Divieto di atti discriminatori(art. 15 St. lav.) Motivi sindacali; la norma elenca gli atti o patti discriminatori e i motivi di discriminazione sindacale e sancisce la NULLITA’ degli stessi Per ragioni: politiche, religiose Razza, lingua sesso (art. 13, l. 903/77) Handicap, età, orientamento sessuale, convinzioni personali (d.lgs. n. 216/2003) I motivi discriminatori sono TASSATIVI art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea pone un generale principio di non discriminazione
Discriminazioni e accesso al lavoro Art. 8 e art. 15 st. lav. riservatezza Divieto di indagini sulle opinioni politiche, religiose o sindacali e sui fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’ATTITUDINE RPOFESSIONALE Le direttive europee 2000/43 e 2000/78 e i decreti attuativi n. 215 e 216 del 2003 tutelano la persona da ogni discriminazione per i motivi sopra indicati non solo nell’accesso al lavoro ma anche nelle condizioni di lavoro compresi la retribuzione e il licenziamento
Discriminazioni e nazionalità (art. 43 d.lgs. 286/1989) Compie atto discriminatorio il datore di lavoro o i suoi preposti i quali, compiano qualsiasi atto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando, anche indirettamente, i lavoratori in ragione della loro appartenenza ad una razza, ad un gruppo etnico o linguistico, ad una confessione religiosa, ad una cittadinanza. Costituisce discriminazione indiretta ogni trattamento pregiudizievole conseguente all'adozione di criteri che svantaggino in modo proporzionalmente maggiore i lavoratori appartenenti ad una determinata razza, ad un determinato gruppo etnico o linguistico, ad una determinata confessione religiosa o ad una cittadinanza e riguardino requisiti non essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa.
Discriminazione diretta d.lgs. n. 215 quando, per la razza o l'origine etnica, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in situazione analoga
Discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone di una determinata razza od origine etnica in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone
Differenziazioni ammesse differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla razza o all'origine etnica di una persona, qualora, per la natura di un'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attività medesima e quelle differenze di trattamento che, pur risultando indirettamente discriminatorie, siano giustificate oggettivamente da finalità legittime perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari.
Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro: d.lgs. n. 216 Divieto di discriminazione per motivi di religione, dalle convinzioni personali, dagli handicap, dall'età e dall'orientamento sessuale, per quanto concerne l'occupazione e le condizioni di lavoro
Discriminazione diretta discriminazione diretta quando, per religione, per convinzioni personali, per handicap, per età o per orientamento sessuale, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione analoga
Discriminazione indiretta discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di handicap, le persone di una particolare età o di un orientamento sessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone
Ambito di applicazione a) accesso all'occupazione e al lavoro, sia autonomo che dipendente, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione; b) occupazione e condizioni di lavoro, compresi gli avanzamenti di carriera, la retribuzione e le condizioni del licenziamento; c) accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezionamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini professionali; d) affiliazione e attività nell'ambito di organizzazioni di lavoratori, di datori di lavoro o di altre organizzazioni professionali e prestazioni erogate dalle medesime organizzazioni. (altri criteri nel d.lgs. n. 215)
Differenziazioni ammesse differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all'handicap, all'età o all'orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attività medesima
Tutela giurisdizionale e onere della prova 1.rito sommario di cognizione d.lgs. n. 150/2011 2. Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, dai quali si può presumere l'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori, spetta al convenuto l'onere di provare l'insussistenza della discriminazione. I dati di carattere statistico possono essere relativi anche alle assunzioni, ai regimi contributivi, all'assegnazione delle mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera e ai licenziamenti dell'azienda interessata.
…segue 3. Con l'ordinanza che definisce il giudizio il giudice può condannare il convenuto al risarcimento del danno anche non patrimoniale (morale) e ordinare la cessazione del comportamento, della condotta o dell'atto discriminatorio pregiudizievole, adottando, anche nei confronti della pubblica amministrazione, ogni altro provvedimento idoneo a rimuoverne gli effetti. Al fine di impedire la ripetizione della discriminazione, il giudice può ordinare di adottare, entro il termine fissato nel provvedimento, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate. Nei casi di comportamento discriminatorio di carattere collettivo, il piano è adottato sentito l'ente collettivo ricorrente.
…segue Ai fini della liquidazione del danno, il giudice tiene conto del fatto che l'atto o il comportamento discriminatorio costituiscono ritorsione ad una precedente azione giudiziale ovvero ingiusta reazione ad una precedente attività del soggetto leso volta ad ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento. Quando accoglie la domanda proposta, il giudice può ordinare la pubblicazione del provvedimento, per una sola volta e a spese del convenuto, su un quotidiano di tiratura nazionale.
Parità tra sessi: fonti Art. 37 Cost. Direttive n. 76/207; 2002/73 D.lgs. n. 198/2006 modificato e integrato dal d.lgs. n. 101/2008 e n. 5/2010 c.d. CODICE DELLE PARI OPPORTUNITA’ che riproduce e integra la l. n. 125/1991
Discriminazione diretta: nozione più ampia Art. 25: qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento, nonché l'ordine di porre in essere un atto o un comportamento, che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un'altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga
Discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell'altro sesso, Differenze ammesse: salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa, purché l'obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.
