Mobbing e norme generali di prevenzione delle tecnopatie Strumenti già presenti nell’ordinamento per affrontare il mobbing in ottica di sicurezza e prevenzione sanitaria: art. 9 Statuto dei Lavoratori: riconosce alle rappresentanze sindacali il diritto di “promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure atte a tutelare la (loro) salute e la( loro) integrità fisica” dei lavoratori. d.Lgs. 626/94: pone in gioco figure come il medico competente, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e istituisce il documento aziendale di valutazione dei rischi e di programmazione della sicurezza.
Il mobbing come “legal framework” Il mobbing è un “legal framework” o cornice giuridica che inquadra la condotta illecita nella sua interezza. I tasselli che prima costituivano fattispecie autonome di responsabilità confluiscono in un QUADRO UNITARIO. Il mobbing si concretizza attraverso una serie di atti e di omissioni che si ripetono in un determinato arco di tempo. A titolo esemplificativo, ecco ALCUNE CONDOTTE DI MOBBING: emarginazione e isolamento della vittima nell’ambito lavorativo addebito di contestazioni infondate con sanzioni disciplinari pretestuose lesione dell’immagine e/o della reputazione presso colleghi e superiori assegnazione di obblighi dequalificanti o umilianti imposizione di turni gravosi abuso di controlli medico fiscali in caso di malattia molestie o violenze sessuali provocazioni al fine di indurre il soggetto a reazioni incontrollate
Il mobbing nella giurisprudenza Il mobbing nel diritto italiano è ancora in una fase iniziale del processo definitorio. Tuttavia, alcune pronunce emesse sul mobbing sono utilizzate come riferimento: Tribunale di Torino, sez. lavoro, 16 novembre 1999 e 30 dicembre 1999 queste sentenze definiscono il mobbing come: ripetizione nel tempo dei comportamenti; direzionalità; conseguenze sul dipendente. Tribunale di Milano, sez. lavoro, 20 maggio 2000 Questa sentenza insiste su sistematicità e soggettività del mobbing Tribunale di Como, sez. lavoro, 22 maggio 2001 insiste su: carattere collettivo; scopo della lesione della psiche ed espulsione della vittima dall’ambito lavorativo Tribunale di Forli, sez. lavoro, 15 marzo 2001 elabora una concezione del mobbing basata su precise fasi successive.
Mobbing e responsabilità civile La responsabilità civile dei mobbers non richiederebbe una espressa previsione normativa in quanto la disciplina generale della responsabilità civile nel nostro ordinamento offre già gli strumenti adatti a garantire il lavoratore, come sancito da: Art. 41 Cost.: tutela di sicurezza, libertà e dignità umana del lavoratore Art. 32 Cost.: tutela della salute del lavoratore Art. 2 Cost.: tutela della personalità Art. 2087 c.c. e Art. 2043 c.c.: tutela delle condizioni di lavoro
Responsabilità civile del datore di lavoro: art. 2087 c.c. Nell’azione promossa contro il datore di lavoro, ha un ruolo centrale l’articolo 2087 c.c. L’articolo - applicato in entrambe le sentenze del Tribunale di Torino e nella sentenza del Tribunale di Forlì - è valido sia in caso di mobbing orizzontale che verticale. Si caratterizza per: atipicità: non solo sanziona la violazione delle norme che tutelano l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore, ma fonda doveri e posizioni soggettive del datore di lavoro, considerando la possibilità di aggiornamento in caso di nuovi fattori di rischio e nuove forme di prevenzione. particolare concetto di colpa: non è richiesta la violazione da parte del datore di lavoro di obblighi specifici di prevenzione o la mancata adozione di specifiche misure imposte per legge, è sufficiente che gli atti o le omissioni del datore di lavoro siano considerabili come colpevolmente lesivi dei beni cui si riferisce (salute e personalità morale).
Responsabilità extracontrattuale dell’azienda: art. 2049 c.c. Oltre alla responsabilità datoriale discendente dall’applicazione dell’articolo 2087 c.c., nelle azioni di mobbing si configura anche la responsabilità extracontrattuale del datore di lavoro, da cui deriva l’applicabilità degli articoli 2043 e 2049 c.c. La responsabilità extracontrattuale (artt. 2043 e 2049 c.c.) si configura nel caso in cui la responsabilità contrattuale del datore, derivante dal mancato adempimento degli obblighi di cui articolo 2087c.c., provochi anche una lesione dei diritti che spettano alla persona del lavoratore indipendentemente dal rapporto di lavoro (lesione della salute, lesione della personalità, lesione della professionalità).
