. in luogo dell'art. 2043 c.c. Invero, secondo la giurisprudenza, il danno si considera cagionato dalla cosa quando è prodotto da essa per effetto del suo "intrinseco dinamismo", al di fuori di un'azione diretta dell'uomo;
Responsabile del danno cagionato dalla cosa è cioè colui che essenzialmente la "ha in custodia". Ma il termine non presuppone, né implica uno specifico obbligo di custodire la cosa; Viceversa, la norma fa riferimento ad uno stato di fatto: la sua funzione di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, porterebbe ad escludere che custode sia necessariamente il proprietario in quanto tale, potendo essere qualificato custode il soggetto che di fatto controlla le modalità di uso e conservazione della stessa ed abbia, pertanto, il «governo della cosa»; Tale criterio è, quindi, un elemento qualificante la "custodia", elemento che si concretizza nella "disponibilità immediata sulla cosa". Indubbiamente tale disponibilità di fatto non può essere disgiunta dalla "disponibilità giuridica" delle condizioni di uso e di conservazione della cosa. Ne deriva che deve essere considerato come custode il conduttore, il quale è un detentore qualificato;
La decisione Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno stabilito che la funzione precipua dell’art. 2051 c.c. è quella di imputare la responsabilità a chi si trova nella condizione di controllare i rischi inerenti la cosa stessa. La qualità di custode era pertanto da individuarsi in capo al conduttore, in quanto detentore qualificato: nel caso di specie, l’associazione dei pescatori e non il Comune. «Ove la cosa locata procuri danni a terzi, la responsabilità grava sul soggetto che abbia la cosa in custodia, da intendersi come disponibilità giuridica e di fatto della cosa, con l’esclusione di responsabilità solidale del proprietario»
Tribunale di Verona, sent. 28.06.94 «Il nubifragio» Si era verificato un nubifragio con vento a 103 km/h che aveva investito un filare di alberi; uno di essi era caduto e aveva cagionato danni ad un automobilista, che si era scontrato con l’albero, caduto in mezzo alla strada; Un vento di portata superiore ai 100 km/h in grado di abbattere alberi robusti e vitali è un evento raro, tale da non richiedere nessun intervento cautelativo di sradicamento e di essere causa immediata ed autonoma dell’incidente stradale; Si pone come forza invincibile, che solo occasionalmente può raggiungere un tale risultato distruttivo; Non sussiste responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c.;
Massima «Il caso fortuito, in quanto esimente di responsabilità, va considerato come elemento imprevisto ed imprevedibile che, sottraendosi da ogni possibile controllo umano, rende inevitabile un evento dannoso ponendosi come unica causa efficiente di esso e porta a disattendere la richiesta di risarcimento dei danni. Nel caso di pregiudizio causato da fenomeni atmosferici, l’intensità ed eccezionalità (in senso statistico) non deve essere stabilita da nozioni di comune esperienza, bensì facendo ricorso a concreti e specifici elementi di prova, rappresentati dalle rilevazioni del servizio meteorologico, e con riguardo al luogo ove si è verificato l’evento»
Cass. Civ., sez. III, 26.02.1994, n. 1947 «Il temporale» Durante un temporale, un albero di proprietà di un privato era caduto colpendo un passante, che aveva riportato danni; Alcuni giorni prima del verificarsi dell’evento atmosferico, i Vigili del Fuoco ne avevano constatato la pericolosità, limitandosi ad invitare il proprietario a rimuoverlo al più presto, astenendosi da ogni intervento diretto;
La decisione «La responsabilità presunta per i danni cagionati da cose in custodia, stabilita dall’art. 2051 c.c., con riguardo al dinamismo connaturale alla cosa medesima o per l’insorgenza in questa di un processo dannoso ancorché provocato da agenti esterni, può essere vinta solo dalla prova del caso fortuito, comprensivo anche del fatto del terzo, che non si sia potuto prevedibilmente evitare e che sia stato da solo la causa dell’evento, e non è, pertanto, esclusa dalle omissioni degli organi pubblici tenuti ad intervenire per la pubblica incolumità (per cui può solo configurarsi un concorso di colpa) quando la situazione della cosa sia di per sé già pericolosa ed il danno prevedibile e quindi evitabile, avendo in tal caso il custode l’obbligo di prevenire, esercitando il controllo della cosa in custodia ed attivandosi, anche autonomamente ed a prescindere dell’intervento della pubblica autorità, per evitare che da questa derivino danni ai terzi»; Sussiste in capo al proprietario responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c.
