“La ginestra o il fiore del deserto” di Giacomo Leopardi

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Transcript della presentazione:

“La ginestra o il fiore del deserto” di Giacomo Leopardi Nel 1836 Leopardi si trova a Napoli da tre anni e compone la poesia “La ginestra o il fiore del deserto” a Torre del Greco, da dove vede il Vesuvio che nel 79 d.C aveva distrutto Pompei ed Ercolano. Questa visione storica porta Leopardi a una riflessione sul presente, a una critica del suo tempo ma anche a una nuova indagine filosofica sul tema della morte, della catastrofe, del tragico destino umano che trascende le epoche storiche e accomuna tutti. Scarletti, Zombini, Melotto, Seghetto

Temi La piccolezza dell’uomo davanti all’immenso universo L’inutile lotta contro la natura e il destino La solidarietà umana Conforto al male comune

1°strofa: vv. 1 - 51 Vengono presentati i protagonisti del componimento: il Vesuvio e la ginestra, quest’ultima allegoria della natura e dell’uomo saggio, che non cede di fronte agli inganni, capace di guardare la realtà con occhio cristallino, di cogliere l’arido vero. C’è differenza tra passato e presente, a livello culturale, di pensiero, ma anche a livello stilistico e linguistico. Leopardi subito mette in evidenza la differenza tra passato e presente per sottolineare che la natura è la vera artefice del destino dell’uomo.

Questi terreni, cosparsi di ceneri non produttive, e ricoperti di lava fatta di pietra, che risuonano sotto i passi del viandante; dove il serpente si annida e si contorce sotto il sole, e dove il coniglio torna all’abituale tana tra le caverne; furono pieni di città ricche e campi coltivati, che biondeggiarono di campi di grano e risuonarono per i muggiti delle mandrie “Questi campi cosparsi di ceneri infeconde, e ricoperti dell’impietrata lava, che sotto i passi al peregrin risona; dove s’annida e si contorce al sole la serpe, e dove al noto cavernoso covil torna il coniglio; fur liete ville e cólti ,e biondeggiar di spiche, e risonarodi muggito d’armenti”

2°strofa: vv. 52 - 86 Vi è la polemica nei confronti del XIX secolo, definito superbo e sciocco perché ritiene gli uomini più importanti di quello che sono in realtà. Gli uomini stanno regredendo invece di progredire, perché non seguono la via tracciata dal Rinascimento e dall’Illuminismo, che prevede l’uso e l’importanza della ragione per cogliere la realtà. L’uomo invece cade nelle illusioni della spiritualità.

Io non andrò sotto terra con tal vergogna;ma piuttosto il disprezzo nei tuoi confronti che ho rinchiuso nel cuore, l’avrò mostrato il più apertamente possibile;anche se so che la cancellazione dalla memoria schiaccia chi troppo biasima il proprio tempo. “Non io con tal vergogna scenderò sotterra; ma il disprezzo piuttosto che si serra di te nel petto mio, mostrato avrò quanto si possa aperto; bench’io all’etá propria increbbe “

3° strofa: 87- 157 Una persona nobile è quella che: è in grado di accettare la realtà per quella che è, sopporta le sofferenze, è capace di capire che la natura è la responsabile di tutte le sofferenze. Leopardi capisce che il genere umano deve allearsi in una catena sociale

Uno spirito nobile è quello che ha il coraggio di sollevare i propri occhi mortali contro il destino comune, e che con parole oneste e sincere e senza nulla togliere alla verità,e confessa il male che ci è stato assegnato,e la nostra condizione meschina e fragile “Nobil natura è quella ch’a sollevar s’ardisce gli occhi mortali incontra al comun fato, e che con franca lingua, nulla al ver detraendo, confessa il mal che ci fu dato in sorte, e il basso stato e frale;

4°strofa: 158 - 201 E' caratterizzata da un poetare più vicino alla poetica del vago e dell’infinito, la conclusione della strofa è realistica. Vi sono contrapposizioni tra la finitezza dell'uomo e l'infinità dell'universo e tra la finitezza della Terra e l'infinità dell'universo. La violenta realtà è che l’uomo e la Terra sono nulli.

