La preistoriala preistoria gli Egizigli Egizi il mondo greco-romanoil mondo greco-romano l’Orientel’Oriente il Sudamericail Sudamerica il Medioevoil Medioevo.

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la preistoriala preistoria gli Egizigli Egizi il mondo greco-romanoil mondo greco-romano l’Orientel’Oriente il Sudamericail Sudamerica il Medioevoil Medioevo il Rinascimentoil Rinascimento l’era modernal’era moderna l’era contemporaneal’era contemporanea I colori nella storia dell’Uomo

L’Evo Moderno Con la scoperta dell’America inizia classicamente l’Evo Moderno, nei primi secoli del quale si fonde, relativamente all’arte, il fenomeno culturale del Rinascimento I secoli successivi al periodo del Rinascimento sono poveri di innovazione dal punto di vista dei materiali pittorici. Nel XVI e XVII secolo i pittori scelgono tavolozze dai colori più attenuati, basti considerare le opere di Rembrandt, van Dyck e Poussin. I nuovi pigmenti introdotti in questi secoli sono in linea con i colori autunnali tipici di Rembrandt, essendo principalmente marroni o neri. Sarà poi nel XVIII e, soprattutto, nel XIX secolo che moltissimi nuovi pigmenti saranno resi disponibili grazie allo sviluppo della chimica

Dopo la Riforma Nel '600 alcuni eventi storico-religiosi esercitano un'influenza notevole in campo artistico. In particolare, la Riforma di Martin Lutero del 1517 aveva portato un cambiamento drastico, avvertibile soprattutto tra i pittori del Nordeuropa, cioè di quei paesi che accolgono il Protestantesimo, come Olanda, Gran Bretagna e Germania; mentre in area mediterranea i pittori di Spagna, Francia e Italia, paesi che supportano la Chiesa Cattolica, il contraccolpo della Riforma è meno critico (anche se non trascurabili sono gli effetti della Controriforma) L'avvento del Protestantesimo ha come conseguenza un certo declino dell'arte pittorica, in quanto moltissimi dipinti a soggetto religioso sono considerati al pari di idolatria. Siccome la maggior parte delle commissioni per gli artisti era costituita da pale d'altare per chiese e cattedrali, per essi una larga fetta di introiti viene tagliata

Per ovviare a questa nuova situazione gli artisti adottano due soluzioni. La prima consiste nel continuare a procacciare commissioni dipingendo soggetti compatibili con la dottrina Protestante, come i ritratti. Tra gli artisti che scelgono questa via ci sono Rubens e il suo apprendista Anthony Van Dyke, che dipingono ritratti vibranti di individui spesso al centro di momenti topici di quell'epoca. La seconda soluzione consiste nel dipingere senza commissione, cercando in seguito un acquirente. Questa scelta porta una maggiore libertà nella scelta dei soggetti, ma in molti casi conduce anche alla povertà. In questo modo la concorrenza sul mercato diventa maggiore e così pure la specializzazione I primi dipinti di natura morta risalgono proprio all'epoca della Riforma. Si trattava di soggetti che non offendevano la dottrina Protestante, ma allo stesso tempo potevano essere attrattivi anche per ricchi committenti laici

Il XVII secolo Indubbiamente il maestro più importante di questo periodo è l’olandese Rembrandt van Rjin ( ), nato a Leiden da famiglia benestante ma morto in povertà. Rembrandt dipingeva scene realistiche che si proponevano di gettare luce sugli eventi sociali del suo tempo. I suoi dipinti hanno dominanti cromatiche scure

I pigmenti di Rembrandt La tavolozza di Rembrandt è basata per lo più su colori dalle tinte autunnali. I pigmenti sono quelli in uso da alcuni secoli, tranne poche eccezioni. Per migliorare i colori, Rembrandt usava molto le lacche direttamente in miscela con i pigmenti, a differenza, come vedremo, di Vermeer; ciò permetteva di evitare il naturale deperimento delle lacche, solitamente fugaci oltre al calcare, impiegato per dare corpo ad altri pigmenti, il bianco principale è il bianco piombo o biacca; Rembrandt lo usava per l’incarnato, i vestiti e naturalmente come imprimitura; in alcuni casi la biacca ha generato problemi di conservazione per la formazione di saponi di piombo dall’interazione del pigmento con gli olioltre al calcare, impiegato per dare corpo ad altri pigmenti, il bianco principale è il bianco piombo o biacca; Rembrandt lo usava per l’incarnato, i vestiti e naturalmente come imprimitura; in alcuni casi la biacca ha generato problemi di conservazione per la formazione di saponi di piombo dall’interazione del pigmento con gli oli

per il rosso, Rembrandt preferiva l’uso di ocra rinforzato dall’addizione di una lacca rossa, piuttosto che il vermiglione, quest’ultimo usato occasionalmente sebbene fosse popolare nell’Olanda del tempo. Le lacche preferite erano la robbia e la coccinigliaper il rosso, Rembrandt preferiva l’uso di ocra rinforzato dall’addizione di una lacca rossa, piuttosto che il vermiglione, quest’ultimo usato occasionalmente sebbene fosse popolare nell’Olanda del tempo. Le lacche preferite erano la robbia e la cocciniglia i pigmenti rosso-marroni tendono a predominare nei dipinti dii pigmenti rosso-marroni tendono a predominare nei dipinti di Rembrandt: si tratta naturalmente di terre a base di ferro, quindi ocre, terre di Siena e terre d’ombra, pigmenti che si adattavano bene alle esigenze di Rembrandt in fatto di stabilità, range di colori e traslucenza

Un altro pigmento marrone particolarmente adatto ai toni preferiti da Rembrandt è il marrone di Vandyke o terra di Kassel o terra di Colonia, introdotto nel XVII secolo. Si tratta di un marrone scuro trasparente, estratto da depositi di torba; è quindi di natura organica e non minerale, in quanto composto da acidi umici, sostanze di struttura complessa presenti nel terreno e generate dal decadimento di materia vegetale (sotto: struttura di un monomero) Il nome marrone di Vandyke è generalmente associato al pittore fiammingo Van Dyke, contemporaneo di Rembrandt e Rubens, mentre terra di Cassel e terra di Colonia si riferiscono alla provenienza del pigmento da depositi limitrofi alle due città tedesche. In realtà c’è una più che discreta confusione sia sul nome, sia sulle caratteristiche, per cui a volte lo stesso prodotto viene descritto come permanente, a volte come fugace da autori diversi

composizione% sostanze organiche e umidità ossidi di ferro e di alluminio 1-3 carbonato di calcio 3-5 silicati1-4 totale ceneri 8-10 La composizione del marrone di Van Dyke è prevalentemente organica con una piccola percentuale di sostanze inorganiche, come si vede dalla tabella Il pigmento è piuttosto fugace, con tendenza a virare al grigio se steso a fresco e a solubilizzarsi in olio. Si usava anche una versione calcinata, dal tono più scuro. Rembrandt lo impiegava per gli schizzi iniziali dei dipinti e per velature marrone cupo, mescolato a ocre per limitarne la fugacità L’identificazione del pigmento è alquanto problematica, vista la complessità strutturale. Il suo impiego è quindi prevalentemente documentato da fonti bibliografiche europee, dalle quali si origina però, come detto in precedenza, una notevole confusione. Si può distinguere facilmente dalle ocre di colore simile, riscaldando un campione e verificando la presenza di residui carboniosi che spariscono all’aumentare della temperatura. Un altro test che può dare informazioni è la ricerca di pollini, essendo il pigmento ricavato da terreno

