Attività radiotelevisiva e Comunità europea L'attività radiotelevisiva è stata a lungo al di fuori del raggio d'azione della Comunità europea, rimanendo riservata al pieno dominio dei legislatori nazionali. E questo per tre ragioni: 1) innanzitutto, per l'incertezza sull'esistenza di un'apposita competenza comunitaria in questo settore; 2) per la tendenza ad intendere la materia soprattutto nell'ottica della libertà di informazione e dunque con accentuazione dei profili legati al contenuto dei messaggi informativi; 3)per l'esistenza, in tutti gli Stati membri, di un regime di monopolio pubblico dei servizi radiotelevisivi.
segue 1 La situazione comincia a cambiare nella seconda metà degli anni '80, con l'approvazione della nota direttiva n.552/1989, la c.d. direttiva "Televisione senza frontiere", (che verrà successivamente modificata con la direttiva n.36/1997 e con la direttiva n.65/2007). Un cambiamento non casuale, ma legato agli sviluppi che, nello stesso tempo, conoscono le legislazioni nazionali al riguardo: è il momento del tramonto dei monopoli pubblici e dell'avvio di sistemi radiotelevisivi misti, in parte pubblici e in parte privati. Ciò comporta un mutamento profondo dello scenario: entrano in campo le imprese private, il che pone subito l'esigenza, per la Comunità, di avviare un' opera di armonizzazione delle legislazioni nazionali, per assicurare soprattutto la tutela del principio di libera concorrenza anche in questo settore. L'attenzione non è più sui contenuti, ma appunto sulle modalità di esercizio di un'attività di impresa, che, come tale, non può sfuggire alle regole comunitarie
Segue 2 Così, la citata direttiva aggredisce subito uno degli aspetti più rilevanti, rappresentato dalla pubblicità, ossia della risorsa economica principale del settore, toccandone quattro profili: quello dei contenuti ( a tutela dei della dignità umana, e in particolari dei minori ); quello delle modalità di inserimento dei messaggi pubblicitari ( a tutela dell'integrità delle trasmissioni ); quello dei c.d. "tetti" pubblicitari, ossia della quantità massima di pubblicità televisiva ( a tutela dell'utente, ma anche a garanzia di una equa distribuzione della risorsa tra i diversi mezzi di comunicazione di massa); quello, infine, rappresentato da quella particolare forma di pubblicità rappresentato dalle sponsorizzazioni, ossia da quei contributi alla produzione di un programma televisivo, assoggettati ad una disciplina particolarmente restrittiva, ad evitare che si traducano in forme di aggiramento alle limitazioni introdotte con riferimento alle forme tradizionali di pubblicità televisiva.
Segue 3 Ma si tratta solo del primo passo, cui un altro ne segue, espressamente volto ad indirizzare le legislazioni nazionali in ordine alla disciplina del segmento pubblico dei sistemi radiotelevisivi europei, rappresentato dal Protocollo, allegato al Trattato di Amsterdam del 1997, sui servizi pubblici radiotelevisivi.
Segue 3 Ma si tratta solo del primo passo, cui un altro ne segue, espressamente volto ad indirizzare le legislazioni nazionali in ordine alla disciplina del segmento pubblico dei sistemi radiotelevisivi europei, rappresentato dal Protocollo, allegato al Trattato di Amsterdam del 1997, sui servizi pubblici radiotelevisivi.
Segue 4 Nel Protocollo infatti, viene fatta salva la possibilità per gli Stati membri di finanziare servizi pubblici radiotelevisivi, ma a tre condizioni: che essi rispondano davvero alle esigenze di carattere culturale, sociale e democratico che ne giustificano l'esistenza; che il contributo statale sia direttamente commisurato al solo svolgimento della specifica "missione" dei servizi pubblici radiotelevisivi; che tale contributo risponda al criterio della proporzionalità, ossia, non superi la soglia oltre la quale rischia di alterare in modo inaccettabile ( per gli organi comunitari) la libera concorrenza.
Segue 5 Infine, un terzo, e senza dubbio, più rilevante intervento comunitario è rappresentato da secondo pacchetto di direttive adottate in tema di "comunicazione elettronica" ( direttive nn.19, 20, 21 e 22 / 2002). Esse seguono, e in gran parte modificano, le precedenti direttive con cui, a partire dalla fine degli anni '80, si è avviato il processo di liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni: direttive nn.310/1988, 388/1990, 46/1994, 2/1996, 19/1996. Il dato più importante che attiene a questo secondo pacchetto è rappresentato dal fatto che in esso, per la prima volta, viene definito, nella logica della convergenza, un quadro normativo unitario sia per le reti e i servizi di telecomunicazioni, sia per le reti e i servizi di radio e telediffusione, accomunati sotto l'unica etichetta di "comunicazione elettronica" ( art.2 della direttiva "quadro").
Segue 6 Il superamento della tradizionale distinzione tra i due settori finisce così per tradursi, sul piano del diritto interno, in una serie di indicazioni cogenti in relazione ad aspetti di grande rilievo quali la disciplina dei titoli abilitativi, centrati, di regola, su autorizzazioni generali ( che, al di là del loro "nomen iuris", poco o nulla hanno a che vedere con gli omonimi provvedimenti amministrativi, per avvicinarsi invece assai di più ad atti a contenuto normativo, che fissano le condizioni generali di esercizio di una certa attività, senza condizionarne ex- ante l'inizio) e solo eccezionalmente su licenze individuali, nonché la disciplina delle regole anti-trust, centrate su meccanismi ex-post, destinati ad operare in seguito alla procedura di definizione dei c.d. "mercati rilevanti" e non più su misure ex-ante.