Ulisse e i motivi del viaggio

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Transcript della presentazione:

Ulisse e i motivi del viaggio «Il mito rinasce ogni giorno» U. Eco

Il tema del viaggio è presente nella letteratura di tutti i tempi, dall’antichità classica ai giorni nostri. Nel mondo antico, numerosi miti parlano di viaggiatori: tra tutti i racconti di viaggio, tuttavia, spicca quello che aveva come protagonista Ulisse. L’eroe, perciò, ha assunto, col tempo, il valore di un simbolo: Ulisse è l’uomo intelligente, curioso di ogni esperienza, disposto a rischiare per soddisfare il desiderio di conoscenza; Ulisse è l’uomo sensibile agli affetti familiari, desideroso di approdare finalmente alla patria tanto rimpianta: il suo viaggio, allora, rappresenta l’esigenza di ritrovare le radici, di dare sicurezza all’esistenza. Dal poema di Omero la figura di Ulisse è stata consegnata alla letteratura successiva come “eroe della conoscenza” e “eroe del ritorno”

Ulisse Eroe del ritorno Eroe della conoscenza Omero Dante Tennyson D’annunzio Foscolo Pascoli Saba Pavese Dalla Kavafis Pessoa Lee Masters Il nostro viaggio

L’Odissea: il poema del ritorno L’Odissea è la storia del travagliato ritorno in patria dell’eroe, al termine della guerra di Troia. La volontà di Odisseo di tornare a casa senza rinunciare alle esperienze e alle conoscenze che gli si offrono durante il suo avventuroso viaggio dimostra una profonda somiglianza con l’uomo moderno. Narrami, o Musa, dell'eroe multiforme, che tanto vagò, dopo che distrusse la rocca sacra di Troia: di molti uomini vide le città e conobbe i pensieri, molti dolori patì sul mare nell'animo suo, per acquistare a sé la vita e il ritorno ai compagni. [Odissea, I, vv. 1-5] Sono Odisseo di Laerte, che per tutte le astuzie son conosciuto tra gli uomini, e la mia fama va al cielo. Abito Itaca aprica […] e io nulla più dolce di quella terra potrò mai vedere. Perché niente è più dolce della patria e dei padri, anche se uno, lontano, in una casa ricchissima vive, ma in terra straniera, lontano dai padri. [Odissea, IX, vv. 21-46]

Dante e l’ultimo viaggio di Ulisse Nella Divina Commedia Ulisse è un personaggio diverso. È ancora sensibile agli affetti familiari, ma questi non bastano a ricondurlo in patria. Incapace di accettare la tranquilla condizione di padre e marito, egli, ormai anziano, diviene protagonista di una avventura nuova: né dolcezza di figlio, né la pièta del vecchio padre, né 'l debito amore lo qual dovea Penelopè far lieta, vincer potero dentro a me l’ardore ch’i' ebbi a divenir del mondo esperto e de li vizi umani e del valore; ma misi me per l’alto mare aperto sol con un legno e con quella compagna picciola da la quale non fui diserto.

‘O frati dissi, ‘che per cento milia Infatti, il discorso con cui persuade i compagni a superare le colonne d’Ercole, si sviluppa sul motivo della conoscenza che, per Ulisse, diventa uno scopo da perseguire ad ogni costo: ‘O frati dissi, ‘che per cento milia perigli siete giunti a l’occidente, a questa tanto piccola vigilia de’ nostri sensi ch’è del rimanente non vogliate negar l’esperïenza, di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza’. Ulisse qui è l’uomo coraggioso oltre ogni limite, disposto ad andare contro le leggi divine e per la sua superbia naufragherà presso la montagna del Purgatorio: Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto; ché dalla nova terra un turbo nacque, e percosse del legno il primo canto. Tre volte il fe’ girar con tutte l’acque: [...] Infin che ‘l mar fu sopra noi richiuso.

