Introduzione allo Humanistic management Marco Minghetti Lezione 3 – Incontro con Piero Trupia Pavia Ottobre 2007 L’abbinata shakespeare e management può apparire incongrua. Innanzitutto perché non so quanti di voi conoscano il significato del termine management. Per management si intende quella disciplina che studia la gestione d’impresa, con particolare riferimento alle strutture organizzative, ai metodi e processi di lavoro, le metodologie per la selezione, la valutazione e la valorizzazione delle persone. Detto questo l’apparente incongruità resta: cosa c’entra shakespeare con la gestione delle aziende? Questa è la domanda cui cercherò di rispondere in questo intervento.
Nasce lo humanistic management Nel 2004 nasce lo humanistic management per il quale la poesia, l’arte, la filosofia: sono concepiti come strumenti operativi volti al superamento dei linguaggi settoriali si traducono in catalizzatori metadisciplinari -
Manifesto: Parte Prima. Concetti Sezione 1: Il contesto: un approccio metadisciplinare La dimensione filosofica, ermeneutica, storica, economica, organizzativa, politica, strategica, sociologica Cosa ci chiede il post. Sei domande per il management umanistico (Piero Trupia). Il management della modernità riflessiva. La conoscenza come risorsa per esplorare e per condividere (Enzo Rullani) Da Esiodo al Duemilaventicinque. Un modello umanistico latino per le imprese (Domenico De Masi) Sezione 2: Il mondo vitale dell’impresa Valorizzare l'intangibile: esperienze, conoscenze , relazioni, intelligenze, emozioni, regole, morali, etiche Il capitale intellettuale. Come dischiudere la ricchezza nascosta dell’organizzazione (Franco D’Egidio) L’azienda razionale e l’azienda emotiva. Emozione ed intelligenza per lavorare divertendosi (Luca, Laura, Maria Ludovica, RiccardoVarvelli) L’azienda etica. L’impresa come protagonista di una storia che le persone desidererebbero sentire (Giampaolo Azzoni)
Il mondo vitale Il discorso dello humanistic management vuole cogliere concetti originali che possano tradursi in pratiche inedite e più adeguate al continuo scorrere, nel senso eracliteo, del fiume della vita e all’evidenza che la dimensione umana, per nostra fortuna, si sottrae ad ogni contenimento concettuale: perché anche quello aziendale è un “mondo vitale”, al cui centro sta l’individuo. Per “mondo vitale”, scrive Piero Trupia, si intende “una realtà aggregativa e operativa, al cui interno valgono regole e processi di tipo oggettivo…ma anche legami empatici, che la scienza manageriale malamente tenta di tematizzare come clima organizzativo, senza cogliere l’intima contraddizione fra i due termini” (P. Trupia, Potere di convocazione, p. 71)
Il problema degli universali Esistono degli enti ante-rem cui la cosa reale, fattuale, si debba necessariamente conformare? Universali sono le idee platoniche, nonché i concetti, le essenze in un senso forte, come modello degli esistenti singolari che invece sono post-rem. Agli universali si contrappongono, per l’appunto, gli esistenziali (gli uni e gli altri non sono soltanto delle categorie, ma delle ‘cose’). Gli esistenziali hanno la propria ragione d’essere nel loro concreto darsi e, talvolta, nel loro fungere. L’essere degli esistenziali non è necessario, ma contingente: sono, ma potrebbero non essere; esistono qui ed ora, ma non necessariamente là, dopo o prima. Il ‘mondo vitale’, in quanto tale, è un esistenziale.
Il mondo vitale dell’impresa: esempi Un quartetto d'archi, una rock-band, una compagnia teatrale, una équipe sportiva che vince, un laboratorio di ricerca o in uno studio di professionisti associati, molte piccole e medie imprese italiane, le comunità professionali e nei team di progetto che si creano all’interno delle grandi corporations. Essenziale è che sono soggetti a divenire e pertanto mutevoli; in ‘colloquio’ con il mondo circostante degli altri esistenti; si adattano ad essi e li adattano a sé. Possono esistere ora nel Nord Est, in un sobborgo di Londra o in un laboratorio di Lens, ma non necessariamente in Canada, nella Nuova Zelanda o, in futuro, nello stesso Nord Est o in quel medesimo quartiere dell’hinterland londinese.
- La conosci ? Dov’è? Qual è il suo nome? III Kublai Kan s’era accorto che le città di Marco Polo s’assomigliavano, come se il passaggio dall’una all’altra non implicasse un viaggio ma uno scambio di elementi. Adesso, da ogni città che Marco gli descriveva, la mente del Gran Kan partiva per suo conto, e smontava la città pezzo per pezzo, la ricostruiva in un altro modo, sostituendo ingredienti, spostandoli, invertendoli. Marco intanto continuava a riferire del suo viaggio, ma l’imperatore non lo stava più a sentire, lo interrompeva: - D’ora in avanti sarò io a descrivere le città e tu verificherai se esistono e se sono come io le ho pensate. Comincerò a chiederti d’una città a scale, esposta a scirocco, su un golfo a mezzaluna. Ora dirò qualcuna delle meraviglie che contiene: una vasca di vetro alta come un duomo per seguire il nuoto e il volo de pesci-rondine e trarne auspici; una palma con intorno una tavola di marmo a ferro di cavallo, con la tovaglia pure in marmo, imbandita con cibi e bevande tutte in marmo. - Sire, eri distratto. Di questa città appunto ti stavo raccontando quando m’hai interrotto. - La conosci ? Dov’è? Qual è il suo nome? - Non ha nome né luogo. Ti ripeto la ragione per cui la descrivevo: dal numero delle città immaginabili occorre escludere quelle i cui elementi si sommano senza un filo che li connetta, senza una regola interna, una prospettiva, un discorso. E’ delle città come dei sogni: tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra. - Io non ho desideri né paure, - dichiarò il Kan – e i miei sogni sono composti o dalla mente o dal caso. - Anche le città credono d’essere opera delle mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura. D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà ad una tua domanda. - O la domanda che ti pone obbligandoti a rispondere, come Tebe per bocca della Sfinge.
Il mondo vitale dell’impresa: caratteristiche L’impresa è un mondo non prescritto, non predeterminato, transeunte e infinitamente mutabile, che il management legge, interpreta, ascolta, non solo per i suoi fini, ma anche per i fini di coloro che ha associato e cooptato. Di qui la necessità di adottare forme di lettura, interpretazione ed azione volte prima di tutto a indicare a ciascuno modi e possibilità per riscoprirsi, raccontarsi in prima persona, valorizzare la propria esperienza, suscitare occasioni di cura personale che, oltre all’attenzione per il benessere del corpo, siano volte a migliorare la conoscenza di sé, in quanto arte narrativa e filosofica. Una visione al tempo stesso platonicamente conviviale, aperta al dialogo con gli altri, al mondo, al futuro. Valori cruciali, elusi laddove abbia il sopravvento una cultura tecno-scientistica del lavoro, incapace di rinviare a quella più generale appartenenza ad una cultura che non potrà che essere umanistica.
Leadership Personigramma Conduzione Convocazione Etica Convivialità 6 parole per il management umanistico Leadership Personigramma Conduzione Convocazione Etica Convivialità