I SETTE PRINCIPI DELLA TEORIA DELLA COMPLESSITÀ

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I SETTE PRINCIPI DELLA TEORIA DELLA COMPLESSITÀ

Noi abbiamo accettato la sfida della complessità Noi abbiamo accettato la sfida della complessità. L’abbiamo studiata, approfondita, elaborata. Per accettare la sfida della complessità non è comunque necessario leggere libri o consultare riviste. La sfida della complessità ha a che fare con il vissuto di ognuno di noi. Per accettare la sfida della complessità è sufficiente immergersi nella rete della vita con gli occhi aperti e la curiosità tipica dei bambini (De Toni, Comello, p. 82)

1. Auto-organizzazione

La vita è il riflesso di un fenomeno molto più ampio, che mi piacerebbe vedere definito da una legge antagonista al secondo principio della termodinamica: una legge che descrivesse la tendenza della materia a organizzarsi e che prevedesse le proprietà generali dell’organizzazione che ci aspetteremmo di riscontrare nell’universo. (Farmer, 1998)

Nel concetto di autoorganizzazione è implicita una «chiusura» del sistema su se stesso che gli permette di mantenere una sua singolarità. → I sistemi viventi sono dotati di una “chiusura operazionale” che ne permette l’autonomia rispetto all’ambiente e la produzione autosufficiente di significato (N. Wiener)

I biologi cileni Maturana e Varela hanno approfondito l’auto-organizzazione dei sistemi viventi definendola auto-poiesi (Varela, Maturana 1985) Es. Immunologia come respingere il non-sé

Se ne deduce che: i processi di auto-organizzazione dell’organismo non sono identici ai processi di auto-organizzazione dell’ambiente. tuttavia, la continua interazione fra organismo e ambiente fa sì che si istituiscano degli “accoppiamenti strutturali”, che consentono all’organismo di sviluppare delle organizzazioni interne che, pur essendo autonome, sono in risonanza con la struttura dell’ambiente.

Esiste una “via di mezzo” fra autonomia ed eteronomia, fra solipsismo ed etero-determinazione del soggetto, che permette di pensare «la co-emergenza delle unità autonome e dei loro mondi» (Varela, 1985, p. 132).

auto-eco-organizzati I sistemi complessi sono auto-eco-organizzati

Ciascun individuo è dotato di proprie logiche e di una produzione autonoma di significato. «Occorre mettersi nella testa di un altro senza ridurre la logica dell’altro alla propria logica, e lasciare che l’altro compia un’analoga operazione di “trans-spezione” (M. Maruyama) nei nostri confronti» (Ceruti, 1985, p. 15).

Il mondo degli individui è costituito da tanti punti di vista irriducibili l’uno all’altro, ma che, ciononostante, possono dialogare fra loro. → non esiste una “teoria del tutto”, una master equation, una grand theory

La nozione di complessità conduce ad un “arretramento” “quasi estetico” di fronte a teorie onnicomprensive, ma semplificatrici (Stenger, 1985, p. 51).

Morin usa il termine “dialogica” per alludere a un siffatto confronto fra più punti di vista: C’è una pluralità di istanze. Ciascuna di queste istanze è decisiva; ciascuna è insufficiente; ciascuna di queste istanze comporta il principio di incertezza […] Il problema […] è di fare comunicare queste istanze separate; è in qualche modo di fare il circolo (Morin, 1984, pp. 77-78).

Il cervello è una proprietà emergente del cervello Gli stormi di uccelli si auto-organizzano La vita sociale delle formiche è un sistema auto-organizzato….

I sistemi complessi possono essere frutto di leggi semplici Gli uccelli artificiali possono organizzarsi in stormi obbedendo semplicemente a tre regole: Separazione: si gira per evitare un affollamento locale Allineamento: gira verso la direzione media degli uccelli del vicinato Coesione: gira verso la posizione media degli uccelli del vicinato

PRIGIONIERO B PRIGIONIERO A tace confessa A ottiene 1 anno di carcere B ottiene 1 anno di carcere A ottiene la libertà B ottiene 20 anno di carcere A ottiene 20 anni di carcere B ottiene la libertà A ottiene 12 anni di carcere B ottiene 12 anni di carcere

Se il gioco viene «reiterato» (giocato più volte) diventa sconveniente competere: conviene cooperare. Gioco: http://serendip.brynmawr.edu/bb/pd.html

logica “passo passo”: si fa un passo e si attende la risposta dell’ambiente; poi si fa un altro passo che tiene conto di tale risposta e così via.

Un agente adattivo è in continuo scontro con l’ambiente. La previsione è una caratteristica intrinseca dei sistemi complessi adattativi, che va molto oltre l’uso cosciente di teorie o modelli. Ad esempio la farfalla viceré sarebbe molto gustosa per gli uccelli, se non fosse che raramente viene mangiata perché il disegno delle ali imita alla perfezione il disegno delle ali di una farfalla disgustosa, la farfalla monarca. Il DNA della farfalla viceré codifica un modello che le permette di svolazzare, scommettendo la vita sul fatto che tale modello sia corretto. Si ha uno stupefacente caso di perizia implicita negli architetti medievali che progettarono le grandi capitali gotiche. Il loro modello di fisica era del tutto implicito e intuitivo.

