LEZIONI CORSO PERFEZIONAMENTO IGIENE E QUALITÀ DEGLI ALIMENTI
Sotto il profilo biologico, il latte è il prodotto ottenuto dalla mungitura completa, regolare ed ininterrotta di animali in buono stato di salute, alimentazione e in corretta lattazione. Sotto il profilo chimico-fisico, il latte è una miscela acquosa nella quale alcuni componenti sono completamente solubili (zuccheri, sali minerali, sostanze azotate non proteiche, vitamine idrosolubili), altri formano una sospensione (lipidi, proteine, vitamine liposolubili e alcuni sali minerali).
Sostanze Azotate non proteiche 0.15 Sali minerali 1 Componenti % Acqua 87 Lattosio 4.7 – 4.9 Grassi 3.5 Proteine 3.2 – 3.4 Caseine 2.7 Proteine solubili 0.55 Sostanze Azotate non proteiche 0.15 Sali minerali 1 Vitamine, enzimi, ormoni tracce
GRASSI, sono rappresentati prevalentemente dai trigliceridi (98%) in cui sono presenti sia acidi grassi saturi (acido palmitico, stearico, laurico e butirrico) e acidi grassi insaturi (oleico e linoleico). I lipidi rimanenti (2%) sono rappresentati da una miscellanea di molecole: monogliceridi, digliceridi, steroli (colesterolo), acidi grassi liberi, carotenoidi (coloranti naturali del latte e dei latticini precursori della vitamina A) e fosfolipidi (lecitina, sfingomieline). A causa delle caratteristiche idrofobiche i lipidi sono dispersi nel latte, non disciolti, come globuli con diametro non superiore ai 10mm rivestite da una membrana lipoproteica che isola il contenuto dall’ambiente acquoso
La determinazione della percentuale di grasso nel latte è una delle analisi più importanti e necessarie al fine di: rilevare eventuali adulterazioni, stabilire il valore commerciale del prodotto, ai fini della sua trasformazione, per determinare la resa in burro. La determinazione avviene con il metodo Gerber basato sull’azione dissolvente dell’acido solforico e dell’alcol isoamilico su tutti i componenti del latte tranne il grasso, che viene separato in uno strato chiaro, trasparente, facilmente misurabile. Al momento in cui si esegue questa determinazione, è possibile rilevare la presenza della formaldeide (potente battericida) nel latte; infatti l’addizione al latte di acido solforico provoca una colorazione violacea.
SOSTANZE AZOTATE, sono le proteine, l’urea, creatina, creatinina ed ammoniaca, molecole presenti nel latte che presentano azoto. Per la determinazione si utilizza il metodo Kjeldahl, il principio consiste nella trasformazione dell’azoto presente in solfato d'ammonio, dal solfato d’ammonio si libera l'ammoniaca che è titolata con una soluzione di acido cloridrico a titolo noto, ed in base alla quantità di ammoniaca titolata è possibile calcolare il contenuto proteico del campione analizzato.
SOSTANZE AZOTATE NON PROTEICHE la più abbondante è l’urea, seguita dalla creatina, creatinina ed ammoniaca. I caseifici richiedono la determinazione dell’urea per valutare l’effettivo titolo di proteine. L’urea, può essere determinata mediante pH-metria differenziale. Squilibri nell’alimentazione possono essere scoperti mediante la determinazione del contenuto di urea. Un’alimentazione equilibrata fornisce valori di urea tra 15-20 mg/dl di latte. Diete a contenuto proteico elevato provocano un aumento della concentrazione dell’urea, sopra 50 mg/dl di latte. Diete povere di proteine riducono la concentrazione di urea al di sotto di 10 mg/dl di latte. Alte concentrazioni dell’urea sono negative per la caseificazione. Inoltre nel latte mastitico il livello di urea aumenta.
PROTEINE sono il 95% della sostanza azotata. La proteina predominante è la caseina che rappresenta l’85% delle proteine totali. Le sieroproteine (proteine solubili) sono rappresentate da albumine, globuline, proteoso-peptoni e metalloproteine. Le lattoglobuline, lattoalbumine sono sintetizzate dalla mammella e sono ricche di aminoacidi essenziali L’albumina del siero di sangue e le globuline sono filtrate dal sangue dell’animale. Nel latte mastitico il livello di sieroproteine aumenta. Una piccola parte di proteine è costituita da enzimi come proteasi (plasmina), lipasi, catalasi, fosfatasi e perossidasi.
