L’ILLUMINSMO IN ITALIA

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Transcript della presentazione:

L’ILLUMINSMO IN ITALIA

In Italia l’Illuminismo francese ebbe molta influenza, ma il movimento fu più limitato perché la borghesia italiana era sviluppata poco Più che altro ci fu un tentativo di creare una letteratura più legata alla realtà, fatta di cose e non di parole, basata su impegno morale e civile

Meno aspra la polemica contro la Chiesa, che fu attaccata solo sul piano politico e giuridico (cioè nei rapporti con lo Stato), non sul piano religioso

I due centri maggiori di sviluppo dell’Illuminismo italiano furono Milano: dal 1714 governavano gli Asburgo d’Austria che aiutarono la diffusione della nuova cultura illuministica. Napoli

Uno dei massimi illuministi milanesi fu Pietro Verri, animatore e coordinatore degli illuministi milanesi, che, insieme al fratello Alessandro, diede vita all’Accademia dei Pugni, così chiamata scherzosamente, dopo la diffusione di una voce secondo cui le discussioni vi si concludevano a botte.

Organizzavano riunioni in cui si approfondivano conoscenze utili alla vita sociale, cercando di elaborare una cultura senza confini Da queste discussioni nacque Il Caffè, un giornale, pubblicato a Brescia ogni 10 giorni circa, dal giugno del 1764 al maggio del 1766

ogni numero aveva circa otto pagine e il suo nome deriva dal fatto che gli articoli venivano presentati come trascrizioni di conversazioni avvenute in un caffè gestito dal greco Demetrio

Caffè anche come metafora: serviva per risvegliare le menti Scopo era formare un cultura nuova Modello lo Spectator inglese Poneva attenzione ai problemi pratici e voleva far circolare le idee illuministiche nella società

Il loro motto era “cose, non parole”, nel senso che serviva un linguaggio che spiegasse la realtà, che non si limitasse a riprodurla Emblematico è anche il contrasto tra il buio che c’è fuori dal caffè e la luce che c’è al suo interno, quasi un simbolo della nuova filosofia dei lumi

Cesare beccaria (1738/94) fu uno dei maggiori illuministi italiani Milanese la sua opera più importante è il trattato Dei delitti e delle pene, scritto tra il 1763 e il 1764

l’autore propone una riforma globale del sistema giudiziario e penale settecentesco l’obiettivo del sistema giudiziario non deve essere la punizione ma la prevenzione Per lui l’unico fine della pena è la sicurezza collettiva

Beccaria afferma che la pena di morte è inutile, è una guerra della nazione con un cittadino, rifiuta la pena di morte come vendetta La tortura è assurda e le pene devono essere miti, per distogliere gli altri dal compiere certi delitti senza straziare il reo, e socialmente utili; poco attendibili le confessioni con essa ottenute

Per lui la tortura è un residuo della vecchia legge medievale del “giudizio di Dio”: l’accusato veniva sottoposto alla prova del fuoco o dell’acqua bollente, e se moriva significava che era colpevole Secondo Beccaria vanno cercate le motivazioni reali che portano gli uomini a commettere delitti, perché lo Stato possa rimuoverle

Si ispira all’idea dello Stato come contratto, per questo per lui la pena di morte è illegale: nessuno nell’originario contratto può aver affidato alla società il diritto di ucciderlo Fu messo all’Indice: era un pericolo in quanto sosteneva l’uguaglianza di tutti davanti alla legge, e perché si basava sulla laicità del diritto, cioè sull’idea che il delitto non vada considerato un peccato, ma un reato di ordine puramente terreno