un ulteriore pigmento marrone scuro, anche esso di natura organica, è il bistro, ricavato da fuliggine di legna trattata con acqua bollente; la composizione è a base carboniosa e in parte catramosa. Il bistro è impiegabile anche come inchiostro, come dimostrano i numerosi disegni di Rembrandt in cui è stato identificatoun ulteriore pigmento marrone scuro, anche esso di natura organica, è il bistro, ricavato da fuliggine di legna trattata con acqua bollente; la composizione è a base carboniosa e in parte catramosa. Il bistro è impiegabile anche come inchiostro, come dimostrano i numerosi disegni di Rembrandt in cui è stato identificato il giallo era ottenuto con il giallo di piombo e stagno e con lacche gialle, tra cui la lacca di ramno e l’arzicail giallo era ottenuto con il giallo di piombo e stagno e con lacche gialle, tra cui la lacca di ramno e l’arzica per il blu Rembrandt usò azzurrite (o blu verditer) nei suoi primi lavori, smalto in seguito. I due pigmenti sono anche buoni essiccanti, impiegati da Rembrandt per coadiuvare l’essiccamento dell’olio. Lo smalto era piuttosto popolare in Olanda, in quanto impiegato come pigmento nell’importantissima industria ceramica di Delftper il blu Rembrandt usò azzurrite (o blu verditer) nei suoi primi lavori, smalto in seguito. I due pigmenti sono anche buoni essiccanti, impiegati da Rembrandt per coadiuvare l’essiccamento dell’olio. Lo smalto era piuttosto popolare in Olanda, in quanto impiegato come pigmento nell’importantissima industria ceramica di Delft

I pigmenti neri, di grande importanza nei dipinti di Rembrandt, erano tutti a base carboniosa: nero d’ossa e nero d’avorio, quest’ultimo considerato il nero più cupo e come tale molto usato per gli sfondi e per i costumi indossati dai modelli di Rembrandt;nero d’ossa e nero d’avorio, quest’ultimo considerato il nero più cupo e come tale molto usato per gli sfondi e per i costumi indossati dai modelli di Rembrandt; nero di carbone e nero di vite per tinte grigienero di carbone e nero di vite per tinte grigie bitume, spesso impiegato come velaturabitume, spesso impiegato come velatura

Bitume è un termine con cui si indicano globalmente materiali di provenienza naturale, come l’asfalto, oppure derivanti dalla lavorazione del petrolio. Si tratta di miscele complesse di idrocarburi a catena lunga e altre sostanze volatili,. La versione naturale era impiegato già dagli uomini preistorici come impermeabilizzante, ma in epoche più recenti (XVI-XVII secolo) fu introdotto come pigmento Come materiale pittorico si presenta di difficile utilizzo in quanto molto viscoso, non secca completamente e provoca crettature nei film pittorici La sua presenza è stata identificata nel famoso dipinto La zattera della Medusa di Théodore Gericault (1816) dove il pigmento conferisce, forse in maniera involontaria rispetto alle intenzioni dell’artista, una notevole drammaticità alla scena

Jan Vermeer Un altro grande esponente della scuola olandese del XVII secolo è Jan Vermeer. Il maestro di Delft aveva una profonda conoscenza dei materiali e delle tecniche utilizzate dai suoi contemporanei e dai suoi predecessori, e come molti artisti a lui coevi utilizzava una tavolozza molto limitata se confrontata con quelle in uso attualmente. Molte opere di Vermeer sono dipinte con nove-dieci pigmenti al massimo, ma attraverso miscele, giustapposizioni e abile lavoro di pennello egli creava l'impressione di un numero illimitato di tinte

I muri affrescati in bianco delle opere di Vermeer sono un buon esempio della sua abilità nel miscelare i colori: in essi, le tonalità di bianco e grigio sono rese in modo da esaltare la bellezza dei personaggi rappresentati davanti, come ne La merlettaia. Vermeer impiegava bianco piombo in miscela con pigmenti neri, terre d'ombra e persino blu oltremare per ottenere le infinite tonalità di grigio

La tavolozza da cui Vermeer prendeva di volta in volta i pigmenti era composta da: bianco piomboarzica ocra giallagiallo di piombo e stagno vermiglionesmalto lacca di robbiablu oltremare terra verdeocra rossa terra d'ombraindaco nero di carbone La tavolozza di Vermeer I pigmenti della colonna di sinistra sono quelli impiegati nella colorazione delle tonalità carne, quelle di maggior valore in un'opera fatta su commissione. Nel dipinto Pittura dell’artista Frans van Mieris, contemporaneo di Vermeer, la figura allegorica stringe tra le mani la tavolozza con i colori necessari per queste tonalità

La tecnica glazing Di particolare rilevanza nella tecnica pittorica di Vermeer è l'uso del glazing o vetrinatura, che consiste nello stendere uno strato sottile di pittura sopra uno strato opaco, eventualmente colorato. L'effetto che si ottiene ha una particolare rilucenza che ricorda quella del vetro colorato, ed è impossibile da ottenere per miscelazione diretta dei colori. I materiali più utilizzati per la vetrinatura erano naturalmente i coloranti, essendo trasparenti per natura: robbia, indaco e varie lacche gialle, principalmente arzica; si impiegava anche il blu oltremare Alcuni esempi di glazing nelle opere di Vermeer: nella Fanciulla con due cavalieri, Vermeer prima dipinge lo strato chiamato underpainting, modellando le forme e creando effetti di luce con bianco e vermiglione... …poi applica uno o due sottilissimi strati di lacca di robbia, creando un rosso brillante e luminoso, simile al vetro dipinto

Ne La lattaia le maniche del soggetto hanno un verde luminoso molto usato da Vermeer, ottenuto con blu oltremare + bianco come underpainting e arzica gialla per il glazing Glazing con lacca gialla Underpainting con blu oltremare

Lo stesso problema è stato verificato nella Ragazza con turbante (sx), nel cui sfondo sono state identificate tracce di indaco e arzica che costituivano la vetrinatura originale, ora non più percepibile Ne La stradetta (dx), il fogliame a sinistra ha una tinta verde-blu non naturale, che in realtà è dovuta all'underpainting. In questo caso, probabilmente, l‘arzica gialla sovrapposta si è degradata o è stata rimossa da un restauro malfatto

Curiosamente, la tecnica del glazing appare nell'opera Allegoria della pittura dove il pittore sulla destra sta dipingendo la corona d'alloro della sua modella, le cui foglie naturalmente devono essere verdi; apparentemente il pittore sembrerebbe dipingerle in blu ma in realtà egli sta preparato la tinta underpainting sulla quale apporrà una lacca gialla