Le caseine sono disperse come sospensione colloidale sotto forma di micelle. Le micelle caseiniche sono costituite dalla frazione proteica (le caseine) ed una componente minerale formata da calcio, fosfato, piccole quantità di magnesio, sodio, potassio, citrato; infatti, si parla di fosfocaseinato di calcio. Le caseine sono glicofosfoproteine ricche di zolfo sintetizzate direttamente dalla mammella e sono presenti sotto varie isoforme as1-, as2-, as3-, b-, k- g-casiena. Le as1-, as2-, as3-, b-caseina sono fosofoproteine; la k-casiena è una glicoproteina ed è particolarmente sensibile all’azione della chimosina la sua rottura dà inizio alla coagulazione; la g-caseina è una proteina di clivaggio derivante dalla proteolisi, da parte della plasmina, della b-caseina. Le g-caseina nei latti di specie diverse presentano velocità elettroforetiche diverse e questa proprietà permette di differenziare i latti.
ZUCCHERI, il lattosio costituisce la quasi totalità degli zuccheri del latte. Gli altri zuccheri presenti in quantità ridotta sono coinvolti principalmente nella struttura glucidica delle glicoproteine. Il lattosio è un disaccaride, tipico del latte, composto da due monomeri glucosio e galattosio. Il lattosio è idrolizzato (fermentato) nei due monomeri dall’enzima b-galattosidasi, idrolasi presente nel corredo enzimatico normale dei microrganismi di interesse lattiero-caseario, i batteri lattici.
Grasso, proteine e lattosio nel latte possono essere determinati, mediante spettrofotometria agli infrarossi (IR), che misura l’assorbimento: dei gruppi ossidrilici C-OH del lattosio a 9,6 mm, dei gruppi ammidici delle proteine a 6,5 mm, dei gruppi alchilici C-H dei grassi a 3,5 mm.
ACIDO LATTICO, è il prodotto della fermentazione del lattosio ad opera principalmente dell’attività microbica. La sua concentrazione è correlata alla carica batterica totale e può essere un utile indicatore del buon stato di conservazione dell’alimento. Infatti, il trattamento termico ad alte temperature abbatte la carica microbica ma non altera la concentrazione dell’acido lattico che perciò diviene un indicatore della “storia” del prodotto. Nel latte prodotto da una mammella sana è presente in quantità inferiore a 10 mg/l (10 ppm). Quantità superiori sono principalmente il risultato della presenza di microrganismi che contaminano il latte e che utilizzando il lattosio per la loro moltiplicazione, acidificano il latte. Una presenza elevata di acido lattico destabilizza le proteine anticipando la precipitazione processo che si svolge durante la caseificazione. A) L’acido lattico può essere determinato mediante spettrofotometria end point con lettura spettrofotometrica nel visibile a 545 nm o 505 nm, l’intensità del complesso viola che si forma è direttamente proporzionale alla concentrazione di ac. L-lattico nel campione. B) L’acido lattico, può essere determinato mediante pH-metria differenziale.
SALI MINERALI il latte contiene diversi tipi di sali, spesso in associazione con le micelle di caseina. Tra i sali minerali il calcio è il più importante, grazie all’azione del caglio è coinvolto nella precipitazione della caseina sotto forma di caseinato di calcio. Altri cationi importanti sono sodio, magnesio e potassio. Tra gli anioni solfati cloruri e fosfati. VITAMINE sono tutte presenti nel latte, predominano la vitamina A. INIBENTI dopo trattamento antibiotico e dopo applicazioni di detergenti, disinfettanti o conservanti si possono trovare nel latte sostanze inibenti ad effetto batteriostatico e battericida. Per la loro determinazione è impiegato un test microbiologico miniaturizzato, che utilizza il Bacillus stearothermophilus, microrganismo produttore di acido che fa variare l’indicatore di pH da viola a giallo.
