Gli enti intermedi in Europa e la Carta europea delle autonomie locali

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Gli enti intermedi in Europa e la Carta europea delle autonomie locali Francesco Merloni Ordinario di diritto amministrativo – Università di Perugia Presidente onorario del Gruppo di esperti indipendenti sulla Carta europea delle autonomie locali (Consiglio d’Europa) Roma 3 ottobre 2013

Il secondo livello di autonomia locale in Europa Solo una minoranza (9) dei 28 paesi dell’Unione europea non ha un secondo livello di autonomia locale. Si tratta di paesi di piccole dimensioni (Cipro, Lussemburgo, Malta) o che per motivi storici hanno solo il livello comunale di base (Austria, Bulgaria, Danimarca, Lettonia, Portogallo, Slovenia) In 19 paesi esiste un secondo livello di governo locale di carattere politico, non burocratico.

Caratteri degli enti intermedi In 17 dei 19 paesi con ente intermedio politico, questo è dotato di funzioni amministrative proprie, diverse da quelle comunali, e di organi di governo direttamente elettivi. Solo in due paesi (Finlandia e Spagna) gli organi di governo solo eletti indirettamente (dai consiglieri dei comuni compresi nel territorio provinciale), ma ciò dipende dal fatto che la provincia svolge in realtà compiti comunali (soprattutto a favore dei Comuni più piccoli). Si conferma la stretta relazione tra funzioni proprie e diretta elettività degli organi di governo

I criteri di individuazione delle funzioni di area vasta Le funzioni ricorrenti negli enti intermedi sono funzioni di area vasta, anche se la loro individuazione segue criteri diversi: 1) il criterio prevalente è quello della intrinseca natura delle funzioni, che richiede amministrazioni diverse (e territorialmente più ampie) dai Comuni. 2) è adottato anche un criterio dimensionale, che considera come sovracomunali alcune funzioni che richiedono una certa soglia (di superficie e di popolazione); si tratta di un criterio più incerto perché consente di considerare le stesse funzioni ora come di area vasta (se la dimensione del Comune non è adeguata) ora come comunali (se lo è). Ciò fa convivere enti intermedi che svolgono le loro funzioni per l’intero territorio con comuni grandi, non soggetti alle funzioni provinciali, ma titolari in proprio di queste funzioni (è il caso della Germania e dell’Ungheria).

La Carta europea delle autonomie locali La CEAL è ormai sottoscritta da tutti i 47 paesi del Consiglio d’Europa Natura: trattato internazionale che vincola gli Stati che la firmano e ratificano al rispetto delle sue disposizioni, a garanzia delle autonomie locali.

I principali contenuti della CEAL La Carta lascia liberi gli Stati di conformare il proprio assetto delle autonomie locali, ma pone alcuni limiti e principi molto precisi. Il principio di sussidiarietà (art. 4, comma 3), che va letto insieme al principio per cui gli enti locali devono poter svolgere “una parte importante di affari pubblici” (art. 3, comma 1). Altro principio: la distribuzione delle funzioni deve avvenire “tenuto conto dell’ampiezza e della natura” delle funzioni (art. 4, comma 3) (la CEAL fa propri entrambe i criteri prima indicati). Ancora: le funzioni attribuite sono funzioni proprie (quelle delegate dall’alto devono essere un’eccezione) Poi, passaggio fondamentale, a funzioni proprie corrisponde la diretta elettività degli organi di governo (art. 3, comma 2), A funzioni proprie corrisponde il principio dell’autosufficienza finanziaria (art. 9). Una volta costituiti gli enti locali, ad essi si devono applicare alcune garanzie di fondo: il diritto ad essere consultati “per tutte le questioni che li riguardano direttamente” (art. 4, comma 6), la tutela dei loro limiti territoriali, la sottoposizione a controlli di legalità e non di opportunità (art. 8), il diritto alla tutela giurisdizionale della propria autonomia (art. 11).

