MARTINA SORBA, ELENA STELLA E

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MARTINA SORBA, ELENA STELLA E GRETA ORLANDI Fiaba

La fiaba nell’antichità Confronto tra fiaba e leggenda Teorie sulle origini della fiaba Fiaba e letteratura Le mille e una notte

La fiaba nell’ antichità Fiaba Il termine,derivante,come il francese fable e l’italiano favola, dal latino fabula in senso generale designa un racconto fantastico di origine popolare e di tradizione orale, in cui il meraviglioso e il magico (fate,folletti,maghi,streghe,metamorfosi,bacchette,ecc.) abbia una parte predominate e di cui siano protagonisti,indistintamente,uomini,animali e oggetti magici. La si distingue dalla favola ,che è una breve narrazione in cui si fingono atti o parole di animali o di cose inanimate,e sotto il velo di questa finzione si ricopre una verità: la Fiaba sembra meglio collocarsi tra i più remoti prodotti di folklore, prossima alle forme del simbolo e al mito. Suoi caratteri, comuni ad altre forme di tradizione popolare (miti,leggende,saghe,credenze,proverbi,ballate,ecc.), sono l’impersonalità, il suo nascere non per un singolo attori creazione individuale (come fatto dalla parola), ma il suo sussistere come prodotto collettivo indipendente,dal narratore, il quale può beninteso variarla, ma non la inventa (in quanto essa rientra nella langue, nell’ambito del sociale).

Al pari di miti e leggende la fiaba ha propria una natura ripetitiva, la fissità e limitatezza dei temi, la peculiarità del suo processo comunicativo affidato all’oralità. Mentre però nel mito si riconosce una forte carica religiosa e la dimensione sacrale di un sapere segreto, nel racconto fiabesco il meraviglioso sopranaturale no mira a rilevare verità; il suo contenuto è immaginario e ha per fine il semplice diletto dell’ascoltatore. Secondo Propp la nascita di molte delle Fiabe popolari giunte fino a noi potrebbe risalire al momento di trapasso dalla società dei clan, basata sulla caccia, alle prime comunità fondate sull’agricoltura, allorché i riti di iniziazione caddero in disuso e i racconti segreti che li accompagnavano o li precedevano cominciarono a essere narrati senza più alcun rapporto con le istituzioni e le funzioni pratiche cui erano legati, diventando storie di meraviglie, crudeltà e paure.

Confronto tra fiaba e leggenda I primi a distinguere la Fiaba dalla leggenda furono i fratelli Grimm, ritenendo la prima più poetica e di contenuto fantastico, la seconda più storica e legata a fatti, luoghi e nomi determinati. A acuta definizione hanno sostanzialmente aderito, più precisandola e perfezionandola, quasi tutti gli studiosi successivi. Lo studioso svizzero M.Luthi è pervenuto ad una caratterizzazione stilistica dei due prodotti folklorici, definendo “a una dimensione” la rappresentazione fornita dalla Fiaba, ove non esiste distacco tra il mondo soprannaturale e quello in cui si svolge la vicenda narrata, “due dimensioni” (umana l’una, l’altra soprannaturale) quella data dalla leggenda; onde i personaggi della Fiaba sono descritti come figure incorporee, mentre quelli della leggenda assumono precisi contorni reali. L’assenza di ogni intenzione realistica, del resto, e ciò che distingue il racconto fiabesco anche dalla novella cui l’accomuna bensì la sua forma di racconto in prosa. Le veline o novelle da contare a veglia sono in molte regioni italiane, e specialmente in Toscana, sinonimi di fiaba.