I sistemi evolvono perché sono in retroazione con l’ambiente: questa è stata la grande intuizione di Darwin. per John Holland la retroazione era la questione centrale (Waldrop, 1992, tr. it. 2002, p. 286)

Per Holland la conoscenza: è fatta di strutture mentali che obbediscono a regole; queste regole sono in competizione fra loro cosicché l’esperienza rende quelle utili sempre più forti e sempre più deboli quelle inutili; nuove regole plausibili vengono generate dalla combinazione di quelle esistenti.

→ Holland chiama questa gerarchia modello interno Questi tre principi provocano l’emergenza di gerarchie costituendo la struttura organizzativa di base dell’intera conoscenza umana. → Holland chiama questa gerarchia modello interno Ci serviamo di regole generale deboli – con alcune eccezioni forti – per anticipare le categorie alle quali appartengono gli oggetti: “Se un organismo ha forma idrodinamica, è dotato di pinne e vive nell’acqua, allora è un pesce”, ma “Se ha anche la pelle liscia, respira aria ed è grande allora è una balena”.

Holland diceva: “in contrasto con la corrente ufficiale, ritengo la competizione molto più essenziale della coerenza”. C’è poi una sorta di magia nel fatto che la competizione produca un incentivo molto forte alla cooperazione. Cooperazione e competizione possono sembrare antitetiche, ma per certi aspetti fondamentali sono due facce della stessa medaglia (Waldrop, 1992, tr. it. p. 289).

Competizione e cooperazione Compresenza di competizione e cooperazione: il sistemi auto-organizzati competono perché debbono difendere la propria autoorganizzazione; debbono cooperare perché hanno bisogno di interagire con l’ambiente per sopravvivere Un’organizzazione è un mix fra competizione e cooperazione Il tutto è più della somma delle parti, ma è anche meno della somma delle parti Per un sano sviluppo psichico, la gratitudine deve vincere sull’odio (M. Klein)

2. Orlo del caos

Devo trovarmi in uno stato di semi-trance per ottenere questi risultati: una condizione in cui la parte consapevole è temporaneamente “fuori uso” e il subconscio assume il controllo dell’attività compositiva, perché attraverso la parte inconscia della mente, che appartiene all’Onnipotenza, che arriva l’ispirazione. Ma devo stare attento a non perdere del tutto la consapevolezza, altrimenti le idee svaniscono […] Ma non faccia l’errore, amico mio, di pensare che siccome attribuisco tutta quell’importanza all’ispirazione che viene dall’alto non ci sia altro oltre a essa. La struttura è altrettanto fondamentale, perché senza un’accurata elaborazione, l’ispirazione è solo “una canna scossa dal vento” oppure “suono di ottoni e tintinnio di cimbali”. (Brahms, cit. in De Toni, Comello, p. 114)

Le quattro classi di universalità di Stephen Wolfram: regole della classe I: regole che portavano al un “punto attrattore” regole della classe II: regole che portavano a un attrattore periodico regole della classe III: regole che portavano al caos regole della classe IV: regole che conducevano a strutture coerenti

A livello fisico, esistono transizione di fase di primo e di secondo ordine. le prime sono quelle che avvengono in modo repentino, come il passaggio del ghiaccio ad acqua quando si superano gli zero gradi. esistono però transizioni che nel passaggio fra i due stati realizzano un perfetto equilibrio.

In molti sistemi non lineari l’equazione del moto contiene un parametro numerico che funziona come una sorta di manopola della sintonia, che controlla in che misura il sistema è caotico (Waldrop, 1992, tr. 2002) → Chris Langton, per definire questo «stato di grazia» della transizione, utilizzò il termine «margine del caos» o «orlo del caos»

 Sistemi dinamici Ordine  “complessità”  caos   Materia Solido  “transizione di fase”  fluido   Computazione Termina  “indecidibile”  non termina   Vita Staticità  “vita/intelligenza”  frenesia caotica

L’orlo del caos rappresenta una condizione di «ordine dinamico». Prigogine afferma che in condizioni prossime al disequilibrio la materia, che prima era «cieca», inizia a «vedere» e si riescano, conseguentemente, a costruire nuove relazioni dinamiche, emergenze, creazioni. Il caos può essere pensato come un fattore di creatività. Naturalmente spingersi troppo in là in direzione dell’orlo del caos può portare alla distruzione…

