Studiare Leopardi linguista

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Transcript della presentazione:

Studiare Leopardi linguista Parte terza

Da una lettera al Leopardi del 15 aprile 1817

Giordani sui Promessi Sposi (da una lettera a Francesco Testa, Natale 1827)

La questione della lingua (1) Tradizionalmente, è il dibattito, apertosi nel 1524-25, sulla norma della lingua letteraria (prosa e poesia). La soluzione rinascimentale fu quella proposta dal veneziano Pietro Bembo nelle Prose della volgar lingua (1525): La norma linguistica è espressa dal fiorentino scritto e letterario del XIV secolo, fissato nelle opere di Petrarca e Boccaccio.

La questione della lingua (2) La norma classicistico-bembiana viene codificata nel 1612 nel Vocabolario della Crusca, e solo lentamente aperta a aggiornamenti e allargamenti (Tasso fu ammesso solo nella 3. edizione). L’alternativa al fiorentinismo è la soluzione italianista preconizzata da Giangiorgio Trissino nel Castellano (1529): L’italiano – secondo T. – sarebbe la sintesi del meglio delle diverse tradizioni regionali; già Dante nel De vulgari eloquentia (1304-1305) avrebbe prospettato una soluzione antifiorentina.

La questione della lingua (3) La soluzione italianista non ha basi storiche, ma incontra numerosi consensi: Muzio, Tasso, Bartoli, Gravina, Vico, Cesarotti, Vincenzo Monti, Giulio Perticari… Essa è alla base della più importante operazione politico-linguistica del tempo: la Proposta di alcune correzioni e aggiunte al Vocabolario della Crusca a c. di V. Monti e G. Perticari (Milano, 1818-1827).

Excursus: l’italiano è il fiorentino letterario codificato nel XVI secolo (1) dittongamento di ŏ ed ĕ sotto accento in sillaba libera (bonum > buono; levitum > lievito ecc.); Anafonesi (tipi consĭlium> conseglio > consiglio; fŭngum > fongo > fungo) Chiusura di e protonica del lat. volg. (tipo dĕcembrem> decembre > dicembre) - ar – intertonica o postonica passa a – er (tipo amare *ao> amarò > amerò) Labializzazione vocale protonica (debere > dovere, demandare > domandare ecc.) Apocope vocale finale (amor mio, buon padre…); Raddoppiamento fonosintattico (che ffài? Vengo da rRoma) per influsso da –d o –b

Excursus: l’italiano è il fiorentino letterario codificato nel XVI secolo (2) Spirantizzazione della – b- intervocalica (habere > avere; debere > dovere e sim.); Sonorizzazione delle sorde intervocaliche (patrem>padre; ripam> riva; stratam>strada); Esiti di consonante + jod (ess. Notarium> notaio [vs. notaro]; flammam > fiamma; faciat, sapiat> faccia, sappia ecc.) E così via….

La questione della lingua nel primo Ottocento Partito “purista” e sue ambiguità: conservatorismo ma anche spiriti nazionali; suo campione è Antonio Cesari. Partito “classicista”, di orientamento italianista e aperto al rinnovamento del lessico intellettuale: Giordani, Monti, Perticari; Partito “romantico”: liberismo linguistico di tipo illuminista, sottolineatura dell’elemento sociale (Lettera semiseria di Giovanni Grisostomo [1816] del Berchet: né parigini né ottentotti, il pubblico è fatto dal “popolo” borghese).

I Romantici e il “Conciliatore” Pubblicato a Milano dal 3 sett 1818 al 17 ott 1819 (118 numeri); Orientamento liberale e antiaustriaco; Si occupa di letteratura, economia, statistica, scienze morali; continuità con la rivista milanese Il Caffè; Vi collaborano Giuseppe Borsieri, Gian Domenico Romagnosi, Melchiorre Gioia, Ludovico di Breme, Giovanni Berchet ecc. Ospita interventi sulla lingua e la questione della lingua.

Manzoni maestro di lingua? Manzoni viene imposto come modello linguistico-retorico nelle scuole degli ultimi decenni dell’800; Lì rimane fino ai giorni nostri, unico e insostituibile: non si legge Proust, non si legge Joyce, e neanche Svevo, Manzoni SI’. Se ne mandano a memoria interi brani; Le sue scelte linguistiche sono presentate come norma di buona lingua…. …. Ma siamo sicuri che questa immagine scolastica corrisponda alla realtà?