La giurisprudenza utilizza prevalentemente un modello diagnostico ex post: data la caduta dell’albero, se questo risulta all’esame successivo sano e nella zona si è abbattuta una perturbazione atmosferica particolarmente rilevante e non usuale, allora la causa della caduta va addebitata all’agente atmosferico. Se invece l’albero risulta all’esame successivo malato, allora evidentemente deve esserci stata una carenza di sorveglianza, giacché altrimenti è ipotizzabile che l’albero avrebbe potuto resistere all’operare del temporale.
Cass. Civ., sez. III, 20.11.2009, n. 24530 «La caduta di un ramo» Nel corso delle operazioni di taglio di un albero d’alto fusto all’interno del parco di una villa, la caduta di un ramo aveva provocato la morte di uno dei lavoranti; «Può essere qualificato custode della cosa, per i fini di cui all’art. 2051 c.c., colui che ha la disponibilità di fatto di una cosa, non disgiunta però dalla disponibilità giuridica di essa. E’ da considerarsi, perciò, custode, ai sensi della norma indicata, sia il proprietario che il conduttore del bene, in quanto detentore qualificato, ma non il loro dipendente».
Trib. Roma, sez. II, sent. 18.02.2009 «La caduta improvvisa dell’albero» «Il danno cagionato dalla caduta di un albero è un danno che comporta responsabilità per cose in custodia, ex art. 2051 c.c., per due ordini di motivi: l’albero è una cosa materialmente custodibile; la responsabilità da cose in custodia presuppone, oltre che la materiale custodibilità del bene, anche il fatto che la prevenzione sia unilaterale, ossia che gravi sul danneggiante. Chi ha in custodia un albero, dunque, non può che essere l’unico a prevenire la caduta ed il danno a terzi».
Trib. Rimini, sez. Unica, 16.07.2014 «Danni derivanti da cose locate» «In tema di responsabilità civile per danni derivanti da cose locate, il proprietario locatore non risponde dei danni provocati dalla caduta di un ramo di un albero situato nel giardino compreso nell’immobile locato, essendo chiamato a risponderne il solo conduttore, in qualità di custode sia dell’immobile, sia di ogni sua pertinenza. Una responsabilità del proprietario del fondo su cui sorge l’albero è, tuttavia, configurabile ai sensi dell’art. 2043 c.c., per avere creato, omettendo l’opportuna vigilanza e manutenzione del fondo, la situazione di pericolo rappresentata dalla sporgenza dei rami sulla sede stradale».
Trib. Ascoli Piceno, 21.07.2017 «L’attività del custode» «Nella responsabilità per danni derivanti da cose in custodia, sul custode grava un dovere di vigilanza che impone allo stesso di accertare che il bene, per il dinamismo ad esso connaturato o per l’insorgenza di un elemento dannoso esterno, versi in condizioni tali da non arrecare pregiudizio a terzi. A tale fine, il custode deve esplicare un’attività di controllo, sorveglianza, manutenzione adeguati alla natura della cosa stessa ed in particolare all’uso cui essa è destinata, avuto riguardo anche ai pericoli normalmente connessi, essendo tenuto ad adottare tutte le cautele idonee ad evitare la degenerazione della cosa in condizioni tali da risultare dannosa».
Cass. Civ. , sez. VI, Ordinanza, 21. 02. 2018, n Cass. Civ., sez. VI, Ordinanza, 21.02.2018, n. 4133 «Il dinamismo della cosa» «In tema di responsabilità civile per i danni causati da cose in custodia, la prova del nesso causale grava necessariamente sull’attore-danneggiato ed essa non va intesa quale dimostrazione dell’evento dannoso, ma quale prova che il danno è stato determinato dalla cosa in custodia per il proprio dinamismo».
Circolare CONAF n. 1788/2007 «Viene affermata la competenza professionale esclusiva dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali in materia di difesa fitoiatrica e valutazione di stabilità degli alberi».