Il blu di Prussia Uno dei pigmenti più importanti nella storia dell’arte, il blu di Prussia, nasce in maniera accidentale tra il 1704 e il 1710 per opera di un fabbricante di colori e di un alchimista, i tedeschi Diesbach e Dippel. Lavorando per preparare alcuni pigmenti, essi combinarono in maniera accidentale sali di ferro e cianuri e si trovarono con un prodotto finale dalle caratteristiche notevoli e dal colore intenso, che in breve diventò disponibile come pigmento ed ebbe ampia diffusione, tanto che il Canaletto già nel 1720 lo utilizzava per i suoi dipinti Il pigmento è noto con diversi nomi, che indicano il luogo di manifattura, come blu di Parigi, blu di Amburgo o blu di Erlangen; oppure si riferiscono alle miscele con altri pigmenti che spesso erano prodotte: blu Persiano, blu di Harleem, blu di Anversa e numerose altre. Questa ricchezza di prodotti testimonia l’impiego molto diffuso e versatile del pigmento, che si usò in tutte le tecniche pittoriche tranne l’affresco, ma anche per tingere la seta, per le prime forme di fotografia, come inchiostro da scrittura e da stampa, ecc.

La sintesi del blu di Prussia è piuttosto complessa; la stechiometria del composto è Fe 4 [Fe(CN) 6 ] 3 ·nH 2 O con n = 14-16, è quindi un sale a valenza mista in quanto il ferro è presente come Fe(II) e Fe(III). Nella figura a dx, il giovane Michael Faraday si accinge alla sintesi del composto Si tratta di un pigmento di colore blu intenso, a elevato potere coprente. Il colore deriva da una transizione elettronica tra lo ione Fe 2+ e lo ione Fe 3+ : si tratta di un intervalence charge transfer, con una  molto elevata a 680 nm che rende conto dell’intensità di colore Attualmente si riesce a produrre in particelle molto fini, tra 0.01 e 0.2  m di diametro

Il contributo della chimica Nel tardo XVIII secolo si assiste ad una svolta decisiva. Questa è l’epoca d’oro della chimica, quando nuovi elementi vengono scoperti e Antoine Lavoisier comincia a mettere ordine nelle trasformazioni chimiche come la combustione. L’ossigeno ha forse tre padri: Lavoisier, che gli dà il nome, Joseph Priestley e lo Svedese Carl Wilhelm Scheele, uno dei più grandi chimici sperimentali del suo tempo, capace di isolare anche idrogeno, bario e cloro. Questi elementi sono subito sfruttati nell’industria tessile, in particolare il cloro che agisce da sbiancante Il secolo d’oro per quanto riguarda l’introduzione di materiali nuovi è sicuramente il XIX. Sono scoperti il cadmio, il cromo e il cobalto, che in realtà erano già usati in passato nell’arte ma senza averne comprensione. L’introduzione di nuovi pigmenti basati su questi elementi ha un ruolo decisivo nella nascita di alcuni movimenti pittorici, tra cui gli Impressionisti e i Fauvisti

I colori di Marte Verso la fine del XVIII secolo viene introdotto un gruppo di pigmenti sintetici a base di ossidi di ferro, i colori di Marte, con tinte variabili tra il giallo, il rosso, il violetto e il nero. I pigmenti sono qualificati dal descrittore cromatico: rosso di Marte, giallo di Marte, violetto di Marte. Si tratta in sostanza delle versioni artificiali degli ossidi ferrici o ferrosi in uso da millenni: ematite, limonite, ecc. La preparazione prevedeva come materie prime solfato ferroso o vetriolo (FeSO 4 ) e allume, trattati con alcali per precipitare l’ossido che poi andava lavato accuratamente. Il prodotto finale aveva una granulometria inferiore a quella ottenibile per macinazione delle materie prime naturali. Alternative al vetriolo potevano essere cloruro, nitrato o acetato di ferro; si tratta in ogni caso di sostanze solubili in acqua. Il procedimento di precipitazione è innovativo nella manifattura dei pigmenti Il vantaggio della preparazione artificiale degli ossidi di ferro consiste nell’ottenere prodotti più puri rispetto a quelli naturali, che mantengono una tinta forte pur con granulazione fine

Il giallo di Marte fu il primo dei colori ad essere prodotto con questo processo, e costituì la base principale per ricavare altre tonalità per calcinazione o additivazione. In base alla temperatura applicata si poteva ottenere un prodotto arancione, marrone, rosso e violetto; oppure, addizionando nero di vite si otteneva il marrone. Spesso i pigmenti erano miscelati con un diluente bianco (gesso, barite o allumina) Il nome Marte deriva dal dio della guerra, il cui metallo- simbolo presso gli alchimisti era il ferro. La dizione giallo di Marte è una traduzione letterale dal latino crocus martis, con cui il pigmento era noto all’epoca della sua introduzione, per analogia al colore dello zafferano (krokos in greco)

Pigmenti a base di arsenico Nel 1775 Scheele scopre una sostanza verde mentre lavorava su composti di arsenico: si tratta di una miscela complessa di arseniti e arseniati di rame, che in breve tempo è impiegata come pigmento. Chiamato verde di Scheele, si tratta di un verde più brillante di tutti i verdi sinora disponibili; si consideri che spesso i pittori per rendere il verde preferivano mescolare il blu con una lacca gialla, con il risultato che in alcune opere pittoriche il fogliame è diventato nel tempo di colore blu, a causa dello svanire della lacca gialla Il colore del verde di Scheele varia dal giallo-verde al verde cupo, a seconda del metodo di manifattura. Tuttavia come pigmento non incontrò grande fortuna a causa della tendenza a scurire e della notevole tossicità, come tutti i composti contenenti arsenico. Inoltre è incompatibile con pigmenti a base di solfuri

Il verde di Scheele diventa sorpassato dopo il 1814, quando un nuovo composto sintetico a base di arsenico, più brillante e resistente, diventa disponibile: il verde smeraldo. Si tratta di un acetato-arsenito di rame con formula 3Cu(AsO 2 ) 2 ∙Cu(CH 3 COO) 2. È noto anche come verde di Schweinfurt, verde di Parigi o, inspiegabilmente, verde Veronese, dal pittore veneziano del ‘500 Come il suo predecessore, si tratta di un pigmento poco costoso ma di qualità cromatiche migliori e quindi molto usato dai pittori e per applicazioni domestiche. A volte si usava nella stesura di patine su bronzo per simulare uno stato di invecchiamento Si tratta però di un composto tossico, anche più del verde di Scheele. La ditta americana Devoe and Company lo commercializzava come pigmento e come insetticida, sotto il nome di verde di Parigi (dx)

Winsor & Newton, famosa casa britannica produttrice di materiali pittorici fondata nel 1832, comprava il verde smeraldo da una bottega francese che produceva il composto chimico come veleno per topi, la quale non capiva perchè W & N pretendesse che fossero soddisfatti requisiti cromatici rigorosi per tale prodotto Al di là degli aspetti tossicologici, il verde smeraldo fu considerato un pigmento molto valido e fu particolarmente apprezzato da Impressionisti e Postimpressionisti come Cézanne (dx, Castagni e fattoria al Jas de Bouffan), Gauguin, Van Gogh e Monet