Foscolo e il destino di uomo senza patria Foscolo ricorda Ulisse per una ragione profonda: l’eroe, bello di fama e di sventura, è il personaggio mitico in cui Foscolo, esule per motivi politici, si rispecchia. Un rapporto che è di somiglianza e di differenza: Foscolo aspira al ritorno a Zacinto come Ulisse ad Itaca, ma contrariamente a questi non realizzerà mai questo desiderio, il suo esilio è, perciò, diverso da quello di Ulisse. Il sonetto fa riferimento a due viaggi voluti dal fato, ma con esito diverso: l’errare di Ulisse era predestinato, ma con esito felice l’errare del Foscolo in quelle acque fatali era predestinato, ma con esito infelice. A Zacinto Né più mai toccherò le sacre sponde ove il mio corpo fanciulletto giacque, Zacinto mia, che te specchi nell’onde del greco mar da cui vergine nacque Venere, e fea quelle isole feconde col suo primo sorriso, onde non tacque le tue limpide nubi e le tue fronde l’inclito verso di colui che l’acque cantò fatali, ed il diverso esiglio per cui bello di fama e di sventura baciò la sua petrosa Itaca Ulisse. Tu non altro che il canto avrai del figlio, o materna mia terra; a noi prescrisse il fato illacrimata sepoltura.

Tennyson e il viaggio come fonte di vita Nella lirica Ulisse stesso, davanti al focolare, parla in prima persona dei propri desideri, del proprio bisogno di un ultimo viaggio alla ricerca di nuove avventure, poiché How dull it is to pause, to make an end, to rust unburnished, not to shine in use! Sin dai primi versi emerge il dolore straziante per la vita che Ulisse conduce in patria dopo il suo ritorno: It little profits that an idle king, By this still hearth, among these barren crags, Matched with an aged wife, I mete and dole Unequal laws unto a savage race, That hoard, and sleep, and feed, and know not me. I cannot rest from travel; I will drink Life to the lees. Ulisse esprime la sua impossibilità di rinuncia a viaggiare poiché per lui la vita va assaporata fino in fondo, come un buon calice di vino. Nella parte conclusiva, infatti, parla ai compagni, rammenta loro le imprese gloriose compiute in passato, li esorta a riflettere su come anche la vecchiaia possa riservare grandi avventure. Il nuovo viaggio alla scoperta di mondi sconosciuti inizia con la speranza di questi eroi ormai anziani di avere ancora un ritaglio di vita per completare l’ambizione di conoscenza, perché, sono sempre: One equal temper of heroic hearts, Made weak by time and fate, but strong in will To strive, to seek, to find, and not to yield.

Pascoli e gli interrogativi drammatici dell’esistenza Secondo Pascoli, l’eroe greco, dopo nove anni trascorsi ad Itaca, ormai vecchio, comincia a dubitare che tutti gli episodi che ha vissuto non siano veri. Per questo decide di riprendere il mare per il suo ultimo viaggio alla ricerca dei luoghi e delle figure che aveva incontrato: non è più la voglia di conoscere e apprendere nuove cose a guidarlo nel viaggio, ma la ricerca della verità e del senso della sua vita. Era Odisseo: lo riportava il mare alla sua dea: lo riportava morto alla Nasconditrice solitaria, all’isola deserta che frondeggia nell’ombelico dell’eterno mare. Nudo tornava chi rigò di pianto le vesti eterne che la dea gli dava; bianco e tremante nella morte ancora, chi l’immortale gioventù non volle. Ed ella avvolse l’uomo nella nube dei suoi capelli; ed ululò sul flutto sterile, dove non l’udia nessuno: «Non esser mai! non esser mai! Più nulla, ma meno morte, che non esser più!». Pascoli fa terminare l’ultimo viaggio dell’eroe sulle spiaggia di Ogigia. Calipso, però, si è trasformata in una Parca che tesse il filo della vita. La dea accoglie l’eroe e, avvolgendolo nella nube dei suoi capelli, pronuncia un altissimo lamento per il destino dell’amato e per la sorte infelice di tutti i mortali. Ulisse, pertanto, con il suo ultimo viaggio, conquista solo la morte, a cui, l’eroe e ogni essere umano, sono destinati senza trovare ciò che si ricerca.