Incremento dei germi per ml di latte refrigerato o meno (munto igienicamente)
CELLULE SOMATICHE, insieme eterogeneo di elementi cellulari di differente origine e con diversa funzione, derivanti in parte dal sangue e dalla linfa (leucociti, linfociti), ed in parte dal tessuto ghiandolare e dei dotti galattofori della mammella. Essi sono riconducibili a quattro gruppi: leucociti polimorfonucleati neutrofili, nel latte di un animale sano rappresentano circa il 10%; macrofagi, sono circa il 60%; linfociti B e T, sono circa il 30%; cellule epiteliali, derivano dallo sfaldamento superficiale del tessuto ghiandolare della mammella e dei dotti galattofori in conseguenza di un normale processo di rinnovamento, sono circa lo 0 - 7%. In normali condizioni di salute la loro presenza si arresta su valori di 100.000 - 200.000 cellule per ml nel latte vaccino. Per il latte bufalino il valore normale è più basso tra 50.000 – 100.000 cellule per ml
Il tasso di cellule somatiche nel latte riveste un duplice ruolo: indice di funzionalità mammaria e indice di qualità tecnologica del latte poiché le cellule somatiche sono capaci di degradare le proteine del latte grazie ad una proteasi termoresistente che idrolizza le a- e b-caseine. Inoltre i leucociti andando incontro ad autolisi liberano altri enzimi proteolitici. La pastorizzazione le distrugge quasi tutte ma non arresta l’azione degli enzimi a loro riferibili, azione che non è bloccata dal freddo. Le cellule somatiche sono contate mediane citometria a fluorescenza; in particolare si sfrutta la capacità di quantificare la fluorescenza emessa, dal bromuro di etidio, sostanza in grado di intercalarsi tra le basi azotate del DNA cellulare e di emettere luce arancio se eccitato da radiazione UV con compresa tra 254 e 306 nm. Ogni cellula produce un impulso elettrico che viene amplificato e registrato. Il numero di cellule viene espresso in migliaia per ml.
pH Il pH rappresenta la concentrazione idrogenionica da cui dipende la stabilità della fase caseinica. Infatti, nella caseina prevalgono i gruppi acidi e nelle micelle gli anioni degli acidi fosforico e citrico, così il latte ha una reazione debolmente acida, compresa tra i pH 6.5 e 6.8. pH < 6.5 latte inacidito pH > 6.8 latte mastitico Il latte per la presenza di proteine che hanno gruppi con cariche positive e negative è una soluzione tamponata. Per questo, variazioni anche relativamente piccole dei valori indicati, sono considerate indici di anormalità.
ACIDITA’ TOTALE L’acidità totale del latte corrisponde alla somma dell’acidità naturale e dell’acidità di fermentazione che aumenta dopo la mungitura per la trasformazione del lattosio in acido lattico, ad opera dei batteri lattici. Il metodo per determinare l’acidità totale è una titolazione colorimetrica che esprime l’acidità in gradi Soxhlet-Henkel, infatti l’acidità è misurata dalla quantità in mL di una soluzione alcalina NaOH 4N necessaria per modificare il pH del latte portandolo da 6,6 a 8,3 così da modificare il suo potere tampone; che si evidenzia con il viraggio dell’indicatore fenoftaleina dall’incolore al rosso. Aumenta con un’alimentazione troppo ricca di carboidrati e dall’inquinamento microbico che causa la fermentazione degli zuccheri. Diminuisce in caso di mastite.
DENSITA’ La densità del latte (rapporto tra massa e volume) non è un valore costante, perché costituisce la somma delle densità del grasso, che ha una densità di 0,930-0.950 e della miscela acquosa del residuo secco magro che ha una densità di 1,036-1,037. La densità del latte ha i seguenti valori medi. La densità del latte dipende da tutti i suoi costituenti per questo è indice della sua ricchezza compositiva, in genere più è elevata più il latte è ricco. La densità, pur non costituendo un mezzo sicuro per l’individuazione delle frodi, può fornire utili indicazioni sull’annacquamento del latte. E evidente che il valore della densità può aumentare se il latte è scremato e diminuire se annacquato. La prova si esegue utilizzando il cosiddetto lattodensimetro di Quevenn costituito da: un galleggiante zavorrato in basso e portante in alto una sottile asta di vetro con scala graduata da 20 a 40, dove 20 sta per 1,020 e così via ed un termometro incorporato.