Demansionamento del lavoratore: art. 2103 c.c. Trova ampio spazio nella disciplina dei casi di mobbing l’articolo 2103 c.c. relativo alle mansioni del lavoratore, come modificato da legge 20 maggio 1970 n. 300, in cui si sancisce che: il lavoratore non può essere dequalificato con affidamento a mansioni diverse da quelle per cui è stato assunto, né trasferito ad altra unità produttiva se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative o produttive. Ciò non elimina peraltro lo ius variandi del datore di lavoro - ove comprovato da esigenze organizzative e direzionali, nonché da radicale ristrutturazione dell’azienda - ma ne limita rigorosamente l’esercizio La dequalificazione delle mansioni ha rilievo nella maggioranza del casi di mobbing. La responsabilità del datore di lavoro, in questi casi, può essere trattata tramite una lettura congiunta degli artt. 32 Cost, 2043 c.c. e 2103 c.c.
Altri riferimenti: licenziamenti, molestie, discriminazioni sessuali Nella disciplina del mobbing possono ricadere anche le norme che fondano specifiche azioni a tutela dei diritti del prestatore di lavoro, tra cui: Legge 10 aprile 1991, n.125, relativa alle Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro nei casi in cui il mobbing si realizzi attraverso molestie e discriminazioni sessuali. Norme relative al licenziamento, nel caso in cui il mobbing sfoci nella misura estrema di licenziamento del lavoratore.
La regola probatoria nel mobbing In virtù delle caratteristiche specifiche dei casi di mobbing, si può trarre come regola probatoria applicabile al mobbing la seguente: Dimostrata dal lavoratore la lesione dei diritti protetti dall’ordinamento (a partire dall’articolo 2087 c.c.) tra cui in primis la personalità e la salute (artt. 2, 32, e 41 Cost.) e la riconducibilità di siffatta lesione e danni conseguenti ad eventi avvenuti nell’ambiente di lavoro, spetta al datore di lavoro dimostrare che le singole condotte indicate dalla vittima come azioni di mobbing non sono invece qualificabili come tali. Tale regola probatoria risponde all’esigenza posta in rilievo dalla Risoluzione “Mobbing sul posto di lavoro” del Parlamento UE del 20 settembre 2000.
I danni da mobbing Il termine mobbing non indica giuridicamente una speciale ed autonoma categoria di danno, bensì un evento da cui possono scaturire una serie di danni risarcibili secondo gli schemi della responsabilità civile. I rimedi esperibili sotto il profilo risarcitorio rimangono gli stessi di ogni altra situazione di danno al lavoratore. Le categorie cui sono riconducibili i danni da mobbing sono dunque: Danno biologico Danno esistenziale Danno patrimoniale Danno morale
Danni da mobbing: danno biologico-psichico La fattispecie del danno biologico-psichico, per orientamento giurispudenziale consolidato, comprende qualsiasi violazione dell’integrità fisica e/o psichica della persona che ne modifichi in senso peggiorativo il modo di essere e incida dunque sulla sfera individuale del soggetto. Il danno psichico, in particolare, non indica necessariamente una menomazione organica e/o neurologica, ma riguarda le alterazioni della psiche del soggetto, in senso ovviamente peggiorativo, rispetto alle condizioni precedenti. Per poter ricondurre la patologia psichica della vittima all’azione di mobbing, è necessario che siano individuabili due condizioni: rapporto cronologico tra il fatto oggetto del giudizio di responsabilità e la malattia rapporto di adeguatezza qualitativa e quantitativa tra fatto illecito e danno psichico lamentato.
Danni da mobbing: danno esistenziale Non sempre il mobbing comporta una lesione della salute e conseguentemente un danno biologico-psichico, ma sempre il mobbizzato subisce un attacco alla sua dignità e personalità. Di conseguenza, la colonna portante di molti casi di azione risarcitoria è il danno esistenziale, che pone al suo centro la tutela della personalità e della qualità della vita del soggetto leso, senza essere legata alla prova medico-legale (danno biologico) né al requisito del reato (danno morale). Si sono lette in un’ottica di danno esistenziale sentenze che riguardavano: danno alla professionalità: il bene della professionalità è componente dell’identità professionale protetta dall’art. 2 della Costituzione. danno non patrimoniale da lesione dell’immagine sociale e professionale danno alla dignità umana La sentenza che nel campo della giurisprudenza lavoristica ha introdotto esplicitamente il danno esistenziale è quella del Tribunale di Forlì già citata.