D’Annunzio e l’interpretazione eroica del mito di Ulisse Ulisse, per D’Annunzio, diventa un simbolo: l’uomo o meglio l’eroe solitario, forte e instancabile, alla ricerca di nuove esperienze, tutto preso a realizzare la sua volontà di potenza e sdegnoso dell’umanità mediocre. L’incontro lascia nel poeta la consapevolezza della propria missione da compiere in disparte, solo per sempre: Ulisse diviene l’eroe del navigare è necessario, non è necessario vivere, ossia l’uomo che disprezza la vita rispetto alla necessità della navigazione, vista come impresa eroica e nobile. O Laertiade gridammo, e il cuor ci balzava nel petto come ai Coribanti dell’Ida per una virtù furibonda e il fegato acerrimo ardeva o Re degli Uomini, eversore di mura, piloto di tutte le sirti, ove navighi? A quali meravigliosi perigli conduci il legno tuo nero? Liberi uomini siamo e come tu la tua scotta noi la vita nostra nel pugno tegnamo, pronti a lasciarla in bando o a tenderla ancóra. Ma, se un re volessimo avere, te solo vorremmo per re, te che sai mille vie. Prendici nella tua nave Tuoi fedeli indino alla morte!.

Saba e il desiderio del viaggio Nell’immagine di Ulisse Saba rivede se stesso, nell’ansia di navigare dell’eroe, la sua stessa storia. Una storia non conclusa, incapace di arrivare ad un approdo sereno, ma ancora rivolta ad una ricerca travagliata e senza fine: Saba sente ancora in sé l’animo di Ulisse, quel bisogno cioè di conoscere e sperimentare che nasce dal doloroso amore della vita. La vita per Saba è ricerca e navigazione incessante. Nella mia giovinezza ho navigato lungo le coste dalmate. Isolotti a fior d’onda emergevano, ove raro un uccello sostava intento a prede, coperti d’alghe, scivolosi, al sole, belli come smeraldi. Quando l’alta marea e la notte li annullava, vele sottovento sbandavano più al largo, per fuggirne l’insidia. Oggi il mio regno è quella terra di nessuno. Il porto accende ad altri i suoi lumi; me al largo sospinge ancora il non domato spirito, e della vita il doloroso amore.

Ulisse alla finestra Questo è un vecchio deluso, perché ha fatto suo figlio troppo tardi. Si guardano in faccia ogni tanto, ma una volta bastava uno schiaffo […]. Ora il vecchio è seduto fino a notte, davanti a una grande finestra […] Stamattina, è scappato il ragazzo, e ritorna questa notte. […] Magari avrà gli occhi pesanti e andrà a letto in silenzio […]   Ma il vecchio non si muove dal buio, non ha sonno la notte, e vorrebbe aver sonno e scordare ogni cosa come un tempo al ritorno dopo un lungo cammino. Il ragazzo […], non prende più schiaffi. Il ragazzo comincia a essere giovane e scopre ogni giorno qualcosa e no parla a nessuno. Non c’è nulla per strada che non possa sapersi stando a questa finestra. Ma il ragazzo cammina tutto il giorno per strada […]. Ogni volta ritorna. Il ragazzo ha un suo modo di uscire di casa che, chi resta, si accorge di non farci più nulla.

