Il sistema delle autonomie (cenni storici)

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Il sistema delle autonomie (cenni storici) Lo Stato italiano nasce come un sistema accentrato e rifiuta il modello di forma di Stato di tipo federale (da qualcuno pur tuttavia propugnato: il Cattaneo). Lo statuto albertino, che diventa la costituzione del nuovo Stato, prevede accentramento dei poteri ed implica uniformità di assetto per tutti i Comuni (a prescindere dalle loro caratteristiche e dimensioni). Ci si ispira in sostanza al modello napoleonico, che affida ai prefetti (organi decentrati del governo) il ruolo di autorità chiave sul territorio. Le cose cominciano a cambiare agli albori del nuovo secolo, ma su questo processo cala il maglio del fascismo con la sua concezione statolatra. In questo periodo vengono emanati i due testi unici sulle autonomie locali del 1915 e del 1934, che governeranno a lungo organizzazione e funzionamento degli enti locali e che risultano ispirati al principio che non può essere ammesso nessun indirizzo politico autonomo rispetto a quello statale.

Il sistema delle autonomie (cenni storici) In sede di Assemblea Costituente ci furono discussioni molto accanite riguardo al se e come dar vita ad un “sistema” delle autonomie. In particolare non si condivideva l’idea di un ampio pluralismo istituzionale, pensando che le profonde riforme concepite da alcuni sui rapporti etico-sociali (ed accettate con difficoltà) potessero essere ostacolate da enti di grandi dimensioni e dotati di attribuzioni rilevanti. Tant’è che lo statuto della prima Regione (la Sicilia) venne varato solo sull’onda dei moti separatisti. In effetti la Regione non sorge “federalisticamente” in quanto è lo Stato che ne approva lo statuto; tuttavia, pur nel disegno iniziale, le Regioni avrebbero dovuto rappresentare qualcosa di più di enti amministrativi dotati di semplice autonomia.

Il sistema delle autonomie (cenni storici) Le disposizioni costituzionali più espressive del profondo mutamento intervenuto rispetto ai modelli precedenti possono identificarsi negli artt. 5 e 114 della Costituzione. L’art. 5, da una parte afferma con nettezza il principio dell’unità ed indivisibilità della Repubblica, ma, dall’altra parte, individua pure come valori costituzionali l’autonomia locale ed il decentramento amministrativo. Né può sfuggire che, riferendosi alle autonomie locali, la Costituzione adoperi l’espressione “riconosce e promuove”, che è considerata espressiva della preesistenza di quelle situazioni rispetto allo stesso ordinamento statale. Le autonomie locali sono considerate, quindi, come le entità organizzative nelle quali si struttura spontaneamente la popolazione residente su un territorio.

Il sistema delle autonomie (cenni storici) L’art. 114 precisava che la “Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni” (nel nuovo testo, approvato a seguito della riforma costituzionale del 2001: “la Repubblica è costituita da Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato”), con ciò individuando questi enti come articolazioni necessarie del complessivo ordinamento repubblicano. L’Assemblea Costituente, recependo il modello precedente, aveva disegnato un’amministrazione di tipo “binario”, e non ispirata al modello dell’autogoverno di tipo inglese, nel quale gli organi rappresentativi delle comunità locali sono titolari e responsabili di tutte le funzioni pubbliche di tipo amministrativo (purché non attribuite ad organi dell’amministrazione centrale dello Stato).

Il sistema delle autonomie (cenni storici) In Costituzione erano previsti due diversi tipi di disciplina dell’autonomia regionale: - da una parte il regime giuridico fondamentale di quindici Regioni (denominate ad autonomia ordinaria); - dall’altra il regime previsto dall’art. 116 Cost., che riserva ad apposite leggi costituzionali l’adozione di statuti speciali, che garantiscano “forme e condizioni particolari di autonomia” a cinque Regioni. La riforma costituzionale del 2001 (modificando il testo dell’art. 116) ha poi consentito che ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia possano essere attribuite ad altre Regioni nelle materie di legislazione concorrente e nell’organizzazione della giustizia di pace, oltre che in tema di norme generali sull’istruzione e di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. A disporlo è una legge dello Stato, adottata su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali e nel rispetto dell’art. 119 Cost.

Il sistema delle autonomie (cenni storici) Per le Regioni ad autonomia particolare vengono approvati gli statuti subito dopo l’entrata in vigore della Costituzione, laddove il Parlamento dimostra di non voler procedere in tempi altrettanto brevi all’istituzione delle altre Regioni ad autonomia ordinaria. Il ritardo viene motivato dalla necessità di procedere ad una preventiva approvazione di una serie di leggi necessarie al funzionamento delle Regioni (relative a disposizioni integrative di quelle costituzionali sugli organi regionali, al procedimento elettorale per la formazione dei Consigli Regionali, alle disposizioni sulla finanza regionale), e diventa, col tempo, clamoroso almeno per le seguenti ragioni.

