Le teorie dell’integrazione. L’intergovernamentalismo Giorgio Giraudi Le teorie dell’integrazione. L’intergovernamentalismo Inserire testo Inserire testo Inserire testo
Intergovernamentalismo (1) L'intergovernamentalismo è stata la seconda 'grand theory' che si è storicamente opposta alle spiegazioni dell'integrazione fornite dal neofunzionalismo. Nella sua versione originale più rilevante (Hoffman 1966, 1982 e 1985) l'intergovernamentalismo appare un'applicazione della teoria realista delle relazioni internazionali ai casi di integrazione regionale e in particolare all'integrazione europea. Nelle spiegazioni fornite dall'intergovernamentalismo, gli stati nazionali sono gli l'unici attori rilevanti attivi entro il contesto anarchico delle relazioni internazionali. A differenza degli altri attori, infatti, gli stati possiedono due qualità essenziali che sono alla base del loro potere: la sovranità legale; la legittimità politica. Essi possiedono queste qualità perché sono comunità stabili di identità e di appartenenza in grado di ottenere su queste basi comuni l'obbedienza interiorizzata alle leggi e la mobilitazione delle risorse (al limite delle stesse vite dei cittadini).
Intergovernamentalismo (2) Una delle principali differenze teoriche che distingue e oppone l'intergovernamentalismo classico e il neofunzionalismo è che per il primo la sovranità è una qualità esclusiva degli stati. Non solo esclusivamente gli stati godono di questa proprietà, ma essa è anche indivisibile e inalienabile. Partendo da questo assunto, l'intergovernamentalismo concepisce i processi di integrazione come momenti di coordinamento e di cooperazione tra stati e non come processi di alienazione parziale della propria sovranità a favore delle istituzioni internazionali. Queste ultime sarebbero create e utilizzate dagli stati solamente per proceduralizzare e stabilizzare i processi di contrattazione interstatali risolvendo alcuni problemi classici della decisione collettiva come ad esempio il cd. 'dilemma del prigioniero' o quello della potenziale circolarità delle preferenze.
Intergovernamentalismo (3) Secondo gli intergovernamentalisti l'integrazione è una sequenza di contrattazioni tra stati che avviene entro un contesto istituzionalizzato. Le contrattazioni interstatali avvengono sulla base degli interessi nazionali che rimangono alla base delle contrattazioni portate avanti seguendo dinamiche determinate dalla distribuzione del potere relativo tra i diversi attori statali. La definizione dei vari interessi nazionali e della distribuzione del potere relativo tra gli stati è un processo che si articola sulla base della logica della diversità, cioè del fatto che ogni stato è definito da un contesto di evoluzione storica e da una situazione geopolitica unici che determinano interessi nazionali divergenti. Complessivamente il processo è di contrattazione razionale, cioè gli stati interagiscono in base al calcolo dei costi e dei benefici derivanti dalla definizione dei diversi interessi nazionali e non c'è spazio per l'ideologia se non come mera retorica.
Intergovernamentalismo liberale (1) La teoria intergovernamentalista classica è stata oggetto di una importante revisione da parte di Andrew Moravcsik nel suo fortunato volume “The choice for Europe” (Moravcsik 1998). In questo studio sull'integrazione europea da Messina a Maastricht, Moravsick definisce e applica una teoria che definisce 'intergovernamentalismo liberale' e che combina la teoria dell'istituzionalismo razionale, alcuni elementi del neofunzionalismo e una parte dell'intergovernamentalismo classico. Da quest'ultimo Moravsick prende alcuni importanti fondamenti quali l'idea che gli stati siano attori critici sulla scena internazionale e che quest'ultima sia caratterizzata da un insieme di relazioni anarchico. Inoltre se è possibile delegare funzioni e poteri ad istituzioni internazionali, allo stesso tempo gli stati vogliono rimanere in pieno controllo di tutto il processo di integrazione. Per questo Moravcsik definisce la Comunità europea “an international regime for policy co-ordination” (Moravcsik 1993: 480) cioè un insieme di norme che servono al coordinamento delle decisioni prese dagli stati membri.
