INFERNO XIII Pier delle Vigne.

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INFERNO XIII Pier delle Vigne

7°cerchio – VIOLENTI 2°girone violenti contro se stessi (suicidi) e contro le proprie cose (scialacquatori) la selva dei suicidi - le Arpie - Pier della Vigna

VII°CERCHIO – VIOLENTI II°GIRONE – SUICIDI Per Dante la violenza contro se stessi è più grave della violenza contro il prossimo, confermando in pieno la visione teologica di San Tomaso d'Aquino, secondo cui il comandamento di "amare il prossimo tuo come te stesso" postula prima un amore verso la nostra persona in quanto riflesso della grazia e della grandezza divina.

Dannati Suicidi: trasformati in pianta Scialacquatori: nudi e condannati a correre, anche se invano, perché comunque graffiati da cagne fameliche (vd. Caccia infernale)

Il Flegetonte

Il centauro Nesso

La selva dei suicidi Dante e Virgilio, attraversato il Flegetonte grazie all'aiuto del centauro Nesso, si ritrovano in un bosco tenebroso. Non ci sono sentieri e Dante evoca il sinistro luogo con una famosa terzina(4-6).

La selva dei suicidi Non fronda verde, ma di color fosco; non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti; non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco: Non ci sono piante verdi quindi, ma di colore scuro, non rami dritti ma nodosi e contorti, nessun frutto ma solo spine avvelenate.

Le Arpie Qui, dice il poeta, le Arpie fanno i loro nidi: hanno corpo di uccello e volto umano, ed emettono strani lamenti.

Le Arpie Dante nota come si sentano lamenti ovunque senza vedere nessuno, al che pensa che ci siano delle anime nascoste tra la boscaglia. vv. 22-24: “Io sentia d'ogne parte trarre guai | e non vedea persona che 'l facesse; | per ch'io tutto smarrito m'arrestai”

Disorientamento Il verso 25 (“Cred'ïo ch'ei credette ch'io credesse”), tutto costruito sul verbo “credere”, vuole appunto spiegare il suo disorientamento.

Disorientamento Virgilio gli legge nel pensiero e lo invita a troncare un rametto da una pianta perché la sua idea venga confutata "li pensier c'hai si faran tutti monchi" v.30

L'arbusto sanguinante Dante "coglie" un ramicello da un grande arbusto e viene sorpreso dal grido "Perché mi schiante?" seguito dal fuoriuscire di sangue marrone dal punto reciso. Di nuovo arrivano parole dalla pianta "Perché mi scerpi? / non hai tu spirto di pietade alcuno? / Uomini fummo, e or siam fatti sterpi" (vv. 35-37) Al che Dante impaurito lascia subito il ramo.

Metamorfosi/Contrappasso Si tratta quindi di uomini trasformati in piante, un decadimento verso una forma di vita inferiore, pena principale dei dannati di questo girone. Essi hanno rifiutato la loro condizione umana uccidendosi e per questo (per contrappasso) non sono degni di avere il loro corpo.

Polidoro (Eneide III) Il poeta è terrorizzato, ma sempre Virgilio, che già ha descritto una scena simile nel terzo canto dell’Eneide presentando la figura di Polidoro lo invita a non interrompere la conversazione.

Pier delle Vigne L’anima dannata allora si presenta come Pier delle Vigne, alto dignitario della corte di Federico II di Svevia presso la quale era fiorita la Scuola Siciliana. Pier delle Vigne è poi caduto poi in disgrazia (così ci dice lui stesso) per l’invidia degli altri membri della corte, fatto che l’ha infine portato al suicidio

Pier delle Vigne Egli rammenta allora con nostalgia la vita terrena ch’egli stesso s’è tolto vv. 58-61: “Io son colui che tenni ambo le chiavi | del cor di Federigo, e che le volsi, | serrando e diserrando, sì soavi, | che dal secreto suo quasi ogn'uom tolsi” Ma non manca di sottolineare la propria correttezza (vv. 59-60: “fede portai al glorïoso offizio, | tanto ch'i' ne perde' li sonni e ' polsi”

Pier delle Vigne Il tono del ricordo - stilisticamente elaborato come è giusto che sia per la lingua di un uomo di elevata cultura e rango sociale come Pier delle Vigne - combina malinconia e rivendicazione puntigliosa, e si conclude in una terzina tutta giocata sulle antitesi: L'animo mio, per disdegnoso gusto, credendo col morir fuggir disdegno, ingiusto fece me contra me giusto