Significazione e comunicazione
Due paradigmi a confronto (Caffi, 2009:22, cfr. Nerlich-Clark 1996:7) Paradigma formale Una lingua è una forma di categorizzazione La funzione primaria della lingua è l’articolazione del pensiero Il correlato psicologico di una lingua è la competenza linguistica La sintassi è autonoma rispetto alla semantica e entrambe sono autonome rispetto alla pragmatica Paradigma funzionale Una lingua è uno strumento della interazione sociale La funzione primaria della lingua è la comunicazione Il correlato psicologico di una lingua è la competenza comunicativa La pragmatica è la cornice al cui interno si collocano sintassi e semantica: la semantica è subordinata alla pragmatica e la sintassi alla semantica
Cos’è la pragmatica? Per Ch. Morris, Fondamenti della teoria dei segni (1938) è una delle tre dimensioni in cui si articola la semiosi Semantica: relazione dei segni con gli oggetti cui sono applicabili Sintattica: relazione dei segni tra loro Pragmatica: relazione dei segni con gli interpreti Sospendere le conoscenze relative all’una o all’altra componente della relazione triadica significa compiere un’astrazione rispetto al funzionamento del sistema come processo semiotico. Kerbrat-Orecchioni (1984) distingue due linee della pragmatica: Pragmatica enunciativa, che secondo la definizione di Morris ha come oggetto la descrizione delle relazioni che si stabiliscono tra l’enunciato e i parlanti e di tutti gli aspetti dell’enunciato verbale che dipendono dal quadro enunciativo in cui è inserito. Pragmatica illocutoria, o teoria degli atti linguistici, che studia ciò che permette ad un enunciato di funzionare come un atto specifico, cioè i suoi aspetti performativi e illocutori.
Pragmatica enunciativa
Benveniste (1902-1976) Lingua e comunicazione sono due universi eterogenei, benchè attinenti alla stessa realtà e che danno luogo a due linguistiche diverse: da un lato c’è la lingua, insieme di segni formali, rilevati da procedure rigorose, dall’altro la manifestazione della lingua nella comunicazione vivente” (Benveniste, I livelli dell’analisi linguistica, pp. 55-6). Con l’abitudine siamo diventati insensibili alla profonda differenza tra il linguaggio come sistema di segni e il linguaggio assunto come esercizio dall’individuo. Nell’appropriarsi del linguaggio l’individuo lo trasforma in istanze del discorso, caratterizzate da un sistema di referenza interna la cui chiave è l’io, e che definiscono l’individuo tramite la particolare costruzione linguistica adottata quando si enuncia come locutore (p. 141). È nel discorso che la lingua si forma e si configura: “nihil est in lingua quod non prius fuerit in oratione”.
Enunciazione L’enunciazione «è la messa in funzionamento della lingua attraverso un atto individuale di utilizzazione» (Essere di parola, p. 120); atto con cui un soggetto prende in carico la lingua al fine di instaurare un rapporto di comunicazione (mediazione tra uomo e uomo e tra uomo e mondo). L’enunciazione «presuppone un parlante e un destinatario, e l’intenzione del primo di influenzare in qualche modo il secondo» (Le relazioni di tempo nel verbo francese, 1959). In quanto «atto stesso di produrre un enunciato», l’enunciazione va distinta dal suo prodotto, cioè l’enunciato o parole (L’apparato formale dell’enunciazione, 1970, p. 120) Lo studio della enunciazione mette in evidenza che emittente e ricevente e la loro reciproca posizione sono compresi nei significati degli enunciati.