La lirica è impostata sulla contrapposizione tra un vecchio deluso alla fine del viaggio, che ormai può vedere il mondo solo attraverso una finestra e il giovane Ulisse all’inizio del nuovo viaggio che scappa, ritorna e scopre ogni giorno qualcosa. Il vecchio avendo vissuto più a lungo è dotato di quella esperienza che gli permette di cogliere tutta la realtà osservandola attraverso una finestra. In questa poesia si nota anche la difficoltà di comunicazione tra padre e figlio. Quando il figlio era piccolo suo padre poteva impedirgli di viaggiare con un semplice schiaffo, mentre adesso che il figlio è cresciuto, il padre non può più fermare la sua sete di conoscenza. Il figlio che comincia ad esser giovane non può condividere col padre quelle esperienze che contribuiranno nel tempo a formare la sua identità. Il padre, del resto, non vuole che il figlio viaggi perché in questi egli rivede se stesso e vorrebbe impedire al figlio di commettere gli stessi errori che ha commesso in passato dando origine e poi accrescendo continuamente a quella consapevolezza di cui è portatore ora, alla fine del suo percorso. Da questi due personaggi emerge la figura di Ulisse: un Ulisse all’inizio del viaggio desideroso di fare nuove conoscenze, rappresentato dal figlio; un Ulisse ormai vecchio e stanco che rivive le emozioni di nuove scoperte attraverso il figlio, rappresentato dal padre.

e il metaforico viaggio della vita Quando ti metterai in viaggio per Itaca devi augurarti che la strada sia lunga fertile in avventure e in esperienze.[…] Sempre devi avere in mente Itaca raggiungerla sia il pensiero costante. Soprattutto, non affrettare il viaggio; fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio metta piede sull’isola, tu, ricco dei tesori accumulati per strada senza aspettarti ricchezze da Itaca. Itaca ti ha dato il bel viaggio, senza di lei mai ti saresti messo in viaggio: che cos’altro ti aspetti? E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso. Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare. Kavafis e il metaforico viaggio della vita Nella poesia il termine Itaca ha valore di metafora ed indica qualsiasi meta ogni uomo vuole raggiungere. L’importante, infatti, non è tanto arrivare alla meta quanto vivere fino in fondo tutte le avventure che il viaggio ci offre, godendo delle belle esperienze e ricavandone insegnamenti. Se giungeremo ad Itaca ricchi, felici ed appagati non rimarremo delusi dalla meta, ma sentiremo di avere vissuto pienamente. Il poeta, infatti, non si lamenta per la brevità della vita perché la durata di essa dipende solo da noi: se il nostro viaggio, cioè la nostra esistenza sarà ricca di esperienze, aperta ad ogni avventura, allora durerà a lungo e il percorso per giungere alla meta finale risulterà soddisfacente.

La ricerca dell'Altrove Andiamo via, creatura mia, via verso l’Altrove. Lì ci sono giorni sempre miti e campi sempre belli. La luna che splende su chi là vaga contento e libero ha intessuto la sua luce con le tenebre dell’immortalità. Lì si incominciano a vedere le cose, le favole narrate sono dolci come quelle non raccontate, là le canzoni reali-sognate sono cantate da labbra che si possono contemplare. Il tempo lì è un momento di allegria, la vita una sete soddisfatta, l’amore come quello di un bacio quando quel bacio è il primo. Non abbiamo bisogno di una nave, creatura mia, ma delle nostre speranze finché saranno ancora belle, non di rematori, ma di sfrenate fantasie. Oh, andiamo a cercar l’Altrove!

Nella poesia il poeta si rivolge a qualcuno non definito che potrebbe essere un membro della sua famiglia, un suo conoscente o forse colui che sta leggendo la sua poesia. Gli propone di seguirlo nel mondo dell’Altrove, che simboleggia il mondo della fantasia. In questo luogo, finché i pensieri resteranno puri e felici, si ha la possibilità di scoprire un mondo ricco di serenità e gioia. Qui il tempo è solo un momento di allegria, e l’amore è stupendo come quello che si prova quando si dà il primo bacio. Il poeta dice anche che per raggiungere questo luogo non serve alcun mezzo di trasporto come navi munite di rematori, ma soltanto la propria immaginazione e le proprie speranze.

