La moda futurista I Futuristi italiani vestivano eleganti, con abiti sobri mettendo all’indice la super accessoriata moda ottocentesca. Per lo più in smoking, con tanto di cravattino, amavano concentrarsi e contraddistinguersi per alcuni particolari: calze, cravatte e panciotti. L’artista futurista rifiutava i costumi bohemienne, ostentava piuttosto un’elegantissima normalità, ovviamente a scopo provocatorio. La sobrietà era la nota distintiva del futurista, un dandy avvezzo al mito della velocità. Era Giacomo Balla l’eccentrico del gruppo, che iniziò a colorare i classici vestiti da uomo, realizzando il primo guardaroba futurista, accompagnato (nel 1913) dal Manifesto del vestito futurista da uomo, o Manifesto del vestito antineutrale. La prima caratteristica dell’abito futurista consiste nella sua marcata partecipazione all’ambiente sociale quotidiano. Lo scopo dei modelli di Balla, ed altri, integrarsi nella società e migliorarla, aprendo una nuova prospettiva verso il futuro, sempre in nome dell’ideale di un fare artistico totalizzante. L’INDIVIDUO, INDOSSANDO UN ABITO FUTURISTA, DIVENTA UN’OPERA D’ARTE. “…le vie affollate, teatri, caffè, tutto è di una tonalità desolante, i vestiti riflettono l’umore musone dei passatisti del giorno d’oggi.”
I coloratissimi modelli proposti da Balla andavano a sostenere il fondamentale proposito di introdurre l’arte nella quotidianità in nome di un concetto di arte totalizzante. L’uomo che indossava un vestito di questo tipo incarnava una dimensione fantastica, ma allo stesso tempo concreta e simbolo di modernità. Le sperimentazioni toccarono ogni settore, tutto era studiato nella sua semplicità, passando ad una certa attenzione verso i materiali e le forme. Comparirono cravatte e borsette asimmetriche, realizzate con i materiali più inediti, dalla cellulosa all’alluminio, proprio per enfatizzare il loro carattere di modernità. Balla concepiva le sue realizzazioni come veri e propri complessi-plastici, lontani da ogni disciplina tradizionale, ma concretizzando perfettamente forme e materiali ed integrando l’oggetto nell’ambiente circostante Giacomo Balla, Bozzatti per borsetta e stole. 1919 Thayhat, è l’altro nome che si lega indissolubilmente alla moda degli anni ‘20, per il suo originalissimo contributo e per la grande fortuna che ebbe all’estero. Ebbe grande fortuna in Francia, La sua esperienza simboleggia l’unica occasione di dialogo tra l’esperienza futurista e l’alta moda francese. Nel giugno 1920, il quotidiano “la Nazione” era venduto allegato al cartamodello della Tuta di Thayhat, in modo che ogni lettore potesse realizzarne una per se, in economia e semplicità, queste erano le regole. L’idea nasce nell’artista per rispondere all’esigenza di un abito comodo ed economico (poteva essere realizzata con 30 lire), adatto sia al tempo libero che al lavoro. VESTE TUTA LA PERSONA! Era lo slogan che pubblicizzava questo innovativo prodotto, che voleva affermarsi come abito universale, pronto a sostituire l’intero guardaroba. Thayhat, cartamodello per Tuta. 1920