Teoria dell’enunciazione vs analisi sociologica Diversamente dall’analisi sociologica, che si rivolge ai soggetti empirici, la teoria della enunciazione si occupa di come si costruiscono i soggetti nel discorso. Distinzione tra piano dell’enunciato (contenuti) e piano dell’enunciazione (struttura comunicativa)
Origine deittica dell’enunciazione L’origine deittica dell’enunciazione, il punto zero delle coordinate deittiche, è il parlante. Benveniste lo chiama “istanza enunciativa”. L’origine deittica è composta da “io, qui, ora” (Bühler, Sprachtheorie, 1934)
“L’enunciato contenente io appartiene a quel tipo o livello di linguaggio che Morris chiama pragmatico e che include, con i segni, coloro che se ne servono” (La natura dei pronomi, p. 138-139) Il pronome io non ha una referenza fissa, oggettiva e costante, ma ne assume una ogni volta differente in ciascuna delle situazioni di discorso in cui un individuo si designa come io: “Io significa ‘la persona che enuncia l’attuale istanza di discorso contenente io’” (Essere di parola, p. 139) L’unica realtà alla quale i pronomi personali di prima e seconda persona fanno riferimento è la realtà del discorso: essi appartengono alla situazione del discorso o al “processo di enunciazione linguistica”.
Deissi “Collocazione e identificazione di persone, oggetti, eventi, processi e attività di cui si parla e a cui si fa riferimento, in relazione al contesto spazio-temporale creato e mantenuto dall’atto di enunciazione e dalla partecipazione in esso, tipicamente, di un singolo parlante e di almeno un destinatario […].Vi è molto nella struttura delle lingue che può essere spiegato solo assumendo che esse si siano sviluppate per la comunicazione nelle interazioni faccia a faccia” (Lyons, Semantics, 1977, vol. II: 637-38) La deissi appare determinata dalla posizione del locutore nella situazione comunicativa; il campo deittico coincide con il campo percettivo del locutore. La deissi è contemporanea alla situazione di discorso. L’indessicalità è una dimensione fondamentale per la pragmatica, in quanto “ricopre tutti gli aspetti che vincolano le strutture linguistiche a dei contesti di proferimento” (Caffi 2009:122)
Pronomi e comunicazione Come tutte le forme deittiche, anche i pronomi sono privi di referenza, cioè “vuoti” a livello di langue, ma acquisiscono una referenza piena a livello di realizzazione nella situazione del discorso (Manetti, L’enunciazione, 2008, p. 11). È questo il modo in cui il linguaggio ha risolto il problema della comunicazione. Benveniste: «L’importanza della loro funzione è direttamente proporzionale alla natura del problema che aiutano a risolvere, quello cioè della comunicazione intersoggettiva. Il linguaggio lo ha risolto creando una serie di “segni vuoti”, non referenziali rispetto alla realtà, sempre disponibili e che diventano “pieni” non appena il parlante li assume in una istanza qualsiasi del discorso […] il loro compito è quello di fornire lo strumento di quella che potremmo chiamare conversione del linguaggio in discorso» (p. 141).
Carattere universale dei pronomi «I pronomi risultano consegnati e insegnati nelle grammatiche, offerti alla stessa stregua degli altri segni e ugualmente disponibili. Ma dal momento in cui una persona li pronuncia, li assume, ecco che il pronome io, da elemento di un paradigma, si trasforma in una designazione unica, e produce, ogni volta, una nuova persona. Si tratta dell’attualizzazione di un’esperienza essenziale; è inconcepibile che una lingua manchi di uno strumento del genere»(Essere di parola, p. 37) L’universalità di queste forme induce a pensare che il problema dei pronomi sia insieme un problema di linguaggio e un problema di lingua, o meglio, che sia un problema di lingua solo in quanto è innanzitutto un problema di linguaggio (p. 138).
La soggettività nel linguaggio “Per soggettività si intende qui “la capacità del parlante di porsi come “soggetto”, “unità psichica trascendente rispetto alla totalità delle esperienze vissute che riunisce e assicura il permanere della coscienza” (ibid.). (cfr. l’io penso di Kant) Questa soggettività “è ego che dice “ego””. Ecco il fondamento della soggettività che si determina attraverso lo status linguistico della persona. “Io” realizza l’inserzione del locutore in un momento nuovo del tempo e in un tessuto diverso di circostanze e di discorso (Il linguaggio e l’esperienza umana, 1965, p. 36) “È nel linguaggio e mediante il linguaggio che l’uomo si costituisce in quanto soggetto, perché solo il linguaggio fonda nella realtà […] il concetto di “ego”” (Della soggettività nel linguaggio, p. 112) Nella lingua la soggettività è contenuta in modo virtuale, perché le espressioni che servono a costruirla vi sono depositate e aspettano che un locutore le faccia proprie in un atto concreto di enunciazione.
