Lezione n. 1. di diritto fallimentare anno accademico 2013/2014

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Lezione n. 1. di diritto fallimentare anno accademico 2013/2014 1. Introduzione Lezione n. 1. di diritto fallimentare anno accademico 2013/2014

Alcune considerazioni di carattere generale.

Il diritto fallimentare come diritto speciale La fattispecie dell’imprenditore commerciale insolvente o in crisi è all’origine dell’applicazione di un diritto speciale, che deroga il diritto sostanziale, come il diritto processuale.

Effetto di un accertamento costitutivo La regola speciale non discende semplicemente dalla fattispecie, ma come effetto di un accertamento costitutivo, da una pronuncia giudiziale (la dichiarazione di fallimento).

La ragione economica La ragione di questa specialità trae origine da una regola della scienza economica, che influenza quella giuridica: - la piccola o media impresa insolvente deve essere eliminata di autorità dal mercato ovvero dall’insieme delle sue relazioni giuridiche, per il rischio di contaminazione della insolvenza;

segue - la grande impresa, invece, come quella bancaria o assicurativa oppure che occupa un numero elevato di dipendenti, quando è insolvente deve, almeno sul piano oggettivo (perdendo la titolarità soggettiva), proseguire la sua attività, perché la sua soppressione crea un effetto di turbamento ancora più grave sul mercato.

segue - in entrambi i casi, sia che la terapia sia la soppressione, sia la continuità, gli effetti della insolvenza devono essere proporzionalmente ripartiti tra tutti i creditori, in egual misura, per cui se qualcuno si avvantaggia deve essere con strumenti appropriati allineato agli altri (par condicio creditorum).

la conversione della regola economica in giuridica Le regole economiche hanno modo di essere tradotte in regole giuridiche, nelle quali si sostanzia la specialità della materia, che sconfina dal diritto sostanziale al diritto processuale (il diritto fallimentare vive di entrambe le esperienze del diritto):

Alcune peculiarità Il diritto fallimentare presenta alcune peculiarità che devono subito essere messe in evidenza: - la compresenza di amministrazione e liquidazione; - il concorso; - la processualità; - il rilievo anche pubblicistico della materia.

1. Amministrazione e liquidazione Il problema dell’inadempimento del credito non può risolversi con la sola liquidazione, ovvero con la trasformazione in denaro del patrimonio dell’imprenditore e il susseguente riparto: la peculiarità del patrimonio che è l’azienda (art. 2555 c.c.) ovvero un bene produttivo rende necessaria la regolamentazione di una articolata fase di amministrazione dell’impresa. Quindi il diritto fallimentare si sostanzia non solo in liquidazione (come l’esecuzione individuale), ma anche in amministrazione dell’impresa. E’ perciò diritto processuale e diritto sostanziale: non è semplicemente esecuzione collettiva.

2. Il concorso dal lato attivo L’ulteriore corollario giuridico della centralità dell’impresa è il concorso dal lato attivo: tutti i beni che costituiscono l’universalità in cui si sostanzia l’azienda (ma non solo: anche i beni personali dell’imprenditore), sono senza esclusione ricompresi nell’attivo del fallimento.

3. Il concorso dal lato passivo La par condicio creditorum si traduce nelle regole del concorso, dal lato passivo, ovvero nella necessità che tutti i creditori partecipino al fallimento, nessuno escluso (viene regolato un apposito procedimento, scandito da termini perentori per favorire la partecipazione e il riconoscimento)

L’esdebitazione Il fenomeno della concorsualità deve essere vista anche dal lato dell’imprenditore, il quale, se persona fisica, gode dell’effetto esdebitativo al termine della procedura, ovvero di un effetto preclusivo del diritto dei creditori di pretendere nel futuro il pagamento della parte insoddisfatta del credito.

4. La processualità La fattispecie vive un continuo conflitto tra tre poli, l’imprenditore, i creditori e l’organo fallimentare, che è un terzo non un avente causa dell’imprenditore, questa conflittualità ha modo di emergere nella processualità che è insita in ogni istituto (rispetto della regola del contraddittorio): si qualificano infatti come procedure concorsuali.