Ulteriore ipotesi di discriminazione Art. 25, c. 2 bis: Costituisce discriminazione ogni trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza, nonchè di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell'esercizio dei relativi diritti
Discriminazioni per sesso vietate Accesso al lavoro Alla formazione Alla promozione professionale Nelle condizioni di lavoro Nella determinazione della retribuzione Nella prestazione lavorativa e nella progressione di carriera Nell’accesso alle prestazione previdenziali e alla prestazioni pensionistiche collettive Nelle carriere militari Nell’accesso a impieghi pubblici
deroghe sono ammesse soltanto per mansioni di lavoro particolarmente pesanti individuate attraverso la contrattazione collettiva
Divieto di licenziamento per causa d matrimonio(già legge 9 gennaio 1963, n. 7, articoli 1, 2 e 6) Le clausole di qualsiasi genere, contenute nei contratti individuali e collettivi, o in regolamenti, che prevedano comunque la risoluzione del rapporto di lavoro delle lavoratrici in conseguenza del matrimonio sono nulle e si hanno per non apposte Del pari nulli sono i licenziamenti attuati a causa di matrimonio. Presunzione: il licenziamento della dipendente nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio, in quanto segua la celebrazione, a un anno dopo la celebrazione stessa, sia stato disposto per causa di matrimonio.
molestie Sono considerate come discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo
Molestie sessuali considerate come discriminazioni le molestie sessuali, ovvero quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo Sono considerati come discriminazione i trattamenti meno favorevoli subiti da una lavoratrice o da un lavoratore per il fatto di aver rifiutato i comportamenti molesti o di esservisi sottomessi
Nullità degli atti o patti Gli atti, i patti o i provvedimenti concernenti il rapporto di lavoro dei lavoratori o delle lavoratrici vittime di molestie sono nulli se adottati in conseguenza del rifiuto o della sottomissione ai comportamenti medesimi. Sono considerati, altresì, discriminazioni quei trattamenti sfavorevoli da parte del datore di lavoro che costituiscono una reazione ad un reclamo o ad una azione volta ad ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento tra uomini e donne
Tutele ulteriori La lavoratrice o il lavoratore che agisce in giudizio per la dichiarazione delle discriminazioni per molestia o molestia sessuale poste in essere in violazione dei divieti di cui al presente capo non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro, determinati dalla denuncia stessa. Il licenziamento ritorsivo o discriminatorio del soggetto denunciante è nullo. Sono altresì nulli il mutamento di mansioni ai sensi dell'articolo 2103 del codice civile, nonché qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del denunciante. Le tutele di cui al presente comma non sono garantite nei casi in cui sia accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale del denunciante per i reati di calunnia o diffamazione ovvero l'infondatezza della denuncia
Tutele ulteriori Azioni di supporto della Consigliera di parità in sede di conciliazione stragiudiziale e in sede giudiziale su delega della persona offesa nelle azioni individuali.
Discriminazioni collettive Qualora le consigliere o i consiglieri di parità regionali e, nei casi di rilevanza nazionale, la consigliera o il consigliere nazionale rilevino l'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori diretti o indiretti di carattere collettivo possono chiedere all'autore della discriminazione di predisporre un piano di rimozione delle discriminazioni accertate entro un termine non superiore a centoventi giorni, sentite, nel caso di discriminazione posta in essere da un datore di lavoro, le r.s.a. ovvero, in loro mancanza, le associazioni locali aderenti alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Se il piano è considerato idoneo alla rimozione delle discriminazioni, la consigliera o il consigliere di parità promuove il tentativo di conciliazione ed il relativo verbale, in copia autenticata, acquista forza di titolo esecutivo con decreto del tribunale in funzione di giudice del lavoro
Ricorso in via d’urgenza la consigliera o il consigliere regionale e nazionale di parità possono proporre ricorso in via d'urgenza davanti al tribunale in funzione di giudice del lavoro o al tribunale amministrativo regionale territorialmente competenti che nei due giorni successivi, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, ove ritenga sussistente la violazione di cui al ricorso, con decreto motivato e immediatamente esecutivo oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, nei limiti della prova fornita, ordina all'autore della discriminazione la cessazione del comportamento pregiudizievole e adotta ogni altro provvedimento idoneo a rimuovere gli effetti delle discriminazioni accertate, ivi compreso l'ordine di definizione ed attuazione da parte del responsabile di un piano di rimozione delle medesime. Contro il decreto è ammessa, entro quindici giorni dalla comunicazione alle parti, opposizione avanti alla medesima autorità giudiziaria territorialmente competente, che decide con sentenza immediatamente esecutiva.
Parità di trattamento e principio di non discriminazione PARITÀ DI TRATTAMENTO: obbligo di trattare situazioni uguali in modo uguale e situazioni diverse in modo corrispondentemente diverso. Nel rapporto di lavoro subordinato privato non opera, di regola, il principio di parità di trattamento retributivo ma soltanto a quelli che formano il cd. minimo costituzionale. DIVIETO DI DISCRIMINAZIONE: obbligo di ignorare una differenza non attinente al contenuto della prestazione o alla capacità