Costitutiva dialogicità del linguaggio L’enunciazione è caratterizzata dalla accentuazione della relazione discorsiva con il partner. Come forma di discorso, l’enunciazione pone due figure, ugualmente necessarie, una l’origine, l’altra l’esito della enunciazione. È la struttura del dialogo (L’apparato formale della enunciazione, p. 124). La coscienza di sé avviene solo per contrasto e in relazione a un tu e questo tipo di opposizione non ha equivalenti fuori della lingua: «Io non uso io se non rivolgendomi a qualcuno, che nella mia allocuzione è un tu (Della soggettività nel linguaggio, p. 113) Ciò che può apparire come un comportamento istintivo, riflette invece una struttura di opposizioni linguistiche inerenti al discorso.
Malinowski ha evidenziato in questa dimensione la comunione fàtica, come fenomeno psicosociale del funzionamento linguistico: «Ogni enunciazione è un atto volto direttamente a collegare l’ascoltatore al locutore, attraverso una qualche forma di sentimento, sociale o di altra natura. Ancora una volta, il linguaggio, in questa funzione, appare non come uno strumento per pensare, ma come un modo di agire» (cit. p. 126). La comunione fatica è una forma convenzionale di enunciazione ripiegata su di sé, gratificata della propria attività, senza implicazioni di oggetto, di finalità, di messaggio, pura enunciazione.
L’apparato formale dell’enunciazione Indici di persona: forme linguistiche che rimandano sempre a individui che fanno parte della situazione di enunciazione e non a concetti fissi Indici di ostensione: dimostrativi e avverbi di spazio e di tempo Forme della temporalità, a partire dal presente come espressione del tempo coestensivo alla situazione di enunciazione (il presente linguistico è sui-referenziale): l’unico tempo inerente al linguaggio e per natura implicito (Il linguaggio e l’esperienza umana, 1965) Forme della illocutività: verbi performativi, la cui forza specifica si realizza solo se un determinato soggetto li pronuncia alla prima persona singolare (cfr. Della soggettività nel linguaggio, 1958) Modalità, la cui problematica emerge dalla considerazione che il soggetto ha la possibiltà di marcare il proprio enunciato in vari modi per indicare il proprio atteggiamento nei confronti del contenuto.
Pragmatica illocutoria
La Teoria degli atti linguistici Austin (1911-1960)
Performatività (da to perform) Già Aristotele distingueva tra frasi apofantiche e frasi semantiche. Nel Novecento la riflessione pragmatica si deve a: Wittgenstein, Austin, Searle, Grice.
Si possono descrivere le seguenti frasi in termini di verità/falsità? Chi vuole fare l’esame nel primo appello? Fate attenzione! Bene, promosso! Ti prometto che ne terrò conto Scommetto che ti darà la lode Ti consiglio di ripensarci Mi scuso per l’errore Battezzo questa nave Queen Elizabeth Vietato fumare Cane feroce
Teoria dell’azione comunicativa Austin, Performativo e constatativo (1958) Con gli enunciati assertivi si dice qualcosa Con gli enunciati performativi (che contengono un verbo performativo) si fa qualcosa, o meglio si fa quello che si dice e si dice quello che si fa.