Sembra che l’evoluzione – anche se è una questione spinosa dire quale organismo è più evoluto – spinga gli esseri verso una maggiore complessità e li renda capaci di muoversi lungo il margine del caos. Perché? (Waldrop, 1992, tr. it 1996, p. 475) Cfr. con l’universo creativo di Whitehead La complessità è dunque, almeno in parte, lo studio dell’innovazione che pervade l’universo (McElroy, 2000, cit. in De Toni, Comello, p. 123)

Il fisico Per Bak scoprì quella che lui definì la «criticità auto-organizzata», ovvero la tendenza dei sistemi naturali a tendere all’orlo del caos mediante un’auto-organizzazione. L’esempio utilizzato da Bak per descrivere il fenomeno è quello di granelli di sabbia che cadono costantemente dall’alto fino a formare un mucchietto di sabbia. Ad un certo punto il mucchietto di sabbia non riesce più a crescere e risulta autoorganizzato, nel senso che ha raggiunto una stabilità di per sé; gli ulteriori granelli scivoleranno lungo le pareti. Il mucchietto di sabbia si trova in una situazione di criticità, nel senso che i granelli di sabbia sono appena stabili e sembrano sul punto di cedere, ma non lo fanno. Non si può dire alla caduta di un nuovo granello cosa potrà accadere: se una grande frana o un piccolo spostamento di alcuni granelli. Entrambe le possibilità di verificheranno, ma le valanghe di grandi dimensioni saranno rare, mentre i piccoli spostamenti frequenti.

Anzi, la frequenza media delle grandi valanghe è inversamente proporzionale a una qualche potenza della dimensione stessa («legge di elevamento a potenza») → «è molto importante notare, prosegue Bak, come tale legge di elevamento a potenza sia molto comune in natura. È stata osservata nell’attività solare, nella luce emessa dalle galassie, nel flusso di corrente elettrica che attraversa un resistore e nel flusso di acqua in un fiume. I grandi impulsi sono rari, quelli piccoli sono comuni, ma in ogni caso la frequenza segue questo andamento. il fenomeno è così diffuso che la spiegazione della sua ubiquità è diventata uno dei misteri più insondabili della fisica. Perché?» (Waldrop, p. 491)

Dal disordine nasce spesso la creazione Ogni sistema vivente è minacciato dal disordine ma nello stesso tempo se ne nutre (Morin, 1994, p. 117)

Per Dewey la vita è un’alternanza fra ordine e disordine: la creatura si «mette in moto» quando percepisce una perdita dell’equilibrio nell’interazione con l’ambiente. Tale concetto è stato presente a lungo in psicologia nell’idea che gli esseri viventi perseguissero l’equilibrio, l’omeostasi. Freud ne parlava come di «principio di costanza» → Tuttavia in Dewey è centrale l’idea che l’equilibrio che si conquista produce un incremento qualitativo rispetto all’equilibrio perduto.

La vita consiste in fasi in cui l’organismo perde il passo rispetto alla marcia delle cose circostanti e poi lo recupera, o con uno sforzo o per qualche felice circostanza. E in una vita che si sviluppa, il ricupero non è mai un mero ritorno allo stato precedente, in quanto esso si è arricchito dello stato di squilibrio e di resistenza attraverso il quale è passato con successo. Se il vuoto tra l’organismo e l’ambiente è troppo largo, l’essere vivente muore. Se la sua attività non viene intensificata da un momentaneo dislivello, esso non fa che vegetare. La vita si sviluppa allorché un momentaneo sbandamento permette il passaggio a un equilibrio più vasto tra le energie dell’organismo e quelle delle condizioni in cui esso vive. (Dewey, Arte come esperienza, cap. 1)

Anche il nostro senso della bellezza è ispirato dalla combinazione di ordine e disordine Perché il profilo di un albero spoglio piegato dal vento impetuoso contro un cielo serale viene percepito come bello, mentre il profilo di un edificio universitario funzionale non viene percepito come tale, nonostante tutti gli sforzi dell’architetto? La risposta, anche se un po’ speculativa, mi sembra venire dalla nuova comprensione dei sistemi dinamici. Il nostro senso della bellezza è ispirato dalla combinazione armonica di ordine e disordine quale si presenta in oggetti naturali; in nuvole, alberi, catene di montagne, cristalli di neve. Le forme di tutti questi oggetti sono processi dinamici consolidati in forme fisiche, e particolari combinazioni di ordine e disordine sono tipiche di tali forme (Gert Eilenberger, Freedom, science and aestetics, in Schӧnheit im Chaos, p. 35, cit. in Gleich, 1987, tr.it. 2000, p. 120).

Ma questa è la tesi centrale del libro di Dewey Ma questa è la tesi centrale del libro di Dewey! L’arte deriva dallo sperimentare momenti di armonia; ma l’armonia presuppone la disarmonia, perché… …laddove ogni cosa è già completa non esiste compimento. Ci prospettiamo con piacere il Nirvana e una felicità celestiale e uniforme soltanto perché essi si proiettano sullo sfondo di questo nostro mondo di violenza e di lotta.