è completamente ignota Ai miei occhi le stelle appaiono solo come dei puntini, e invece sono immense, così come terra e mare sono un punto al loro cospetto; e per queste stelle, non solo l’uomo ma la stessa Terra, dove l’uomo vale nulla, è completamente ignota “E poi che gli occhi a quelle luci appunto,ch’a lor sembrano un punto,e sono immense, in guisa che un punto a petto a lor son terra e mare veracemente; a cui l’uomo non pur, ma questo globo, ove l’uomo è nulla,sconosciuto è del tutto;”

5°strofa: vv. 202 - 236 Come un frutto che in un istante precipita sulle formiche, così la lava distrusse in pochi minuti le grandi città. La natura non si occupa delle sue creature: tutti gli esseri viventi sono uguali e hanno un destino comune.

“Come d’arbor cadendo un piccol pomo, cui là nel tardo autunno maturità senz’altra forza atterra, d’un popol di formiche i dolci alberghi cavati in molle gleba con gran lavoro, e l’opre, e le ricchezze ch’adunate a prova con lungo affaticar l’assidua gente” Come un piccolo frutto cadendo dall’albero, che nell’autunno inoltrato la maturazione fa precipitare a terra senza altra forza, e schiaccia, annienta e cancella in un attimo gli accoglienti nidi di un popolo di formiche, scavati nella terra molle con gran fatica

6° strofa: vv. 237 - 296 Il Vesuvio semina ancora terrore anche se non erutta da molti anni. Il contadino lo guarda con paura preparandosi al peggio. L’uomo si credo eterno anche davanti alle rovine di Pompei

“Ben mille ed ottocento anni varcar poi che spariro, oppressi dall’ignea forza, i popolati seggi ,e il villanello intento ai vigneti, che a stento in questi campi nutre la morta zolla e incenerita,ancor leva lo sguardo sospettoso alla vetta fatal, che nulla mai fatta più mite ancor siede tremenda, ancor minaccia a lui strage” Sono passati ben mille e ottocento anni da quando scomparirono, schiacciati dalla forza della lava, le affollate città e il contadino al lavoro nei vigneti, che la zolla morta ed incenerita, nutre a fatica in questi campi, leva tuttora lo sguardo sospettoso al vulcano portatore di morte, che per nulla resa più mite, ancor si siede orrendo, ancora minaccia una strage al contadino

7° strofa: vv. 297 - 317 La struttura del canto è circolare: esso si conclude con la ginestra e il Vesuvio. La “lenta ginestra” si piega ma non si spezza, si adatta alle forze. La ginestra è innocente, non si ribella, ma non è codarda né superba.

soccomberai del sotterraneo foco, che ritornando al loco E tu, docile ginestra,che adorni con cespugli odorosi queste campagne desertificate, anche tu presto soccomberai alla potenza crudele della lava in eruzione,che ritornando ai luoghi già colpiti, stenderà sui tuoi molli rami il suo duro e acre lembo di rocce. E piegherai sotto la colata mortale il tuo fusto innocente senza opporre resistenza “E tu, lenta ginestra, che di selve odorate queste campagne dispogliate adorni, anche tu presto alla crudel possanza soccomberai del sotterraneo foco, che ritornando al loco giá noto, stenderà l’avaro lembo su tue molli foreste. E piegherai sotto il fascio mortal non renitente il tuo capo innocente”

Figure retoriche Allegoria: Vesuvio e ginestra = Natura e uomo Anafora: Sottolinea e oppone alla desolazione il ricordo dello splendore delle città antiche. Ripetizione di “fur” dal verso 24 al verso 29 Similitudine: Nel verso 297 la parola “ginestra” è riferita al poeta

Stile Schema metrico: Canzone libera composta da 317 versi, endecasillabi e settenari, divisi in 7 strofe dalle tematiche diverse Sintassi: Prevalgono i periodi corti, a volte in rima e la disposizione delle strofe varia il numero di versi (Canzone leopardiana) Linguaggio: Leopardi usa la tecnica dell’ironia per deridere gli uomini che guardano la natura positivamente

Messaggio fondamentale Strofe distruttive ( 1, 4, 5, 6 ) Strofe costruttive ( 2, 3, 7 ) Piccolezza umana Cataclismi naturali Eruzione Vesuvio Umiltà Libertà Solidarietà GINESTRA ( la scarna bellezza è l‘ emblema della poesia) Fragilità umana Vivere malgrado tutto