George Gray e la paura di alzare le vele Molte volte ho studiato la lapide che mi hanno scolpito: una barca con vele ammainate, in un porto. In realtà non è questa la mia destinazione ma la mia vita. Perché l'amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno; il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura; l'ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti. Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita. E adesso so che bisogna alzare le vele e prendere i venti del destino, dovunque spingano la barca. Dare un senso alla vita può condurre a follia, ma una vita senza senso è la tortura dell'inquietudine e del vano desiderio, è una barca che anela al mare eppure lo teme.

In questi versi il poeta Edgar Lee Master scrive l’epitaffio di George Gray e paragona la vita del defunto ad una barca con le vele ammainate ferma nel porto. Al protagonista, nel corso della sua vita si sono presentate diverse occasioni da cogliere: l’amore, il dolore e l’ambizione, ma questi non ha avuto il coraggio di viverle, per paura di provare dolore, di essere ingannato e di incappare in imprevisti. Il defunto, pertanto, giunge all’amara conclusione che la sua vita è stata inutile: ha capito, però, che dare un senso alla vita significa lasciarsi guidare dai venti del destino proprio come una barca che anela al mare eppure lo teme.

ITACA L. Dalla Capitano che hai negli occhi il tuo nobile destino pensi mai al marinaio a cui manca pane e vino capitano che hai trovato principesse in ogni porto pensi mai al rematore che sua moglie crede morto Itaca, Itaca, Itaca la mia casa ce l'ho solo la‘ ed a casa io voglio tornare dal mare, dal mare, dal mare Capitano le tue colpe pago anch'io coi giorni miei, mentre il mio più gran peccato fa sorridere gli dei e se muori è un re che muore la tua casa avra' un erede quando io non torno a casa entran dentro fame e sete Capitano che risolvi con l'astuzia ogni avventura ti ricordi di un soldato che ogni volta ha piu' paura ma anche la paura in fondo mi dà sempre un gusto strano se ci fosse ancora mondo sono pronto dove andiamo

Il cantautore Lucio Dalla utilizza il punto di vista del marinaio che domanda al suo capitano se si preoccupa mai del destino di tutti quei soldati che viaggiano insieme a lui. Il marinaio dice al suo capitano che vorrebbe tanto ritornare alla sua amata Itaca, dove sua moglie lo sta aspettando. Dice anche che è povero e che deve viaggiare per guadagnare i soldi necessari al sostentamento della sua famiglia. Infatti, se morisse lui, la sua famiglia non riuscirebbe a sopravvivere, mentre se morisse il capitano, è come se venisse a mancare un re: lascerebbe, pertanto, un erede e molte ricchezze. Nella canzone Dalla fa riferimento al mitico viaggiatore greco, anche se sceglie di non nominarlo mai. Ci sono, infatti, delle spie linguistiche che sono chiare allusioni al viaggio di Ulisse.

Ad esempio il termine capitano va riferito ad Ulisse, intraprendente condottiero; le principesse ci portano a pensare a tutte le donne che l’eroe ha incontrato nel suo viaggio: Calispo, Circe, Nausicaa; l’espressione nobile destino ben si adatta al viaggio di Ulisse stabilito dal Fato; il termine astuzia racchiude la caratteristica principale del personaggio: Ulisse è, infatti, l’uomo ingegnoso e curioso e la sua forza non è solo nel corpo, ma soprattutto nell’intelligenza.