LA COLPA PROFESSIONALE La responsabilità del professionista si risolve, di fatto, nell’individuazione di quei parametri di diligenza cui lo stesso professionista deve attenersi nello svolgimento del suo incarico, sorgendo solo in corrispondenza della violazione di specifici obblighi; Mancando una vera e propria definizione normativa, la dottrina tende verso una nozione lata di professionista, secondo cui tale è chiunque svolga un’attività caratterizzata da autonomia, libertà e tecnicismo; Per esercitare attività professionale intellettuale è richiesta l’iscrizione ad un albo; L’attività professionale intellettuale trova il suo naturale luogo di esplicazione all’interno di un contratto d’opera intellettuale;
Cons. Stato, sez. V, 17.01.2013, n. 263 LIBERE PROFESSIONI – Agronomi e forestali «L’art. 2 della legge 7 gennaio 1976, n. 3, recante il nuovo ordinamento della professione di dottore agronomo e di dottore forestale, relativo alla individuazione delle attività professionali consentite agli iscritti all’Albo, a seguito di superamento dell’esame di Stato di abilitazione, abilita tale professionista ad effettuare interventi di studio, progettazione, direzione, sorveglianza, liquidazione, misura, stima, contabilità e collaudo di diverse opere anche relative a costruzioni rurali».
Cons. Stato, sez. V, 30.06.2014, n. 3266 «L’agronomo opera prevalentemente nell’ambiente rurale con particolari applicazioni anche in ambiti urbani e, più in particolare, applica le proprie competenze tecniche per guidare gli interventi dell’uomo sui fattori che determinano qualità e quantità della produzione agricola e zootecnica, oppure può interessarsi anche degli aspetti economici ed ecologici legati all’ambiente urbano ed extra-urbano»
La diligenza del professionista La diligenza che il professionista è tenuto ad adoperare nell’esercizio delle sue funzioni è quella di cui al secondo comma dell’art. 1176 c.c., qualificata e superiore rispetto a quella richiesta ad una persona comune; La diligenza richiesta è quella professionale media esigibile, commisurata alla prestazione che il professionista deve eseguire (Cass. Civ., sez. II, sent. 16690/2014); E’ necessario tenere conto delle normali «aspettative» di chi si rivolge ad un professionista;
Il professionista è chiamato a rispondere del danno nelle ipotesi di negligenza, imprudenza e colpa lieve, atteso il maggior grado professionale che si presume in capo allo stesso; Il cliente che intende agire per ottenere il risarcimento ha l'onere di provare il danno subito, la colpa del prestatore d'opera intellettuale, nonché il nesso di causalità tra colpa e danno; L’art. 2236 c.c. introduce una limitazione alla responsabilità del professionista, per le ipotesi di imperizia che siano dipese dalla complessità o dalla novità dell'opera richiesta; In tale ultimo caso, in cui deve essere richiesta la risoluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, il professionista risponderà del danno solo in caso di dolo o colpa grave. La Riforma delle Professioni, entrata in vigore il 15 agosto 2013, ha introdotto l’obbligo di stipula di polizza assicurativa per tutti i professionisti intellettuali. Tale previsione legislativa sancisce come il professionista sia «tenuto a stipulare idonea assicurazione per i danni derivanti al cliente dall’esercizio dell’attività professionale».
LA RESPONSABILITA’ PENALE Insorge nel momento in cui il professionista si renda responsabile di un fatto, o di un atto, previsto dal Codice Penale o da leggi speciali come reato; Il fatto può essere commissivo, ovvero omissivo: ai sensi dell’art. 40, comma 2, c.p., non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo; I reati, a seconda della gravità e del tipo di pena prevista, si distinguono in delitti e contravvenzioni;
I delitti sono: Dolosi, ovvero secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, risultato dell’azione od omissione, è previsto e voluto dal soggetto; Colposi, ovvero contro l’intenzione, quando l’evento non è voluto e si verifica a causa di negligenza, imprudenza o imperizia ovvero per inosservanza di leggi o regolamenti; Preterintenzionali, ovvero oltre l’intenzione, quando dall’azione od omissione deriva un evento più grave di quello voluto;
Peculiarità della responsabilità penale A differenza della responsabilità civile, la responsabilità penale è strettamente personale e non trasferibile. Per questo motivo le compagnie assicurative (a cui invece possono essere efficacemente trasferite le conseguenze risarcitorie della responsabilità civile) poco possono di fronte all’irrogazione di pene detentive o pecuniarie conseguenti a questo tipo di responsabilità. Va ricordato l’art. 110 c.p., che disciplina il concorso di più persone nella realizzazione del reato (es. professionista che concorre con il cliente): è sufficiente che il soggetto fornisca un contributo di qualsiasi genere alla realizzazione del reato, anche omissivo. In questo caso, ciascun soggetto soggiace alla pena stabilita dalla legge.