Il sistema delle autonomie (cenni storici) Le Regioni ad autonomia particolare finirono per apparire enti del tutto atipici e quindi le loro funzioni vennero non poco ridimensionate anche per la necessità di mantenere nei settori indicati negli statuti delle regioni ad autonomia particolare come di competenza di queste ultime, apparati e politiche statali a valere per tutte le altre Regioni. L’espansione dell’amministrazione pubblica nel periodo della ricostruzione postbellica interviene secondo moduli organizzativi di tipo accentrato. La legislazione attuativa del disegno costituzionale risulta ispirata alla volontà di restringere quanto previsto dagli statuti speciale per le R. ad autonomia particolare e dalla Costituzione per le regioni ad autonomia ordinaria.

Il sistema delle autonomie (cenni storici) Se ciò avviene sul versante regionale, la legislazione in materia di enti locali resta in sostanza quasi immutata rispetto all’ordinamento precostituzionale, anche perché la mancata istituzione delle Regioni sull’intero territorio nazionale viene addotta a giustificazione dell’impossibilità di dar vita ad una riforma distinta ed anticipata per Comuni e Province. E’ solo con la decisione, formalizzata nella legge 281/1970, di far svolgere le elezioni per i Consigli delle Regioni ad autonomia ordinaria che la situazione si rimette in movimento. Viene sostituita la discussa disposizione della legge n. 62/1953, che richiedeva la previa esistenza di leggi cornice per consentire alle Regioni di legiferare, con il principio che ci si potesse riferire –in alternativa- ai principi legislativi comunque deducibili dalle leggi vigenti e vengono abrogate tutte quelle disposizioni della legge 62/1953, che condizionavano le scelte statutarie delle Regioni.

Il sistema delle autonomie (cenni storici) Si crea un forte schieramento di amministratori regionali e locali che rivendicano un ruolo non secondario per le Regioni. Questo movimento spinge all’approvazione parlamentare degli statuti ed all’approvazione di una delega legislativa al Governo per l’adozione degli atti necessari al trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative di loro competenza, dei relativi apparati in termini di personale e dei mezzi finanziari correlati. Nella seconda fase di delega, ossia quella di completamento, (L. 382/1975 e D.Lgs. 616/1977) l’area dei settori di intervento delle Regioni si espande attraverso la delega di funzioni amministrative, ma –al tempo stesso- va affermandosi una linea di compressione del grado di autonomia riconosciuto alle Regioni. Così nasce il potere governativo di “indirizzo e coordinamento” dell’amministrazione regionale. Viene compressa l’autonomia legislativa regionale attraverso le leggi di principio. Si costruisce un sistema di finanziamento delle Regioni dipendente dal centro.

Il sistema delle autonomie (cenni storici) A ben vedere molte delle scelte (non sempre lineari) di quegli anni e dei periodi più recenti sono frutto dell’ondeggiamento fra una spinta alla valorizzazione del ruolo di governo locale delle Regioni ed una diffidenza, di segno contrario, nei confronti di un accentramento di poteri locali a livello regionale, ritenuto eccessivo. La tesi di una necessaria separatezza tra questi due livelli è stata sostenuta a livello nazionale in funzione antiregionale, ma si è dimostrata inadeguata rispetto al naturale ruolo di coordinamento unitario della Regione con riguardo al sistema di amministrazione locale operante nell’ambito del suo territorio.

Il sistema delle autonomie (cenni storici) Così, mentre la L. 142/1990 sembrava riconoscere un forte ruolo alle Regioni nei poteri di programmazione dello sviluppo locale e nel riparto delle funzioni tra i diversi enti, le leggi successive (ossia le c.d. leggi “Bassanini” 59 e 127/1997, nonché la legge 265/1999, che modifica la 142/1990) tendono a rafforzare direttamente il ruolo degli enti locali . Questo gruppo di leggi sembra fondato su una lettura innovativa del testo costituzionale , quantomeno sotto due profili:

Il sistema delle autonomie (cenni storici) Anzitutto non si utilizza l’elenco dell’art. 117 della Costituzione per delimitare l’area di competenza regionale e locale, ma si elencano le funzioni statali che vengono escluse dal processo di conferimento a Regioni ed enti locali in modo da giungere alla tendenziale attribuzione ad un unico ente sia di tutte le funzioni di amministrazione locale, sia di buona parte di quelle esercitate finora dall’amministrazione decentrata dello Stato In secondo luogo si parla di “conferimento” di funzioni, ricomprendendo in detto termine i diversi istituti del trasferimento, della delega o dell’attribuzione di funzioni e compiti. Primo tra i diversi criteri per il conferimento delle funzioni è il principio di sussidiarietà, che implica la tendenziale attribuzione della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative “alle autorità tendenzialmente e funzionalmente più vicine ai cittadini interessati”.

