DIRITTO TRIBUTARIO
Diritto tributario Il diritto tributario è per definizione quel settore dell’ordinamento che disciplina i tributi. Complesso di norme e principi che presiedono all’istituzione e all’attuazione del tributo.
Rientrano nel diritto tributario sia le norme che disciplinano l’esercizio e i limiti della potestà normativa tributaria sia le norme che disciplinano l’attuazione del prelievo attraverso l’accertamento, la riscossione e via via l’applicazione delle sanzioni e la tutela contenziosa.
Nella disciplina di ogni tributo possiamo distinguere una disciplina sostanziale (Diritto Tributario in senso stretto) ed una disciplina (in senso assai lato) formale. Diritto Tributario in senso stretto: complesso di norme che, di un tributo, stabiliscono il presupposto, le esenzioni, i soggetti passivi, la misura. Diritto tributario in senso lato: complesso di norme che disciplinano l’istituzione e l’applicazione del tributo (accertamento, riscossione, rimborsi), cui si accompagnano norme punitive e processuali. (Tesauro)
Il diritto tributario è una branca del diritto finanziario (complesso di norme che regolano la raccolta, la gestione e l’erogazione di mezzi finanziari pubblici), che a sua volta è parte del diritto amministrativo.
Il fenomeno finanziario è stato storicamente studiato con: Metodo economico (applicazione al fenomeno finanziario dei principi dell’economia classica sugli effetti economici delle imposte) Metodo giuridico (dottrina tedesca): utilizzo strumenti di indagine giuridici (in modo particolare privatistici) Metodo integrato (scuola di Pavia): studio dei molteplici profili giuridici, economici, politici e tecnici del fenomeno finanziario.
Attuale superamento dei suddetti metodi e netta distinzione tra il diritto tributario e la scienza delle finanze. Esclusione dallo studio del diritto tributario di ogni elemento metagiuridico.
Autonomia scientifica e didattica del diritto tributario La dottrina ha così individuato, nell’ambito del diritto finanziario, l’autonomo corpo di norme riferite alle entrate coattive (imposte in virtù della potestà di imperio) a carattere contributivo: il diritto tributario.
Quindi, da un lato non si accoglie l’impostazione per cui vi rientra tutta la materia delle pubbliche entrate, ad eccezione della gestione del denaro pubblico (quest’ultima riservata alla Contabilità di Stato), né all’opposto quella tedesca per cui vi rientrerebbe solo lo studio dell’imposta, in quanto l’unica connotata da autoritatività allo stato puro.
Oggi non si dubita più dell’autonomia scientifica del diritto tributario, data l’importanza del tributo nell’ambito dell’ordinamento statuale e la possibilità di individuare principi comuni che disciplinano questo settore del diritto. Principi comuni: principi costituzionali (in primis art. 53 Cost.) e non, diretti a disciplinare la ripartizione dei carichi pubblici, contemperando l’interesse generale della collettività all’acquisizione dell’entrata e quello individuale all’integrità patrimoniale.
Affermata l’autonomia scientifica e didattica del diritto tributario, se ne può affermare la diversità rispetto alla scienza delle finanze, diretta a studiare le leggi economiche che disciplinano il fenomeno finanziario, che quindi è un prius rispetto allo studio giuridico del tributo. Il legislatore tributario vuole raggiungere con i suoi interventi risultati economici, che derivano anche dal tributo. Pertanto scienza delle finanze e diritto tributario, benché non siano due facce dello stesso fenomeno, hanno punti di contatto, pur rimanendo due scienze distinte.
Particolarismo del diritto tributario Parte della dottrina ha individuato il particolarismo del diritto tributario, più che con riferimento ad un nucleo di principi generali comuni a questo settore dell’ordinamento, sottolineandone la strumentalità (il diritto tributario non realizzerebbe immediatamente fini pubblici), nonché il rafforzamento dei poteri amministrativi e l’importanza dei controlli.
Critica alla strumentalità come carattere peculiare del diritto tributario Sia in altri settori dell’ordinamento che in ambito tributario vi sono ipotesi di prestazioni coattive meramente finalizzate al prelievo ed altre che uniscono ulteriori finalità al prelievo. La strumentalità non è quindi caratteristica esclusiva del diritto tributario.
L’art. 23 Cost.: la nozione di prestazione imposta Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.
L’art. 23 Cost. individua: prestazioni personali imposte prestazioni patrimoniali imposte
Prestazioni personali imposte Si sostanziano in attività comportanti l’esplicazione di energie fisiche ed intellettuali con conseguente limitazione per il privato della possibilità per il privato della possibilità di determinare liberamente la destinazione delle energie medesime.
