FSC Centro culturale della Fondazione San Carlo

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Transcript della presentazione:

FSC Centro culturale della Fondazione San Carlo Trasformazioni del capitalismo. Istituzioni economiche e democrazia in Europa Franco Mosconi Università di Parma Cattedra Jean Monnet Modena, 14 Marzo 2007

AGENDA “Capitalismo contro capitalismo” dopo la caduta del Muro Le oscillazioni del pendolo: meglio il “renano” o l’”anglosassone”? Il farsi dell’Europa economica: mercato interno, moneta comune, allargamento ad Est La Strategia di Lisbona (2000-2010): verso un capitalismo “Europeo”? L’UE oggi fra “Campioni Europei” e i suoi 4 “Modelli Sociali”.

Produttività del lavoro nell’Ue, negli Usa e in Giappone, 1975-2001 (crescita media annuale del rapporto Pil/persona occupata, valori %) Fonte: European Commission, Competitiveness Report 2002, Brussels, 2002

SUBITO DOPO LA CADUTA DEL MURO “Le performances delle economie renane, da diversi anni, sono addirittura sulle prime pagine dei nostri giornali. E la celebrazione indefessa di questo successo fa da amaro contrappunto alla accresciute difficoltà delle economie ‘anglosassoni’, prigioniere dei deficit o dell’inflazione (…) Quali sono le vere armi di questa potenza? A questo proposito si può osservare che la forza di queste economie poggia innanzitutto su una capacità industriale senza pari e su un’aggressività commerciale ostinata”. M. Albert, Capitalismo contro capitalismo, 1991, cap. VI

ALL’INIZIO DEL DUEMILA… Negli anni 2001-2003 non c’era solo l’incertezza sul quadro macro-economico. Crisi di diverso segno hanno scosso le fondamenta di tutti e due i modelli: aldilà dell’atlantico: “L’allegra compagnia” Enron, WorldCom, Arthur Andersen, Global Crossing, Qwest, Tyco, etc. in Germania: “La crisi dei giganti” HVB, Dresdner Bank, Commerzbank, Allianz

il “capitalismo manageriale competitivo” (Stati Uniti) I modelli del CAPITALISMO INDUSTRIALE secondo A. D. Chandler nel periodo 1870-1940 il “capitalismo manageriale competitivo” (Stati Uniti) il “capitalismo manageriale cooperativo” (Germania) il “capitalismo personale” (Gran Bretagna) Alfred D. Chandler jr, Scale and Scope, 1990

il modello “NEOAMERICANO” (o “anglosassone”) Dopo il crollo del Muro di Berlino, e dopo la lunga contrapposizione fra capitalismo e socialismo, la nuova contrapposizione che emerge è quella assai nota tra: il modello “NEOAMERICANO” (o “anglosassone”) il modello “RENANO” (o “germanico-giapponese)

M. Albert nel 1991 descrive sia la “superiorità economica” sia la “superiorità sociale” del modello renano. Seguendo la sua analisi, la differenza fondamentale “dipende in larga misura dalle modalità di finanziamento delle imprese”.

Romano Prodi scriveva di un’Italia “SENZA VOLTO” (il Mulino, 1/1991) E l’Italia? Dove si collocava fra Banca e Borsa? Romano Prodi scriveva di un’Italia “SENZA VOLTO” (il Mulino, 1/1991) Fabrizio Barca e il Servizio Studi della Banca d’Italia di “IMPRESE IN CERCA DI PADRONE”

(Shareholders Capitalism vs Stakeholders Capitalism) Banca vs Borsa e Capitalismo degli azionisti vs Capitalismo dei “portatori di interesse” (Shareholders Capitalism vs Stakeholders Capitalism) hanno rappresentato le due più tipiche CHIAVI DI LETTURA Possiamo tentarne una stilizzazione

Alcuni Legami Causa-Effetto [1/2] Anglosassone (Shareholders Capitalism) L’impresa è un bene come tutti gli altri, che si compra e si vende sul “mercato” Un elevato flusso di profitti (attuali e futuri) è fondamentale per tenere alta la quotazione del titolo in Borsa Moltissime sono infatti le società quotate in Borsa (a Wall Street come alla City londinese) Renano (Stakeholders Capitalism) L’impresa non è un bene da comprare e vendere come tutti gli altri: è innanzitutto una “istituzione” L’impresa è, sotto molti profili, un bene della “comunità”, e assume sempre una certa rilevanza pubblica Relativamente poche sono le società quotate (la Borsa di Francoforte non è neppure paragonabile a Londra)