Danni da mobbing: danno patrimoniale Tra i danni provocati da azioni di mobbing si inserisce il danno patrimoniale. Esso è conseguenza principale dell’inadempimento del datore di lavoro degli obblighi inerenti al contratto di lavoro stesso, che fanno sorgere in capo al lavoratore mobbizzato il diritto al risarcimento del danno patito. Il danno patrimoniale risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento (es. in caso di lavoratore mobbizzato che rassegni le sue dimissioni in un un momento di esasperazione andranno risarciti anche i danni patrimoniali conseguenti alla perdita del lavoro e alla difficoltà di reperirne un altro).
Danni da mobbing: danno morale La fattispecie del danno morale, da intendersi, come da insegnamento della Corte Costituzionale, come solo danno morale soggettivo, è regolata dall’art. 2059 c.c. e include generalmente dolore, sofferenze spirituali, perturbamenti dello stato d’animo del soggetto. I confini tra danno morale e danno biologico (danno psicologico in particolare) emergono soprattutto dalla prova che deve essere fornita dall’attore. Infatti, a differenza della dimostrazione richiesta per il danno biologico, l’attore, per essere risarcito dal danno morale, non deve provare di aver subito alterazioni della psiche, bastando l’ascrivibilità in concreto dei comportamenti datoriali ad una fattispecie di reato.
Pubblicità della sentenza Il mobbing, agendo attraverso il discredito e la mortificazione professionale, incide sull’immagine professionale e sociale del mobbizzato. La sentenza che si pronuncia sul mobbing può dunque includere tra le azioni risarcitorie la condanna del responsabile alla pubblicità della sentenza, mediante affissione sul luogo di lavoro o pubblicazione sui maggiori organi di stampa nazionali o locali (art. 120 c.p.c. r art. 186 c.p. nonché art.28 Statuto dei Lavoratori).
Tutela risarcitoria dei parenti della vittima La psicologia del lavoro individua come ‘doppio mobbing’ il fenomeno per cui lo stato psichico negativamente alterato della vittima di mobbing può avere ripercussioni sulla famiglia della vittima. La giurisprudenza ha superato l’impostazione secondo cui non poteva essere risarcito il danno morale ai congiunti della vittima primaria. Si è affermato dunque l’orientamento, anche presso la Cassazione, per cui il congiunto stretto, convivente e/o solidale della vittima, subisce immediatamente un danno di varia natura dalla situazione di mobbing della vittima primaria. La mera titolarità di un rapporto familiare però non può essere considerata sufficiente a giustificare la pretesa risarcitoria: occorre di volta in volta verificare in cosa consista il legame affettivo e in che misura la lesione alla vittima primaria abbia inciso sulla relazione con il congiunto.
Suicidio della vittima di mobbing La prima conseguenza del mobbing è la perdita nella vittima della capacità lavorativa e della fiducia in sé stessa. Da questa situazione, attraverso un crescendo di disturbi psichici, può nei casi più gravi innescarsi il suicidio. Ad agire contro il mobber in questo caso possono essere: gli eredi (azione iure successionis) i congiunti (azione iure proprio) In entrambi i casi è necessario dimostrare la sussistenza del nesso di causa tra condotta del mobber e suicidio della vittima.
Il mobbing nel Pubblico Impiego e nel Privato Impiego Il fenomeno del mobbing riguarda tutti gli ambiti lavorativi, sia del Pubblico che del Privato impiego. L’ampliamento degli schemi di tutela ex art. 2087 c.c., unitamente all’avvenuta privatizzazione del pubblico impiego, sono tra i fattori che spingono a una progressiva parificazione della tutela del Pubblico e del Privato impiego, con il trasferimento (ex. d.lsg. n. 29, 3 febbraio 1993, ) della competenza giurisdizionale in materia di pubblico impiego dal giudice amministrativo al giudice del lavoro ordinario (come sancito dal d.lsg. n. 80, 31 marzo 1998, ciò vale per tutti i casi individuati dal d.lsg. n. 29, 3 febbraio 1993 e attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998).