Dinamica storica Alla processualità si è giunti a seguito di una evoluzione, che muove da una concezione amministrativa e non giurisdizionale del fallimento, dall’emergere di forme proprie della volontaria giurisdizione, che fanno da sponda all’ultima evoluzione, ove il rito camerale diventa in realtà contenzioso in forme ordinarie seppure speciali.

5. Il rilievo pubblicistico La regola economica, con la soppressione dell’impresa insolvente e la distribuzione proporzionale delle conseguenze sul ceto creditorio, impone il prevalere di interessi pubblici nel diritto fallimentare, che per questo è considerata materia appartenente al diritto pubblico piuttosto che al diritto privato.

Il rilievo privatistico Tuttavia, pensare al diritto fallimentare solo come espressione del diritto pubblico, è compiere una ricostruzione errata sul piano sistematico, poiché la materia – particolarmente dopo le riforme degli anni 2005/2006/2007/2012/2013 – ha dato rilievo particolare all’interesse privato, ciò che consente di ritenere la sua appartenenza al diritto privato.

Il dominio dei creditori Sia nella disposizione (art. 118, n. 1) che stabilisce la chiusura del fallimento in difetto di una domanda di insinuazione al passivo dei creditori, e sia nella disposizione che affida oggi un ruolo centrale del comitato dei creditori nella gestione e amministrazione indiretta dell’impresa, grazie al potere autorizzatorio degli atti del curatore, emerge l’assoluto rilievo dell’interesse del ceto creditorio nel diritto fallimentare

La soluzione privatistica dell’imprenditore o di terzi alla crisi Esiste poi l’accentuazione delle forme di risoluzione della crisi mediante atto di autonomia privata (procedure ex contractu: accordi di ristrutturazione e concordati) piuttosto che mediante atti autoritativi ex lege (il fallimento, la l.c.a., l’amministrazione straordinaria), sino a prevedere una espansione della risoluzione negoziale fuori dallo schema imprenditore-creditori, ma su iniziativa dei soli creditori o di un terzo passata al vaglio di fattibilità degli organi fallimentari nel concordato fallimentare.

L’evoluzione legislativa: dalla legge fallimentare del 1942 alla riforma dei primi anni 2000

Il fallimento come illecito Secondo l’impostazione originaria della legge del 1942 (r.d. 16 marzo 1942, n. 267), ispirata al contesto ideologico dei principi dell’autonomia autarchica proprio del ventennio fascista, il fallimento viene concepito come illecito dell’imprenditore, il quale attenta con l’insolvenza il bene supremo dell’economia nazionale.

Il fallimento come sanzione Ne discende l’applicazione di sanzioni a carico dell’imprenditore come: La soppressione dell’impresa; La limitazione dei diritti fondamentali dell’imprenditore: obbligo di residenza ;limiti al diritto di corrispondenza; perdita di diritti elettorali; impossibilità di svolgere certe professioni ed attività economiche; Iscrizione dell’imprenditore nel registro dei falliti ex art. 50, come marchio di infamia.

Il fallimento come diritto speciale Con la riforma dei primi anni 2000 (legge n. 80 del 2005; d. lgs. nn. 5 del 2006 e 169 del 2007) il fallimento costituisce un diritto speciale, derogativo del diritto comune, da applicare alla fattispecie dell’imprenditore commerciale insolvente, in funzione delle regole economiche a cui attinge necessariamente il diritto.

Le sorti dell’impresa L’impresa non è più destinata esclusivamente alla cessazione, ma l’istituto della gestione provvisoria dell’impresa fuori delle necessità liquidatorie in senso stretto, quando vi sono i sintomi di una crisi reversibile; la nomina di un curatore reclutato nei manager d’impresa; la salvezza dei pagamenti ordinari contro la revocatoria effettuati nell’esercizio dell’impresa; anche in sede liquidatoria la valorizzazione di una cessione dell’azienda e/o di un ramo d’azienda o di rapporti o di diritti in blocco, testimoniano la ben diversa attenzione che il legislatore dedica all’impresa.

Il fallimento come beneficio dell’imprenditore L’imprenditore subisce il fallimento traendone benefici come l’esdebitazione e subisce limitazioni alla propria libertà solo esclusivamente funzionali alle esigenze degli organi fallimentari.