Il valore giuridico della CEAL La CEAL ha sempre effetti obbligatori Il paese che firma e ratifica si impegna a porre la propria legislazione, costituzionale e ordinaria, in linea con le disposizioni della Carta. L’impegno è assunto: nei confronti degli altri paesi firmatari, ma soprattutto nei confronti dell’organizzazione internazionale che ha promosso il Trattato, il Consiglio d’Europa. In alcuni paesi, ma non in Italia, la CEAL acquista effetti giuridici diretti, nel senso che essa può essere direttamente applicata dalle amministrazioni e dai giudici nazionali (prevalendo su contrastanti norme interne). In altri paesi la Carta, pur non avendo effetti diretti, ha effetti giuridici importanti, perché viene assunto come canone interpretativo delle norme costituzionali e può dar luogo a dichiarazioni di illegittimità costituzionale di norme interne contrarie alla Costituzione del paese (perché contrarie alla CEAL). Come vedremo è il caso dell’Italia.

Il recepimento della CEAL nell’ordinamento giuridico italiano L’Italia non attribuisce efficacia diretta alla CEAL La CEAL acquista un valore giuridico con l’art. 117, comma 1: il legislatore è tenuto al rispetto “dei vincoli derivanti [dall’ordinamento comunitario e] dagli obblighi internazionali”. La Corte costituzionale per altri trattati (in particolare la CEDU) ha qualificato le loro disposizioni come “norme interposte” di rango giuridico superiore alla legge ordinaria (sent. n. 348 e n. 349 del 2007) . Nulla impedisce che la Corte estenda questa giurisprudenza alla CEAL e che la assuma, più direttamente di quanto non abbia fatto finora, come canone interpretativo dei principi fondamentali in materia di autonomia locale.

Il controllo del Congresso dei poteri locali e regionali del Consiglio d’Europa sul rispetto della CEAL Se consideriamo i soli effetti obbligatori della CEAL questi vanno presi sul serio. Sul serio li prende il Congresso dei poteri locali e regionali del CoE che ha avuto dal Comitato dei Ministri (il vero motore dell’organizzazione) il compito di monitorare il rispetto delle CEAL in tutti i paesi firmatari e ratificanti. Ogni 5 anni una delegazione del Congresso effettua una visita di monitoring, nella quale incontra tutte le autorità nazionali, regionali e locali e verifica in modo sempre più puntuale il livello di coerenza della legislazione vigente e delle prassi amministrative e giudiziarie) con le singole diposizioni della CEAL. La visita si conclude con un rapporto finale approvato dal Congresso in seduta plenaria e con raccomandazioni del Congresso (ma anche del Comitato dei Ministri) ai paesi visitati perché compiano azioni di adeguamento della loro legislazione o si astengano da adottare provvedimenti contrari alla CEAL. Un controllo prevalentemente politico, collaborativo, ma non privo di effetti, anche sul piano giuridico (in caso di gravi violazioni il Consiglio d’Europa potrebbe adottare sanzioni).

Il rapporto del Consiglio d’Europa sull’Italia e la raccomandazione n La visita di monitoring in Italia si è svolta in due fasi nel 2011 e nel 2012. Il rapporto finale e la raccomandazione sono stati adottati nel marzo 2013. La Raccomandazione n. 337 (2013) si è occupata in generale della situazione della democrazia regionale e locale in Italia. Quanto alle Province si è così espressa: “Il Congresso constata tuttavia con rammarico: a. il mancato rispetto del diritto degli enti locali di amministrare sotto la loro responsabilità una parte importante degli affari pubblici, conformemente all’articolo 3.1 della Carta; b. che il principio dell’elezione diretta degli organi provinciali è rimesso in discussione, con l’introduzione di elezioni indirette per le province, nell’ambito della riforma attuale (Articolo 3.2 della Carta) Un tono diplomatico, che però segnala chiaramente una violazione della CEAL. La raccomandazione non tiene conto della sentenza della Corte costituzionale n. 220 del 2013.

La costituzionalità degli interventi sulle Province italiane con legge ordinaria (anche alla luce della CEAL) Veniamo ora alla situazione italiana, dopo la visita del Consiglio d’Europa e dopo la sentenza della Corte costituzionale. Partiamo dalla sentenza n. 220 del 2013. E’ vero che essa ha evitato di pronunciarsi nel merito dei limiti costituzionali, limitandosi a dichiarare la non conformità della fonte (il decreto legge), ma ben può affermarsi che da essa si ricavino e che siano comunque facilmente ricostruibili nella Costituzione vigente vincoli che rendono incostituzionali le politiche fin qui perseguite dai Governi Monti e Letta. E’ incostituzionale, per violazione degli artt. 5, 114 e 118 la sottrazione di funzioni caratterizzanti l’ente intermedio. E’ incostituzionale, per violazione degli art.5 e 114, l’eliminazione del carattere direttamente elettivo degli organi di governo della Provincia. E’ incostituzionale, per violazione dell’art. 133, comma1, il procedimento adottato per la variazione dei confini territoriali delle Province