Esempi Sevizio militare/servizio civile Gratuito patrocinio per gli avvocati Obbligo di comparire in giudizio come testimone Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale non è rilevante che la prestazione sia suscettibile di valutazione economica.
Prestazioni patrimoniali imposte Rilevano per la loro attitudine a produrre una decurtazione del patrimonio privato. La decurtazione patrimoniale può discendere tanto dalla perdita di un diritto reale o di un diritto di credito quanto dalla nascita di un’obbligazione avente ad oggetto anche beni diversi dal denaro.
Requisiti prestazioni patrimoniali imposte Coattività Decurtazione patrimoniale
Coattività La disciplina del rapporto Ente-soggetto è autoritativa, ossia discende da un atto dell’autorità: non è cioè lasciata alla libera determinazione delle parti.
Decurtazione patrimoniale Le prestazioni patrimoniali imposte determinano una diminuzione del patrimonio del privato. La dottrina e la giurisprudenza della Corte costituzionale hanno individuato nella attitudine ad incidere sul patrimonio del privato la ratio della norma. Tale funzione può concorrere con altre, ma non può essere meramente strumentale alla realizzazione di finalità ulteriori.
Le sanzioni pecuniarie Sono prestazioni patrimoniali imposte in quanto il risultato ultimo perseguito dalla norma sanzionatoria consiste nella decurtazione del patrimonio del soggetto. La loro disciplina è assorbita da quella più garantistica dell’art. 25 Cost.
Espropriazione per pubblica utilità Non è prestazione patrimoniale imposta in quanto, pur producendo effetti ablatori sul patrimonio del privato: non è destinata al suo depauperamento ma a sostituire in esso beni o diritti con l’equivalente in denaro o altri beni per realizzare un rilevante interesse pubblico Essa trova copertura costituzionale negli artt. 41 ss. Cost.
La Corte costituzionale considera prestazioni imposte anche i corrispettivi di fonte contrattuale, in tutti i casi in cui vi siano profili autoritativi nella disciplina delle contrapposte prestazioni ed, in particolare, quando il corrispettivo è fissato unilateralmente (in regime di monopolio) ed al privato è rimessa la sola libertà formale (astratta) di richiedere o non richiedere la prestazione, rinunciando al soddisfacimento di un bisogno essenziale.
… segue Si tratta di prestazioni non imposte con atto autoritativo (prestazioni imposte in senso formale), ma la cui disciplina presenta profili di autoritatività (imposizioni in senso sostanziale).
(… segue) Esempi: Tariffe telefoniche Tariffe elettriche Tariffe dell’assicurazione obbligatoria delle auto Etc.
Tributi Tutti i tributi sono prestazioni imposte. Essi sono preordinati al riparto delle spese pubbliche tra i consociati e, in quanto attuati tramite assetti autoritativi, comportano, oltre all’applicazione dell’art. 53 Cost., anche l’applicazione della disciplina costituzionale propria delle prestazioni imposte (art. 23 Cost). Le prestazioni imposte non sono solo tributi.
La nozione di tributo Nel linguaggio comune, i termini “tributo”, “imposta”, “tassa” e “contributo”, sono usati come sinonimi. Nel linguaggio giuridico, invece, imposte, tasse e contributi sono figure distinte, che rientrano nella più ampia nozione di tributo (nell’ambito della quale alcuni autori ricomprendono anche il monopolio fiscale). Al fine di inquadrare compiutamente le categorie in oggetto, è pertanto necessario definire prioritariamente il concetto di tributo.
Il tributo Il tributo può esser qualificato come una prestazione patrimoniale imposta atta a determinare il concorso di tutti al finanziamento della spesa pubblica.
Si tratta, pertanto, di un’entrata acquisita iure imperii (Viotto), o coattiva (Gaffuri), o autoritativa (Fantozzi), ossia un’entrata la cui obbligatorietà è “imposta” con un atto dell’autorità (il tributo si risolve sempre in un’obbligazione nascente dalla legge), senza che vi sia il concorso della volontà dell’obbligato.
La coattività consente di distinguere il tributo dalle entrate di diritto privato, ma non da altre entrate di diritto pubblico (ad esempio, le sanzioni pecuniarie). A tale ultimo fine è, altresì, necessario considerare la finalità del prelievo realizzato attraverso il tributo, che consiste, come già si è detto, nel concorso alla spesa pubblica, così come formalizzato dall’art. 53 della Costituzione.
Va, tuttavia, evidenziato che alcuni autori (Falsitta) preferiscono non considerare la finalità del concorso (elemento teleologico o funzionale) quale tratto essenziale del tributo.