Il cromo Forse le più importanti innovazioni del XIX secolo nel campo dei colori sono legate alla scoperta in Siberia di un minerale noto come crocoite (sx) o rosso piombo siberiano, di colore rosso brillante. Il chimico francese Nicolas Louis Vauquelin, investigando la crocoite vi trovò evidenza di un nuovo elemento chimico: il cromo, così chiamato dalla parola greca per colore, in quanto i suoi composti hanno sempre colori vivaci. L’equivalente artificiale della crocoite, sintetizzato da Vauquelin, aveva formula PbCrO 4 e colore giallo brillante; venne quindi impiegato come pigmento con il nome di giallo cromo. Il suo uso non fu limitato al campo artistico, ma trovò molte applicazioni industriali, per esempio come vernice per le auto (nella foto a dx uno dei famosi yellow cabs di New York)

Vauquelin scoprì anche che, regolando la dimensione delle particelle, poteva sintetizzare una forma di cromato di piombo dal colore arancione, il primo vero pigmento di quel colore dall’introduzione del realgar, chiamato arancio cromo Il cromato di piombo ha però tendenza a degradarsi in certe condizioni: in presenza di sostanze riducenti, es. composti organici, vira al verde per via della reazione Cr(VI)  Cr(III) Inoltre non è impiegabile nella tecnica dell’affresco perchè le condizioni molto alcaline lo fanno virare ad un colore rossastro (si forma PbCrO 4 ·PbO). In condizioni acide va considerato l’equilibrio CrO 4 2-  Cr 2 O 7 2- cromatodicromato pH neutro pH acido giallorosso-arancione

Altri cromati Numerosi altri pigmenti si ricavano dal cromo allo stato di ossidazione Cr(VI), presente come ione cromato CrO 4 2- o dicromato Cr 2 O I colori variano tra il giallo, l’arancio, il rosso, il porpora, il violetto e il verde. La preparazione è generalmente basata sulla precipitazione di sali insolubili a partire da K 2 CrO 4 o K 2 Cr 2 O 7 ; naturalmente sono tutti prodotti che risentono degli stessi problemi di alterazione descritti per il giallo piombo il cromato di bario o giallo bario (BaCrO 4 ), di colore giallo chiaro in soluzione neutra ma arancione in soluzione acida, considerato inferiore cromaticamente al cromato di piombo. È tra i pigmenti noti come giallo limone, nome utilizzato per numerosi pigmenti a base di cromatoil cromato di bario o giallo bario (BaCrO 4 ), di colore giallo chiaro in soluzione neutra ma arancione in soluzione acida, considerato inferiore cromaticamente al cromato di piombo. È tra i pigmenti noti come giallo limone, nome utilizzato per numerosi pigmenti a base di cromato il cromato di stronzio o giallo stronzio (SrCrO 4 ), analogo al precedente in quanto composto da un metallo affine; usato da molti artisti tra cui Matisseil cromato di stronzio o giallo stronzio (SrCrO 4 ), analogo al precedente in quanto composto da un metallo affine; usato da molti artisti tra cui Matisse cromati di metalli di transizione tra cui Mn, Fe, Co, Cu, aventi varia stechiometria e colori anche molto diversi in quanto il metallo di transizione funge da cromoforo insieme allo ione cromatocromati di metalli di transizione tra cui Mn, Fe, Co, Cu, aventi varia stechiometria e colori anche molto diversi in quanto il metallo di transizione funge da cromoforo insieme allo ione cromato cromati di zinco, cadmio e mercurio tra cui il giallo zinco, nome che corrisponde ad alcuni composti come K 2 O·4ZnCrO 4 ·3H 2 O e ZnCrO 4 ·4Zn(OH) 2, sintetizzati al principio del XIX secolocromati di zinco, cadmio e mercurio tra cui il giallo zinco, nome che corrisponde ad alcuni composti come K 2 O·4ZnCrO 4 ·3H 2 O e ZnCrO 4 ·4Zn(OH) 2, sintetizzati al principio del XIX secolo cromati di stagno e bismuto, analoghi al cromato di piombocromati di stagno e bismuto, analoghi al cromato di piombo

Dal cromo si potevano poi ricavare alcuni pigmenti verdi a base di ossido, di natura sintetica: l’ossido anidro (Cr 2 O 3 ), pigmento verde oliva molto resistente in quanto in esso il cromo è presente in stato di ossidazione Cr(III), più stabile. Si ricavava dalla calcinazione di cromati di ferro, di mercurio o di potassio. Viene utilizzato dalla prima metà del XIX secolo, ma il composto era già impiegato nella decorazione delle porcellane a Sèvres e Limoges durante i primi anni del secolo. Il pigmento era più costoso dei verdi a base di arsenicol’ossido anidro (Cr 2 O 3 ), pigmento verde oliva molto resistente in quanto in esso il cromo è presente in stato di ossidazione Cr(III), più stabile. Si ricavava dalla calcinazione di cromati di ferro, di mercurio o di potassio. Viene utilizzato dalla prima metà del XIX secolo, ma il composto era già impiegato nella decorazione delle porcellane a Sèvres e Limoges durante i primi anni del secolo. Il pigmento era più costoso dei verdi a base di arsenico l’ossido diidrato (Cr 2 O 3 ·2H 2 O), noto come viridiana, di caratteristiche simili al precedente, sintetizzato dal 1838 a partire da dicromato e acido borico e successivamente impiegato come pigmento, anche se, come l’ossido anidro, era alquanto costosol’ossido diidrato (Cr 2 O 3 ·2H 2 O), noto come viridiana, di caratteristiche simili al precedente, sintetizzato dal 1838 a partire da dicromato e acido borico e successivamente impiegato come pigmento, anche se, come l’ossido anidro, era alquanto costoso il verde cromo, termine che indica generalmente un pigmento composito in cui il blu di Prussia è precipitato su giallo cromo. Questo prodotto era generalmente meno costoso dei due precedenti e perciò ne costituiva un’alternativa apprezzatail verde cromo, termine che indica generalmente un pigmento composito in cui il blu di Prussia è precipitato su giallo cromo. Questo prodotto era generalmente meno costoso dei due precedenti e perciò ne costituiva un’alternativa apprezzata

Il cadmio Un altro elemento di grande importanza è scoperto nel 1817 da un chimico tedesco di nome Friedrich Stromeyer: si tratta del cadmio, un sottoprodotto dell’estrazione dello zinco. Il nome deriva dal latino cadmia, antico nome del minerale di zinco calamina (ZnCO 3 ), a sua volta derivato dal greco kadmeia gè = terra cadmea o calamina Stromeyer scoprì che questo elemento poteva essere combinato allo zolfo per dare pigmenti brillanti di colore giallo e arancione di composizione CdS, rispettivamente chiamati giallo cadmio e arancio cadmio Il minerale greenockite (sx) ha formula CdS