Le funzioni di area vasta In applicazione del principio di sussidiarietà le funzioni di area vasta sono nettamente distinte da quelle di prossimità, tipiche del livello comunale. La prima caratteristica delle funzioni di area vasta è di essere funzioni non attribuibili ai Comuni, anche ai Comuni più grandi (diverso il caso delle aree metropolitane nel quale vi è un sistema speciale di distribuzione delle funzioni: al livello metropolitano vanno, insieme, funzioni di area vasta e funzioni comunali che richiedono un tasso di integrazione molto forte). Sono di area vasta funzioni amministrative: di regolazione e di erogazione di servizi non attribuibili ai Comuni (ambiente, trasporti, rifiuti, lavoro e formazione professionale, istruzione, strade) di coordinamento. Soprattutto decisioni su localizzazioni controverse tra i Comuni, sulle quali i Comuni non sono in grado di raggiungere, in modo rapido e non meramente compromissorio, intese. Un coordinamento non intercomunale, ma svolto nei confronti dei Comuni. Se le funzioni sono individuate come di area vasta, esse sono caratterizzanti il livello di governo intermedio. La loro sottrazione con legge ordinaria è incostituzionale.

La diretta elettività degli organi di governo Se vi sono funzioni di area vasta perché non attribuibili ai Comuni, la soluzione della elezione di secondo grado, indiretta, da parte dei consigli comunali (o, peggio, con un esecutivo fatto dei Sindaci) non è praticabile, sbagliata e incostituzionale. Sbagliata perché i Comuni sono lì per rappresentare propri interessi e sono quasi per definizione portati a difenderli o a trovare mediazioni molto lunghe e complesse (nessuna semplificazione quindi). Incostituzionale perché a funzioni individuate come di livello superiore a quello comunale deve corrispondere il principio della responsabilità politica, dell’autonomia politico-amministrativa, dell’elezione diretta degli organi di governo. E’ il principio di autonomia dell’art. 5 e dell’art. 114 della Costituzione; è il principio dell’art. 3, comma 2, della Carta europea delle autonomie locali.

La revisione territoriale delle Province I tentativi fin qui effettuati di modificare, ai fini di una riduzione del numero complessivo delle Province, i confini territoriali seguendo un procedimento diverso da quello imposto dall’art. 133, comma 1, sono contrari alla Costituzione. Indipendentemente da ogni valutazione sul merito delle revisioni territoriali ipotizzate.

La legittimità di una legge costituzionale di soppressione o “decostituzionalizzazione” delle Province Vediamo ora se vi siano limiti alla stessa revisione con legge costituzionale della disciplina costituzionale delle Province La soppressione, cioè la loro espunzione completa dall’ordinamento costituzionale (con divieto di istituire enti intermedi), anche se operata con legge costituzionale, incontra limiti, di nuovo nella stessa Costituzione e nella CEAL. Per legittimare la soppressione va dimostrato che le funzioni di area vasta (non tanto quelle oggi provinciali, ma quelle da ritenere intrinsecamente tali) siano attribuibili ad altri livelli di governo. Le funzioni non sono, si è visto, attribuibili ai Comuni per la loro intrinseca natura.

Se si sopprimono le Province le funzioni di area vasta sono attribuibili alle Regioni? In astratto l’attribuzione alle Regioni non è impossibile. Vi sono in Europa casi di attribuzione di queste funzioni al livello regionale in tre diverse condizioni: a)     allorché si qualificano erroneamente come “regioni” enti di secondo livello locale; b)    in assenza di un livello intermedio locale; c)     in presenza di un secondo livello con funzioni solo comunali. (è il caso della Spagna). In Italia l’attribuzione di funzioni di area vasta alle Regioni trova precisi ostacoli costituzionali perché l’attuale costituzionale vuole le Regioni come livello di governo “forte” (sul piano della qualità della legislazione e della programmazione), ma “leggero” (sul versante delle funzioni amministrative operative). Si può cambiare anche su questo punto, ma in questo caso anche il modello costituzionale di Regioni andrebbe ripensato. Una parziale eccezione al limite indicato potrebbe giustificarsi (Umbria, Molise, Basilicata), nelle quali i due livelli di governo (come in Valle d’Aosta) coinciderebbero. Non in quelle grandi, nelle quali l’attribuzione delle funzioni di area vasta alla Regione imporrebbe la costituzione di organismi di ambito provinciale. Ma in tal modo si aggirerebbe il principio del necessario esercizio di queste funzioni da parte di enti politici (direttamente elettivi), ricadendo in un’ipotesi di incostituzionalità (anche per violazione della CEAL)