L’armonia così raggiunta non è semplicemente l’opposto della disarmonia, ma «ingloba» in sé l’emozione e l’intelligenza profuse nella lotta che hanno permesso di giungere ad essa.

L’ordine non è imposto dal di fuori, ma è costituito dai rapporti di reazione armonica che le energie producono l’una sull’altra. Poiché è attivo (e non statico come sarebbe se fosse estraneo a ciò che si svolge), l’ordine si sviluppa da sé. […] L’ordine non può essere che oggetto di ammirazione in un mondo costantemente minacciato dal disordine. […] In un mondo come il nostro ogni essere vivente che raggiunga sufficiente sensibilità ogni qual volta trovi attorno a sé un ordine confacente accoglie l’ordine corrispondendogli con un sentimento di armonia. (Dewey, Arte come esperienza, cap. 1)

Dalla cultura dell’ «or» alla cultura dell’ «and» Accettare l’ordine e il disordine contemporaneamente significa, più in generale, accettare la contraddizione (De Toni, Comello, p. 127) → per la teoria della complessità il gioco degli opposti non è un gioco a somma nulla (a differenza di quanto pensava la scienza classica).

Il pensiero logico, lineare, il pensiero aristotelico per cui A è A e non può essere «non-A», pur essendo alla base del nostro processo di conoscenza, non è in grado di aiutarci ad «interpretare» la realtà complessa dove A è A ma anche «non-A», dove un evento è illogico ma anche logico, nello stesso tempo/luogo, ma modificando la configurazione complessiva (il punto di osservazione potremmo dire) (Celestino, 2002, cit. in De Toni, Comello, p. 129)

Si tratta, in definitiva, di una ripresa della dialettica hegeliana dove, tuttavia, l’esito non è prestabilito, non è un «sistema» (come accade nel pensiero hegeliano), ma è sospinto dal basso, dalla creatività della natura ed è fondamentalmente aperto.

Se volessimo fare degli esempi a livello psicologico potremmo dire che può amare veramente solo chi ha conosciuto l’odio e l’ha superato; che può essere veramente temerario chi sa cos’è la paura, altrimenti è solo uno spericolato: quell’amore, quella temerarietà contengono il loro opposto, che è stato in essi «inglobato», «mediato», «sintetizzato»… per Jung i contenuti della psiche collettiva (gli archetipi) hanno natura bivalente: bene/male, forza/debolezza, calma/imprudenza ecc. Sta al percorso di individuazione di ciascuno sintetizzarli in una unità più vasta…

3. Il principio ologrammatico

La parte è nel tutto, il tutto è nella parte Morin Vedere un Mondo in un granello di sabbia, E un Cielo in un fiore selvatico, Tenere l’Infinito nel cavo della mano Blake

La scienza ha iniziato un dialogo fruttuoso con la natura ma lo sbocco di questo dialogo è stato dei più sorprendenti. Esso ha rivelato all’uomo una natura passiva e morta, una natura che si comporta come un automa che, una volta programmato, segue eternamente le regole scritte sul suo programma. In questo senso il dialogo con la natura ha isolato l’uomo dalla natura, piuttosto di metterlo a più stretto contatto con essa. Uno dei più grandi successi della ragione umana è diventato una triste verità. La scienza è stata vista come una cosa che disincanta tutto ciò che tocca. Prigogine, Stengers (1979, tr. it. 1981, p. 8, cit. in De Toni, Comello, p. 135)

Concezione della natura come un «meccanismo» da concepire secondo la logica del «riduzionismo» per cui il tutto è la somma delle parti e un sistema può essere ridotto all’insieme dei sottosistemi di cui è formato. questa concezione è un’approssimazione che si può considerare accettabile solo per i sistemi prossimi all’equilibrio, ma cessa di essere valida per i sistemi lontani dall’equilibrio, per il quali vale la regola che «il tutto è più della somma delle parti» Lontano dall’equilibrio vengono meno logiche di tipo «lineare» e parcellare e compaiono interazioni «non lineari» e globali: «vicino all’equilibrio la materia è cieca; lontano dall’equilibrio, inizia a vedere» (Prigogine)

Ora, siccome ogni sistema ha bisogno di interagire con l’ambiente per sopravvivere (→ cfr. «sistemi aperti»), è necessario sottolineare che tale interazione avviene secondo logiche non-lineari L’interazione dell’organismo con l’ambiente è qualcosa di più di un mero scambio di materia e informazioni, di un mero adattamento meccanico: Questi luoghi comuni biologici sono qualcosa di più di luoghi comuni biologici (Dewey). Il mantenimento dell’equilibrio di cui il sistema vivente ha bisogno per sopravvivere non è meccanico, ma frutto di una continua tensione; ed è inoltre cumulativo, capace di «apprendere dall’esperienza» → Per rendere conto di questa tensione viva fra organismo e ambiente, Dewey usa il termine «transattività»

Certamente i sistemi viventi evolvono perché sono in «retroazione» con l’ambiente: questa è stata la grande intuizione di Darwin (Waldrop, cit. p. 286). Ma gli scienziati di Santa Fe, pur non essendo creazionisti, non riuscivano a convincersi che solo il caso e la selezione potessero aver combinato tutto. L’evoluzione sembrava essere qualcosa di più che non la semplice somma di mutazioni casuali e selezione naturale (pp. 407 ss.)