Altri pigmenti sono stati poi introdotti come varianti a partire dalla struttura di base, in cui sono parzialmente sostituiti il cadmio o lo zolfo. All’inizio del XX secolo viene sintetizzata una versione di colore rosso cupo, il rosso cadmio, un solfoseleniuro di cadmio di formula CdS(Se), molto apprezzato, tra gli altri, da Matisse Sostituendo il cadmio con lo zinco o con il mercurio si ricavano pigmenti di formula rispettivamente (Cd, Zn)S e (Cd, Hg)S e di colore variabile tra l’arancio e il marrone I solfuri e solfoseleniuri di cadmio hanno in comune una certa tendenza a scolorire se usati insieme a pigmenti a base di rame o piombo, per la naturale tendenza dello ione S 2- a reagire con ioni metallici e dare precipitati insolubili, spesso neri S 2- + Pb 2+  PbS 

Il cobalto Un terzo elemento metallico scoperto tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo è il cobalto. Come si è detto in precedenza, spesso in natura questo elemento è associato ad arsenico e bismuto, per esempio nel minerale skutterudite, (Co, Fe, Ni)As 2-3. L’estrazione del minerale era pericolosa per le esalazioni di arsenico e causò numerosi morti tra i minatori: per questo si pensava che le miniere di cobalto fossero abitate da folletti maligni o kobolds, considerati responsabili degli incidenti e dell’avvelenamento da arsenico

Il blu cobalto Nel 1803 il chimico Francese Louis-Jacques Thénard aveva sintetizzato per calcinazione di allumina e sali di cobalto un pigmento dal colore blu intenso, chiamato appunto blu cobalto o blu Thénard, avente formula CoO·Al 2 O 3. Composti blu con questa formula erano già stati sintetizzati almeno venticinque anni prima in Germania e in Austria, con procedimenti meno semplici. Peraltro il nome blu cobalto in passato era talvolta riferito a tutti i pigmenti a base di cobalto, incluso lo smalto e il blu ceruleo, in realtà ossido di cobalto e stagno 2-3 anni dopo la sintesi di Thénard il pigmento era già impiegato in pittura e molto apprezzato dagli Impressionisti (sx, Monet, Donna con ombrello)

Il pigmento si ottiene per calcinazione a 1300°C di una miscela di fosfato di cobalto, arseniato di cobalto e allumina. Eventuali impurezze di arseniato o fosfato nel prodotto impartiscono una nota violetta, generalmente indesiderabile Le caratteristiche tecniche del blu cobalto sono ottime: è estremamente stabile e permanente, il che non deve sorprendere visto il metodo di sintesi (calcinazione ad alta temperatura); è adatto a tutte le tecniche pittoriche e inoltre accelera per catalisi l’indurimento nella pittura a olio. Si usa spesso per ritoccare campiture di altri blu. L’unico inconveniente è il prezzo, essendo il cobalto elemento non molto diffuso. Per questo è comune l’adulterazione fraudolenta con blu oltremare sintetico o altri prodotti di minor costo Un altro pittore che apprezzava molto il blu cobalto era Van Gogh (dx – Autoritratto, 1889)

Altri pigmenti dal cobalto Un altro pigmento blu sintetizzato dal cobalto era il blu ceruleo (CoO·nSnO 2 ), di colore blu cielo, assai apprezzato da alcuni Postimpressionisti Il cobalto entra anche nella composizione di altri colori: nel 1851 fu sviluppato un pigmento giallo chiamato aureolina o giallo cobalto, chimicamente costituito da nitrito di cobalto e potassio o sodio, dalla formula K 3-x Na x [Co(NO 2 ) 6 ]·nH 2 O Il verde cobalto è analogo come struttura al blu cobalto, tranne che l’alluminio è rimpiazzato parzialmente o completamente dallo zinco. Fu sintetizzato nel 1780 e introdotto nel 1835; è attualmente in uso Importante è infine il violetto cobalto, il primo pigmento color porpora di sempre (a parte la porpora di Tiro che è un pigmento di natura organica). Questo nome è stato attribuito al fosfato di cobalto, Co 3 (PO 4 ) 2 e all’arseniato di cobalto e magnesio, Mg 2 Co(AsO 4 ) 2. Il primo, chiamato violetto cobalto scuro, è stato sintetizzato nel 1859, mentre il secondo, violetto cobalto chiaro, è meno definito storicamente

Il blu oltremare sintetico Alla fine del XVIII secolo il governo Francese considerava la manifattura di pigmenti così importante commercialmente da destinare allo scopo chimici di punta perchè sintetizzassero nuovi prodotti; peraltro molti grandi chimici dell’epoca erano Francesi. In particolare, il governo incaricò Thénard di trovare un sostituito sintetico per il sempre prezioso blu oltremare. Negli anni successivi sarebbero stati prodotti altri pigmenti blu sintetici a base di cobalto, ma quello che i pittori volevano realmente era una versione economica del blu oltremare Il blu oltremare sintetico è uno dei pigmenti meglio connotati del XIX secolo, probabilmente perchè la sua invenzione fu espressamente richiesta ai chimici e non frutto di loro ricerche indipendenti. Nella complessa storia della ricerca di un sostituito artificiale, anche Goethe sembra avere contribuito: nel 1787 egli riportava di avere visto, presso Palermo, depositi blu sulle pareti di una fornace per la preparazione della calce, aggiungendo che questi affioramenti erano impiegati a scopo decorativo. Osservazioni simili furono registrate anche successivamente e sottoposte al già citato chimico Vauquelin, che vi identificò un composto equivalente al lapislazzuli naturale

Infine, nel 1824 l’ente francese Société d’Encouragement pour l’Industrie Nationale offrì un premio di 6000 franchi per il primo metodo pratico di sintesi del pigmento. La sintesi era complicata dal fatto che l’agente colorante non è un metallo ma lo zolfo. Nel 1828 si presentarono due pretendenti al premio, il francese Jean Baptiste Guimet e il tedesco Christian Gmelin, produttore di pigmenti. La giuria francese decise patriotticamente di assegnare il premio a Guimet, e così il blu oltremare sintetico divenne l’oltremare francese. L’oltremare di Guimet venne commercializzato al costo di 400 franchi per oncia; si consideri che a Parigi il lapislazzuli costava franchi per oncia Secondo Mérimée, chimico e pittore contemporaneo di Guimet, il nuovo blu oltremare fu impiegato già nel 1827 (ovvero un anno prima che Guimet comunicasse i suoi risultati alla SEIN) da Ingres nella decorazione del drappeggio di un personaggio ne L’apoteosi di Omero (sx)

Un esempio di blu oltremare sintetico si ha nel quadro Gli ombrelli di Renoir (sx), dipinto tra il 1881 e il Nell’opera fu impiegato il blu cobalto e successivamente il blu oltremare sintetico per le rifiniture Attualmente il blu oltremare sintetico si prepara a partire da materie prime poco costose: caolino, un feldspato, carbonato di sodio anidro, zolfo e un agente riducente come pece o carbone

Ultramarine Genuine no s. 0d. per ounce Ultramarine Deep (synthetic) 1s. 6d. per ounce Nel 1955 i prezzi di W & N erano i seguenti: Il costo del naturale era quindi 80 volte più alto del sintetico, consentendo il suo impiego solo ad un pittore ricchissimo o ad un falsificatore molto determinato e scrupoloso Nonostante la differenza di prezzo abissale tra l’oltremare naturale e il sintetico, una certa richiesta per avere il naturale è esistita nel XIX secolo ed esiste ancora. Non c’è da stupirsi, quindi, se ditte produttrici di materiali pittorici come la britannica Winsor & Newton, la propongano nel proprio catalogo come specialità

Quando Han Van Meegeren, falsario olandese del ‘900 noto per le sue riproduzioni di pittori olandesi del ‘600, acquistò blu oltremare naturale per rendere i suoi falsi più verosimili, non sapeva che sarebbe stato a sua volta vittima di una frode. Il prodotto era infatti adulterato con blu cobalto!