Alcuni Legami Causa-Effetto [2/2] Anglosassone (Shareholders Capitalism) L’azionariato di tutte le corporations è anonimo e altamente frammentato, con un ruolo di rilievo giocato dai fondi pensione e da altri investitori istituzionali: non è un azionariato stabile. L’ottica è di breve termine nella gestione dell’impresa (ossia, della società quotata e passibile quindi di take-over ostile) In sintesi, è il capitalismo degli shareholders (gli azionisti), e l’obiettivo principe è quello di massimizzare lo shareholder value (la creazione di valore per l’azionista) Renano (Stakeholders Capitalism) La proprietà delle (grandi) imprese fa capo a un intreccio di grandi banche, di compagnie di assicurazione, di fondazioni, senza escludere il governo nazionale e/o i governi regionali: è un azionariato stabile. L’ottica è di medio-lungo termine nella gestione di quella che può essere vista come una impresa-istituzione (non c’è per definizione il rischio di scalate, tanto meno ostili). In sintesi, è il capitalismo degli stakeholders (i portatori di interesse), e quello che va massimizzato è appunto l’interesse di tutti coloro che sono coinvolti nell’impresa (clienti, fornitori, dipendenti, azionisti, comunità locale).

Dove si è fermato il pendolo dopo il boom di Borsa della seconda metà degli anni ’90, gli anni della New Economy? Albert, in un saggio scritto a dieci anni esatti da Capitalismo contro capitalismo, evoca l’immagine di una “BANCA CHE SI INCHINA ALLA BORSA” e di un “MANAGER CHE SI INCHINA ALL’AZIONISTA” [il Mulino, n° 3/2001].

Sulla convergenza si interrogano, fra gli altri: Gian Maria Gros-Pietro, Reviglio e Alfio Torrisi [2001], con una originale ricerca empirica su una sessantina delle maggiori imprese e istituzioni finanziarie europee distribuite fra Regno Unito, Francia, Italia e Germania ; Ronald Dore che, in Capitalismo di borsa o capitalismo di welfare? [2000], presenta una mappa chiamata “Il neoliberismo e il crescente predominio del settore finanziario”, ed argomenta che il valore per l’azionista diventa “il solo obiettivo legittimo dei dirigenti d’impresa”.

Eventi di successo per i Paesi dell’UE anni ‘80-’90 Il “farsi dell’Europa”/1 Eventi di successo per i Paesi dell’UE anni ‘80-’90 1Completamento mercato interno 2Lancio dell’Euro 3Allargamento UE verso 10 paesi dell’Europa Centro-Orientale (oltre a Cipro e Malta)

“STRATEGIA DI LISBONA” Il “farsi dell’Europa”/2 IV° Evento di successo? 4Riforme economiche e sociali, simboleggiate dalla “STRATEGIA DI LISBONA”

Come raggiungere gli obiettivi della Strategia di Lisbona? Con la “Strategia di Lisbona” il processo di integrazione europea ha toccato domini di competenza e aree di policy che fanno capo alla sovranità degli Stati-nazione; La governance della “Strategia di Lisbona” non può godere della stessa forza e coerenza interna propria del programma di completamento del mercato interno ove era pienamente in funzione il “metodo comunitario”; Infine, questa Strategia si muove in campi nei quali la storia conta, e molto.

Verso un CAPITALISMO autenticamente “EUROPEO”? Sostiene Michele SALVATI: “[...]bisogna riflettere prima di dare per spacciato il capitalismo corporativo e controllato che Michel Albert aveva definito come ‘renano’. Forse il modello verso il quale è opportuno convergere non è l’anglosassone estremo e qualche pezzo ‘renano’ conviene tenerselo”.