Il prevalere della natura privatistica del fallimento L’impostazione pubblicistica di un illecito sanzionato viene abbandonata verso un’impostazione privatistica in cui è dato assoluto rilievo alla risoluzione con strumenti negoziali: - i piani di risanamento certificati, atti unilaterali dell’imprenditore esentati dall’azione revocatoria (art. 67/3); gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis) forme di concordati con rito breve, particolarmente potenziati dalla più recente legislazione; Il concordato preventivo e fallimentare, privo di limitazioni di contenuto e lasciato alla totale libertà di espressione degli accordi tra imprenditore e creditori, soggetto ad un controllo di sola fattibilità e non più di opportunità da parte dell’organo giurisdizionale e promuovibili anche su iniziativa dei creditori di terzi nel fallimento.

Le novità sul piano processuale Le esigenze di celerità della procedura funzionali alla rapidità di liquidazione dell’impresa e di soddisfacimento in forma paritetica dei creditori, danno ragione della diversità di regole applicabili al processo di cognizione nel diritto fallimentare.

Il processo fallimentare ante riforma Il rito fallimentare si contraddistingueva: Per la diffusa utilizzazione del rito camerale di volontaria giurisdizione (nel modello puro), sia nella concezione originaria di un fallimento-amministratore di interessi,sia di un fallimento-tutela dei diritti; La utilizzazione dello schema cognizione sommaria-cognizione ordinaria, che mutua dal procedimento monitorio. Una fase a cognizione sommaria che si conclude con un decreto cui segue, mediante opposizione, un giudizio a cognizione piena.

L’abbandono del modello cognizione sommaria-cognizione piena Dopo le riforme degli anni 2006 e 2007 viene abbandonato il modello cognizione sommaria-cognizione piena, che non ha più modo di essere rinvenuto nella legge fallimentare, sia nel processo per la dichiarazione di fallimento, e sia nel processo per l’accertamento del passivo.

La preferenza verso il modello camerale Il modello a cui attinge la riforma è quello del rito camerale adottato nella volontaria giurisdizione ma che prestato alla giurisdizione assume una disciplina tanto articolata e aperta alle regole del giusto processo del contraddittorio da fuoriuscire dallo schema del procedimento monitorio puro regolato dagli artt. 737 e ss c.p.c.

Il modello camerale ibrido Ne nasce un modello processuale ove il rito camerale è richiamato solo come etichetta, ma nella sostanza viene introdotto un processo a cognizione piena con rito speciale, con la complicazione costituita da una diversificazione di modelli camerali per ogni diversa esperienza processuale: la dichiarazione di fallimento; l’accertamento del passivo; i reclami avverso gli organi fallimentari; il procedimento di omologa del concordato; i procedimenti di riparto; la chiusura del fallimento e il rendiconto.

Il problema costituzionale La riforma risponde così ai dubbi di costituzionalità del rito camerale quando è adottato nel rito contenzioso: Scarsa disciplina legislativa (regole abbandonate alla discrezionalità del giudice); Abbandono delle garanzie del giusto processo;

Le soluzioni della riforma Attraverso la riscrittura dei riti camerali, trasformati in processi a cognizione piena di rito speciale, il legislatore fa salvo: - un’articolata disciplina del processo in ossequio alla riserva di legge ex art. 111 Cost.; - i principi e le garanzie del giusto processo.

Il metodo Sul piano metodologico, nel rappresentare sistematicamente il rilievo privatistico della disciplina e le forme adattate ai principi costituzionali, è necessario distinguere tra procedure ex lege interamente dominate dalla legge, dalle procedure ex contractu (gli accordi e i concordati), dominati dalla determinazione contrattuale della regola applicabile all’imprenditore in crisi.

Alcune considerazioni sulle fonti In relazione alle fonti della materia, oltre alla legge del 1942 e le novelle del 2005/2006/2007/2012/2013 è da ricordare l’importanza in disciplina di un regolamento comunitario (n. 1346/2000), il quale nelle imprese transfrontaliere disciplina una procedura principale e una procedura secondaria e introduce alcune fondamentali regole sul coordinamento delle procedure.