Teorie sulle origini della fiaba Il carattere controverso della Fiaba e la difficoltà a definirla si rispecchiano anche nella latitudine di significati presentata dal termine, mentre in altre lingue occorrono parole che ne designano troppo restrittivamente un solo aspetto specifico (è il caso del francese conte de fèes e dell’inglese fairy tale, vocaboli che pongono l’accento su un unico elemento del meraviglioso fiabesco : la presenza delle fate). Si tratta del resto di un genere popolare a diffusione mondiale, dotato di una storia millenaria e soggetto all’indagine delle più svariate discipline. Lo studio scientifico del materiale fiabesco fu caratterizzato da un orientamento storico a partire dal secolo XIX . Furono i fratelli Grimm i primi ad occuparsi dell’origine della fiaba. A loro fa capo la teoria mitica, che scorge nei racconti popolari il residuo o il riflesso di primitivi miti ariani. Ricollegandosi a queste intuizioni M. Muller interpretò le Fiabe come allegorie di fenomeni naturali. L’edizione di una antica raccolta di novelle indiane, il pancatantra (1859), indusse il curatore T.Benfey a derivare dall’India l’origine di gran parte del patrimonio favolistica e fiabesco europeo, pur non escludendo creazioni e sviluppi originali. E questa la cosiddetta tendenza storico – orientalistica che discepoli e continuatori (R. Kohler, M. Landau, E. Cosquin) portarono alle estreme conseguenze. Ma già il filologo romanzo J. Bèdier, oltre ad aver genialmente additato alcune soluzione fondamentali per una più comprensione dei meccanismi fiabeschi, aveva manifestato i suoi dubbi circa la possibilità di risolvere definitamene la complessa questione della provenienza della fiaba.

La teoria antropologico – culturale o evoluzionistica, seguita da studiosi come E. P. Tylor, A.Lang e J.G.Fraser, muovendo dal principio dell’identità dello spirito umano nel suo stadio primitivo e dalle analogie che esso mostra nelle fasi del suo sviluppo culturale, analizza le fiabe come prodotti culturalmente autonomi ed esclude una origine comune. Questa teoria è stata recentemente ripresa secondo schemi funzionalistici e d’uso della comunicazione da D.Ben Amos. Nell’ambito delle interpretazioni ritualistiche che ricollegano la maggior parte dei motivi narrativi a riti iniziatici, un contenuto notevole allo studio della narrativa popolare è stato dato da A.van Gennep, che ha rivelato il riflesso dei riti totemici sulle fiabe di animali. Un nuovo orientamento ha assunto la scuola finnico- americana (dal finlandese A.Aarne suo iniziatore e dal americano S.Thonpson che ne proseguì gli studi), cui spetta il merito di aver proposto una concreta classificazione del materiale fiabesco.

Essa scompone ciascun racconto in un insieme di motivi o varianti (personaggi, eventi, temi mitici, episodi) la cui presenza e successione consente di individuare un determinato tipo narrativo. Superando sia la questione storica dell’origine della fiaba sia quella più empirica di una sua classificazione, i seguaci della scuola freudiana hanno applicato all’universo fiabesco e alla sua irrealtà gli strumenti di indagine della psicanalisi, riconoscendovi un repertorio di ambigui sogni comuni a tutti gli uomini, fissati in forma canonica per rappresentare le paure più elementari.

Il grande folklorista russo V Il grande folklorista russo V.J Propp spiega lo svolgimento dalla fiaba come passaggio da funzioni negative (allontanamento, divieto, danneggiamento,mancanza,ostacolo) a funzioni che ne rovesciano o superano la negatività. In Morfologia della fiaba (1928) egli invece di classificare in materiale fiabesco in tipi e distinguervi dei motivi, analizzando un gruppo omogeneo di fiabe di magia di Afans’ev, contrappone ai personaggi e ai loro attributi, che ne costituiscono gli elementi variabili, un numero finito d’azioni e funzioni che sono invece costanti e si ritrovano in tutte la fiabe nella stessa successione.

Pone così l’accento non tanto su quel che viene narrato quanto sui meccanismi formali che regolano lo svolgimento del racconto. I personaggi vengono definiti in rapporto alle sfere d’azione cui partecipano; i ruoli non coincidono necessariamente con i personaggi: un unico può essere ricoperto da più personaggi come da uno solo, più ruoli da un unico personaggi. L’interpretazione proppiana è stata però accusata da C. Lèvi-Strauss di formalismo. Secondo l’etnologo (sostenitore dell’inseparalità dello studio del mito da quello della fiaba) il più grave errore di codesta teoria consiste nell’aver voluto separare lo studio delle forme narrative dal loro contenuto. Levi-Strauss rivolge la sua attenzione al contenuto concettuale della fiaba, che secondo lui ne costituisce analogamente a quanto avviene per il mito l’elemento primario, in funzione del quale operano i meccanismi narrativi. La complessa questione dei rapporti tra forma e contenuto nella fiaba resta comunque ancora aperta.