I verbi performativi segnalano lo svolgimento di un atto linguistico Asserire, giudicare, ordinare, scommettere, giurare, dichiarare, domandare, salutare, licenziare, dimettersi, battezzare ecc. La loro presenza in un atto linguistico implica l’esecuzione dell’azione che evocano. Sono verbi che alla prima persona del presente indicativo fanno quello che dicono e dicono quello che fanno (Caffi, p. 37) Condizioni di funzionamento del performativo: prima persona singolare Forma attiva indicativo presente (necessità di ancoraggio al contesto di enunciazione: discorso, cfr. Benveniste)
Forma canonica del performativo Prima persona singolare, verbo in forma attiva, indicativo presente Esempi: Scommetto…, battezzo..., dono..., dichiaro..., prego… E però sono performativi pur non rispettando la forma canonica, vietato fumare I viaggiatori sono pregati di servirsi del sottopassaggio Chiudi la porta! mentre: Asserisco che c’è il sole, è in forma canonica ma non è un performativo.
Condizioni di buona riuscita (felicità) A) Competenze relative alla procedura convenzionale accettata, che deve includere certe persone in certe circostanze, il loro atto di pronunciare certe parole e la loro rispettiva appropriatezza B) Rispetto della procedura, che deve essere eseguita in modo corretto e completo C) Stati interni del parlante coerenti con la procedura eseguita e comportamenti conseguenti coerenti
Infelicità Colpi a vuoto Atto preteso ma nullo Abusi Rispetto all’oggetto o all’interlocutore: Invocazioni indebite (violazione della condizione A) Colpi a vuoto Atto preteso ma nullo Rispetto alla procedura: Esecuzioni improprie (violazione della condizione B) Abusi Rispetto al parlante: Atto ostentato ma vacuo (Violazione della condizione C)
Invocazioni indebite: una delle condizioni di proferimento non viene rispettata (persone, momento, procedure): ad esempio si battezza un pinguino; si scommette qualcosa senza che ci sia qualcuno che scommette il contrario Esecuzioni improprie: ad esempio un cerimoniale (matrimonio, giuramento) non realizzato completamente ma interrotto per qualche motivo esterno (esempio giuramento di Obama, 20.1.2009) Abuso: quando l’enunciato viene formulato senza sincerità (non si hanno sentimenti, pensieri, intenzioni corrispondenti), oppure non è seguito da un agire coerente: ad esempio: “mi congratulo!” quando non penso che sia un’azione lodevole; oppure “benvenuto!” e poi tratto la persona come un intruso.
Condizioni di buona/cattiva riuscita dei constatativi Austin, How to do things with worlds (1962): Parlare comporta compiere azioni di tipo sociale, regolate da convenzioni spesso tacite. Tali convenzioni comprendono “condizioni di felicità”, che devono cioè essere soddisfatte dal contesto in cui l’enunciato è proferito. Anche l’atto linguistico assertivo risponde a condizioni di felicità che, se violate, possono decretarne il fallimento. Tra le condizioni di felicità di un atto assertivo c’è il riferimento, in assenza del quale l’atto assertivo non può avere un valore di verità.
I livelli di descrizione dell’atto linguistico Austin, How to do things with words (Come far cose con le parole), 1962: dire qualcosa equivale a compiere tre atti simultanei: Locutorio: atto del dire qualcosa, equivale a pronunciare una certa frase con un certo significato (in senso tradizionale). Comprende l’atto di emettere certi suoni (fonetico), l’atto di proferire vocaboli appartenenti a un certo lessico e a una certa grammatica (fatico), l’atto di usare questi vocaboli con un senso e un riferimento più o meno definiti Illocutorio: atto nel dire, modo in cui deve essere interpretato ciò che si dice; forza: funzione comunicativa convenzionale: la forza illocutoria è esplicitabile attraverso forme messe a disposizione da una lingua naturale. Perlocutorio: atto col dire, ciò che otteniamo o riusciamo a fare con le parole (dimensione non convenzionale). Distinzione tra obiettivo perlocutorio (connesso alla illocuzione) e seguiti perlocutori (non necessariamente legati alla illocuzione).