Un sistema, per essere tale, deve essere sia un «tutto» ma anche articolato in «parti». Un sistema complesso è un sistema composto da molte parti differenziate, organizzate gerarchicamente (un esempio è il corpo umano), fra le quali intercorre una fitta rete di relazioni “non-lineari”. Il funzionamento del sistema in quanto «tutto» coesiste con il funzionamento del sistema in quanto articolato in parti autonome; analogamente ogni sistema vivente può essere considerato parte dell’Ambiente: ogni sistema è auto-eco-organizzato.

Al limite si deve considerare l’esistenza di un unico grande sistema: l’intero universo: ogni suddivisione in parti è arbitraria e provvisoria e risponde alla logica delle «parti» (che però sono a loro volta parte del sistema!): Il mondo non ci si presenta ordinatamente in sistemi, sottosistemi, ambienti e così via. Queste sono divisioni che operiamo noi stessi con vari scopi. È evidente che differenti comunità di osservatori troveranno conveniente dividere il mondo in differenti maniere, e saranno interessati a sistemi differenti in situazioni differenti: ora ad esempio alla cellula, con il resto del mondo come ambiente, e in seguito al sistema postale, o al sistema economico, o al sistema atmosferico. Le discipline scientifiche costituite hanno naturalmente sviluppato diverse maniera privilegiate di dividere il mondo in ambiente e sistema, in linea con i loro differenti scopi e hanno sviluppato anche differenti metodologie e terminologie consistenti con le loro motivazioni. (Varela, 1979, cit. in De Toni, Comello, p. 139)

Il principio ologrammatico Il principio ologrammatico* nelle teorie della complessità si riferisce al fatto che le «parti» sono «concresciute» (cfr. Whitehead) nel «tutto» Ad esempio, il fare un’ «esperienza» comporta un integrarla in un funzionamento psichico già esistente: l’ esperienza «pura» non esiste se non in quanto collocata su un sostrato esperienziale già esistente e verrà quindi «colorata» da questo; a sua volta l’intero psichismo del soggetto verrà modificato da quell’esperienza. Di più: le medesime esperienze, registrate nella memoria, appaiono diverse, vengono «riprogrammate», ogni volta che il soggetto nella sua totalità cambia * Il termine ologramma deriva dalle parole greche holos (intero) + gramma (trasferimento) = trasferimento dell’intero nella parte

La memoria è registrata in modo ologrammatico e richiede una continua interazione tra parte e totalità; anche la tessitura semantica del linguaggio richiede un collegamento analogo, poiché la definizione di una parola richiama la maggior parte delle parole della lingua. Una precisa relazione ologrammatica esiste tra la parola e la frase; infatti il senso della frase è nelle parole, il senso delle parole è nella frase De Angelis (1986, cit. in De Toni, Comello, p. 140)

Maturana e Varela (1980, tr. it Maturana e Varela (1980, tr. it. 1985) parlano di accoppiamento strutturale per significare gli accoppiamenti fra organismo e medium (ambiente) Se gli organismi viventi in quanto sistemi dinamici hanno strutture che cambiano continuamente, e se reciprocamente selezionano l’uno nell’altro i loro rispettivi percorsi di cambiamenti strutturali ontogenetici mediante le loro interazione senza perdita dell’autopoiesi, allora essi generano, come un dominio di interazioni comunicative ricorsivo o in espansione, ontogenesi inter-allacciate insieme costituenti un dominio di condotte consensuali che si influenzano reciprocamente che diventa specificato durante la sua generazione. (Maturana, Varela, 1973, tr. it. 1985, p. 180)

→ durante le interazioni col medium: cambia la struttura, permane l’organizzazione (i sistemi vivente continuano a auto-organizzarsi pur cambiando strutturalmente → cambiano, ma restano se stessi). → passaggio da un paradigma informativo ad un paradigma perturbativo della comunicazione: in quest’ultimo caso non è necessario presupporre un terreno comune fra gli interlocutori, perché ciascuno costruisce da sé il senso sulla base del suo dominio cognitivo. (Bocchi, Ceruti, 1985, XIII) → tradotto in termini educativi, ciò significa che non c’è alcun apprendimento senza una costruzione attiva e autonoma del soggetto. (idem)