è sceso a circa il 2% nel periodo 1974-1985, 09/04/2017 1/2 Un (nuovo) “capitalismo europeo” è un risultato desiderabile sotto il profilo dell’efficienza e dell’equità? Aspetti MACROECONOMICI l’Europa, a cominciare dalla “zona dell’euro”, ha un serio problema di crescita. Il saggio medio annuo di crescita del Pil nell’Ue –- come mette in risalto il “Rapporto Sapir” -- è stato del: 4,6% fra il 1950 e il 1973, è sceso a circa il 2% nel periodo 1974-1985, si è collocato intorno al 2,5% fra il 1986 e il 2000 (gli anni del mercato interno e della moneta unica). Negli ultimi anni Eurolandia, è cresciuta solamente dell’1,6% nel 2001, dello 0,9% nel 2002 e dello 0,5% nel 2003. Dopodiché, lenta ripresa fino al 2% (e oltre) nel 2006.

Liberal Market Economies (LMEs) Coordinated Market Economies (CMEs) 2/2 Un (nuovo) “capitalismo europeo” è un risultato desiderabile sotto il profilo dell’efficienza e dell’equità? Aspetti MICROECONOMICI le istituzioni della political economy esercitano la loro influenza sul comportamento delle imprese. Due gli ideal-tipi che emergono (si vedano P. Hall e D. Soskice [2001]): Liberal Market Economies (LMEs) innovazione di tipo RADICALE Coordinated Market Economies (CMEs) innovazione di tipo INCREMENTALE

Il dinamismo imprenditoriale negli Usa Due esempi tratto dal Libro Verde sull’Imprenditorialità: Negli Usa sono stati necessari vent’anni per sostituire un terzo delle 500 imprese elencate da “Fortune” nel 1960, contro quattro anni per quelle elencate nel 1998 Otto delle 25 maggiori imprese americane di oggi non esistevano o erano molte piccole nel 1960, mentre in Europa tutte le grandi imprese del 1998 erano già grandi nel 1960.

LA STRATEGIA DI LISBONA (2000) La strategia di Lisbona inaugurata nel 2000 è finalizzata a risolvere in Europa il “problema della crescita” attraverso: L’aumento della competitività dell’UE: Per esempio aumentando entro il 2010 gli investimenti in Sviluppo e Ricerca fino al 3% del PIL La riforma dei modelli sociali europei: Per esempio aumentando il tasso di occupazione fino al 70% entro il 2010.

I PROBLEMI DELLA STRATEGIA DI LISBONA Tuttavia la Strategia di Lisbona ha raggiunto obiettivi decisamente inferiori rispetto a quanto sperato e a quanto necessario per il rinnovamento dell’ economia europea: A titolo esemplificativo consideriamo che: Gli investimenti in Ricerca e Sviluppo si collocano intorno al2%, Il tasso di occupazione é del 63-64%.

Stato 1 2 3 4 5 6 7 Danimarca Svezia Austria Regno Unito Paesi Bassi Il “Lisbon Scorecard” del 2006, basato sulle riflessioni del CER di Londra (Centre for European Reform), ha sottolineato come vi siano profonde differenze tra i diversi Stati membri nelle modalità di implementazione della Strategia: Stato 1 2 3 4 5 6 7 Danimarca Svezia Austria Regno Unito Paesi Bassi Finlandia Irlanda Stato 8 9 10 … 21 23 Francia Lussemburgo Germania Spagna Italia

LA STRATEGIA DI LISBONA A 3 ANNI DALLA FINE (2007-2010) Cosa può ancora fare l’Europa per aumentare la sua perfomance economica? Portare a compimento il Mercato Unico in primis nel settore dei servizi Aumentare gli investimenti in “Ricerca e Sviluppo” e innovazione

Il “TRIANGOLO” DELLA POLITICA INDUSTRIALE EUROPEA 1. Politica della concorrenza 2. Politica commerciale 3. Politica tecnologica Oggi l’obiettivo è rafforzare il 3° lato senza indebolire i primi due

I “CAMPIONI EUROPEI” Nei settori ad alta intensità di ricerca (R&S) Nei settori ad elevate economie di scala (Es: biotecnologie, ICT, energia, difesa e spazio, ecc.)

MA RESTANO I “MODELLI SOCIALI” EUROPEI: Nordico Anglosassone Continentale Mediterraneo assai diversi in termini di risultati (EFFICIENZA/EQUITA’)

Grazie per la Vostra attenzione! Homepage: www.cattedramonnet-mosconi.org E-mail: franco.mosconi@unipr.it