Dal punto di vista storico-artistico non è priva di importanza la possibilità di distinguere la versione sintetica di blu oltremare da quella naturale, in quanto essa costituisce un mezzo per autenticare un’opera pittorica o, quantomeno, per identificare la presenza di ritocchi successivi in un’opera originale In realtà la questione è complicata se è necessario impiegare tecniche non distruttive, in quanto gli spettri Raman e FT-IR delle due versioni sono praticamente identici. Una differenza più marcata si registra negli spettri di riflettanza UV-visibile (sx). I massimi di riflettanza sono abbastanza distinguibili in presenza di pigmenti puri blu: oltremare sintetico nero: oltremare naturale

Blu oltremare naturale forme irregolari forme irregolari dimensioni maggiori dimensioni maggiori Blu oltremare sintetico forme regolari forme regolari dimensioni minori dimensioni minori Se invece è lecito effettuare un campionamento dall’opera in questione, l’analisi al microscopio PLM permette di verificare forma e dimensione delle particelle. Naturalmente l’oltremare sintetico mostrerà particelle di forma simile e dimensioni minori, mentre l’oltremare naturale, essendo preparato per macinazione del lapislazzuli, avrà particelle di forma non uniforme e dimensioni maggiori

Un’altra tecnica decisamente potente è l’analisi isotopica. La distribuzione degli isotopi dello zolfo 32 S e 34 S è sicuramente diversa nelle due versioni, avendo esse una storia geologica differente. Purtroppo la tecnica è piuttosto esigente dal punto di vista del consumo di campione ed economico

Un giallo anomalo Il giallo indiano è un pigmento di natura animale decisamente curioso, in quanto la sua preparazione è basata su urina di mucca. Il pigmento era già noto nel XVIII secolo attraverso la descrizione di un pittore dilettante, ma è verso la fine del XIX secolo che viene introdotto in Europa dall’India e più precisamente dalla città di Monghyr nel Bangladesh, dove emissari della Society of Arts di Londra individuarono un piccolo gruppo di allevatori che alimentava le sue vacche con una dieta basata su acqua e foglie di mango, pratica che causava malnutrizione nelle vacche ma rendeva la loro urina di colore giallo brillante. La pratica era ovviamente ritenuta inaccettabile dagli Indù, per lo status sacro delle vacche (gli allevatori erano infatti chiamati spregiativamente colormen), ma il pigmento ebbe discreto successo in Europa

Il pigmento è di natura cristallina ed è costituito da euxantato di magnesio (sotto dx). Per preparare il pigmento dall’urina, essa era riscaldata fino ad ottenere un sedimento, che veniva poi pressato in palle (sotto sx) ed essiccato Il giallo indiano cadde in disuso all’inizio del XX secolo, a causa dell’introduzione dei pigmenti sintetici e delle leggi sulla tutela degli animali promulgate in Gran Bretagna

Bianco zinco Lo zinco come elemento fu isolato nel 1721 e dalla sua calcinazione in presenza di aria fu possibile ricavare un pigmento bianco, l’ossido di zinco o bianco zinco o bianco cinese (ZnO) che fu sintetizzato attorno al 1780 ma introdotto come pigmento all’inizio del XIX secolo. La sostanza è sicuramente nota da molti secoli prima, essendo un sottoprodotto dell’industria dell’ottone Un motivo per l’introduzione del bianco zinco era il trovare un sostituto al bianco piombo, a causa della tossicità del piombo Il bianco zinco è stato ed è tuttora largamente impiegato avendo buone proprietà tecniche ed essendo poco costoso; tende però a formare saponi con gli acidi grassi degli oli siccativi

In alcuni dipinti di John Constable, artista inglese del XIX secolo, così come in William Turner e in altri pittori del XIX secolo, è stata trovata evidenza dell’uso di un pigmento relativamente sconosciuto: la terra verde bruciata. Il pigmento terra verde o terra di Verona è di origine naturale e come tale è stato usato almeno dal tempo dei Romani; in questo caso siamo di fronte ad una terra verde trattata termicamente per ottenere un pigmento dalla tinta variabile tra l’arancione e il marrone scuro, chiamato anche marrone di Verona L’origine del pigmento trova alcune testimonianze in testi del XVI e il XVII secolo, ma la sua identificazione è abbastanza difficile, problema comune di molti pigmenti e coloranti marroni, a causa della difficoltà di distinguere le varie ocre, terre organiche e lacche, che spesso presentano caratteristiche analitiche analoghe, es. dal punto di vista dell’analisi elementare Terra verde bruciata

L’industria del colore A questo punto è evidente che la produzione di materiali pittorici era diventata un grosso business, non più una faccenda da apotecari o da artigiani. Nel XIX secolo vennero creati allo scopo stabilimenti industriali che producevano materie prime da vendere ai fornitori degli artisti; alcune aziende, come Winsor & Newton in Gran Bretagna cominciarono a mettere in commercio tempere a olio pronte all’uso in tubetti di stagno, dopo la loro invenzione nel 1841 da parte di un pittore Americano di nome John Rand. Questa novità liberava gli artisti dalla necessità di preparare in continuazione i colori mescolando pigmenti e leganti, favorendo in particolare la pittura all’aria aperta Tra i primi a usufruire dei vantaggi dei colori in tubetti ci sono gli Impressionisti, in virtù della loro abitudine di dipingere all'aperto, dove non era pratico portarsi il materiale per preparare i colori. Lo stesso Renoir affermò che senza i tubetti non ci sarebbero mai stati Cézanne, Monet, Sisley e Pissarro

Lo sviluppo tecnologico nel campo dei materiali pittorici portò come conseguenza il fatto che gli artisti diventarono sempre meno confidenti con i prodotti che usavano, non dovendo prepararli di persona. Nasce quindi un nuovo ruolo professionale: il colorista (colourman in inglese), persona che fornisce all’artista i pigmenti pronti all’uso. Il colorista conosce bene le esigenze dell’artista che a lui si appoggia ed è in grado di testare personalmente i materiali prima di fornirli, avendo conoscenze di chimica In Inghilterra il più famoso dei coloristi era George Field (sx, nel ritratto di John Constable), autore di testi sul colore e produttore egli stesso di pigmenti. Field era il fornitore ufficiale di colori del pittore inglese William Turner e del circolo dei cosiddetti Preraffaeliti. Questi pittori si affidavano completamente al giudizio di Field sulla validità o meno di un pigmento