Va preliminarmente rilevato che, essendo tutti i tributi caratterizzati dalla autoritatività, la dottrina più recente ha ritenuto di fondare la classificazione degli stessi sul diverso atteggiarsi del presupposto di fatto (fatto o insieme di fatti manifestativi di capacità contributiva, al verificarsi dei quali si rende dovuto il tributo), volto a rilevare l’assenza o la presenza di una particolare attività del privato o dell’ente pubblico ovvero l’assenza o la presenza di un vantaggio speciale per il soggetto passivo. La classificazione dei tributi si risolve, in definitiva, nella classificazione dei relativi presupposti.
L’imposta L’imposta è il tributo per eccellenza, che racchiude in sé i tratti essenziali di tutti i tributi. Essa può essere definita come una prestazione coattiva dovuta dal soggetto passivo in base ad un presupposto di fatto che escluda l’esistenza di una relazione specifica con una determinata attività dell’ente pubblico riferita al soggetto passivo o dalla quale questi possa trarre vantaggio.
Nelle imposte difetta qualsiasi rapporto specifico di prestazione e di controprestazione, manca l’individualità del bisogno e del servizio, è assente qualsiasi richiesta specifica del contribuente.
L’imposta può essere considerata la manifestazione più ampia del potere di supremazia dello Stato, che trova i propri limiti solamente nei principi contenuti negli artt. 23 e 53 della Costituzione.
Così come definita, l’imposta consiste in uno strumento di prelievo neutro e generico, in quanto non riferito necessariamente a determinate categorie di soggetti o a settori di attività.
Nelle prime ed oramai superate elaborazioni dei giuristi, influenzate dalle teorie economiche e dagli studi di scienza delle finanze, le definizioni di imposta e di tassa riflettevano la distinzione tra spese pubbliche indivisibili e spese pubbliche divisibili, sicché le entrate volte a finanziare le prime erano dette imposte, le entrate volte a finanziare le seconde erano dette tasse.
Classificazione delle imposte Imposte dirette o indirette Imposte personali o reali Imposte proporzionali o progressive Imposte istantanee o periodiche
La tassa La tassa può essere definita come una prestazione coattiva dovuta all’ente pubblico a fronte dell’espletamento di una attività concernente in modo specifico il soggetto obbligato al suo pagamento, sebbene non richiesta dal medesimo o addirittura non vantaggiosa per lo stesso.
Alcune tasse, infatti, sono versate a fronte di un’attività pubblica provocata ma non richiesta dal soggetto passivo e i cui effetti non costituiscono un vero beneficio per quest’ultimo (ad esempio, la tassa giudiziaria dovuta da chi ha subito un processo penale).
Il presupposto della tassa si caratterizza sempre per il fatto di comprendere lo svolgimento di una attività della pubblica amministrazione specificamente riferibile al contribuente (assetto para-commutativo della tassa), mentre il presupposto di fatto dell’imposta è un evento cui sono estranei l’ente e l’attività pubblica (ad esempio, il conseguimento di un reddito, il possesso di un bene, etc.). Ciò distingue l’imposta dalla tassa.
La definizione della nozione di tassa è sempre stata questione complessa, in quanto la tassa è un istituto di confine, che presenta, in pratica, labili tratti di distinzione rispetto ad altri proventi di diritto pubblico di natura non tributaria (tariffe, canoni) o ai corrispettivi di diritto privato.
La distinzione tra prezzo, tariffa, canone e tassa non si fonda sulla natura del servizio offerto, bensì sul regime giuridico dell’entrata: se l’entrata è contraddistinta dalla coattività (ossia nasce da un’obbligazione imposta dalla legge), è una tassa; se ha base contrattuale, ha natura privatistica ed è qualificabile come corrispettivo.
La distinzione tra tassa e corrispettivo non è di poco conto: i corrispettivi di diritto privato sono assoggettabili ad imposta, le tasse no.
La distinzione tra imposta e tassa rileva ai fini dell’applicazione dei principi costituzionali: la giurisprudenza della Corte costituzionale mentre include le tasse, riconoscendone la natura coattiva, tra le prestazioni imposte cui si applica la riserva di legge dell’art. 23 Cost., esclude l’operatività dell’art. 53 Cost. in riferimento alle stesse, ritenendo che l’assetto quasi commutativo caratterizzante la tassa ne precluda l’attitudine al riparto in chiave solidaristica dei carichi pubblici.
La dottrina, al contrario, fa rientrare la tassa nella sfera di applicazione dell’art. 53 Cost., sottolineando come il presupposto della stessa sia un fatto indice di capacità contributiva, che vale a rendere idonea la tassa al concorso alle pubbliche spese.
