Paolucci, Signorini La storia in tasca Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento Volume 4 8. Il Risorgimento italiano 9. Si afferma la società borghese industriale 10. L’Italia dopo l’unità Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013
Capitolo 10 L’Italia dopo l’unità Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013
Il nuovo regno d’Italia Nel 1861 l’Italia era fatta. Il nuovo Stato aveva un unico re (Vittorio Emanuele II), un’unica capitale (Torino) e un unico parlamento; era monarchico, come volevano i moderati, e unitario, come volevano i mazziniani. Eppure, l’Italia non poteva dirsi davvero unita: ognuno dei vecchi stati aveva le sue leggi, il suo sistema di tassazione, le sue monete, le sue unità di misura, per non parlare delle tradizioni e delle abitudini di vita, che erano diversissime da un luogo all’altro. Si può dire che non esistesse nemmeno una lingua comune. - L’italiano era una lingua letteraria, usata solo dagli scrittori e dalle poche persone colte, mentre la grande maggioranza degli Italiani parlava in dialetto. - Il governo risolse il problema estendendo a tutta la penisola lo Statuto Albertino – che divenne la nuova costituzione del regno – e le altre leggi piemontesi, anche se qualcuno dei vecchi stati, ad esempio la Toscana, aveva una legislazione più moderna e progredita. - Il territorio nazionale venne diviso in province e pose a capo di ciascuna un prefetto, cioè un rappresentante del governo con compiti di vigilanza e controllo. Quasi tutti i prefetti furono piemontesi. - Il governo di Torino accentrò tutti i poteri e, per mezzo dei prefetti e dei sindaci – anch’essi nominati dall’alto –, poté avere l’ultima parola anche sulle questioni locali. Così l’Italia fu costruita secondo un modello piemontese (fu – come si dice – «piemontesizzata») ed ebbe un governo fortemente accentrato. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013
Si crea un distacco fra governanti e governati Al momento dell’unificazione, l’Italia era un paese povero e arretrato. Per i lavori di ammodernamento furono aumentate le tasse il cui peso finì per ricadere soprattutto sui ceti più poveri. Per di più la legge elettorale del nuovo regno riconosceva il diritto di voto ai soli cittadini maschi provvisti di un reddito elevato che spesso non conoscevano a fondo i problemi della popolazione. Così si creò un distacco fra governanti e governati e lo Stato apparve a molti Italiani, specie del sud, come un’istituzione estranea e spesso nemica. - Economicamente l’Italia era lontanissima dallo sviluppo industriale raggiunto da altri paesi europei. L’industria muoveva allora i primi passi, e soltanto in Lombardia, Piemonte e Liguria, mentre altrove era quasi assente. L’agricoltura, che era l’attività dominante, presentava di luogo in luogo livelli di sviluppo diversi. - Al nord stavano nascendo aziende agricole moderne per opera di abili imprenditori che investivano nell’agricoltura i loro capitali. Al sud invece dominava il latifondo, concentrato nelle mani di pochi e ricchi proprietari che vivevano in città e non si curavano di migliorare, con nuovi investimenti, la produzione delle loro terre. Così nel latifondo i metodi di lavorazione erano antiquati e la gran massa dei contadini viveva in condizioni di miseria. - Per costruire strade, scuole, ponti, ferrovie lo Stato aveva bisogno di soldi, tanto più che le guerre del Risorgimento erano costate care e il nuovo regno aveva dovuto accollarsi anche i debiti degli Stati annessi. - Un altro grave problema fu l’organizzazione militare: bisognava creare un forte esercito e a questo scopo fu estesa a tutta Italia la leva obbligatoria, che durava alcuni anni. Si trattava di un provvedimento necessario che però fu subito impopolare, soprattutto al sud, perché il giovane chiamato alle armi per qualche tempo non lavorava e la sua assenza rendeva ancora più misere le condizioni di molte famiglie. - Nel Mezzogiorno il risentimento della popolazione assunse forme di ribellione aperta e bande di contadini, esasperati dalla fame e dalla miseria, diedero inizio a una guerriglia senza esclusione di colpi: il brigantaggio. Contro i ribelli il governo inviò l’esercito e, dopo cinque anni di scontri sanguinosi, il brigantaggio venne stroncato. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013