Grazie a Field, Turner era in grado di impiegare i nuovi colori appena questi erano immessi sul mercato: egli fu tra i primi pittori in Inghilterra a usare alcuni dei nuovi pigmenti come il giallo cromo, risultando uno dei più grandi innovatori nel colore. La sua tavolozza (come si nota in Ulisse che deride Polifemo, sotto) era molto ampia e comprendeva giallo cromo, ocra gialla, giallo indiano, gambogia, blu cobalto, blu verditer, calcare, lacca di robbia, vermiglione, ocra rossa, terra di siena, lacca di cocciniglia, verde smeraldo e viridiana

L’uso dei pigmenti in tubetto ha una conseguenza importante dal punto di vista diagnostico: è possibile ricostruire la tavolozza impiegata da un pittore, oltre che mediante l’analisi dei dipinti, attraverso l’analisi dei residui. Presso la Collezione Manton di New York è conservata una scatola metallica contenente residui di tempere ad olio, utilizzata da John Constable. La scatola contiene 11 vescicole di colore che sono state campionate sia all’interno, sia all’esterno per riconoscere eventuali schizzi di altri colori, per un totale di 17 campioni La tavolozza di John Constable

Analisi della tavolozza Manson CampioneColoreSito Materiale colorante 1-Agialloesterno giallo patente (Pb ossicloruro) 1-B smalto rosso esterno lacca rossa + impurezze varie 2verdeinternoverdigris 3 smalto giallo-marrone interno lacca gialla + impurezze varie 4-Agiallointerno giallo cromo 4-Brossoesterno vermiglione + impurezze rosse e gialle 4-Cbiancoesterno bianco piombo 5-Averdeinterno verdigris + blu di Prussia 5-Brosa-rossoesterno vermiglione + lacca rossa 6marroneinterno ossido di ferro 7 marrone translucente interno marrone organico + ossido di ferro 8 marrone rossastro interno ossidi di ferro 9 marrone scuro interno terra d'ombra 10-A marrone rosso scuro interno terra d'ombra + ocra rossa 10-Bgialloesterno giallo cromo 10-Cbiancoesterno bianco piombo 11verdeinterno verde smeraldo

Un’altra fonte di informazioni sui materiali impiegati da Constable è costituita dalla sua ultima tavolozza, conservata presso la Tate Gallery di Londra. Oltre all’identificazione di pigmenti e coloranti, l’analisi della tavolozza e della scatola dei colori hanno consentito di identificare gli agenti disperdenti utilizzati: si tratta principalmente di olio di semi di lino e di olio di papavero, due oli siccativi trattati in maniera opportuna a seconda della tecnica pittorica che l’autore intendeva utilizzare di volta in volta, a testimonianza dell’abilità dell’artista nel comprendere le proprietà dei suoi materiali. Come additivi erano impiegati rosso d’uovo, cera d’api e resina di pino La tavolozza della Tate Gallery

I colori nell’industria tessile Prima del XVI secolo i tintori Europei utilizzavano per lo più coloranti indigeni (robbia, porpora, guado) o provenienti dall’area mediterranea. Successivamente e fino al 1850 i coloranti erano ancora di origine esclusivamente naturale ma il range era stato ampliato dai prodotti provenienti dal Nuovo Mondo, dall’India e da altrove (cocciniglia, lacca indiana, indaco) Nel 1856 il chimico William H. Perkin Sr. (sx), all’età di soli 17 anni, creò casualmente il primo colorante sintetico a partire dal catrame: il malva. Egli stava cercando di sintetizzare la chinina, un farmaco impiegato per la cura della malaria, a partire dall’anilina. Al termine di un esperimento si ritrovò con un composto nero che, una volta essiccato e addizionato di alcool, virava al porpora. Applicato sulla seta, il prodotto generava un colore forte e intenso con scarsa tendenza alla fugacità, caratteristica che lo differenziava dalla maggior parte dei pur bellissimi coloranti naturali

Il malva è il primo esempio dei cosiddetti coloranti d’anilina, ottenuti a partire dal composto organico anilina (dx), che nel giro di pochi anni dalla scoperta del malva sostituirono i coloranti naturali in tutti gli usi, provocando uno sviluppo notevole dell’industria tintoria Perkin brevettò l’anno successivo il nuovo colorante e aprì a Londra un laboratorio per la sua produzione di massa. In breve il malva divenne di gran moda: nel 1862 la Regina Vittoria apparve all’Esibizione reale con una veste in seta color malva Il malva cadde in disuso alla fine attorno al 1870 per essere sostituito da altri coloranti sintetici, non prima però di aver fatto la fortuna di Perkin e di aver contribuito alla nascita dell’industria chimica di sintesi La struttura molecolare del malva fu alquanto difficile da chiarire e fu soltanto nel 1994 che venne definita con certezza. Si tratta in realtà di una miscela di due composti, il malva A (sx) e il malva B (dx), che differiscono per un gruppo metile

Verso la fine del XIX secolo erano ormai disponibili migliaia di coloranti sintetici, che coprivano tutte le tinte possibili. Alcuni esempi sono: l’alizarina, sintetizzata nel 1869 per sostituire il suo antico precursore, l'estratto dalla robbia, meno stabile; la produzionel’alizarina, sintetizzata nel 1869 per sostituire il suo antico precursore, l'estratto dalla robbia, meno stabile; la produzione di alizarina fu decisiva nello sviluppo della ditta farmaceutica tedesca BASF (Badische Anilin und Soda Fabrik) l’indaco, sintetizzato nel 1877 e commercializzato a partire dal 1897 dalla BASF e impiegato intensivamente nella produzione di jeansl’indaco, sintetizzato nel 1877 e commercializzato a partire dal 1897 dalla BASF e impiegato intensivamente nella produzione di jeans

Lo sviluppo della produzione industriale di coloranti ebbe come conseguenza l’abbandono quasi totale delle tecniche di estrazione da materiali naturali (licheni, piante, animali, ecc.) Per considerare l’impatto dello sviluppo in questo settore, basti pensare che nel 1897 la Gran Bretagna vendeva tonnellate di indaco naturale indiano e la Germania 600 tonnellate di indaco sintetico, mentre nel 1911 le cifre erano rispettivamente passate a 870 e tonnellate È interessante notare come tutti gli odierni colossi farmaceutici, Hoescht, BASF (a sx lo stabilimento di Ludwigshafen nel 1900), Agfa, Bayer, Ciba-Geigy, abbiano cominciato come produttori di coloranti

Impressionisti e Postimpressionisti L’uso del colore da parte di Turner ebbe influenza notevole sugli Impressionisti parigini, come Monet che andò a Londra a vedere il lavoro dell’artista inglese. Gli Impressionisti (Monet, Renoir, Degas, Pissarro, Sisley) e i Postimpressionisti (Cezanne, Seurat) fecero ampio uso dei nuovi colori, e lo shock che produssero le loro opere non è legato solo al nuovo stile ma anche a colori mai visti su tela Tuttavia, mentre prima della nascita del movimento impressionista molti artisti, non ultimo Turner, usavano tavolozze ampie (es. Delacroix impiegava 23 colori diversi come ne La libertà che conduce il popolo, dx), i pittori parigini erano più interessati a studiare gli effetti della luce e della miscelazione di colori semplici, e quindi spesso le loro tavolozze erano limitate a pochi colori di base, anche se in prevalenza pigmenti nuovi. Uno studio sulle opere di Pissarro ha mostrato che egli usava soltanto sette pigmenti: bianco piombo, giallo cromo, vermiglione, lacca di robbia, blu oltremare, blu cobalto e violetto cobalto; non sono presenti pigmenti verdi e neri