Intergovernamentalismo liberale (2) Gli assunti che Moravcsik trae dall'intergovernamentalismo classico non sono però di tipo realista poiché per questo autore gli stati non sono solo o primariamente interessati alla sicurezza nazionale, la capacità coercitiva non è la base del potere statale, le preferenze e le identità statali non sono uniformi e le istituzioni internazionali non sono irrilevanti. Il secondo elemento chiave della teoria intergovernamentalista è dato invece da elementi tratti dalla teoria dell'istituzionalismo razionale. Gli stati sono concepiti come attori razionali che, sulla base di determinate preferenze, calcolano i costi e i benefici associati a diversi corsi di azione e cercano di massimizzare le loro funzioni di preferenza. Gli accordi di cooperazione e la creazione di istituzioni internazionali sono dunque il risultato di un processo razionale a 3 stadi che parte dalla definizione delle preferenze, passa per una contrattazione sostanziale tra stati basata sul bargaining e la minaccia di utilizzo del potere di veto e si conclude con la definizione delle istituzioni che necessaria ad assicurare i risultati concordati a dispetto dell'incertezza futura.
IL PRIMO STADIO: LA FORMAZIONE DELLE PREFERENZE In accordo con le teorie liberali delle relazioni internazionali, l'intergovernamentalismo liberale definisce gli stati come attori unitari in grado di avere una funzione di preferenze consistente. I fini internazionali sarebbero dovuti all'esistenza di una pressione variabile provocata dall'esistenza di gruppi nazionali le cui preferenze sarebbero integrate in maniera unitaria e coerente dalle istituzioni politiche nazionali. Gli obiettivi fondamentali degli stati non sarebbero fissi nel tempo e varierebbero da tema a tema. A ribadire tale variabilità Moravscik insiste diverse volte sul fatto che gli interessi statali sono 'issue specific', cioè dipendono dal bilanciamento specifico tra gli attori statali presenti in un determinato campo di policy o attivi attorno ad un certo tema (es. economia, sicurezza etc.). Nel caso dell'integrazione europea Moravscik afferma che gli interessi economici e le valutazioni geopolitiche sono state di gran lunga i fini più importanti che hanno guidato le azioni degli stati.
IL SECONDO STADIO: LA CONTRATTAZIONE INTERGOVERNATIVA Gli stati entrano in relazione perché sanno che attraverso la cooperazione è possibile raggiungere obiettivi che in caso contrario non sarebbero disponibili per nessuno stato preso singolarmente (es, un grande mercato unico europeo). Il raggiungimento di questi fini dipende dalla capacità di risolvere i dilemmi dell'azione collettiva raggiungendo accordi di cooperazione sostanziali, cioè relativi ai benefici complessivi prodotti dalla cooperazione e alla distribuzione degli stessi benefici ai singoli stati. Secondo la teoria intergoveramentalista-liberale, questi accordi sostanziali vengono raggiunti attraverso un processo di contrattazione (hard bargaining) nel quale la distribuzione del potere relativo tra gli stati è dato dal grado di interdipendenza asimmetrica (quanto uno stato ha bisogno o meno del raggiungimento del fine comune) e dal livello di informazione disponibile sulle preferenze e le possibili soluzioni degli altri stati.
IL TERZO STADIO: LA CREAZIONE DELLE ISTITUZIONI INTERNAZIONALI In accordo con 'l'istituzionalismo neoliberale' (Keohane and Nye, 1977), l'intergovernamentalismo liberale concepisce le istituzioni internazionali come condizioni spesso necessarie per ottenere una cooperazione interstatale duratura. Questa situazione diviene possibile perché le istituzioni internazionali, con le loro procedure di funzionamento e decisione, riducono i costi di transazione di ulteriori contrattazioni relative ad aspetti molto specifici e forniscono informazioni utili ai singoli stati per ridurre la loro incertezza rispetto alle preferenze future e alle strategie che gli altri attori porteranno avanti. Attraverso la creazione di istituzioni internazionali e la delega di potere gli stati nazionali creano quindi le condizioni per ridurre i costi del coordinamento, per avere regole certe che permettano il rispetto degli accordi distributivi raggiunti nel secondo stadio, per avere strumenti credibili di supervisione e di sanzione delle condotte degli stati che dovessero venire meno all'accordo iniziale. Quest'ultimo elemento è il grado di scontro sulla redistribuzione sarebbero cruciali nel determinare l'intensità e le forme della delega di potere prevedendo forme più incisive di delega lì dove più alta è la posta in gioco e maggiore l'incertezza iniziale sul rispetto degli accordi da parte di tutti gli stati.