Come è possibile che un sistema esista in un mondo se non facendosi una rappresentazione di questo mondo? (Varela). questa possibilità deriva dal fatto che i sistemi viventi sono caratterizzati da “chiusura operazionale”: la chiusura è capace di una creazione di senso in virtù della stessa chiusura del sistema I sistemi autonomi obbediscono alla logica della coerenza interna e si fanno una propria «immagine» del mondo; un sistema eteronomo funziona invece con una logica della corrispondenza e si fa una «rappresentazione» del mondo

il cervello non opera con rappresentazioni del mondo esterno, ma ciò non significa che sia una monade che si relaziona solo con sé. La posizione più corretta è quella di ammettere che ci sia una via di mezzo, nel vedere come il sistema è il suo mondo nascono contemporaneamente. (Varela, in Bocchi, Ceruti, 1985)

Ellen D. Gagné: la conoscenza è rappresentata mentalmente da PROPOSIZIONI → idee (interconnesse in reti proposizionali) → conoscenza dichiarativa (teorica) Ellen D. Gagné: la conoscenza è rappresentata mentalmente da PRODUZIONI → schemi operativi → conoscenza procedurale (pratica = sapere come fare qualcosa) IMMAGINI → rappresentano le informazioni in modo continuo (piuttosto che discreto come avviene con e proposizioni) → le immagini conservano gli attributi fisici della realtà (immagini mentali di oggetti)

→ È il problema dell’auto-organizzazione. I frattali sono legati a quella che Morin chiama «organizzazione ricorsiva», che è quell’organizzazione i cui effetti e i cui prodotti sono necessari per la sua stessa causazione. → È il problema dell’auto-organizzazione. Una società è prodotta da individui, le cui interazioni producono una totalità che retroagisce sugli individui per co-produrli quali esseri umani.

4. Impossibilità della previsione

Prigogine e Stengers (1979, tr. it 1999, p Prigogine e Stengers (1979, tr. it 1999, p. 287) evidenziano come in certi testi Talmudici si legge Ventisei tentativi hanno preceduto la genesi attuali e tutti erano destinati a fallire. Il mondo dell’uomo è uscito dal grembo caotico di questi detriti anteriori, ma nemmeno esso ha un certificato di garanzia: anche esso è esposto al rischio del fallimento e del ritorno al nulla. «Speriamo che questo funzioni!», esclamò Dio creando il mondo, e questa speranza ha accompagnato tutta l’ulteriore storia del mondo e dell’umanità ha sottolineato fin dall’inizio come questa storia è segnata col marchio della radicale incertezza.

La “non-linearità” è l’aspetto fondamentale che rende un sistema complesso non uguale alla semplice somma delle parti di cui è costituito. → è la non linearità che sancisce la non calcolabilità della dinamica del tutto in termini di sommatoria della dinamica delle parti. La Gestalttheorie ha intuitivamente usato il concetto di campo per indicare la compresenza di forze che animano il sistema e che lo rendono dinamicamente un tutt’uno, non scomponibile nella sommatoria delle parti.

I. Prigogine ha evidenziato come la non-linearità sia caratteristica dei sistemi instabili, cioè sistemi lontani dallo stato di equilibrio. Tutti i sistemi possono essere considerati instabili. Trattarli come stabili può avvenire per approssimazione e in determinate condizioni. Tale approssimazione è utile perché consente la “calcolabilità” del sistema in termini riduzionistici e il sistema diventa, pertanto, prevedibile con buona approssimazione.

Questa approssimazione cessa però di diventare trascurabile nei sistemi lontani dall’equilibrio. → Questi richiedono che si abbandoni il modello meccanicistico che li descrive in termini di sommatoria della dinamica delle parti in quanto, in tali condizioni, manifestano dei comportamenti “intrinsecamente aleatori”; essi diventano descrivibili solo probabilisticamente (Prigogine, 1996, tr. it. 1997, p. 35).

Nei sistemi instabili si generano “fluttuazioni” che innescano risonanze e correlazioni fra le parti su distanze macroscopiche: tali risonanze conducono a comportamenti collettivi che producono nuove strutture. In prossimità dell’equilibrio, come ama ripetere Prigogine, la materia è “cieca”; lontano dall’equilibrio, “comincia a vedere”.

Le interazioni fra le parti del sistema e quelle con il contesto, trascurabili in sistemi stabili o quasi stabili, diventano fondamentali per descrivere la dinamica di un sistema lontano dall’equilibrio; i confini del sistema si indeboliscono e il sistema inizia a interagire col contesto.

Tali sistemi instabili incontrano dei “punti di biforcazione” nei quali essi possono assumere diverse modalità di funzionamento collettivo. È interessante notare che, in queste condizioni, i sistemi sono estremamente sensibili a fluttuazioni anche minime («effetto farfalla»).

Nozioni come quelle di risonanza, punti di biforcazione, cambiamento di stato (o transizione di fase), aggancio di fase ecc. sono utilizzati dai teorici della complessità per dar conto di come l’evolvere di strutture complesse non sia semplicemente spiegabile in termini di sommatoria del funzionamento delle parti. I sistemi complessi, a differenza delle idealizzazioni tratte dalla meccanica classica, sono sensibili a perturbazioni, “rumori”, processi intrinseci ed estrinseci (Prigogine, Stengers, 1979, tr. it. 1981, p. 268, n. 1).

