Paolo Paesani (DEF Tor Vergata) Il mercato nel pensiero economico Lezione 18 Mercato e distribuzione (2) Paolo Paesani (DEF Tor Vergata)
Introduzione Dalla visione classica della distribuzione come fatto politico, riflesso dei rapporti di potere all’interno dell’economia di mercato, alla visione marginalista della distribuzione come fatto tecnico. Estensione dell’idea di mercato concorrenziale dai beni ai fattori produttivi (simmetria tra lavoro e capitale contro la visione classica). Scrive Kaldor, Mentre la teoria marxiana deriva dal principio del sovrappiù di Ricardo, la teoria neoclassica del valore e della distribuzione procede dall’altra parte del modello ricardiano: dal principio marginalistico, introdotto per la spiegazione della rendita ed esteso a tutti i fattori della produzione che sono trattati in maniera simmetrica. Kaldor identifica due gruppi di teoria neoclassiche della distribuzione distinte in due categorie: teorie fondate sulla produttività marginale e teorie basate sul concetto di grado di monopolio. Le teorie appartenenti alla prima categoria, si fondano sull’ipotesi di mercati concorrenziali e sull’idea che le remunerazioni dei fattori in termini reali tendano ad allinearsi ai rispettivi prodotti marginali.
Teoria neoclassica della distribuzione (1)
Teoria neoclassica della distribuzione (2) Nel riquadro a sinistra della Figura precedente compaiono l’offerta di lavoro (data per ipotesi), la curva del prodotto marginale del lavoro (decrescente per uno stock di capitale dato) e la curva del prodotto medio. Le imprese in concorrenza perfetta spingono la domanda di lavoro fino al punto in cui il prodotto marginale del lavoro coincide con il salario reale di equilibrio determinato nel punto di piena occupazione A. Contemporaneamente, un processo analogo si svolge nel mercato dei beni capitale, per un livello dato dell’occupazione (riquadro a destra della Figura precedente). Spetta al movimento congiunto dei salari e dei tassi d’interesse garantire che i due equilibri siano mutuamente compatibili e all’ipotesi di rendimenti costanti di scala garantire che il prodotto aggregato coincida con la somma dei salari e dei profitti totale (esaustione del prodotto). Questo movimento è un processo armonico, in cui ogni fattore della produzione viene remunerato in corrispondenza del suo contributo alla produzione, un processo esente da conflitti e tensioni sociali, nell’ambito del quale lavoratori e capitalisti si trovano in condizioni di parità, proprietari di un fattore produttivo di cui la controparte ha bisogno, alleati in un certo senso più che antagonisti.
Teoria neoclassica della distribuzione (3) La possibilità che i lavoratori risparmino, impiegando il risparmio nell’acquisto di azioni o beni capitale, e che diventino essi stessi capitalisti accumulando capitale umano, attraverso l’educazione e l’esperienza, e il fatto che i capitalisti siano anche consumatori e, in un certo senso, lavoratori, tende a far sfumare ulteriormente la differenza fra gli uni e gli altri e eliminare dal campo della teoria economica la distinzione tra classi diverse di percettori di reddito fino a giungere all’agente rappresentativo. Come abbiamo osservato nelle lezioni precedenti e come ribadisce Kaldor, il problema principale insito in questa teoria riguarda l’impossibilità di determinare il valore dello stock di capitale aggregato Ks indipendentemente dal tasso d’interesse che serve a sua volta a determinare il prezzo dei beni capitale (attualizzando il rendimenti attesi al netto dei costi). Indipendentemente da qualsiasi difficoltà concettuale, la teoria concentra l’interesse su una caratteristica di scarsa importanza per un’economia in sviluppo. L’accumulazione, infatti, non si risolve tanto in una sostituzione del fattore capitale al fattore lavoro (ad un dato stato delle conoscenze), quanto piuttosto in un mezzo per assorbire il progresso tecnico e lo sviluppo della forza lavoro
Teoria neoclassica della distribuzione (4) Kaldor lega il secondo gruppo di teorie della distribuzione d’impostazione neoclassica al concetto di grado di monopolio, sviluppato dall’economista polacco M. Kalecki. Si tratta di teorie fondate sulla sostituzione dell’ipotesi di concorrenza perfetta nel mercato dei beni con l’ipotesi di concorrenza monopolistica, fondate su meccanismi non concorrenziali di determinazione dei prezzi. Ne abbiamo già parlato introducendo la distinzione tra mercati fix e flex price e il principio di determinazione dei prezzi secondo la regola del mark-up determinato in base all’elasticità della domanda al prezzo, o secondo la regola del costo pieno in base alla quale le imprese fissano il prezzo in corrispondenza del costo di produzione di lungo periodo (nei quali è compreso il saggio normale di profitto) e reagiscono accrescendo o riducendo la produzione a seconda che la domanda aumenti o diminuisca. Le quote distributive sono determinate di conseguenza.
Teoria keynesiana della distribuzione (1) L’ultima parte dell’articolo di Kaldor è dedicata alla teoria keynesiana della distribuzione. A questo proposito Kaldor ricorda che Keynes, per quanto io ne sappia, non provò mai interesse per la teoria della distribuzione come tale. È tuttavia possibile battezzare una particolare teoria della distribuzione con l’appellativo di “keynesiana”. Kaldor, dopo aver citato il passo del Trattato della moneta nel quale Keynes paragona i profitti degli imprenditori all’orcio della vedova della parabola biblica che non si vuota mai, qualunque porzione del suo contenuto venga destinato ai lussi della vita (cioè al consumo), e alla brocca della Danaidi che non si può mai riempire per quanto si cerchi di farlo astenendosi dal consumo, e dopo aver chiarito 339che la teoria che svilupperà assume come dato che il reddito Y sia pari a quello di piena occupazione, sintetizza la teoria keynesiana utilizzando le cinque formule seguent
Teoria keynesiana della distribuzione (2) La prima equazione del sistema pone il reddito Y uguale alla somma di salari W (redditi da lavoro dipendente) e profitti P (redditi degli imprenditori e redditi derivanti dalla proprietà). La seconda equazione è la condizione di equilibrio macroeconomico nell’ipotesi di economia chiusa e bilancio dello stato in pareggio. La terza equazione definisce il risparmio aggregato come somma del risparmio dei lavoratori dipendenti, pari alla propensione al risparmio dei lavoratori sw per il monte salari (quarta equazione), e del risparmio degli altri percettori di reddito (quinta equazione). L’ipotesi chiave del modello è che la propensione al risparmio dei primi sia inferiore alla propensione al risparmio dei secondi.
Teoria keynesiana della distribuzione (3)
Teoria keynesiana della distribuzione (4) Come osserva Kaldor «Questo modello (il caso particolare in cui sw = 0) in un certo senso è esattamente l’opposto del modello ricardiano (o marxiano): in esso i salari (anziché i profitti) sono un residuo, mentre i profitti sono determinati dalle propensioni a investire e a consumare dei capitalisti e costituiscono, perciò, una sorta di “pre-deduzione” dal reddito nazionale. […] Se sw è positivo, il quadro si fa più complicato. I profitti totali risultano ridotti di un ammontare pari al risparmio dei salariati Sw; d’altro lato la sensibilità dei profitti alla variazioni degli investimenti sarà maggiore. […] Veramente essenziale è l’ipotesi che il rapporto investimento/prodotto sia una variabile indipendente».
Teoria keynesiana della distribuzione (5)
Teoria keynesiana della distribuzione (6)