Il romanzo ha una lunga storia… La prima stesura, col titolo Fermo e Lucia, è realizzata fra il 1821 e il 1823, ma lascia M. insoddisfatto. Fra il 1825 e il 1827 pubblica la 2nda edizione e in seguito, stabilitosi a Firenze per “naturalizzarsi” fiorentino, intraprende la famosa “risciacquatura dei panni in Arno” che porta all’ed. definitiva del romanzo, uscita nel 1840. Frontespizio della “Quarantana”

Una testimonianza inattesa: Manzoni non sa l’italiano? Così scrive di se stesso nella seconda introduzione al Fermo e Lucia (1823): “… Come pensate voi a scusarvi di quella picciola libertà, quando una così grande e così strana ne avrete presa in ogni luogo? quando tutta questa vostra dicitura è un composto indigesto di frasi un po' lombarde, un po' toscane, un po' francesi, un po' anche latine; di frasi che non appartengono a nessuna di queste categorie, ma sono cavate per analogia e per estensione o dall'una o dall'altra di esse? quando perfino conciliando, come il nostro autore, due vizii opposti avete più d'una volta peccato di arcaismo e di gallicismo in un solo vocabolo? dimodoché non si potrà forse nemmeno dire dove specialmente pecchi questa lingua che adoperate, e non si può dire se non che è cattiva lingua”.

Scrivere un romanzo? Ci vorrebbe una lingua (che non c’è) “[Per scrivere un romanzo servirebbero] [p] arole e frasi tanto famigliari ad ognuno che il parlatore triviale e l'egregio cavino dallo stesso fondo, e dopo d'averli uditi successivamente, un uomo colto senta fra di loro differenza d'idee, di raziocinio, di forza etc. ma non di lingua. Parole e frasi, per finirla, tanto note per uso, e immedesimate col loro significato, che quando uno scrittore ingegnoso, per mezzo di analogia le fa servire ad un significato pellegrino, quel nuovo uso sia inteso senza oscurità e senza equivoco, ed ogni lettore vi senta in un punto e l'idea comune, e quel passaggio, quella estensione etc. che ha in quell'uso particolare”. (cont.) “

Scrittori e parlatori insieme fanno la lingua “Per bene usare parole e frasi tali, cioè per bene scrivere sono necessarie due condizioni. Che lo scrittore (lasciando sempre da parte l'ingegno) le conosca, che abbia letto libri bene scritti, e parlato con persone colte, che abbia posto studio nell'udire e nel leggere e ne ponga nel parlare. Ma questa condizione è la seconda. La prima è che parole e frasi adottate esclusivamente per convenzione generale esistano, che moltissimi scrittori e parlatori, come d'accordo, abbiano formata questa lingua ch'egli debbe scrivere, gli abbiano preparati i materiali”. (cont.)

Manzoni sa il dialetto, non l’italiano? “Se in Italia vi sia una lingua che abbia questa condizione, è una quistione su la quale non ardisco dire il mio parere. È ben certo che v'ha molte lingue particolari a diverse parti d'Italia, che in una sfera molto ristretta di idee certamente, ma hanno quell'universalità e quella purità. Io per me, ne conosco una, nella quale ardirei promettermi di parlare, negli argomenti ai quali essa arriva, tanto da stancare il più paziente uditore, senza proferire un barbarismo; e di avvertire immediatamente qualunque barbarismo che scappasse altrui: e questa lingua, senza vantarmi, è la milanese. Ve n'ha un'altra in Italia, incomparabilmente più bella, più ricca di questa, e di tutte le altre, e che ha materiali per esprimere idee più generali etc. ed è, come ognun sa, la toscana. Se poi anche questa lingua, la quale, fino ad una certa epoca bastava ad esprimere le idee più elevate etc. era al livello delle cognizioni europee, lo sia ancora, se possa somministrare frasi proprie alle idee che si concepiscono ora, se abbia avuto libri sempre pari alle cognizioni, se abbia seguito il corso delle idee, è un'altra quistione su la quale non ardisco dire il mio parere”. (Manzoni, autunno 1823; nel 1827 uscirà la prima edizione dei Promessi Sposi)

Per finire, un manoscritto di mano di Giacomo: Il primo autografo de “L’Infinito” (1819?) «idilli esprimenti situazioni, affezioni, avventure storiche del mio animo»

Il testo finale (pubbl. 1826) Sempre caro mi fu quest’ermo colle e questa siepe che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quïete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni e la presente e viva, e il suon di lei: Così tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare.

Palazzo Leopardi a Recanati Il Colle Tabor (“quest’ermo colle”) com’ è oggi