La teoria del colore La grande innovazione degli Impressionisti si deve in gran parte ai progressi compiuti dalla fisica e dalla chimica nella comprensione dei fenomeni legati al colore. Già nel 1810 Goethe pubblicava i suoi studi sul colore nei quali egli elaborava una teoria sostanzialmente psicologica Il marchio dell'autorità scientifica nello studio del colore si deve però al chimico francese Michel-Eugene Chevreul, che nel 1839 pubblica La legge del contrasto simultaneo fra i colori. Diventato direttore delle manifatture Gobelin di Parigi, gli fu chiesto di rimediare all'apparente tristezza delle tinture che venivano impiegate per colorare i tessuti. Egli scoprì che la sensazione di grigiore delle stoffe non era legato alla qualità dei coloranti, bensì al modo in cui i colori delle decorazioni erano affiancati: guardati da lontano i colori si fondevano sulla retina dell'osservatore rendendo grigi i tessuti. Accostando invece due colori complementari, la vicinanza aumentava la luminosità di entrambi La scoperta di Chevreul fu fondamentale per la pittura tra metà e fine '800 e cambio la strada dell'arte pittorica

Il contrasto simultaneo Due colori affiancati interagiscono l'uno con l'altro e cambiano la nostra percezione di essi, benchè essi non si alterino veramente: l'effetto di questa interazione si chiama appunto contrasto simultaneo. Siccome raramente vediamo i colori isolati, il contrasto simultaneo agisce continuamente e modifica il modo con cui percepiamo un colore Il contrasto simultaneo è più intenso quando i due colori affiancati sono complementari: rosso e verde, blu e arancio. Questa teoria era già nota a pittori precedenti come Eugène Delacroix, ma forse anche gli antichi Egizi non ne erano del tutto ignari

Ne Le rive della Senna presso Asnière ( ) di Pierre- Auguste Renoir, a parte il tradizionale bianco piombo e i pigmenti rossi, tutti i colori sono resi con pigmenti moderni: blu cobalto, viridiana, giallo cromo, giallo limone e arancio cromo. I pigmenti sono stesi quasi puri, sfruttando il trucco imparato dai teorici del colore come Chevreul: i colori appaiono più brillanti se posti a fianco del rispettivo colore complementare, come rosso contro verde, blu contro arancio, giallo contro porpora Nel quadro di Renoir è evidente l’impatto del puro arancio della barca contro il blu cobalto del fiume

La tavolozza di Monet La tavolozza di Monet era piuttosto limitata, ma costituita quasi completamente da colori nuovi. Dall’esame del dipinto La Grenouillère (1869) si identificano i seguenti pigmenti: il nero, simbolo dell’assenza di luce, è praticamente inutilizzatoil nero, simbolo dell’assenza di luce, è praticamente inutilizzato il vermiglione è uno dei pochi pigmenti tradizionali, usato sia puro (nei fiori rossi sulla sinistra) sia in miscelail vermiglione è uno dei pochi pigmenti tradizionali, usato sia puro (nei fiori rossi sulla sinistra) sia in miscela i verdi sono viridiana, verde smeraldo e verde cromo, tutti colori modernii verdi sono viridiana, verde smeraldo e verde cromo, tutti colori moderni giallo cromo e giallo limone sono impiegati in miscela per il verdegiallo cromo e giallo limone sono impiegati in miscela per il verde brillante degli alberi sullo sfondo; gli Impressionisti abbandonarono questi pigmenti attorno al 1870 per la nota tendenza ad annerirsi in presenza di solfuri, e li sostituirono con i più stabili gialli di cadmio

il bianco piombo è qui relativamente scarso perchè l’artista punta su contrasti forti, ma è impiegato in tutta l’opera di Monet, nella maggior parte delle misceleil bianco piombo è qui relativamente scarso perchè l’artista punta su contrasti forti, ma è impiegato in tutta l’opera di Monet, nella maggior parte delle miscele i colori foschi delle barche sono ottenuti miscelando colori complementari, come verde e rosso, che generano una tinta particolare, impossibile dai colori foschi delle barche sono ottenuti miscelando colori complementari, come verde e rosso, che generano una tinta particolare, impossibile da il violetto cobalto è usato in miscela per l’acqua sullo sfondoil violetto cobalto è usato in miscela per l’acqua sullo sfondo per i blu Monet usa blu di Prussia nelle miscele più scure, come i costumi da bagno, e blu cobalto, più brillante, per l’acquaper i blu Monet usa blu di Prussia nelle miscele più scure, come i costumi da bagno, e blu cobalto, più brillante, per l’acqua ottenere mescolando i colori di base con il nero un altro materiale non identificato in questa opera ma noto nell’uso di Monet è la lacca di alizarina sintetica, usata dall’artista a partire dal 1870, ovvero pochissimi anni dopo la sua introduzioneun altro materiale non identificato in questa opera ma noto nell’uso di Monet è la lacca di alizarina sintetica, usata dall’artista a partire dal 1870, ovvero pochissimi anni dopo la sua introduzione

Cézanne Anche Paul Cézanne impiegava una tavolozza limitata, composta da pigmenti: bianco piombo, vermiglione e minio, giallo cromo e ocra gialla, verde smeraldo e viridiana, blu oltremare e blu cobalto, nero d’ossa In particolare, usando quattro di questi pigmenti in quantità variabili (bianco piombo, vermiglione, verde smeraldo e blu oltremare), egli otteneva una quantità notevole di toni

Van Gogh L’opera di Vincent van Gogh trovò nei nuovi colori e nelle teorie scientifiche una fonte diretta di ispirazione. Il suo lavoro fu trasformato notevolmente quando andò a Parigi a vedere i dipinti degli Impressionisti, che gli suggerirono di impiegare colori puri molto brillanti. Egli confidava sulla forza di questi colori per esprimere la passione delle sue visioni. Nelle lettere a suo fratello Theo, Van Gogh dichiarava spesso tutto il suo entusiasmo per i nuovi pigmenti Il colore preferito da Van Gogh era senza dubbio il giallo, usato spesso contestualmente al suo colore complementare, il blu. Per rendere il giallo, egli usò ocra gialla all’inizio della sua carriera, in seguito i pigmenti sintetici giallo cromo e giallo cadmio Sfortunatamente, molti dipinti di Van Gogh hanno subito alterazioni legate all’uso di lacche fugaci, in particolare robbia, cocciniglia, verzino e lacca di geranio (a base di eosina); probabilmente il suo fornitore di materiali pittorici non era molto affidabile

Pochi artisti hanno utilizzato i colori complementari in maniera altrettanto drammatica a quanto fece Van Gogh, come si può notare dai dipinti Café Terrace (sx) e Night Café in Arles (dx), entrambi dipinti ad Arles nel Si noti come si accentuano a vicenda blu e giallo nel primo, verde e rosso nel secondo