E LA NOSTRA IDEA DI VIAGGIO?!?! Magari potessimo fare il giro del mondo! Passeremmo tutta la vita viaggiando e visiteremmo tutto, proprio tutto, dai posti più conosciuti alle piccolissime isole sperdute negli oceani, dalle terre desertiche ed inospitali agli artici freddi e desolati, dalle montagne più alte del mondo ai magnifici paesaggi sottomarini. Ogni luogo ha il suo fascino e la sua bellezza, non vorremmo perderne nemmeno uno e potremmo così conoscere altre culture, tradizioni e cibi diversi. Anche per quanto riguarda i mezzi di trasporto, se potessimo li utilizzeremmo tutti. Per le grandi distanze senza dubbio l’aereo, ma ci piacerebbe fare delle belle crociere in navi super attrezzate, o in barca a vela. E poi anche in treno, un bel giro sull’Orient Express non sarebbe male e ancora correre su una bella moto o passeggiare piano piano su una bicicletta per ammirare meglio il paesaggio. Per quanto riguarda l’itinerario andremmo a “casaccio”, seguendo desideri e stati d’animo del momento. Perché dopo una vita tutta programmata e piena d’impegni, sarebbe bello andare allo sbaraglio, senza programmi, vivendo giorno per giorno le avventure che possono capitarci!

ME NE VADO: COSA PORTO CON ME Mia sorella perché è la persona di cui mi fido di più La cattiveria dei miei amici, le liti Gli amici a cui sono più affezionata Il cellulare per rimanere in contatto con gli altri e poi perché con la mia sbadataggine mi perderei di sicuro Il computer con il mio gioco e il mio dvd preferito I vestiti, una palla da pallavolo e una rete per giocare nei momenti di noia Una mia foto da piccola

I miei amici perché con loro il tempo passa velocemente Un poster di Orlando Bloom, di Duncan L’affetto di tutti i miei cari La polenta perché non potrei sopravvivere senza Il mio cricetino, il mio cane perché mi offre sempre tanto affetto e mi tira su il morale quando sono triste L’allegria perché un viaggio senza allegria e felicità non è un viaggio: bisogna sempre essere contenti di partire alla scoperta di nuovi luoghi L’amore verso i miei genitori perché non voglio dimenticarmi di loro La pazienza perché serve sempre

Dante e il viaggio nell'oltretomba Del resto la Divina Commedia si presenta come un viaggio immaginario attraverso l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso. Dante racconta di essere stato prescelto a visitare l’oltretomba per poter poi narrare agli uomini ciò che ha visto. Durante questa sua esperienza, Dante incontra numerosi personaggi, ormai morti, e dialoga con loro: anime dannate per sempre, anime che si purificano e anime beate.

Questo viaggio nell’aldilà ha un significato simbolico perché rappresenta il faticoso cammino che l’anima del poeta compie per allontanarsi dal male e arrivare al bene. Ma ha anche un significato morale: non è il viaggio di un solo uomo, ma il cammino di tutta l’umanità che, dalla condizione di errore e di ignoranza, cerca di realizzare la pace e la giustizia sulla terra e di conquistare, dopo la morte, la beatitudine eterna. La missione di Dante poeta e il significato del suo poema è questo: mostrare agli uomini una via per arrivare a Dio e alla salvezza eterna.

Dedalo e il fascino del volo Il desiderio dell’uomo di trasgredire i limiti, di non fermarsi di fronte alle difficoltà si nota già in nel mito di Dedalo ed Icaro. Dedalo rappresenta, infatti, il padre ingegnoso che non riesce a resistere al fascino del volo, alla tentazione di attraversare l’aria libero come una creatura alata.

Il mito racconta che Dedalo, ormai stanco dell'odiosa prigionia, volle tentare a qualunque costo, l'evasione: “Che Minosse mi sbarri pure le vie di terra e d’acqua, ma almeno il cielo è sempre aperto. Sarà padrone di tutto ma non dell’aria!” Perciò Dedalo costruì per sé e per suo figlio due paia d'ali tessute di piume leggere; le attaccò con cera alle spalle e alle braccia di Icaro e se le fissò anch'egli al dorso, poi, rivoltosi al figliolo disse: "Seguimi Icaro! E non temere nulla: abbi soltanto cura di restare presso di me come un uccellino appena uscito dal nido.