Come può tutelarsi il professionista? L’unica tutela assicurativa possibile per il professionista, in questo ambito, è quella di garantirsi, attraverso la stipula di una polizza di Tutela Legale, la copertura delle spese di difesa e di tutti gli altri costi connessi ad un procedimento penale quali, ad esempio, le spese per attività di investigazione, di perizia e/o consulenza tecnica d’ufficio e di parte, le spese di gestione della vertenza e le spese giudiziarie e processuali, con il solo limite dei reati dolosi.
Rispetto ai reati dolosi, infatti, la possibilità di copertura delle spese di difesa è possibile solo nei casi di derubricazione del titolo di reato da doloso a colposo, di proscioglimento, di assoluzione con decisione passata in giudicato o in caso di archiviazione per infondatezza della notizia di reato. Diversamente, in caso di conferma di condanna per reato doloso o in caso di prescrizione quando ancora sia in essere l’imputazione dolosa, non essendo il dolo assicurabile in nessun caso (ai sensi dell’art. 1900 c.c.), l’assicurato è tenuto a restituire l’anticipo delle spese eventualmente ottenute dalla compagnia nelle more del procedimento.
… Fortunatamente molti dei reati in cui un professionista può incorrere nello svolgimento della propria attività sono di natura contravvenzionale e, nella maggior parte dei casi, estinguibili con il pagamento dell’ammenda ovvero senza iscrizione di alcuna annotazione sul certificato del casellario giudiziale (Es. oblazione o condanna con il beneficio della non menzione). Tuttavia, vi sono anche fattispecie di reato più gravi che non bisogna sottovalutare: si pensi al crollo di un albero che può provocare lesioni colpose (art. 590 c.p.) e finanche la morte di un soggetto (omicidio colposo, art. 589 c.p.) ovvero altri reati a seconda delle effettive e specifiche attività svolte.
«L’albero ed il rischio di caduta» La corretta gestione di un albero passa inderogabilmente attraverso una perizia fitostatica, che deve essere redatta dal Dottore Agronomo e/o Dottore Forestale, contenente la valutazione delle condizioni di pericolo e di rischio connesse alla presenza dell’albero stesso, ed indicando al contempo gli interventi che si rendono necessari per la sua messa in sicurezza, in modo tale che non arrechi danni a cose e/o persone. La valutazione della pericolosità dell’albero deve prendere in considerazione l’impiego, ove necessario, di opportuni strumenti diagnostici (Resistograph, Tomografo sonico ad impulsi, etc.).
La posizione di garanzia Si rende necessario procedere ad individuare l’organo amministrativo titolare dell’obbligo giuridico di impedire eventi dannosi o pericolosi ricollegabili al verde pubblico (obbligo rilevante ai sensi dell’art. 40, comma 2, c.p.), rilevabile da leggi o regolamenti che provvedono ad indicarlo come titolare di una posizione di garanzia nei confronti di chicchessia, relativamente a tutti gli eventi dannosi o pericolosi che dal verde possono derivare. Tale posizione di garanzia si estrinseca in un obbligo di controllo e può essere affidata ai tecnici mediante delega (anche contrattuale).
Validità della delega Se è formale e precisa (per la P.A. è necessaria, di norma, la forma scritta); Se il delegato è persona tecnicamente capace e qualificata; Se il delegato è effettivamente munito dei poteri e dei mezzi necessari per l’adempimento scaturente dai poteri delegati (autonomia decisionale e finanziaria).
Se il delegato vuole evitare eccessivi rischi di responsabilità deve: ‘Chiedere’ una delega analitica e non sintetica (delega scritta che dettaglia i compiti effettivi: nel caso di incarico/appalto prevedere un capitolato/regolamento nel quale descrivere le mansioni/attività, la tempistica e le tecniche richieste); Avere a disposizione mezzi e poteri necessari (anche di spesa); Mettere in mora il garante in caso di inadempimento di quest’ultimo (su compiti e adempimenti non delegati); Provvedere ai compiti di spettanza (senza assunzione di compiti del delegante con estensione della responsabilità originariamente prevista); All’estremo, ove l’inerzia del delegante si protragga nel tempo, rinunciare alla delega.
In tutti i casi, una volta ripartiti/suddivisi i compiti tra i soggetti (delegato/delegante) sul tecnico delegato incombe un dovere di diligenza per l’espletamento delle mansioni a lui effettivamente attribuite, la cui violazione implica, in caso di evento lesivo, responsabilità penale. Il tecnico potrà, quindi, essere dichiarato responsabile: - per colpa specifica, in caso di violazione di leggi o regolamenti, ordini o discipline; - per colpa generica, in caso di negligenza, imprudenza, imperizia, quando non abbia posto in essere tutti gli accorgimenti che, allo stato attuale di cognizioni tecnico – scientifiche, siano ritenuti necessari ad evitare eventi dannosi o pericolosi. Nel caso in cui l’evento sia ascrivibile a pura accidentalità – ovvero a causa non prevedibile e non evitabile con l’uso della comune diligenza –, il fatto potrà essere ricondotto al caso fortuito, o forza maggiore e non comporterà alcuna responsabilità penale.