Il contributo Il contributo è quella categoria di tributo che si ricollega ad un particolare vantaggio economico (ad esempio, l’incremento di valore degli immobili) conseguito dal contribuente per effetto dell’esecuzione di un’opera pubblica destinata, di per sé, alla collettività in modo indistinto (ad esempio, contributo di miglioria), ovvero ad una maggiore spesa provocata dal contribuente all’ente pubblico (ad esempio, contributi integrativi di utenza stradale).
Anche questa definizione è costruita intorno al presupposto, che consiste non solo nell’arricchimento del soggetto passivo (come nel caso dell’imposta), ma anche nel fatto che tale arricchimento deriva dall’esecuzione di un’opera pubblica.
La dottrina qualifica il contributo come tributo causale - contrapponendolo così al tributo acausale per eccellenza (l’imposta) - alla luce del fatto che l’indice di capacità contributiva è rappresentato dallo specifico vantaggio che al soggetto passivo deriva dall’espletamento di una attività pubblica.
Venuti meno i contributi di miglioria, i contributi di fognatura e i contributi integrativi di utenza stradale, l’unica ipotesi di contributo in senso proprio attualmente vigente, a parere della dottrina, nel nostro ordinamento, è costituita dal contributo di urbanizzazione, dovuto a fronte dell’utilità economica che il costruttore ritrae dall’attività edilizia per cui viene rilasciata la concessione.
Parte della dottrina ritiene che la figura del contributo non abbia rilevanza autonoma nel diritto tributario, in quanto riconducibile alternativamente alle categorie dell’imposta o della tassa (Falsitta).
Monopolio fiscale Il monopolio è definito dalla scienza economica come quella situazione in cui un solo soggetto si trova a potere produrre, importare o vendere beni o prestare servizi: ne discende, ordinariamente, la possibilità per il monopolista di pretendere un prezzo superiore a quello che potrebbe ottenere in regime di libera concorrenza.
Questa situazione può derivare: da ragioni di mercato (il monopolista ne ha estromesso tutti i concorrenti) o da altre ragioni tecniche (monopolio di fatto) può derivare dalla disciplina normativa che riserva ad un solo soggetto una data attività economica (monopolio di diritto).
Tra i diversi monopoli di diritto si annoverano i monopoli fiscali, che si caratterizzano per la loro finalità di procurare all'ente pubblico un'entrata destinata a far fronte ai carichi pubblici e dunque di natura tributaria.
La dottrina e la giurisprudenza più recenti hanno negato la natura necessariamente tributaria del monopolio fiscale e riconosciuto che la sua struttura giuridica si presta ad essere collegata a meccanismi di prelievo operanti sia nell'ambito del diritto privato che del diritto pubblico.
La normativa comunitaria costituisce oggi l'unica area di rilevanza della nozione di monopolio fiscale. Dall'applicazione del Trattato istitutivo della Comunità europea è derivata la drastica riduzione dei monopoli di diritto nei diversi paesi. E’ tuttavia prevista dallo stesso Trattato una deroga alla regola della libera concorrenza in favore delle imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o «aventi carattere di monopolio fiscale» purché non vengano compromessi interessi della Comunità.
I monopoli fiscali oggi rimasti in vigore che rilevano ai fini della normativa comunitaria sono dunque quello dei tabacchi e quello del gioco del lotto.
IL PRINCIPIO DI CAPACITÀ CONTRIBUTIVA (ART. 53, COMMA 1, COST.)
Riparto dei carichi pubblici: evoluzione storica Ogni collettività organizzata deve individuare regole per il riparto degli oneri relativi alla soddisfazione degli interessi comuni e, una volta raggiunto un certo grado di articolazione strutturale, per l’acquisizione dei mezzi necessari alla erogazione di beni e servizi funzionali all’esistenza della collettività medesima.
Partecipazione ai carichi pubblici: due ordini di problemi Individuazione di criteri di riparto razionali ed equi (problemi di giustizia distributiva) Problemi di attribuzione e controllo di poteri di supremazia sui consociati (la maggiore complessità ed articolazione organizzativa richiede l’intervento di apposite strutture deputate all’acquisizione, gestione ed erogazione dei mezzi necessari allo svolgimento di attività di interesse generale)
I criteri di riparto dipendono dall’assetto politico-sociale, dal livello di articolazione della società considerata.