La previsione non è l’essenza della scienza; lo sono la comprensione e la spiegazione (Philip Anderson)

Il fatto che i sistemi complessi non siano prevedibili non comporta che siano casuali Il fatto che un’organizzazione o un regime di funzionamento […] siano sempre alla mercé di una fluttuazione non significa, vogliamo sottolinearlo, che essi siano arbitrari […]: un’organizzazione o un regime di funzionamento non deducibile da una legge naturale è pur sempre condizionato da un calcolo che spiega che i processi naturali macroscopici stabili sono generati da una molteplicità di processi disordinati e che in certe condizioni sono in balia dell’attività fluttuante di cui essi sono il prodotto (Prigogine, Stengers, 1979, tr. it. 1981, cit. in De Toni, Comello, p. 161)

La porzione di intrinseca aleatorietà dei fenomeni complessi impedisce che l’uomo possa raggiungere l’ottimo → egli deve convivere con la sub-ottimalità Ma ciò non implica che si debba rinunciare alla pianificazione: dobbiamo scommettere sui nostri modelli di interpretazione della realtà, pur sapendo che non sono esaustivi Complessità non significa infatti caos e dunque imprevedibilità totale. Complessità significa possibilità (De Toni, Comello)

L’unica via per intuire l’evolvere della realtà è porre attenzione ai segnali deboli Per Harris e Zeisler (2002, cit. In De Toni, Comello, p. 164) affermano che una delle principali mancanze della società americana prima dell’11 settembre è stata proprio l’incapacità di ascoltare i segnali deboli La previsione di un sistema complesso adattativo fatta mediante l’estrapolazione di trend e assunzione di feedback lineari […] è spesso sbagliata e in qualche caso può rivelarsi tragica, come dimostrato dagli eventi dell’11 settembre […] Così, segnali deboli come il report del National Intelligence Counsil del 1999, che sosteneva che «kamikaze di Al Quaeda potrebbero volare su un mezzo imbottito di esplosivo verso il Pentagono, gli edifici della CIA, o a Casa Bianca», o le indagini dell’FBI sull’iscrizione di studenti stranieri alle scuole di volo americane sono state messe in secondo piano o scaricate..

Infatti, potendo i sistemi complessi, soprattutto quando in condizioni di instabilità, modificarsi in base a sollecitazioni minime, è opportuno comprendere le delicate dinamiche dei sistemi complessi, i loro tempi interni, la loro sensibilità a determinate sollecitazioni anche minime, i vincoli e le possibilità del sistema ecc. → Lewin: avere occhi e orecchi nei punti nevralgici della situazione

Appaiono pertanto importanti: le «dimensioni stilistiche, tematiche, immaginative», come evidenzia Ceruti (1986, 5^ ed. 2000, p. 10), la capacità di «afferrare la realtà» in un modo che precede la capacità analitica: «vago», magmatico e inconscio, come diceva Whitehead, l’uso delle funzioni sintetiche e integrative, sia consce (razionalità) che inconsce (intuizione)

L’intuizione per Jung Jung distingue quattro funzioni psicologiche, due razionali e due irrazionali: funzione intellettiva e affettiva e funzioni sensoriale e intuitiva …l’intuizione non è né una sensazione, né un sentimento, né un pensiero, benché possa manifestarsi anche sotto queste forme. Il contenuto dell’intuizione si presenta come un tutto in sé concluso, che non si capisce come si sia formato. Intuire equivale a capire istintivamente. L’intuito è, come la funzione sensoriale, una funzione percettiva irrazionale. Al contrario del carattere di «derivato», di «prodotto» dei contenuti delle funzioni affettiva e intellettiva, i contenuti delle funzioni intuizionale e sensoriale hanno il carattere del già esistente. Perciò la conoscenza intuizionale ha quell’impronta di certezza che ha permesso a Spinoza di definire la «scientia intuitiva» la forma di conoscenza più alta possibile […] L’intuizione può essere soggettiva o oggettiva. La prima è una percezione di fattori psichici inconsci di valenza prevalentemente soggettiva, la seconda una percezione di dati di fatto che poggiano su percezione subliminali dell’oggetto e su sentimenti e pensieri da esse indotti. (Jung, Tipi psicologici, 1920, tr. it. 1993, pp. 363-364)

L’animale vivo è pienamente presente, tutto là, in ognuna delle sue azioni: nelle sue occhiate caute, nel suo annusare accorto, nel suo drizzare gli orecchi improvvisamente. Tutti i suoi sensi indistintamente stanno sul chi vive. Se state attenti, vedete il movimento confondersi con la sensazione e la sensazione con il movimento, determinando quella grazia animale con la quale all’uomo riesce così difficile gareggiare. Dewey, Arte come esperienza