Trib. Perugia, 28.10.2003 «Mancata segnalazione della situazione di pericolo» Nel caso in esame, l’ANAS non aveva proceduto a segnalare una situazione di pericolo, in quanto si sarebbe dovuto procedere al taglio ovvero alla messa in protezione di un albero, che cadendo aveva provocato danni; «Nell’ambito dei reati colposi omissivi impropri, il rapporto di causalità tra omissione ed evento sussiste ogni qualvolta, ipotizzandosi come avvenuta l’azione doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo, ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva».
Corte di App. Bologna, sez. II, 02. 04 Corte di App. Bologna, sez. II, 02.04.2007 «Abbattimento con motosega di albero» Un soggetto aveva proceduto ad abbattere un albero con una motosega, cagionando la morte di due persone; «Sono cause penalmente rilevanti quelle condotte attive od omissive che si pongono come condizione necessaria nella catena degli antecedenti che hanno concorso a realizzare l’evento e senza le quali il risultato stesso non si sarebbe realizzato; il nesso di causalità sussiste quando l’evento non si sarebbe prodotto in mancanza di quella azione od omissione, mentre deve essere escluso soltanto quando esso si sarebbe verificato comunque, anche in assenza della condotta ascritta all’imputato. Pertanto, allorché il comportamento complessivamente negligente ed imprudente dell’imputato si pone come condizione necessaria nella catena degli antecedenti che hanno concorso a produrre l’evento, e senza la quale l’evento non si sarebbe verificato, va affermata la sua responsabilità penale; il comportamento imprudente delle vittime, pur non essendo idoneo ad interrompere il nesso di causalità, in quanto non ha avuto efficacia causale esclusiva, è peraltro tale da doversene tenere conto nella determinazione della gravità del fatto e della pena.»
Cass. Pen., sez. IV, 04.02.2015, n. 11136 «Obbligo giuridico di impedire l’evento» «La norma dell’art. 40, comma 2, c.p., secondo la quale non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo, va interpretata in termini solidaristici, alla luce dell’art. 2 Cost., il quale, ispirandosi al principio del rispetto della persona umana nella sua totalità, esige l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.»
Cass. Pen., sez. IV, 01.12.2016, n. 19029 «Posizione di garanzia» «In tema di reati omissivi colposi, la posizione di garanzia – che può essere generata da investitura formale o dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante – deve essere individuata accertando in concreto la effettiva titolarità del potere-dovere di gestione della fonte di pericolo, alla luce delle specifiche circostanze in cui si è verificato il sinistro».
Cass. Pen., sez. IV, 11.02.2016, n. 22147 «Ricostruzione del processo causale» «In tema di causalità, la dipendenza di un evento da una determinata condotta deve essere affermata anche quando le prove raccolte non chiariscano ogni passaggio della concatenazione causale e possano essere configurate sequenze alternative di produzione dell’evento, purché ciascuna di esse sia riconducibile all’agente e possa essere esclusa l’incidenza di meccanismi eziologici indipendenti» (Fattispecie relativa al decesso di un lavoratore in conseguenza dell’abbattimento di un albero).