Fiaba e letteratura Le indubbie difficoltà che si incontrano a definire in sede teorica l’essenza del racconto fiabesco non impediscono di considerare l’aspetto letterario, il valore d’arte assoluto che secondo B.Croce (negatore così degli indirizzi comparativi come della ricerca intorno all’origine dei racconti popolari), può raggiungere questo prodotto del folklore. Motivi fiabeschi si rintracciano nell’ epopea babilonese del Gilgamesh e nella Bibbia. Ma è nel lontano Oriente che si hanno precoci raccolte di novelle, favole a Fiaba come il pancatantra (I cinque libri) databile tra il secondo e il sesto secolo dell’era cristiana, la Brhatkathamanjarì (il mazzo di fiori della Brhatkatha)di Ksemendra e il Kathasaritasagara (L’oceano delle novelle simili a fiumi) di Somadeva, entrambe del undicesimo secolo ma ricavate dalla Brhatkatha (Il gran romanzo) di Gunadhya, un’opera del secondo e terzo secolo D.C. Larga diffusione in India e fuori ebbero due raccolte fantastiche : la Vetalapancavimsatika (Le venticinque (novelle) del lemure), conglobata anche nelle due opere precedenti, e la Simhasanadvatrimsinkà (Le trentadue (novelle) del trono).

Mille e una notte Anche le celebri Mille una notte, che nelle loro vulgata attuale sono una compilazione anonima sorta in Egitto alla fine del quattordici secolo, risalgono ad una più antica e versione araba (decimo secolo) di un originale persiano, il quale a sua volta doveva attingere indubbiamente a fonti indiane. Lo straordinario influsso che tale raccolta esercitò in Occidente discende dalla vivace traduzione francese datane dal Galland, 1704-17. In Occidente, il mondo classico, che tanto esercitò nella favola, ha conservato tenui tracce del genere fiabesco: innanzitutto la bella fabella di Amore e Psiche che, tra la fine del quarto secolo e il principio del sesto libro, occupa il centro delle Metamorfosi di Aupelio. Ma anche nei primi tre libri gli oscuri sortilegi delle maghe tessale determinano un irreale e pauroso clima fiabesco.

Secondo alcuni studiosi essi imiterebbero il Satyricon di Petronio (primo secolo d.C.) dove non mancano racconti magici (Sat. 62,63). Fiaba o elementi fiabeschi si possono rintracciare nei romanzi del ciclo Bretone, nella gran congerie dei libri di novelle (Il Pecorone di ser Giovanni Fiorentino, oppure le Novelle del Sercambi) e persino nei poemi in ottave (dal Mambriano del Cieco di Ferrara, ai più celebri esemplari). Iniziò la fortuna del genere G.F Straparola pubblicando nella prima serie delle Piacevoli notti (1550), il più ricco gruppo di Fiorentino che fosse mai stato fino allora accolto in un libro. I racconti sono derivati dalla tradizione orale e uno serba ancora la veste del dialetto. In dialetto napoletano sono anche la le cinquanta fiabe di cui si compone Lo Cunto de li cunti overo Lo trattenemiento de’peccerille di G.B Basile (1634-36): questo fortunatissimo capolavoro e capostipite del racconto fiabesco europeo racchiude dentro una cornice bocacciana (anch’essa fiabesca) e argina con il sapiente artificio di una complessa struttura la capricciosa fantasia e il torrenziale gusto metaforico di un letterario barocco.

Il regno di Luigi quattordicesimo e il raffinato mondo della corte francese videro il sorgere del fèisme culminato con Les Contes de ma mère l’Oye (1697) di C. Perrault, che pur nella elegante stilizzazione letteraria seppero conservare al genere una preziosa semplicità, riflettendo l’atmosfera incantata e gli irreali splendori della grande èpoque. Ma le numerosissime raccolte susseguitesi per tutto il primo decennio del 700 si riducono spesso eccezion fatta per quella mirabile di Mme d’Aulnoy e per alcuni altri modi di manierate allegorie cortigiane. Nel corso del secolo si continuò a scrivere fiabe ispirate a più modeste virtù borghesi e provviste di una trasparente morale: esse occupano gran parte dei trentasette volumi del Cabinet des Fèes, summa della letteratura fantastica settecentesca. Se l’illuminismo preferì il conte philosophique, a Venezia C. Gozzi si servì di fiabe drammatiche in un remoto Oriente per satireggiare la riforma teatrale goldoniana (L’amore delle tre melarance, 1761) o la filosofia (L’augellin belverde, 1765).