Criteri di riparto Carichi pubblici addossati a soggetti estranei alla collettività (bottino dei vincitori, taglie, lavoro coatto imposto ai vinti) Criteri di ripartizione semplici, basati sull’esistenza della persona o della famiglia (capitazione o focatico) Contribuzioni spontanee da parte di singoli o gruppi sociali in occasione di guerre, calamità naturali, grandi opere pubbliche Contribuzione sporadica, eventuale
Stato moderno: nuovi criteri di riparto Stato moderno (nuove dimensioni e amministrazione centralizzata): cambiano i rapporti tra individuo e collettività e sorgono nuove esigenze di regolarità e certezza del gettito si passa dalla contribuzione spontanea e occasionale a sistemi basati sulla coattività del prelievo il potere di imporre i tributi diviene espressione della sovranità dell’ente
Passaggio dai criteri della corrispettività e del beneficio (criteri commutativi della misura della partecipazione dei consociati alle spese pubbliche) a criteri più complessi, basati sulla individuazione della ricchezza, della potenzialità economica e su principi solidaristici collegati all’appartenenza alla collettività.
Criteri di riparto dei carichi pubblici confluiti nella Costituzione repubblicana: evoluzione dottrinale Teorie degli economisti classici: anche ai rapporti pubblicistici tra cittadini e Stato potevano essere applicati gli schemi privatistici. La partecipazione alle pubbliche spese poteva determinarsi applicando schemi commutativi di diritto privato.
Nacquero: la teoria della corrispettività: diretta a misurare il concorso del privato alle prestazioni pubbliche divisibili, a lui direttamente riferibili la teoria del beneficio: diretta a misurare la partecipazione del privato alle prestazioni pubbliche indivisibili, in ragione del godimento delle prestazioni stesse
Teoria della causa impositionis: Scuola di Pavia (Griziotti) Il limite alla partecipazione ai carichi pubblici del soggetto passivo è rappresentato dalla sua capacità contribuiva, intesa quale indice dei vantaggi generali e particolari che a lui derivano dall’appartenenza al consorzio sociale (criterio del vantaggio o del beneficio)
Metodo giuridico Da questa costruzione di tipo contrattuale (tipica degli schemi concettuali di stampo economico, riflesso della cultura liberale dell’epoca) si passa alla concezione pubblicistica della dottrina tedesca, che informava i rapporti fiscali a principi di più marcato autoritarismo, accentuando l’aspetto contributivo fondato sul potere di supremazia dell’ente pubblico espresso dalla legge.
Sicché il tributo trovava giustificazione esclusivamente nella sovranità dello Stato.
Questa evoluzione dottrinale influenzò il legislatore costituente italiano.
Statuto albertino (1848): art. 25 I regnicoli contribuiscono indistintamente nella proporzione dei loro averi ai carichi dello Stato. Si è ritenuto che questo articolo fosse il portato delle teorie di origine francese, che ponevano alla base dei criteri di ripartizione dei carichi pubblici il principio di uguaglianza (negazione delle differenziazioni di classe), nonché dei principi dell’economia classica (concezione corrispettiva).
Statuto albertino (1848): art. 25 L’idea di fondo era che le prestazioni di servizi pubblici indivisibili avvantaggiassero maggiormente i possidenti, i quali erano chiamati a concorrere ai carichi pubblici in proporzione dei loro averi (patrimonio).
Lavori preparatori della Costituzione La Corte di cassazione propose l’introduzione di un limite sostanziale al potere impositivo, che fu ravvisato nella capacità contributiva, formula che escludeva relazioni di corrispettività fra l’obbligazione tributaria e la prestazioni di servizi pubblici indivisibili e che precludeva ogni forma di imposizione che pregiudicasse “la possibilità di vita dell’economia individuale”.
Ci si allontana dal concetto di capacità contributiva accolto dalla scuola di Pavia.
Ezio Vanoni (redattore del Rapporto della Commissione economica all’Assemblea costituente), valorizzò la proposta della Cassazione sottolineando che il dovere della partecipazione di tutti ai carichi pubblici doveva considerarsi una conseguenza della loro appartenenza alla collettività organizzata.
La formula della capacità contributiva, nata in contrapposizione alla regola del beneficio, proprio per questo, fu considerata, dai fautori della teoria economica, una scatola vuota.
Assemblea costituente Si è sottolineata l’attitudine della norma ad escludere dall’imposta il c.d. minimo vitale Si è aggiunto il riferimento alla progressività dell’imposizione (art. 53, comma 2)
Art. 53 Cost. (Titolo IV dei Rapporti politici) Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva (comma 1). Il sistema tributario è informato a criteri di progressività (comma 2).
Prime interpretazioni (svalutative) Mera riaffermazione della competenza del legislatore ordinario nell’individuazione degli indici e dei criteri di riparto Norma meramente programmatica
La Corte costituzionale affermò la possibilità di dichiarare l’illegittimità delle norme di legge per contrasto con qualsiasi disposizione costituzionale, anche se programmatica. Sicché, prese avvio un processo di rivalutazione dell’art. 53.