5. Potere delle connessioni

Importanza centrale della rete di relazioni di un sistema Le relazioni entrano a far parte del discorso scientifico con la meccanica quantistica

In un sistema sull’orlo del caos vale l’effetto butterfly

(La rete della vita, cit. in De Toni, Comello, p. 175) Dato che alla fine tutti i fenomeni naturali sono interconnessi, per spiegare ognuno di essi abbiamo bisogno di comprendere tutti gli altri, il che è ovviamente impossibile. Ciò che rende possibile trasformare l’approccio sistemico in una scienza è la scoperta del fatto che esiste una conoscenza approssimata. Questa intuizione è di importanza cruciale per tutta la scienza moderna. Il vecchio paradigma è basato sulla fede cartesiana nella certezza della conoscenza scientifica. Nel nuovo paradigma si riconosce che tutti i concetti e le teorie scientifiche sono limitati e approssimati. La scienza non può mai fornire alcuna comprensione completa e definitiva. F. Capra (La rete della vita, cit. in De Toni, Comello, p. 175)

Boolean network

6. Causalità circolare

Causalità deterministica: Causa Effetto Stimolo Risposta Input Output L’acqua bolle perché ho acceso il fuoco

Causalità non deterministica Non possiamo conoscere con infinita precisione lo stato di un sistema in tutti i suoi dettagli: piccolissime variazioni allo stato presente del sistema possono causare grandi variazioni dello stato futuro del sistema → effetto farfalla

Anche conoscendo con precisione infinita le condizioni iniziali del sistema, sostiene Prigogine, esiste un tipo di indeterminatezza che rende descrizione probabilistica dei sistemi complessi irriducibile (e non solamente una conseguenza dall’impossibilità di ottenere una misurazione precisa) Che ne è del demone di Laplace? […] Il caos deterministico ci insegna che un tale essere sovrumano potrebbe predire il futuro solo conoscendo lo stato del mondo con precisione infinita. Oggi possiamo però spingerci oltre: esiste infatti una forma di instabilità dinamica ancora più forte, in virtù della quale le traiettorie vengono distrutte per quanto esatta possa essere la descrizione. Questo tipo di instabilità ha un’importanza fondamentale, applicandosi, come vedremo, non solo alla meccanica quantistica ma anche alla dinamica classica. Esso è centrale in tutta l’argomentazione di questo lavoro. (Prigogine, La fine delle certezze, 1996, tr. it. 1997, p. 37)

Il tutto come insieme di parti Ma allora il tutto, in sé, non esiste Riduzionismo → pensiero occidentale: il mondo può essere diviso in parti e ogni parte può essere considerata indipendente dal tutto. Il tutto come insieme di parti Ma allora il tutto, in sé, non esiste Olismo → pensiero orientale: il mondo è un tutto indiviso e le parti non sono che aspetti del tutto. La parte come un aspetto del tutto Ma allora la parte non esiste Ātman = Braham: l’anima individuale è tutt’uno con Dio (se è capace di rinunciare alle limitazioni derivanti dagli «attaccamenti» terreni): «io sono in realtà questo intero universo», si legge in un celebre dialogo fra Indra e Prajāpati nelle Upanişad Pensare il mondo come un tutto ci sprofonda «in una notte in cui tutte le vacche sono nere» (Hegel) e vi è l’impossibilità di dire qualcosa di alcunché.

Whitehead: il mondo come un «organismo» in continua evoluzione creativa; per evolvere, l’universo genera parti indipendenti tramite un intrinseco principio di limitazione (che fa parte del processo creativo): → esiste sia il tutto che le parti, l’unità e la differenza, l’unità primordiale e ciò che è divenuto → logica bivalente o bipolare o paradossale: occorre pensare come irriducibili tanto la parte come qualcosa di assoluto (come a un “fatto ostinato”) quanto la connessione della parte col tutto Non c’è “un lupo che mangia un agnello”, come dice Bradley nella sua logica, ma “quel lupo che mangia quell’agnello in quel posto in quel momento: il lupo lo sapeva, lo sapeva l’agnello e lo sapevano gli uccelli da preda” […] L’entità reale compie il suo divenire in un sentimento complesso che implica un legame completamente determinato con ogni elemento dell’universo (Whitehead, Il processo e la realtà, tr.it. 1965, pp. 121; 123).

→ logica paradossale: ogni «parte» è sia in relazione di causalità diretta con altre «parti» sia in relazione di causalità circolare con l’intero universo. In questa ultima accezione, ogni parte in quanto è causa di qualcosa è anche causata

causalità diretta (o lineare) vs. causalità circolare La causalità circolare è comparsa nel ‘900 con la cibernetica Secondo Greco «potremmo affermare che il concetto di causalità circolare rappresenta già una buona definizione di ciò che oggi viene chiamata complessità» (1999, cit. in De Toni, Comello, p. 197)