I NUMERI IN ALCUNE CIVILTÀ DEL PASSATO

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Transcript della presentazione:

I NUMERI IN ALCUNE CIVILTÀ DEL PASSATO

INTRODUZIONE GENERALE Il nostro modo di contare, l’impiego dei numeri 1, 2, 3… e di alcuni concetti matematici elementari come la base ci sembrano ovvi, perché siamo abituati ad usarli fin da bambini. Ma tutto questo è stato raggiunto solo col passare dei secoli attraverso i numerosi sistemi di calcolo ideati da varie civiltà fin dagli inizi della storia.

Non sappiamo quando e dove l’uomo abbia iniziato a contare: questo evento si perde nella notte delle ere preistoriche. Possiamo però supporre che tutto questo sia iniziato con la corrispondenza unità per unità, detta anche “proprietà dell’accoppiamento”: ad esempio un pastore per contare le pecore ed essere sicuro di non averne persa qualcuna, poteva far corrispondere ad ognuna di esse un sassolino.

Uno sviluppo successivo è stato l’associare ad ogni numero un simbolo: una parola, un gesto e/o un segno grafico. Anche l’invenzione della base è stata un grosso passo avanti perché permetteva di indicare quantità grandi con pochi simboli. Il sistema di calcolo più diffuso oggi è quello in base 10, ma non è l’unico, ne esistono altri, tra i più comuni possiamo ricordare quelli in base 5, 12, 20, 60.

LE CIFRE EGIZIE Attorno al 3000 a.C., gli egizi inventarono una scrittura e un sistema di numerazione scritta fondato su una base decimale.

Come supporti per la scrittura e per il calcolo venivano usati monumenti di pietra che venivano scolpiti o fogli di papiro. Le nozioni matematiche che, grazie ad approfonditi studi, ancora oggi possiamo leggere sui papiri sono basate su conoscenze pratiche.

Il trattato più importante che sia arrivato fino ai noi è contenuto nel papiro Rhind, attualmente conservato al British Museum di Londra. Risale all'incirca al 1660 a.C., anche se è la copia, realizzata dallo scriba Ahmose, di un testo più antico. Contiene 84 esercizi matematici di vario tipo. Vi sono anche nozioni di geometria relative al calcolo delle aree.

Il papiro di Rhind

Fin dalla sua prima comparsa, la numerazione egizia permise una rappresentazione dei numeri che poteva raggiungere e superare il milione.

Gli egizi erano anche in grado di compiere operazioni aritmetiche con le loro cifre. L’addizione e la sottrazione non presentavano alcuna difficoltà; per la moltiplicazione e la divisione generalmente ricorrevano a duplicazioni successive, vale a dire serie di moltiplicazioni per due . Le loro conoscenze, tuttavia, non si limitavano a questo: comprendevano anche calcoli matematici più complessi, come le equazioni a un'incognita.

I BABILONESI E I NUMERI Furono i matematici-astronomi babilonesi i primi a scoprire, agli inizi del II millennio a.C., il principio di posizione. Si tratta di quel principio per cui, a seconda del posto che occupa, una cifra assume un valore diverso; se ad esempio prendiamo come cifra il 5, è ben evidente che assume un significato diverso, a seconda di dove lo scriviamo:50, 75, 5000

Per i babilonesi la base era sessagesimale (60) e venivano usati solo due simboli:un “chiodo” verticale, rappresentante l’unità, e un “punzone”, associato al numero 10. I numeri da 1 a 59 erano rappresentati in maniera additiva, ripetendo ognuno di questi segni tante volte quante era necessario.

Oltre il 59 la scrittura diveniva posizionale, così il numero 60 veniva scritto con un “chiodo” magari un po’ più grosso davanti a nove chiodi un po’ più piccoli. Questa numerazione comportava però molti inconvenienti, dovuti al fatto che i numeri erano rappresentati da due sole cifre. Ad esempio il numero 2 poteva confondersi con il 61.

Il problema venne risolto nel III secolo a. C Il problema venne risolto nel III secolo a.C., quando fu introdotto un nuovo segno simile a una barra (\) a significare l’assenza dell’unità sessagesimale di un certo ordine. Fu questa la nascita dello zero babilonese, il più antico della storia.

Sulla matematica mesopotamica disponiamo di una documentazione molto più vasta che su quella egiziana, grazie ai diversi materiali usati per la registrazione di leggi, tasse, leggende, lettere ed altri documenti: solide tavolette di argilla cotte al sole o in forni.

LE CIFRE ROMANE Gli antichi romani avevano delle cifre che potevano servire solo come abbreviazioni, destinate a esprimere e ricordare i numeri. Esse, infatti, come i segni della numerazione greca, non hanno permesso ai loro utilizzatori di eseguire molti calcoli. I contabili romani per la pratica del calcolo hanno fatto ricorso ad abachi a gettoni.

I romani utilizzavano 7 segni per indicare i numeri: I V X L C D M 1 5 10 50 100 500 1000 Al pari della maggior parte dei sistemi antichi, la numerazione romana era basata sul principio additivo, regola secondo la quale il valore di una rappresentazione cifrata si ottiene sommando i valori delle cifre in essa contenute: CLI=151 MDXV=1515

Tuttavia i romani introdussero la regola secondo la quale, ogni segno numerico, situato a sinistra di una cifra di valore superiore, ne viene detratto: IV=4=5-1 CD=400=500-100

I numeri romani sono stati sostituiti da quelli arabi che sono più immediati e più comodi. Non sono stati dimenticati, però, e noi li sfruttiamo ancora per la loro eleganza

LA CIVILTÀ AZTECA Trentacinque secoli dopo gli egizi, tra il XIV e XVI secolo d.C, gli aztechi, una civiltà del Messico., svilupparono un sistema di numerazione simile a quello nato sulle sponde del Nilo. La scrittura azteca era figurativa, i suoi caratteri erano disegni realistici che riproducevano esseri e oggetti di ogni tipo.

La numerazione si fondava sulla base 20 e possedeva solo 4 cifre: - un punto o un cerchio per l’unità - una specie di ascia per la ventina - una piuma per il numero 400(=20x20) - una borsa piena di granaglie per 8000(=20x20x20)

La numerazione azteca rivela una identità di concezione intellettuale con il sistema numerale egizio poiché, al pari di questo, era basata sul principio additivo e aveva attribuito segni speciali solo all’unità e a ciascuna delle potenze della base di questa. L’unica differenza rispetto al sistema egizio consiste nel disegno delle cifre e nella natura della base, vigesimale anziché decimale.

È sorprendente vedere come, popoli lontanissimi l’uno dall’altro sia cronologicamente che fisicamente, nel corso delle loro ricerche e dei loro tentativi abbiano talvolta percorso le stesse strade per giungere a risultati simili.

CONCLUSIONI Dai sistemi che abbiamo analizzato e da altri, derivano quelli che si usano oggi. È sicuramente interessante e curioso vedere e confrontare come nei diversi luoghi e nelle diverse epoche gli uomini abbiano sentito l’ esigenza di contare e di rappresentare i loro conti e abbiano trovato tecniche straordinarie

Perfino la “macchina da calcolo” più diffusa, disponibile e usata al mondo, cioè la mano, ha portato a soluzioni diverse: In Italia consideriamo ogni dito come unità e partiamo a contare dal pollice, in Romania dal mignolo. In India e in Cina contano le falangi, arrivando fino al numero 28 Sia i latini che i cinesi trovarono il modo di indicare con le mani anche numeri enormi.