La forma di governo regionale La Costituzione (come modificata con legge di revisione costituzionale 22 novembre 1999, n. 1) pone alcuni punti fermi in tema di governo regionale ed indica (art. 121) gli organi indefettibili della Regione. Il Presidente della Giunta Regionale, salvo che lo statuto disponga diversamente, è eletto a suffragio universale e diretto. Il Presidente eletto nomina e revoca i componenti della Giunta. Il Consiglio Regionale è titolare dei poteri legislativi. La Giunta Regionale è l’organo esecutivo della Regione Il Presidente della Giunta Regionale svolge funzioni rappresentative della Regione, dirige la politica generale della Giunta, dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alle Regioni, conformandosi alle istruzioni del Governo.

Lo Statuto regionale Quanto ai suoi contenuti, come chiarisce il nuovo testo dell’art. 123, lo statuto disciplina la forma di governo ed i principi fondamentali di organizzazione e di funzionamento della regione, nonché l’esercizio del diritto di iniziativa popolare, i referendum, le modalità di pubblicazione delle leggi e dei regolamenti, il Consiglio delle autonomie locali come organo di consultazione tra regione ed enti loc. Quanto al procedimento è previsto che lo statuto sia approvato dal Consiglio con voto a maggioranza assoluta in due successive deliberazioni ad almeno due mesi la seconda dalla prima. Il Governo può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte entro trenta giorni dalla sua pubblicazione. Quanto ai vincoli accanto a quelli relativi ai suoi specifici contenuti, l’art. 123 indica il limite generale dell’”armonia con la Costituzione”. Fermo restando che ogni statuto non può che rispettare la Costituzione, “armonia” implica consonanza di fondo, quasi un “concetto valvola”, atto a permettere un più penetrante controllo della Corte.

Le funzioni legislativa ed amministrativa (cenni) L’art. 117 della Costituzione, che disciplina l’esercizio della potestà legislativa tra Stato e Regioni, secondo il nuovo testo costituzionale ha invertito lo schema con cui, in precedenza, venivano enumerate le competenze legislative, nel senso che allo Stato tocca la competenza esclusiva in un ambito di materie individuate ex comma 2, il terzo comma prevede le materie di legislazione concorrente tra Stato e Regioni, ribadendo che alla Regione spetta di legiferare in queste materie, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali che è riservata allo Stato. Spetta, infine, alle Regioni una potestà legislativa c.d. residuale in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.

Le funzioni legislativa ed amministrativa (cenni) La potestà regolamentare (chiarisce il comma 6 dell’art. 117) spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. Spetta alle Regioni in ogni altra materia (al riguardo viene ripreso il principio del c.d. parallelismo delle funzioni). I Comuni, le Province e le Città Metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine all’organizzazione ed allo svolgimento delle funzioni loro attribuite. Quanto alle funzioni amministrative, esse sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città Metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.

L’autonomia finanziaria e fiscale (cenni) Le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa (art. 119, c. 1). Hanno, inoltre, un proprio patrimonio e possono contrarre debiti, ma solo per investimenti, non per fronteggiare le spese correnti. Le risorse delle Regioni e degli enti autonomi sono di triplice ordine: a) risorse autonome derivano cioè da tributi o entrate proprie e dalla compartecipazione al gettito dei tributi statali riferibili al loro territorio secondo il principio che le somme devono restare o tornare almeno in parte alle comunità che le producono; b) risorse derivanti da un fondo perequativo, che la legge statale può istituire per garantire risorse aggiuntive agli enti la cui capacità fiscale pro capite è più bassa (senza vincolo di destinazione); c) risorse derivanti da trasferimenti aggiuntivi (art. 119, c. 5) che lo Stato destina a favore di specifiche Regioni o Enti locali per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale (qui il vincolo di destinazione sussiste).

La forma di governo regionale L’art. 126, comma 2 della Costituzione prevede che il Consiglio Regionale può esprimere la sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta con una mozione, da approvare con determinate formalità. L’approvazione della mozione di sfiducia così espressa, nonché la rimozione, l’impedimento permanente, la morte o le dimissioni volontarie dello stesso comportano le dimissioni della Giunta, nonché lo scioglimento del Consiglio (norma c.d. antiribaltone).