Forza illocutoria Elemento di novità introdotto da Austin. Funzione comunicativa convenzionale e contestualizzata (es. domanda, ordine, promessa, consiglio, preghiera, ecc.) Mette a fuoco i diversi modi in cui il linguaggio è azione
un relatore può chiedere silenzio al suo uditorio: Distinzione tra atto illocutorio e atto perlocutorio, tra intenzione illocutiva e forza illocutiva superficiale. Ciò che facciamo col dire può restare identico pur variando ciò che facciamo nel dire. Esempio un relatore può chiedere silenzio al suo uditorio: Non verbalmente, osservando con aria severa e seccata gli astanti Con una domanda: potete fare silenzio? Con una asserzione: sembra il mercato Con un’esortazione: facciamo silenzio! Con un ordine: fate silenzio! Con una esclamazione: che chiacchiera!
Per esempio in una campagna elettorale: La funzione perlocutiva può essere realizzata attraverso diversi atti illocutivi. Per esempio in una campagna elettorale: Invito esplicito a votare un certo candidato: Votate Mario Rossi (atto esercitivo) Presentazione del candidato: Mario Rossi, uno come te (atto descrittivo) Vedi anche nella pubblicità commerciale: Acquista una cucina Scavolini Scavolini, la più amata dagli italiani
Significato letterale e forza “Questo Paese deve essere unito, e se non l’unisce la persuasione lo farà la spada” (Convenzione Federale di Filadelfia, 1787, discussione sulla futura Costituzione degli Stati Uniti) Che tipo di atto è ? Constatazione oppure Avvertimento, minaccia Giuseppe ama i suoi libri come figli Asserzione Consiglio (restituire il libro al più presto)
Indicatori di forza illocutoria Indicatori lessicali Verbi illocutori Forme di intestazione: Convocazione, Nomina, Autorizzazione, Domanda, Avviso Espressioni frasali (per favore) Indicatori sintattici Modo verbale: imperativo e le sue funzioni: Giura di dire la verità (imperativo=direttivo) vs Tu giuri di dire la verità (indicativo=assertivo); augurio: divertiti!; offerta: prendilo pure!; istruzioni: prendete un Kg di farina…. Passivo: vietato fumare!; I viaggiatori sono pregati di servirsi del sottopassaggio; la seduta è tolta; Lei è licenziato! Forma impersonale: si prega di riagganciare; Con la presente la S.V. è convocata; si avverte che i trasgressori saranno puniti Tempo verbale: es.futuro (promessa: verrò); imperfetto (volevo solo chiedere..)
Indicatori prosodici Tono della voce Enfasi Esempio: Vieni da noi Può avere diverse forze: Ordine Domanda Richiesta gentile Esclamazione di stupore
Austin: tipi di atti linguistici in relazione a verbi illocutivi Verdettivi: emissione di un verdetto, un giudizio, una valutazione (giudicare, stimare, valutare, calcolare) Esercitivi: esercizio di poteri, diritti, influenza (ordinare, raccomandare, lasciare in eredità, licenziare, votare per, avvertire, consigliare) Commissivi: assumere un impegno (promettere, scommettere, avere intenzione di, proporre, giurare, opporsi, acconsentire) Comportativi: legati ad atteggiamenti e comportamenti sociali (scusarsi, congratularsi, sfidare, ringraziare, dare il benvenuto, augurare, benedire, maledire) Espositivi: usati nel discorso nella esposizione di un modo di vedere: illustrare opinioni, portare avanti discussioni, chiarificare usi e riferimenti (affermare, negare, rispondere, domandare, dedurre, definire, concludere).
