La vita fugge et non s’arresta un’hora
Il sonetto e la PARAFRASI La vita fugge et non s’arresta un’hora, et la morte vien dietro a gran giornate, et le cose presenti et le passate mi dànno guerra, et le future anchora; e ‘l rimembrare et l’aspettar m’accora, or quinci or quindi, sì che ‘n veritate, se non ch’io ò di me stesso pietate, i’ sarei già di questi pensier’ fora. Tornami avanti, s’alcun dolce mai ebbe ‘l cor tristo; et poi da l’altra parte Veggio al mio navigar turbati i vènti; veggio fortuna in porto, et stanco omai Il mio nocchier, et rotte arbore et sarte, Et i lumi bei che mirar soglio, spenti. La vita scorre via e non si ferma mai e la morte viene dietro a grandi passi e le cose presenti e passate mi tormentano così come le future. Ricordare il passato e pensare al futuro mi angoscia, da una parte all’altra al punto che, se non avessi pietà per me stesso sarei già morto. Mi torna in mente qualche pensiero felice , che ebbe il mio cuore triste e dall’altra parte vedo venti contrari (cioè il futuro) che vanno contro la mia navigazione. Vedo una tempesta («Fortuna») in porto, il mio pilota («nocchier») è stanco e vedo gli alberi rotti e le corde di rinforzo («Sarte», in italiano «sartie») e le belle luci che sono solito ammirare, sono spente.
Analisi metrica La vita fugge et non s’arresta un’hora, et la morte vien dietro a gran giornate, et le cose presenti et le passate mi dànno guerra, et le future anchora; e ‘l rimembrare et l’aspettar m’accora, or quinci or quindi, sì che ‘n veritate, se non ch’io ò di me stesso pietate, i’ sarei già di questi pensier’ fora. Tornami avanti, s’alcun dolce mai ebbe ‘l cor tristo; et poi da l’altra parte Veggio al mio navigar turbati i vènti; veggio fortuna in porto, et stanco omai Il mio nocchier, et rotte arbore et sarte, Et i lumi bei che mirar soglio, spenti. Struttura paratattica Una serie di sintagmi uniti tra loro per coordinazione. Anafore («veggio» vr 11 e 12) I tempi verbali Sono tutti al presente, tranne nell’ultimo verso «mirar» è passato . Rime incrociate nelle quartine ABBA;ABBA Il ritmo, grazie alla struttura Paratattica è serrato. Riflette l’immagine della corsa Della vita verso la morte. Rime ripetute CDE ; CDE =enjambement
Figure retoriche La vita fugge et non s’arresta un’hora, et la morte vien dietro a gran giornate, et le cose presenti et le passate mi dànno guerra, et le future anchora; e ‘l rimembrare et l’aspettar m’accora, or quinci or quindi, sì che ‘n veritate, se non ch’io ò di me stesso pietate, i’ sarei già di questi pensier’ fora. Tornami avanti, s’alcun dolce mai ebbe ‘l cor tristo; et poi da l’altra parte Veggio al mio navigar turbati i vènti; veggio fortuna in porto, et stanco omai Il mio nocchier, et rotte arbore et sarte, Et i lumi bei che mirar soglio, spenti. Metafore Sulla vita navigazione e il movimento dei venti Sui pensieri che portano angosce a Petrarca Gli occhi di Laura chiusi («I lumi bei») Personificazione Della vita e della morte
Temi del sonetto Questo sonetto appartiene alla seconda raccolta del canzoniere, ovvero le composizioni scritte dopo la morte di Laura. Tuttavia, anche se ci sono dei riferimenti alla sua morte, non è quello il tema centrale. Petrarca parla infatti della corsa della vita che fugge veloce, di un passato travagliato e di un futuro altrettanto difficile. Ci sono metafore sulla navigazione, che aveva già usato il precedenza in altri sonetti («I’vo piangendo i miei passati tempi»). Vengono usate per far intendere il viaggio della vita. Ci sono anche accenni al suicidio. A differenza della prima raccolta, infatti ci sono delle riflessioni filosofiche sulla brevità della vita e sull’inutilità del ricordo. In un breve istante, si pensa anche al suicidio. Il sonetto si conclude in una maniera meno tragica rispetto alla disperazione descritta prima. La scena finale è infatti rappresentata con luci spente, che Petrarca era solito ammirare. Luci, che simboleggiano gli occhi ormai spenti di Laura La vita fugge et non s’arresta un’hora, et la morte vien dietro a gran giornate, et le cose presenti et le passate mi dànno guerra, et le future anchora; e ‘l rimembrare et l’aspettar m’accora, or quinci or quindi, sì che ‘n veritate, se non ch’io ò di me stesso pietate, i’ sarei già di questi pensier’ fora. Tornami avanti, s’alcun dolce mai ebbe ‘l cor tristo; et poi da l’altra parte Veggio al mio navigar turbati i vènti; veggio fortuna in porto, et stanco omai Il mio nocchier, et rotte arbore et sarte, Et i lumi bei che mirar soglio, spenti.
Collegamenti - Francesco Petrarca - Erano i capei d’oro a l’aura sparsi - Purgatorio, Canto IV – Il tempo fugge e l’uom non se ne avvede - Lorenzo de’ Medici – Quant’è bella giovinezza - Umberto Saba - Ulisse