Art. 53, comma 1 Funzione solidaristica (Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche): tutela dell’interesse della collettività al concorso di tutti alle spese pubbliche Funzione garantistica (in ragione della loro capacità contributiva): tutela dell’interesse del singolo al rispetto della propria capacità contributiva (che funge da limite della legittimità delle leggi ordinarie istitutive di tributi)
La regola del concorso L’art. 53 esprime la necessità del concorso alle pubbliche spese per la sussistenza stessa dello Stato in quanto collettività organizzata, ciò in netto contrasto con il principio della controprestazione e del beneficio. Il tributo non è più considerato quale corrispettivo del godimento di pubblici servizi, ma come istituto che realizza una condizione imprescindibile per la esistenza della collettività: il riparto tra i consociati dei carichi pubblici.
Carattere solidaristico del concorso In questa prospettiva si giustifica l’inquadramento del dovere tributario tra quelli dell’art. 2 Cost., che richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Il dovere di concorrere alle spese pubbliche non si configura come limitazione di altre situazioni costituzionalmente garantite, in particolare quelle attinenti ai rapporti economici, come la libertà dell’iniziativa economica (art. 41 Cost.) o la proprietà (art. 42 Cost.).
Questa ispirazione solidaristica dell’art Questa ispirazione solidaristica dell’art. 53 è confermata dalla funzione redistributiva sancita dal comma 2 dell’art. 53 (in armonia con l’art. 3 Cost.).
Generalità del concorso: la formula tutti Il carattere solidaristico è affermato dalla generalità del concorso. La formula tutti si ricollega al principio di uguaglianza, già presente nell’art. 25 dello Statuto albertino e inteso nel senso di pari efficacia della legge nei confronti di tutti, senza distinzioni di categorie o classi.
Tutti è formula più ampia di quella contenuta nell’art Tutti è formula più ampia di quella contenuta nell’art. 25 dello Statuto albertino (che faceva riferimento ai regnicoli) e comprende tutti coloro che entrano in contatto con l’ordinamento dello Stato per la soddisfazione di interessi di diversa natura.
Su questa estensione riposa il principio di territorialità del tributo (la legge tributaria ha efficacia su tutto il territorio dello Stato, salvo che essa disponga diversamente).
Doverosità del concorso Il carattere doveroso del concorso è espresso dalla formula sono tenuti. Per la dottrina maggioritaria ne discende la limitazione del principio ai soli istituti che realizzano assetti doverosi per i privati (imposte). Restano esclusi dalla applicazione dell’art. 53 assetti tributari non doverosi e quindi le prestazioni para-commutative (tasse e contributi). Fantozzi app. 5
La nozione di pubbliche spese Criterio soggettivo (interpretazione in termini di garanzia dell’art. 53): sono pubbliche solo le spese dello Stato e degli enti pubblici (solo rispetto ad esse si pone il problema della tutela del privato rispetto all’esercizio dei poteri di supremazia) Criterio oggettivo (art. 53 come criterio di riparto): sono pubbliche tutte le spese che rispondono all’interesse generale della collettività e che quindi meritano di essere ripartite all’interno di questa (il soggetto erogante il servizio può non avere natura pubblica). Es. canone Rai (non si tratta di una spesa pubblica perché riconducibile ad un soggetto pubblico, ma in quanto soddisfa un interesse generale). C. cost. 284/2002.
Principio di capacità contributiva: ambito di applicazione Corte costituzionale: Esclusione dall’art. 53 delle prestazioni aventi carattere sanzionatorio (mancanza del requisito solidaristico espresso dal concorso) Esclusione dall’art. 53 delle contribuzioni relative a prestazioni di servizi il cui costo si può determinare divisibilemente (C. cost. 30/1964; 23/1968; 96/2001) - Tasse
Inclusione delle imposte Inclusione dei contributi, assimilati strutturalmente alle imposte (es. contributi di miglioria specifica tipica espressione di nuova ricchezza, C.cost. 54/1980)
Esclusione delle tasse e sua giustificazione Le tasse non corrispondono ai criteri solidaristici di cui l’art. 53 è espressione La formula capacità contributiva è storicamente connessa alla sola ripartizione delle forme di finanziamento di servizi indivisibili (imposte)
Esclusione delle tasse dall’applicazione dell’art. 53: conseguenze Eliminazione di qualsiasi possibilità di controllo sulle scelte del legislatore ordinario, che risulterebbe libero di istituire qualsiasi forma di prelievo, anche coattivo, purché correlato alla prestazione di servizi pubblici divisibili. Appunti pag. 6
Ambito di applicazione secondo la dottrina Tutte le entrate pubbliche (interpretazione troppo letterale ed ampia, che non tiene conto dell’evoluzione storica) Maffezzoni Tutti i tributi (sia per le imposte che per le tasse vi è un momento di coattività e rispetto a questo la necessità di determinare la distribuzione del carico fiscale in funzione della garanzia del privato) Micheli Le sole imposte dirette (tesi restrittiva e lontana dai lavori preparatori dell’Assemblea costituente) La Rosa
Funzione garantistica: in ragione della capacità contributiva Divieto di introdurre tributi che non si colleghino a una capacità contributiva Capacità contributiva intesa come: godimento di pubblici servizi (Griziotti), in funzione del quale si determina il concorso dei privati alle spese pubbliche
Esplicitazione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) Inizialmente inteso solo in senso formale, poi anche sostanziale: capacità contributiva come limite alla discrezionalità del legislatore in materia fiscale (C. cost. 289/1994).