Searle (1932-)
«Parlare una lingua significa impegnarsi in una forma di comportamento molto complessa, governata da regole. Apprendere a padroneggiare una lingua è tra l’altro apprendere a padroneggiare tali regole» (Atti linguistici. Saggio di filosofia del linguaggio, a cura di Leonardi, Boringhieri, 1976; ed.or.1969, p. 36) Influenza della linguistica chomskiana: «La struttura semantica di una lingua può essere concepita come la realizzazione convenzionale di una serie di insiemi di regole costitutive sottostanti […] gli atti linguistici sono atti eseguiti, tipicamente, enunciando espressioni in accordo con questi insiemi» (ivi, p. 65)
Regole costitutive e regole normative La maggior parte delle regole regolano comportamenti preesistenti: “guidare sul lato destro della strada” stabilisce come si guida negli Stati Uniti, ma l’attività di guidare un auto esiste indipendentemente da tale regola. La forma caratteristica di queste regole è “fai X”. Alcune regole non solo regolano ma creano la possibilità stessa del comportamento: ad esempio le regole degli scacchi costituiscono il gioco. La forma caratteristica di queste regole è “X ha valore di Y nel contesto C”. Perché un pezzo di carta (X) abbia valore di banconota (Y) sono necessarie regole costitutive, in primo luogo regole costitutive sull’aver valore di banconota; in secondo luogo regole costitutive sulla validità delle banconote. Ciò vale anche per l’uso del verbo promettere: «l’enunciazione di P conta come l’assunzione dell’obbligo di fare x»
Più chiara distinzione tra contenuto proposizionale e forza illocutoria: Una stessa forza può essere innestata su contenuti proposizionali diversi Forze illocutorie diverse possono avere lo stesso contenuto proposizionale Test della negazione: è possibile negare separatamente la forza o il contenuto proposizionale
Chiamami alle otto (Ti chiedo (piano illocutivo) di chiamarmi alle otto (piano locutivo)) atto enunciativo (locutorio): sequenza fonica e atto proposizionale; atto illocutivo: forza illocutiva, intenzione del parlante: richiesta (direttivo) atto perlocutivo: effetto, comportamento conseguente dell’interlocutore. Possibilità di negare il livello locutivo (proposizionale) o illocutivo (la forza) Non ti chiedo di chiamarmi alle otto Ti chiedo di non chiamarmi alle otto
Dimensioni fondamentali di variazione degli atti illocutori Scopo dell’enunciato Indurre qualcuno a fare (credere/dire) qualcosa Impegnarsi in un’azione futura Rappresentare qualcosa Direzione del vettore di adattamento tra parole e mondo Adattamento delle parole al mondo (asserzioni) Adattamento del mondo alle parole (promesse, ordini) Stato psicologico del parlante Credenze del parlante (asserzioni) Intenzione di azione (promettere, minacciare) Desiderio di azione da parte del destinatario (richiesta, ordine)
Energia o intensità con cui è presentato lo scopo illocutorio Andiamo al cinema? Voglio andare al cinema Influenza delle differenze di status e posizione del parlante sulla forza illocutoria dell’enunciato Ruolo della simmetria/asimmetria tra parlanti in relazione ad un comando o a una richiesta Necessità o meno di determinate condizioni extra-linguistiche Sciogliere le camere laureare
Tipi di atti linguistici per Searle rappresentativi – Scopo: impegno del parlante nei confronti della verità della proposizione espressa (asserire, concludere ecc.). Stato psicologico: credenza. (=espositivi e verdittivi di Austin) direttivi – Scopo: il parlante tenta di indurre l’interlocutore a fare qualcosa (interrogare, richiedere, avvertire, ordinare, comandare, supplicare ecc.). Stato psicologico: volere o desiderio (= esercitivi di Austin). commissivi – Scopo: impegno del parlante a fare qualcosa nel futuro (promettere, minacciare, offrire ecc.). Stato psicologico: intenzione. (=commissivi di Austin) espressivi – Scopo: esprimere uno stato psicologico (ringraziare, scusarsi, salutare, lamentarsi, congratularsi ecc.). Stato psicologico: emozioni e stati intenzionali diversi (vedi i comportativi di Austin) dichiarativi – Scopo: provocare cambiamenti immediati in uno stato di cose istituzionale, far sì che una cosa avvenga dichiarando che essa avviene (scomunicare, licenziare, battezzare, dichiarare guerra ecc.). La performatività torna ad essere un tratto specifico di alcuni verbi, cfr. Benveniste, verbi dichiarativi
Corrispondenza tra atti linguistici e stati intenzionali I primi quattro tipi di atti linguistici hanno analoghi esatti tra gli stati intenzionali: agli assertivi corrispondono le credenze ai direttivi i desideri ai commissivi le intenzioni agli espressivi l’intera gamma di emozioni e gli stati intenzionali in cui l’adattamento presupposto è dato per scontato. Ma agli atti dichiarativi non corrispondono entità prelinguistiche analoghe. Gli stati intenzionali prelinguistici non possono creare fatti nel mondo rappresentando questi fatti come già esistenti. Questo tratto degno di nota richiede il linguaggio (Searle 2010:90).