Scoppia il conflitto austro-prussiano (Terza guerra d’indipendenza) Per ottenere il Veneto fu necessaria un’altra guerra contro l’Austria, (Terza guerra d’indipendenza). L’Italia la combatté al fianco di un nuovo alleato straniero: la Prussia, uno Stato della Confederazione germanica. L’Austria fu sconfitta e costretta alla resa, fu esclusa dalla Confederazione germanica (che venne sciolta) e dovette cedere il Veneto all’Italia. Mantenne però Trento e Trieste. Mancava ancora Roma. - Negli anni Sessanta la Prussia era una grande potenza economica e i liberali tedeschi le riconoscevano un ruolo di guida nel processo di unificazione della Germania. La Prussia si assunse definitivamente questo compito nel 1862, quando fu nominato cancelliere Otto von Bismarck, uno statista dalla forte personalità. - Alla guerra Bismarck si preparò meticolosamente, rafforzando l’esercito, assicurandosi la neutralità della Francia e procurandosi l’alleanza dell’Italia. Quando fu pronto, approfittò di un contrasto con l’Austria (per il controllo di due ducati nella Germania del nord) e aprì il conflitto: era l’estate del 1866. - Sul fronte meridionale le cose si misero subito male per gli Italiani, che furono sconfitti per terra (a Custoza) e per mare (a Lissa). Solo Garibaldi con le sue «camicie rosse» batté gli Austriaci nel Trentino. Ma a nord i Prussiani sbaragliarono l’esercito austriaco in una sola decisiva battaglia a Sadowa (3 luglio 1866). - Garibaldi tentò per ben due volte di conquistare Roma ma nel 1862 fu fermato sull’Aspromonte per ordine del governo italiano che non voleva scontentare Napoleone III, decisamente contrario all’impresa. Anzi, per rassicurare Napoleone, l’Italia si impegnò a rinunciare all’annessione di Roma: nel 1864, a garanzia degli impegni presi, la capitale del regno fu spostata da Torino a Firenze. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013
La sconfitta di Napoleone III apre all’Italia la via di Roma La questione romana si risolse solo nel 1870 quando Napoleone III fu costretto ad abdicare in seguito alla guerra franco-prussiana. Agli Italiani si presentava l’occasione per conquistare Roma. Il 20 settembre 1870, dopo un breve combattimento, un reparto di bersaglieri entrò nella città, aprendo un varco nelle mura presso Porta Pia. Poco dopo, il popolo romano votava con un plebiscito l’unione di Roma al regno d’Italia. - Il conflitto fra Prussia e Francia fu scatenato da un pretesto, ma la posta in gioco era la supremazia sull’Europa. Come nel 1866 si trattò di una guerra lampo. - Con Napoleone III crollò anche il suo Impero e a Parigi fu proclamata la repubblica. - La presa di Roma segnò la fine, dopo undici secoli, del potere temporale dei papi. Si pose allora il difficile problema dei rapporti fra Regno d’Italia e papato. - Il parlamento italiano approvò la cosiddetta legge delle guarentigie. Con essa lo Stato riconosceva l’inviolabilità e la libertà del papa, assegnava al pontefice i palazzi del Vaticano e di Castel Gandolfo e si impegnava a versargli una somma annua a titolo di risarcimento. Ma Pio IX rifiutò l’offerta e si rinchiuse in Vaticano, considerandosi prigioniero di un governo illegale. - Già nel 1864 il papa aveva condannato con un documento ufficiale, il Sillabo, ottanta errori del mondo moderno (fra cui libertà di stampa, di culto, di opinione, liberalismo, socialismo e comunismo). Dopo la presa di Roma vietò ai fedeli di partecipare alla vita politica del regno d’Italia. Molti obbedirono, astenendosi dalle elezioni. In questo modo la già ristretta schiera di Italiani che potevano votare fu ancora ridotta e un gran numero di cattolici non fu rappresentato in parlamento. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013
Il governo della Destra storica I deputati che formavano il parlamento italiano si riunivano in due raggruppamenti politici detti «Destra» e «Sinistra» in base al posto che occupavano rispetto al presidente della camera. Alla destra sedevano i seguaci di Cavour, che erano liberali moderati o conservatori; alla sinistra, democratici gli ex mazziniani ed ex garibaldini. Dal 1861 al 1876 il regno d’Italia fu governato dalla Destra, poi detta Destra storica per distinguerla dalle destre del secolo successivo. - La Destra si trovò di fronte a un compito non facile, ma riuscì ad ottenere risultati importanti: portò a termine l’unità territoriale del Regno, conquistando il Veneto