Segue… Esclusione di imposizioni differenziate per sesso, razza, religione, ecc. Esclusione di criteri di riparto fondati sui diritti della persona (C. cost. 131/1973 ha ritenuto incostituzionali i tributi che colpiscono la manifestazione del pensiero) Tutela della integrità e dignità della persona attraverso la detassazione del minimo vitale.
Forza economica: in tutti i sistemi tributari moderni, gli indici di capacità contributiva sono situazioni o fatti economicamente rilevanti = indici di forza o potenzialità economica, di ricchezza in senso lato (C. cost. 156/2001). Fedela pagg 22 e 23 e appunti pag. 12 e 13
Capacità contributiva intesa come potere di comando sui beni e servizi ovvero come dominio dei fattori della produzione (espresso dalla esistenza di una attività organizzata). Ricorrendo a questa accezione di capacità contributiva la Corte cost. (sent. 156/2001) ha giustificato il particolare presupposto dell’IRAP.
Segue… Il presupposto deve essere un fatto economico (fatto manifestativo di forza economica) indicativo della situazione economica complessiva del contribuente: capacità contributiva riferita al soggetto (soggettiva) piuttosto che al fatto presupposto del tributo (oggettiva).
Indici classici di capacità contributiva Patrimonio Reddito Consumi Trasferimenti di ricchezza
Capacità contributiva come limite alla legittimità della norma impositrice La Corte costituzionale ha distinto tra: Limite assoluto: impone al legislatore di scegliere quali presupposti del tributo fatti manifestativi di forza economica (effettiva ed attuale) Limite relativo: impone di ricostruire il principio dell’art. 53 alla luce di tutti gli altri principi, costituzionali e non, presenti nell’ordinamento nel momento storico considerato; limite relativo come giustificazione della diversa contribuzione imposta a taluni consociati rispetto ad altri
Requisiti della capacità contributiva intesa come limite assoluto: effettività Non imponibilità del minimo vitale (complesso dei mezzi economici necessari alla mera sopravvivenza) Illegittimità di esenzioni puramente simboliche che determinino di fatto la tassazione di situazioni personali non superiori al minimo vitale (C. cost. 97/1968; 151/1982) Fedele pag. 24-25 limite assoluto
Segue… Legittimità degli incrementi nominali di ricchezza (legittimità degli incrementi nominali del valore monetario degli immobili ai fini Invim, C. cost. 126/1979) Illegittimità delle presunzioni legali assolute (non razionalmente giustificate e non fondate sulla comune esperienza): presunzione di liberalità dei trasferimenti immobiliari tra coniugi (C. cost. 41/1999) Forfetizzazioni e determinazione catastale dei redditi. Il sistema catastale è stato ritenuto costituzionalmente legittimo (C. cost. 16/1965)
Requisiti della capacità contributiva intesa come limite assoluto: attualità Tributi collegati a presupposti verificatisi prima dell’entrata in vigore della norma impositrice (tributi retroattivi) Prelievi anticipati rispetto al verificarsi del presupposto
Retroattività La capacità contributiva deve sussistere nel momento in cui si verifica il fatto assunto come presupposto del tributo, ed è un limite ai tributi retroattivi. La retroattività delle norme impositrici è stata giustificata dalla Corte cost. con la presunzione di permanenza della ricchezza nel patrimonio del soggetto, dimostrata dalla brevità del termine intercorso tra i due momenti.
Es. Incostituzionalità della norma che disponeva l’applicazione retroattiva (un decennio) dell’imposta sull’incremento di valore delle aree fabbricabili (C. cost. 315/94).
La prevedibilità dell’imposizione da parte del contribuente giustificherebbe tributi introdotti posteriormente alla realizzazione della ricchezza (C. cost. 315/1994).