Atti dichiarativi Combinano la direzione di adattamento parola-a-mondo con quella mondo-a-parola. Sono i casi in cui modifichiamo la realtà per farla corrispondere al contenuto proposizionale dell’atto linguistico e, in tal modo, otteniamo la direzione di adattamento parola-a-mondo. Ma, questa è la parte straordinaria, riusciamo a fare ciò perché rappresentiamo la realtà come cambiata. Le dichiarazioni cambiano il mondo dichiarando che uno stato di cose esiste, e nel dichiararlo, costituiscono quello stesso stato di cose”. (Searle, Creare il mondo sociale, Cortina 2010 (ed. or. 2010), p. 12-3)
Funzioni di status e atti dichiarativi Secondo Searle (Creare il mondo sociale. La struttura della civiltà umana, Cortina, 2010), tutti i fatti istituzionali e dunque le funzioni di status (che Barack Obama sia il presidente degli Stati Uniti, aggiornare una seduta, ecc.) sono creati da atti linguistici dichiarativi. Con l’eccezione importantissima del linguaggio, tutta la realtà istituzionale – dunque in un certo senso l’intera civiltà umana – è creata da atti linguistici che hanno la stessa forma logica delle dichiarazioni.
Il rapporto tra linguaggio e “fatti istituzionali” (matrimonio, proprietà, denaro, ecc.) è rintracciabile nella evidenza che sia le istituzioni che le lingue sono basate su regole costitutive. Le regole costitutive sono dichiarazioni permanenti (ivi, pp.13-4) «La nostra ipotesi che parlare una lingua sia eseguire degli atti secondo regole costitutive ci coinvolge nell’ipotesi che sia un fatto istituzionale il fatto che un uomo abbia eseguito un certo atto linguistico, che ad esempio abbia fatto una promessa» (Atti linguistici, 1976, p. 82)
Atti linguistici indiretti Atti in cui la funzione non corrisponde alla forma. Un atto illocutorio viene eseguito indirettamente attraverso l’esecuzione di un altro atto linguistico. Ad esempio la funzione del direttivo è svolta da una forma affermativa, propria dell’atto rappresentativo. Es. Credo che il treno stia partendo Direttivo (ti consiglio di andare) in forma di rappresentativo (con verbo di atteggiamento con funzione attenuativa) (mitigazione, cfr. Benveniste: verbi di atteggiamento proposizionale) Quante volte v’ho detto, all’uno e all’altro, che i frati bisogna lasciarli cuocere nel loro brodo? I Promessi Sposi, cap. XVII Affermazione (rappresentativo/verdettivo) nella forma di domanda (retorica) Le strutture superficiali di un tipo di forza illocutiva sono utilizzate per raggiungere scopi direttamente legati ad un altro tipo di forza. Negli atti linguistici indiretti il parlante comunica all’ascoltatore più di quanto effettivamente non dica. Logica della cortesia
Gli atti linguistici indiretti lasciano al destinatario la scelta del modo di intendere l’enunciato, tramite una implicatura conversazionale, e sono meno impositivi. Viene perciò privilegiato l’essere indiretti a scapito della chiarezza, perché offre delle alternative e non pone il destinatario in una posizione di inferiorità. Quando due persone interagiscono linguisticamente negoziano non solo il significato di ciò che si dicono ma anche la loro relazione