e Roma, diede all’Italia un’unica legislazione e un sistema amministrativo unitario, creò un esercito e favorì la nascita di un mercato nazionale: le dogane furono abolite, la lira divenne la moneta nazionale e fu esteso a tutta la penisola il sistema metrico decimale. - Il maggior problema per gli uomini della Destra fu il grave deficit delle finanze dello Stato, le cui uscite superavano le entrate del 60%. La Destra riuscì a riportare il bilancio in pareggio, anche se a prezzo di una pesante tassazione, basata soprattutto sulle imposte indirette. - Nel 1868 fu introdotta una tassa sul macinato (cioè sulle farine) che, aumentando il prezzo del pane e della polenta, alimenti di grande consumo popolare, colpiva soprattutto i poveri. Nel paese ci furono proteste e disordini. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013
La Sinistra storica al potere Alle elezioni del 1876 la Destra perdette la maggioranza e il re scelse come capo del governo un rappresentante della Sinistra moderata: Agostino Depretis. In politica estera Depretis firmò nel 1882 la Triplice Alleanza, un patto difensivo che legava l’Italia alla Germania e all’Austria. In campo economico i governi della Sinistra imposero forti dazi, sui prodotti provenienti dall’estero, con lo scopo di ostacolare le importazioni e di favorire la crescita dell’industria italiana. - Il patto aveva lo scopo di togliere l’Italia dalla situazione di isolamento in cui il paese si trovava nei rapporti con gli altri Stati europei, nessuno dei quali aveva ancora riconosciuto come legittima la presa di Roma. - Il programma della Sinistra (detta storica) – che rimase al potere dal 1876 al 1883 – prevedeva alcune riforme di tipo liberal-democratico. La scuola elementare fu resa obbligatoria per tutti i bambini fra i sei e i nove anni (1877), la tassa sul macinato venne abolita; una importante riforma elettorale aumentò notevolmente il numero di coloro che potevano votare (1882); apparvero le prime leggi sociali a protezione e tutela dei lavoratori. - Dopo il 1882 il programma della Sinistra storica, che già era moderato, divenne decisamente conservatore. Depretis infatti cercò l’appoggio di deputati della Destra e lo ottenne per mezzo di accordi politici o concedendo favori in cambio di voti. Questo metodo, che contribuiva a ridurre le differenze fra Destra e Sinistra, venne detto spregiativamente trasformismo. - L’alleanza con l’Austria suscitò sdegno nei gruppi patriottici italiani, detti «irredentisti», che si battevano per liberare le terre ancora sottoposte al dominio austriaco (il Trentino e Trieste). In segno di protesta contro la Triplice un irredentista triestino, Guglielmo Oberdan, progettò un attentato contro l’imperatore austriaco, ma il piano fu scoperto e Oberdan venne condannato a morte. - Questa politica economica in difesa della produzione nazionale prende il nome di protezionismo. L’industria italiana cominciò a svilupparsi, soprattutto al nord dove, negli ultimi decenni del secolo, sorsero o si ingrandirono grandi stabilimenti come la Breda (locomotive), la Pirelli o la FIAT, fondata a Torino nel 1899. Il protezionismo favorì anche i grandi proprietari terrieri del sud, mettendoli al riparo dalla concorrenza dei cereali americani, che costavano meno del grano italiano. - Insieme con l’industria si formò anche in Italia un proletariato operaio, per lo più mal pagato, all’interno del quale cominciarono a diffondersi le idee socialiste e una sempre maggiore coscienza dei propri diritti. Nel 1892 fu fondato a Genova il Partito socialista italiano e quasi contemporaneamente nacquero le prime Camere del Lavoro, organizzazioni sindacali che difendevano gli interessi dei lavoratori. Anche i cattolici intensificarono il loro impegno in campo sociale, spinti a ciò dall’enciclica Rerum Novarum (1891) con cui papa Leone XIII prendeva posizione ufficiale sulla questione operaia. - Aumentava intanto il costo della vita. Crebbe, in particolare, il prezzo del pane, perché i dazi sulle importazioni impedivano l’acquisto di grano straniero a basso prezzo. Le condizioni di vita di gran parte della popolazione peggiorarono e sul finire del secolo il malcontento popolare esplose sotto forma di scioperi e manifestazioni in varie regioni d’Italia. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013
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