IDENTITA’/ALTERITA’ un rapporto circolare

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Transcript della presentazione:

IDENTITA’/ALTERITA’ un rapporto circolare P. Palmiro Mileto

SCHEDA I La questione dell’Altro L’incontro con l’Altro/l’Alterità è la questione del terzo millennio, del futuro. Il futuro dipende dalla qualità di questo incontro che a sua volta dipende dalla percezione e dalla rappresentazione dell’Altro. Dipende dalla raffigurazione che dell’Altro ci facciamo, sapendo comunque che:   «L’altro non si lascia raffigurare, egli è uno sguardo non una cosa da vedere». (LACROZE) Anzi tutt’altro. Come lo stesso Levinas ci ricorda: «Incontrare un uomo significa essere tenuti svegli da un enigma»   Una questione fondamentale:   E’ possibile esistere come individui, soggetti, ‘uomini’ senza l’Altro?

SCHEDA II L’esperienza di ogni singolo è costantemente attraversata dalla presenza dell’Altro.   Le relazioni personali sono di fatto una galleria di volti che irrompono nello spazio vitale della nostra quotidianità.   Entrare in relazione con l’altro significa entrare in contatto con l’Alterità di un’altra identità, cioè con qualcuno che è altro da me.   Per cui: «ogni relazione significa definire se stessi attraverso un altro e definire l’altro attraverso se stessi». (R. LAING) Ogni identità richiede l’esistenza dell’altro, cioè di qualcun altro grazie alla cui esistenza, si attualizza l’identità di sé.   Sotto questo profilo la relazione che è comunicazione «produce e sostiene la definizione di sé e dell’altro». (L. ANOLLI)

SCHEDA III Si adviene soggetti solo nella relazione con l’altro. E’ attraverso il continuo “farsi” relazionale (del feedback) che gli esseri umani, con i loro scambi comunicativi, costruiscono e contrattano costantemente le definizioni del proprio sé e di quello altrui situazioni eventi e aspetti della realtà in un processo che, pur svolgendosi a livello microsociale (interazioni tra singoli individui e piccoli gruppi) ha effetti poderosi e sostanziali nella costruzione del mondo sociale. (M. LIVOLSI) Parlare d’identità, dunque, è necessariamente richiamare anche la presenza dell’altro, dell’altro da sé, in una sorta di interdipendenza.

SCHEDA IV L’interdipendenza Identità/alterità non è annullabile. E’ costitutiva di ogni identità specifica:   io divento io solo in relazione a un tu.   L’identità e l’identità culturale è  una dialettica vivente tra sé e l’altro, dove il sé è tanto più sé quanto più è aperto all’altro». (ABOU) La dialettica identità/alterità che segna sia la persona che la cultura, evidenzia la presenza di un legame   inter-personale e inter-sociale per effetto del quale persone e culture, pur rimanendo fedeli alla propria identità, interagiscono in modo creativo e dinamico  nell’attenzione di evitare il rischio di scambiare il senso di fedeltà alla propria identità culturale con conservatorismo culturale

SCHEDA V La circolarità del rapporto identità/alterità rende l’altro un perenne partner per l’io nella vita psichica.   L’importanza dell’altro costituisce un asse essenziale sia dal punto di vista delle componenti psicologiche, sia per le implicazioni a livello sociale e particolarmente nelle relazioni intergruppali e inter-individuali.   L’interdipendenza io/altro «è costitutiva del fenomeno identitario propriamente detto. Che si tratti di quello: etnico psicosociale collettivo culturale o di sé stesso». (ABDALLAH-PRETCEILLE)

SCHEDA Va E’ nel confronto con l’Altro che l’uomo struttura la sua personalità, in quanto l’evoluzione della personalità individuale si fonda sulle relazioni con gli altri. Non esiste un io né un sé se non in relazione con gli altri: «è di fronte agli altri che l’essere umano forgia la sua personalità». (M. BUBER)  Nella prospettiva di Buber all’inizio è l’a priori della relazione (il tu innato): «L’uomo diventa io a contatto col tu». l’Alterità è coessenziale all’identità. (PINA DEL CORE) Non si dà, dunque, identità se non davanti all’Alterità.

SCHEDA VI Tra l’alterità e l’identità personale e l’identità sociale c’è una correlazione:  «Il sentimento dell’io, prima ancora che questa nozione si elabori, necessita della presenza dell’altro per potersi sviluppare». (R. TOME)  Affinchè l’identità possa esistere nel tempo ha bisogno di nutrirsi dell’alterità accogliendola dentro i propri confini e lasciandosi fecondare e trasfigurare nel cambiamento e novità delle situazioni. Non si esiste se non in relazione all’altro e con l’altro. «l’alterità dice disposizione all’incontro, dato che l’incontro si ha solo tra diversi; dove c’è l’identico, infatti, non ci si incontra ma ci si specchia». (F. CAMBI)

SCHEDA VII E’ possibile esistere come individui, soggetti, ‘uomini’ senza l’Altro? Dal punto di vista dell’esistere: l’altro diventa in senso proprio «materiale costitutivo del nostro essere». (A. PEROTTI) «L’uomo diventa tale solo mediante un Tu […], solo l’io che intende il Tu può integrare il proprio Es». (V. FRANKL)   E’ la relazione con l’altro che ci fa accedere all’umano-umanità nostra. Non può acquisire la propria identità da solo. Le nostre diversità, dunque, non sono esclusive, è vero esattamente il contrario: Siamo stati creati deliberatamente diversi, affinché riconosciamo la nostra fondamentale non autosufficienza e il nostro bisogno ontologico dell’altro; ciascuno è creato dipendente dagli altri e tale rimane, pur maturando una sua indipendenza. Siamo stati creati per questa deliberata rete di interdipendenza, di complementarietà. (D. TUTU)

SCHEDA VIIa UBUNTU «Yu, u nobuntu» = «un tale ha ubuntu»   UBUNTU nella cultura africana sub-sahariana, nelle lingue del gruppo, nguni vuol dire: «Io sono perché noi siamo» «la mia umanità è inestricabilmente legata alla vostra» «noi apparteniamo allo stesso fascio di vite «Un essere umano non esiste che in funzione degli altri esseri umani». E’ questo che caratterizza la propria umanità: «io sono umano perché faccio parte, partecipo, condivido» (D. TUTU)

SCHEDA VIII Un approccio-definizione dell’Altro “… Non amano l’acqua, molti puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno e alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando vengono ad avvicinarsi al centro, affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni sono quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili; probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina, ma sovente davanti alla chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono molto uniti tra loro. Dicono che siano dediti al furto e se ostacolati violenti, le nostre donne li evitano, non solo perché poco attraenti e selvatici, ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguato in strade periferiche, quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere, ma soprattutto non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali”.

SCHEDA IX Tratto da una relazione dell’Ispettorato dell’immigrazione Del Congresso Americano Sugli immigrati italiani Negli Stati Uniti Nell’ottobre del 1912

SCHEDA X AFORISMA  Tutta la diversità umana è il prodotto della varietà quasi infinita delle combinazioni di geni. Noi tutti siamo formati della stessa polvere cromosomica, nessuno di noi ne possiede un solo granello che possa rivendicare come suo. È il nostro insieme che ci appartiene e ci fa nostri: noi siamo un mosaico originale di elementi banali. (JEAN ROSTAND)