Anticipazioni dell’imposta Es. Legittimità degli acconti di imposta: non definitività del prelievo, possibilità del rimborso.
Capacità contributiva quale limite relativo Relativizzazione del sindacato sulla sussistenza della capacità contributiva che mira a ricostruire il principio dell’art. 53 alla luce degli altri principi e valori riconosciuti dall’ordinamento (congruità rispetto agli altri principi presenti nell’ordinamento e non arbitrarietà delle scelte del legislatore nell’individuare alcuni, e non altri, indici di capacità contributiva).
Il giudizio di razionalità, di coerenza della norma impone un raffronto sistematico con tutte le norme dell’ordinamento (non con singole norme o singoli principi). Il costante richiamo, da parte della Corte cost., al principio di uguaglianza dimostrerebbe che la nozione di capacità contributiva va intesa come esigenza di razionalità complessiva del sistema. (Fedele)
Per Fedele l’art. 53 non esprime un valore da tutelare in via assoluta, ma una finalità, una funzione (razionale ripartizione fra i consociati dei carichi pubblici), che giustifica il sindacato di congruità della disciplina dettata dal legislatore rispetto alla funzione medesima.
Art. 53 e artt. 41 e 42 Cost. Art. 41, comma 3: il legislatore deve determinare i programmi opportuni affinché la attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. Il sistema tributario non dovrebbe mai alterare l’equilibrio esistente tra fonti di produzione della ricchezza in mano pubblica e in mano privata (tesi non accolta dalla giurisprudenza e dalla dottrina maggioritaria). Art. 42, comma 3: il prelievo fiscale non può risolversi in una espropriazione senza indennizzo.
La nozione di capacità contributiva quale limite relativo consente di estendere l’ambito di applicazione dell’art. 53 ai tributi extrafiscali.
Si ammette che il tributo possa avere funzioni non meramente neutrali (abbandono della c.d. finanza neutrale) di ripartizione dei carichi pubblici, ma anche di incentivazione/disincentivazione di determinati comportamenti dei consociati. Deve comunque sussistere la potenzialità economica in capo al soggetto e le finalità extrafiscali devono coordinarsi con altri principi di rango costituzionale (artt. 3; 4 comma 1; 9 comma 1; 31 comma 1, 42 comma 1, Cost.).
Esenzioni ed agevolazioni fiscali Se ne riconosce la legittimità ex art. 53. Pur determinando una discriminazione fra situazioni ugualmente rilevanti sotto il profilo della capacità contributiva, non sono considerate illegittime se e in quanto sono dirette ad attuare finalità ulteriori, riconosciute e tutelate nell’ordinamento.
Incompatibilità della funzione fiscale con altre funzioni Non si considera ammissibile attribuire al tributo finalità esclusivamente sanzionatorie alla luce dell’art. 53, stante la diversa funzione dei due istituti.
Limite relativo ed interesse fiscale Attraverso la nozione di interesse fiscale, inteso come valore rispetto al quale devono coordinarsi tutti i principi fondamentali per il diritto tributario, compreso quello di capacità contributiva, la Corte cost. ha potuto giustificare la costituzionalità di prelievi straordinari finalizzati al risanamento della finanza pubblica: prelievo straordinario del 6‰ sui depositi bancari (sent. 143/1995); contributo straordinario per l’Europa.
Interesse fiscale e ragione fiscale Interesse fiscale: interesse ordinamentale di rilevanza costituzionale alla giusta configurazione e corretta attuazione del sistema tributario nelle sue finalità di concorso alle pubbliche spese. Si tratta di un interesse riferito allo Stato-comunità. Ragione fiscale: interesse alla pronta realizzazione del tributo, che giustifica criteri di semplicità e speditezza (presunzioni; legittimità delle limitazione al segreto bancario, C. cost. 51/1992). Si tratta di un interesse riferito allo Stato-apparato.
Art. 53, co. 2, Cost.: Principio di progressività Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.
La progressività è una tecnica di ripartizione del carico fiscale sui consociati secondo un criterio di incremento, in maniera più che proporzionale, dell’imposta col crescere della ricchezza. Maggiore sacrificio per i ricchi in una logica redistributiva.
… segue Norma programmatica (di principio) Fondamento economico (teoria dell’utilità marginale decrescente) Principio riferito al sistema tributario nel suo complesso, non ai singoli tributi Principio volto a realizzare l’uguaglianza sostanziale in un assetto sociale ispirato ad una logica progressista La norma ribadisce ed accentua l’impronta solidaristica cui risulta ispirato il dovere di concorrere alle spese pubbliche sulla scorta della capacità contributiva
Il nostro sistema tributario è effettivamente informato a criteri di progressività?