PUNTO DI CONGELAMENTO (indice crioscopico) Indica la temperatura di congelamento del latte e dipende dal numero di molecole in soluzione vera: lattosio, citrati, cloro e sali minerali; queste sostanze determinano nel latte l’abbassamento del punto di congelamento. Il latte congela al di sotto di 0°C, perché le sostanze disciolte abbassano il punto di congelamento del solvente puro (acqua). E’ un parametro relativamente costante, per cui è utilizzato per valutare l’eventuale annacquamento del latte. L’indice crioscopico del latte di vacca varia da -0,520°C e -0,550°C; con valore legale -0,520°C. Il latte di pecora ha un punto crioscopico più basso tra -0.535°C e -0,565°C. Per il latte bufalino il punto crioscopico è di circa -0,526°C.
La scrematura del latte e l’annacquamento del latte con aggiunta di NaCl non fa variare il punto crioscopico. Il latte annacquato aumenta il punto di congelamento verso lo zero, poiché aumenta il volume della soluzione e diminuiscono il numero di moli in soluzione . Durante i trattamenti termici del latte alcuni sali si aggregano alle sostanze proteiche, altri precipitano, facendo diminuire il numero di moli in soluzione, così il punto di congelamento aumenta avvicinandosi allo zero. L’acidificazione del latte per fermentazione lattica abbassa il punto di congelamento, verso -1°C, per il fatto che da una molecola di lattosio si formano 4 molecole di acido lattico; per questo motivo la determinazione del punto crioscopico non è corretta con latte molto acido (pH ≤ 6,4 o °SH tra 8,5 e 9). L’aggiunta di sali solubili abbassano il punto di congelamento, verso -1°C.
FOSFATASI ALCALINA enzima normalmente presente nel latte crudo distrutto dalle condizioni usate per la pastorizzazione. Si denatura a temperatura superiore a 60°C. La permanenza dell’enzima è indice di presenza di latte crudo o di pastorizzazione inadeguata. Si considera negativa se inferiore a 4 μg/mL. PEROSSIDASI enzima associato alle proteine del siero. Viene inattivata dai trattamenti termici più drastici di quelli necessari per un normale processo di pastorizzazione. Si denatura a temperature intorno a quella di ebollizione. Pertanto, la persistenza dell’attività perossidasica nel latte pastorizzato può venire adottata come indice di buona qualità del prodotto, con basso livello di inquinamento microbiologico, in quanto solo ad un latte crudo di buona qualità microbiologica è possibile applicare un trattamento di pastorizzazione così blando da non inattivare questo enzima; in tal caso le caratteristiche chimico-fisiche e nutrizionali del latte sono alterate solo minimamente.
Tipologia prodotto Criterio Limite Modalità Regolamento CE n. 853/2004 Latte crudo di vacca Tenore in germi a 30°C/ml ≤ 100.000 Media geometrica mobile su un periodo di due mesi, almeno due prelievi al mese Tenore Cellule Somatiche/ml ≤ 400.000 Media geometrica mobile su un periodo di tre mesi, almeno un prelievo al mese D. M. 9 maggio 1991 n° 185 Latte fresco pastorizzato alta qualità ≤ 300.000 Media geometrica mobile su un periodo di tre mesi, almeno due prelievi al mese
Psicrofili Psicrotrofi Mesofili Termotrofi Termofili Minimo (°C) Optimum (°C) Massimo (°C) Psicrofili – 5 30 Psicrotrofi 15-25 37 Mesofili 10 30-37 45 Termotrofi 20 50 Termofili 40 55 65
IL FORMAGGIO Il formaggio è un alimento dalle origini remote e rappresenta una delle prime trasformazioni biotecnologiche, senza saperlo, messe in atto dall’uomo. La parola deriva dal latino medievale caseum formaticum cacio messo in forma. Dal punto di vista normativo (Regio Decreto n. 2033/25 e Regio Decreto n. 261/33), “il nome formaggio o cacio è riservato al prodotto ottenuto dal latte intero, parzialmente scremato o scremato, o dalla crema, in seguito a coagulazione acida o presamica, anche facendo uso di fermenti e cloruro di sodio”.
LE FASI DELLA FABBRICAZIONE CORREZIONE DEL GRASSO, latte intero (taleggio, pecorino e la maggior parte dei formaggi) – latte parzialmente scremato (asiago, grana, parmigiano, bra) – latte intero con aggiunta di grasso (gorgonzola ed alcuni provoloni) SOSTA O MATURAZIONE In alcuni casi si preferisce utilizzare un latte che viene lasciato maturare piuttosto che un latte appena munto. Si miscela il latte della mattina con quello della sera prima che è più acido e viene posto in caldaia a 39°C per 15’, ciò facilita lo sviluppo della flora microbica con conseguente acidificazione, arricchimento di enzimi che iniziano la loro azione catalizzatrice su alcuni componenti del latte.