Pervasi da un delicato gusto rococò sono i racconti fiabeschi in versi e la raccolta Dschinnistan ovvero fiaba scelte di fiabe e folletti (1786-89), di C.M. Wieland che si ispirò alla galante fèerie francese piuttosto che alla herderiana voce del popolo poetante. E quasi allo scadere del secolo Mozart (sil libretto di E. Schikaneder) compose il flauto magico (1791), straordinaria fiaba musicale. Ma il crescente per lo studio delle leggende e delle tradizioni popolari, sorto nel preromanticismo inglese a proposito delle ballate inglesi e scozzesi, ricevette in Germania da Herder un vivo impulso anche verso le fiabe, nelle quali egli riteneva sopravvissero i resti di antiche credenze religiose, comuni a ogni popolo, e venne proseguito con ardore dal romanticismo, inteso a resuscitare tutto il patrimonio popolare tedesco.

Nacquero così le fiabe per bambini e per le famiglie (1812-15) dei fratelli J. e W. Grimm; e prima C. Brentano aveva infuso nelle sue fiabe le malinconie e la mutevole levità di un temperamento romantico. È questa l’epoca in cui il racconto fiabesco diventa complessa e poetica creazione individuale: nei satirici Volksmarchen (1797) di L. Tieck, nella delicatissima Undine (1811) di fiabe de la Motte-fouquè o nelle fiabe fantastico-grottesche di E. Th. A. Hoffmann, febbrilmente oscillanti fra sogno e realtà. Con il romanticismo la passione della fiaba si diffuse in Europa. P.Arbjrsen e J.Moe raccolsero racconti popolari norvegesi (1841-42); Altrettanto fece A.Afanas’ev con le antiche favole russe (1855-64); anche Puskin si era cimentato con originalità nel genere. Dal 1835 al 1872 H. C.Andersen pubblicò i fascicoli delle sue fiabe: tradizioni popolari, racconti infantili, vecchi motivi novellistici vi sono trasfigurate insieme con le esperienze autobiografiche dello scrittore, per dar vita a un mondo poetico di sognante e infantile candore.

Ma ormai gli scrittori si volgevano al genere fiabesco per nostalgia di un paese innocente: così avvenne per The Happy Prince and Other Tales (1888) di O. Wilde, per le fiabe drammatiche di J. M. Barrie (Peter Pan, or The Boy Who Wouldn’t Grow up, 1904; Peter Pan and Wendy, 1910) e per quelle di ispirazione simbolistica di M. Maeterlinck, per il romanzo fiabesco Il viaggio meraviglioso di Nils Holgersson (1906-07) della svedese S.Lagerlof o per le spesso felici fiabe di G. Gozzano (I tre talismani, 1904; La principessa si sposa, 1917). Dalla seconda metà del diciannovesimo secolo, sotto l’influsso del positivismo, folkloristi e demospicologi si diedero a raccogliere e a trascrivere secondo criteri scientifici il patrimonio della tradizione orale. In Italia tale lavoro, iniziato da studiosi stranieri, portò alla raccolta del Nericci e a numerose altre tra le quali quelle dell’Imbriani, del Comparetti e soprattutto Pitrè.

Tuttavia il genere fiabesco non conobbe tra noi la voga e la diffusione romantica, restando appannaggio degli studiosi del Folkler da un lato e dall’ altro venendo confinato nell’ ambito più angusto della letteratura per l’infanzia( il pinocchio di Collodi è però un capolavoro di stile e di originalità inventiva e notevole è anche il c’era una volta di L. Capuana ). Fu un altro scrittore,I.Calvino, con la sua importante silloge di 200 F. italiane (1956) a dare all’Italia, con tanto ritardo sugli altri paesi europei, quel libro utilitario e nazionale che le mancava.