LEONARDO E IL VOLO A partire dal celebre mito di Dedalo e Icaro, i racconti e le cronache registrano diversi tentativi compiuti da temerari sperimentatori: tutti questi proto-aviatori hanno in comune la scelta di utilizzare una coppia di ali, attaccate direttamente alle spalle o alle braccia o, applicate ad una vera e propria macchina volante, "come se si trattasse di un uccello che vola". Fin dall'inizio il volo è concepito come imitazione di quello naturale degli uccelli. Anche Leonardo segue lo stesso percorso, ma l'osservazione degli uccelli diventa la base per lo sviluppo di una teoria del volo che condizionerà la progettazione delle sue stesse macchine. Leonardo rivolge la sua attenzione anche all'aria, ai venti e al loro comportamento. Ed è proprio l'aver affrontato il problema del volo in un'ottica globale che differenzia Leonardo da contemporanei e predecessori.

L'interesse per il volo si manifesta in Leonardo intorno al 1482 L'interesse per il volo si manifesta in Leonardo intorno al 1482. L'osservazione degli uccelli lo convince che il volo non ha nulla di misterioso ma è un fenomeno meccanico, dovuto al colpo d'ala nell'aria. Il fatto che l'aria sia comprimibile, ed eserciti una resistenza in grado di sostenere un corpo, costituisce una delle intuizioni fondamentali di Leonardo che si convince che esiste anche per l'uomo la possibilità  di volare.

IL PARACADUTE Una delle prime applicazioni di questa intuizione è il paracadute costituito da una struttura rigida di forma piramidale, rivestita di tela, per renderla compatta e impermeabile all'aria.

LA VITE AEREA Un’altra invenzione di Leonardo è la vite aerea, un prototipo dell'elicottero. Un oggetto che si avviti al suo interno deve sollevarsi verso l'alto, esattamente come una vite. L'apparecchio si compone di una vite senza fine, di circa 10m, realizzata con una struttura in canne rivestita di tela e rinforzata da una bordura metallica. La vite è posta su un asse di rotazione, messo in movimento grazie alla spinta di alcuni uomini che camminano intorno ad esso.                                                                      

ORFEO ED EURIDICE

All'interno del viaggio che l'eroe compie alla ricerca della sua terra, si colloca un altro viaggio: quello nell'oltretomba. Più di una volta l'uomo ha fantasticato sulla possibilità di visitare l'Altro Mondo. La mitologia classica, ad esempio, ci ha raccontato la triste storia della discesa nell‘Ade del poeta e cantore Orfeo per cercare di riportare in vita la propria sposa Euridice. Dopo la morte della moglie Orfeo, impazzito dal dolore decide di scendere nell'Ade per cercare di strappare dal regno dei morti la bella Euridice. Dopo aver persuaso Caronte a traghettarlo, giunge alla  presenza di Ade e Persefone.

Al loro cospetto, Orfeo inizia a cantare la sua disperazione e la sua solitudine e, attraverso il canto, esprime tutto il suo dolore tanto da riuscire ad impietosire il crudele re di quel luogo che decide di restituirgli l’amata: “Orfeo –disse Ade- non possiamo resistere al tuo canto, perciò ti concediamo quello che chiedi. Ad una condizione, però: tu dovrai andare avanti ed Euridice ti seguirà, ma se ti volterai verso di lei prima di uscire dagli Inferi, la perderai per sempre”. E proprio l’eccessiva impazienza di riabbracciarla gliela farà perdere per sempre… Ed Ella, morendo per la seconda volta, non si lamentò; e di che cosa avrebbe infatti dovuto lagnarsi se non  d'essere troppo amata? Porse al marito l'estremo addio, che Orfeo a stento riuscì ad afferrare, e ripiombò di   nuovo nel luogo da cui s'era mossa" Ovidio, Metamorfosi, X, 61-63