Introduzione Sviluppo della personalità e «bisogni» fondamentali dell’essere umano: Appartenenza ↔ Individuazione.

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Introduzione Sviluppo della personalità e «bisogni» fondamentali dell’essere umano: Appartenenza ↔ Individuazione

Bisogni di relazione e di appartenenza   Bisogni di autonomia e di separazione

È un paradosso dell’esistenza umana il fatto che l’uomo debba simultaneamente cercare l’unione e l’indipendenza (E. Fromm, 1947, tr. it. 1971, p. 79).

Bisogni di relazione Bisogni di autonomia di appartenenza, di amore e di affetto, di essere con, di accettazione incondizionata, di rapporto, di “dipendenza”, di di “fusione”, ecc. Bisogni di autonomia di individuazione, di progettazione e di scelta, di sviluppo delle proprie caratteristiche e dei propri impulsi, bisogni narcisistici, di essere se stessi, di costruire e realizzare della propria identità, di esercizio del proprio “potere” (S. Weil), ecc.

Winnicott: dipendenza ↔ autonomia Fairbairn: dipendenza immatura ↔ dipendenza matura Bowlby: sicurezza ↔ esplorazione Mahler: fusione ↔ separazione/individuazione Fromm: appartenenza ↔ autonomia Loewald: densità primaria ↔ individualità Sander: eteroregolazione ↔ autoregolazione Ecc.

0 – 5/6 mesi: dipendenza (quasi) totale dall’altro. È l’affidamento all’altro che permette al bambino di esistere. A 6 mesi il bambino giunge a sentire «Io sono» e inizia a sviluppare la capacità di essere solo. • Stadio orale - Fiducia/sfiducia (Erikson) 5/6 – 24 mesi: fase di transizione dalla dipendenza immatura all’autonomia (o dipendenza matura) Desiderio di farcela / paura di non farcela a conquistare una propria autonomia: verso i 24 mesi il bambino raggiunge un primo stabile senso del Sé. Oggetti transizionali. Patologia come persistenza di «oggetti interni» primitivi (psicosi/borderline). Stadio anale - Autonomia/vergogna-dubbio (Erikson) 24 mesi – 5/6 anni: scoperta degli affetti Il bambino possiede una propria «base» di identità, ma ha ancora bisogno del sostegno ambientale. È un bambino ancora «dentro» la famiglia, impegnato nella scoperta delle trame affettive. Patologia come «conflitto» fra desideri e norme (nevrosi). • Stadio fallico – Iniziativa/senso di colpa (Erikson)

5/6 – 10/11 anni: scoperta del mondo Il bambino «esce» – metaforicamente, ancora prima che realmente – da casa e si spende nell’ambiente sociale: studia, si impegna, si relaziona: è questo il «lavoro» del bambino. Egli sperimenta il culmine della «meraviglia per l’oggetto». Da quel momento in avanti, la meraviglia non potrà più prescindere dal coinvolgimento della realtà interna. Stadio di latenza - Industriosità/senso di inferiorità (Erikson) 10/11 – 18/20 anni: scoperta di sé Nell’adolescenza la spinta verso l’individuazione è arricchita dall’esplosione degli impulsi (affettivi, sessuali, cognitivi). Lo scopo dell’adolescente è non farsi trascinare dagli impulsi ma integrarli nella propria identità, sperimentando e arricchendo la continuità del proprio essere e conquistando l’autonomia. La riflessione è su di sé: «chi sono io, per essere un poeta che scorge la grandezza delle cose?» (Keats) • Adolescenza - Identità/dispersione (Erikson)

20 – 40 anni: scoperta delle relazioni mature Da quest’età in avanti, poiché la «struttura» di personalità è ormai acquisita, il rischio è di «sedersi» sulle conquiste raggiunte e non continuare a crescere. Nella prima età adulta il raggiunto controllo delle vicende emotive potrebbe indurre a «giocare» con esse senza un reale impegno verso la comprensione profonda degli affetti. Età della giovinezza - Intimità/isolamento (Erikson) 40 – 60 anni: scoperta del pensiero maturo Il rischio di povertà degli affetti della prima età adulta si trasforma in questa età nel rischio di povertà del pensiero, il non giungere a sperimentare la «bellezza del pensare». Età adulta - Generatività/stagnazione (Erikson) Oltre 60 anni: scoperta del Sé maturo Morte come perdita vs. esperienza della bellezza di esserci e di esistere. «La morte è insopportabile per chi non riesce a vivere». • Senilità - Integrità/disperazione (Erikson)

La relazione con il caregiver permette al bambino di formare le strutture affettive: è come se il bambino «interiorizzasse» l’altro: così l’altro entra a far parte della sua mente*. → Questa «interiorizzazione» dell’altro avviene quando il bambino si sente «capito», «amato», quando avverte una «sintonizzazione» * l’uso del «come se» nel testo dipende dal fatto che i tradizionali concetti psicoanalitici che tentano di spiegare la formazione della personalità come frutto di «internalizzazioni» (imitazioni, identificazioni, identificazione proiettiva vs introiezione, ecc.) possono essere viste, da un punto di vista sistemico, più semplicemente come una influenza reciproca di sistemi che si sintonizzano e iniziano a condividere modalità di funzionamento.

In psicoanalisi si parla di tale processo definendolo, già con Freud, «identificazione»; Successivamente altri psicoanalisti parleranno di formazione di «oggetti interni» (M. Klein; R. Fairbairn) in quanto queste identificazioni sono vere e proprie strutture interne alla psiche; progressivamente è stato messo in luce come gli oggetti interni siano organizzati in senso relazionale, e quindi si utilizzerà il costrutto di «relazioni oggettuali» che esprime l’idea che gli affetti sono delle strutture Io-Tu, ovvero che il mio modo di auto-percepirmi (emotivamente, prima, e cognitivamente, poi), è legato all’etero-percezione, ovvero al modo in cui l’altro mi ha restituito affettivamente il mio modo di essere, mi ha pensato e «contenuto» all’interno della sua mente, facendomelo «passare» nella relazione.

La mamma più brava Winnicott chiedeva: “qual è la mamma più brava?”. “Andate in un parco e guardate il bambino che gioca più lontano dalla sua mamma. Quella è la mamma più brava!”

Vuol dire che quel bambino non ama più la sua mamma o che la ama meno di quei bambini che invece ronzano attorno alle loro mamme? No, forse la “ama” anche di più, ma ha meno “bisogno” di lei. È più autonomo, più se stesso e meno dipendente. La mamma la porterà sempre “dentro” di sé. Le è grato e magari neppure lo sa.

L’autonomia non è “autosufficienza” e mancanza di relazione. M L’autonomia non è “autosufficienza” e mancanza di relazione M. Corsi (2003, p. 36)