LE FASI DELLA FABBRICAZIONE LAVORAZIONE IN CALDAIA Aggiunta del siero-innesto, a 39°C si aggiunge il siero-innesto della lavorazione precedente che contiene i batteri lattici. Aggiunta del caglio, a 39°C, dopo 10-15’ compaiono i primi fiocchi caseosi, si inizia a formare la cagliata. Formazione della cagliata, la caseina del latte sotto forma di micelle dallo stato sospeso allo stato solido precipitando sul fondo. Nella caldaia si formano due fasi: una semisolida rappresentata dalla cagliata e una liquida costituita dal siero. cagliata ha una struttura gelatinosa, elastica e contrattile (la contrazione spontanea della cagliata si chiama sineresi), grazie a queste due ultime caratteristiche continua ad eliminare siero, lo spurgo. Durata 20-30’.
LE FASI DELLA FABBRICAZIONE LAVORAZIONE IN CALDAIA Rottura della cagliata, la cagliata subisce una rottura in pezzi utilizzando appositi strumenti: la lira e lo spino. La dimensione dei pezzi può andare dalle dimensioni di una arancia fino a quelle di in chicco di riso e varia in base al tipo di formaggio: molle semiduro o duro e quindi al contenuto di umidità. I pezzi di cagliata devono essere uniformi per dimensione, una suddivisione irregolare provoca nella pasta del formaggio zone a diversa struttura. Il momento della rottura è importante per non modificare l’equilibrio tra i componenti del siero e quelli della cagliata. Durante la rottura continua la sineresi e quindi lo spurgo con eliminazione del siero.
LE FASI DELLA FABBRICAZIONE LAVORAZIONE IN CALDAIA Scottatura, si versa sulla cagliata il siero riscaldato a 80-82°C, durante questa operazione si verifica una selezione della microflora; una parte è bloccata o inattivata mentre un’altra in particolare i batteri lattici termofili resiste e si moltiplica. Ciò comporta un’ulteriore acidificazione, con relativo abbassamento del pH. Questa fase accentua la sineresi e lo spurgo consolidando la cagliata. Giacenza/Riposo, la cagliata viene lasciata riposare per circa 2,30h.
LE FASI DELLA FABBRICAZIONE FILATURA, si taglia la cagliata a fette sottili e si aggiunge acqua alla temperatura di 88°C, si lavora per avere alla fine la forma tipica del formaggio. L’acqua diminuisce l’acidificazione e lo spurgo; l’acqua calda tende a dare una pasta asciutta, chiusa (compatta) ed elastica. RAFFREDDAMENTO, si immerge il caciocavallo in acqua alla temperatura di 8-10°C per 2 h; durante questa fase si ha la solubilizzazione delle proteine e la pasta diviene omogenea.
LE FASI DELLA FABBRICAZIONE SALATURA, aiuta la rimozione del siero per osmosi asciugando ancora la cagliata, continua la solubilizzazione delle proteine e la chiusura della pasta in una massa omogenea, favorisce la formazione della crosta (importante per difendere il formaggio dai microrganismi provenienti dall’esterno), conserva il formaggio rallentando lo sviluppo batterico (molti batteri sono sensibili anche a basse concentrazioni di sale) e di conseguenza si rallenta lo sviluppo acido. MATURAZIONE/STAGIONATURA, temperatura 8-12°C, UR 85-95% per evitare che il formaggio si asciughi troppo, buona aerazione perché il ristagno provoca la formazione di muffe non desiderate. Durante la maturazione si hanno reazioni chimico-fisiche ed enzimatiche: fermentazione del glucosio in acido lattico che a sua volta subisce altre trasformazioni, proteolisi delle proteine in aminoacidi e peptidi, lipolisi dei trigliceridi in acidi grassi precursori di alcoli ed aldeidi, evaporazione dell’acqua, indurimento della crosta. Queste modificazioni caratterizzeranno il gusto, l’aroma, il colore e la struttura della pasta.