Trib. Frosinone, 30.10.2017 «Nesso causale e condotta» «In merito ai reati, la causalità si configura non solo quando il comportamento diligente imposto dalla norma a contenuto cautelare violata avrebbe certamente evitato l’evento antigiuridico che la stessa norma mirava a prevenire, ma anche quando una condotta appropriata avrebbe avuto significative probabilità di scongiurare il danno»
Trib. Bologna, sent. 2693/2007 «Il mancato abbattimento di un albero» Un dottore agronomo, incaricato nell’ambito dell’appalto relativo alla manutenzione ordinaria del verde pubblico del Comune di Bologna, constatava in apposita relazione la situazione relativa alla staticità di un albero d’alto fusto come «allarmante», consigliandone l’abbattimento nel più breve tempo possibile; Procedeva quindi ad inviare la relazione al tecnico amministrativo per il settore verde della ditta titolare dell’appalto per la manutenzione ordinaria del verde pubblico del Comune di Bologna, nonché titolare di sub appalto della ditta per la manutenzione straordinaria del verde pubblico;
Le ‘contestazioni’: Il dottore agronomo ometteva di attivare una procedura d’urgenza finalizzata all’abbattimento dell’albero; Il tecnico amministrativo non attivava procedure straordinarie per l’abbattimento dell’albero, ometteva di transennare la zona e non evidenziava la situazione di pericolo emersa dalla relazione nel corso di una riunione svoltasi negli uffici del verde pubblico;
Poche settimane dopo, improvvisamente, l’albero cadeva e colpiva una donna che camminava sul lato opposto della strada; Ella veniva trasportata d’urgenza all’ospedale, riportando gravissime condizioni e decedeva pochi giorni dopo; Non vi era alcun dubbio, dunque, che la morte della donna si trovasse in rapporto causale diretto con la caduta dell’albero, potendosi peraltro escludere eventuali concause del determinismo del decesso;
A questo punto, è necessario esaminare tre aspetti fondamentali caratterizzanti la struttura tipica del reato omissivo colposo, contestato all’agronomo e al tecnico: Prevedibilità ed evitabilità dell’evento; Obbligo giuridico di impedire l’evento da parte dei due imputati; Sussistenza di condotte omissive colpose ad essi attribuibili e loro rilevanza causale nella produzione dell’evento.
Quanto ai primi due aspetti, il dibattito tecnico-scientifico sviluppatosi in sede del processo ha portato ad una incontroversa conclusione: nel caso di specie, la perizia ha evidenziato che gli alberi posti sul luogo del sinistro erano costretti ad una progressiva asimmetria per l’eccessiva vicinanza e che l’esemplare maggiormente inclinato era proprio quello caduto. Tuttavia, si trattava di un disassamento di pochi gradi, non in grado di determinarne la caduta; La reale causa di ribaltamento era da rinvenire nella progressiva compromissione del sistema radicale provocata da patogeni agenti di carie, con graduale sostituzione della struttura primaria della zolla, non portata a termine per lo schianto avvenuto in fase intermedia; Il metodo VTA utilizzato nella valutazione di stabilità della pianta effettuata dal dottore agronomo aveva colto ed evidenziato elementi di valutazione prudenziale sulla situazione osservata, che lo avevano indotto a ritenerla anomala e foriera di pericolo potenziale di caduta, tanto da consigliarne, in tempo il più breve possibile, l’abbattimento;
L’omissione era ‘colpevole’ e ‘ascrivibile’ agli imputati?
Responsabilità del dottore agronomo Nel caso di specie, il dottore agronomo, quale tecnico incaricato della verifica statica sull’albero, non aveva alcun onere di indicare i tempi di abbattimento, né di influire sugli stessi, visto che esulava dal contratto di sub appalto instaurato con la ditta incaricata della manutenzione ordinaria e straordinaria, qualsiasi compito esecutivo risultando essere concentrato esclusivamente in capo a quest’ultima. Non sono, difatti, emersi elementi di responsabilità in ordine a condotte omissive ad egli imputabili nella determinazione dell’evento mortale, in quanto il giudizio formulato in sede di verifica statica era esatto e nessuna competenza era attribuibile in merito a tempi, modi ed esecuzione dell’abbattimento.
Responsabilità del tecnico amministrativo La ditta incaricata della manutenzione ordinaria e straordinaria, nell’ambito della procedura attivata mediante la verifica statica, secondo le modalità previste dal capitolato d’appalto servizi della manutenzione ordinaria, avrebbe dovuto realizzare le condizioni in esso previste, secondo le quali «nei casi in cui le piante arboree verificate con metodo VTA risultassero instabili, l’appaltatore è tenuto a darne immediata comunicazione al Supervisore anche via fax, e ad effettuare un sopralluogo, in presenza di un tecnico abilitato dal Supervisore, allo scopo di concordare le modalità dell’intervento…»; Il tecnico, in qualità di responsabile del servizio gestito dalla ditta, disattendeva le disposizioni del capitolato, non attivando le procedure specifiche previste per l’intervento di abbattimento, non curandosi di segnalare al Supervisore la situazione di urgenza, neppure in occasione della riunione periodica, rendendosi responsabile di reato omissivo colposo per grave negligenza.
Grazie per l’attenzione ! Avv. Valerio Girani - Dott.ssa Camilla Perani Bologna, via San Vitale 40/3/a, tel. 051/273730 Forli, C.so Mazzini 83, tel. 0543/32233 – email: avvgirani@associatofo.it