La c.d. “decostituzionalizzazione” Se con la “decostituzionalizzazione” si intende rimettere alle Regioni la scelta se costituire o meno enti intermedi e se configurarli come enti politici o meno e se eleggerli direttamente o in via indiretta, viene elusa la domanda di fondo. Esistono o no funzioni di governo di area vasta? Queste funzioni sono attribuibili alle Regioni (che poi le organizzano come credono)? Se le funzioni di area vasta esistono, e non sono attribuibili né ai Comuni né alle Regioni (per le ragioni appena indicate) la Costituzione non può fare a meno di garantirne l’esercizio ad un necessario secondo livello di governo locale, che sia politico e direttamente elettivo. Queste funzioni non possono essere attribuite ad enti di incerta e variabile natura (in qualche regione enti o uffici dipendenti, in altre enti locali a base associativa, in altre enti locali elettivi). La garanzia generale dell’esistenza deve stare nella Costituzione e nella legge statale che ne tracci gli elementi di base. Il mantenimento di funzioni di area vasta ma il loro eventuale affidamento ad enti non politici (burocratici o solo indirettamente elettivi), anche con legge costituzionale sarebbe contrario ai principi della stessa Costituzione (e alla CEAL).

Per una razionale riforma costituzionale La conferma costituzionale delle Province non significa immobilismo e conservazione. Nel quadro della riforma costituzionale avviata (vedi il Comitato dei saggi) alcune poche, ma chiare cose possono essere fatte.

Distribuire rapidamente le funzioni Rafforzare e accelerare il processo di individuazione delle funzioni fondamentali di Comuni e Province (e Città metropolitane) dell’art. 118 Cost., da un lato aggiungendo, come criteri integrativi del principio di sussidiarietà, il principio di “unicità” per la distribuzione delle funzioni (ad evitare la sovrapposizioni di compiti) e introducendo il criterio area vasta/prossimità per la distinzione tra funzioni comunali e provinciali; dall’altro imponendo, con norma costituzionale transitoria, un termine breve (brevissimo?) per compiere l’individuazione. Per le Province questo significherebbe il completamento nell’attribuzioni fin rimaste sulla carta, la definitiva conferma e valorizzazione come enti di area vasta. Principio di economicità: meglio valorizzare enti già pronti alle nuove funzioni

Rivedere i territori provinciali Mantenere alla legge statale la definizione degli elementi di base della Provincia (funzioni fondamentali, organi, elezione) salvo a riconoscere alle Regioni un ruolo maggiore nell’attribuzione di nuove funzioni, nella definizione di strumenti di raccordo interistituzionale infraregionale, nella revisione territoriale delle Province. A questo fine può essere riscritto (non soppresso) l’art. 133, primo comma, Cost., attribuendo alla Regione un ruolo di proposta in un procedimento di legge statale che può realizzare una revisione organica del territorio delle Province (con una loro significativa riduzione rispetto all’attuale proliferazione) entro un tempo breve e certo.

Costituire rapidamente le Città metropolitane Imporre, con norma transitoria, l’istituzione, entro un termine brevissimo, delle Città metropolitane (che sostituiscono la Provincia nel loro territorio), anche con unica legge statale che provveda alla speciale distribuzione delle funzioni

Porre fine alla giungla di enti inutili Ricondurre, in tempi brevi e certi, alle Regioni e agli enti locali tutte le funzioni amministrative, con drastica riduzione della miriade di enti, pubblici e privati in controllo pubblico, figli di una pessima concezione dell’autonomia politica degli enti territoriali, fonti di sprechi, corruzione, perdita di centralità della politica