Daniel Spoerri Nei «Quadri trappola», lo svizzero Daniel Spoerri fermava le situazioni correnti applicando con la colla alla tavola i residui di un pasto.

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SVILUPPI DELLE NEO-AVANGUARDIE: ANNI ’60-70  attenzione non all’opera ma all’analisi del metodo, dell’idea, dell’atteggiamento mentale, del processo 
Transcript della presentazione:

Daniel Spoerri Nei «Quadri trappola», lo svizzero Daniel Spoerri fermava le situazioni correnti applicando con la colla alla tavola i residui di un pasto e cristallizzando dentro teche di plexiglas il loro contenuto: l’idea era quella di fermare un istante facendolo diventare eterno, di ribaltare i rapporti tra ciò che è poco importante e ciò che è oggetto di venerazione. PAG. 365

Christo Dolly, 1964

Yves Klein «Ex-voto dedicato a Santa Rita da Cascia» 1961 Yves Klein «Salto nel vuoto», 1960

Yves Klein, Le Vide, 1958 Nel giorno del suo trentesimo compleanno, nell’aprile del 1958, Yves Klein aprì presso la galleria parigina di Iris Clert la sua esposizione più memorabile, intitolata «Le Vide», «Il Vuoto»: la stanza, completamente vuota, ospitava soltanto la «sensibilità dell’artista» allo stato puro. Era possibile acquistarla sotto forma di certificati, pagandola in oro. PAG. 366

Piero Manzoni, Merda d’artista, 1961 «Contenuto netto gr. 30 Piero Manzoni, Merda d’artista, 1961 «Contenuto netto gr. 30. Conservata al naturale. Prodotta e inscatolata nel maggio 1961». Secondo l’intenzione di Manzoni, le scatolette avrebbero dovuto essere vendute a un prezzo equivalente a quello di 30 grammi d’oro, da un lato facendo proprio il principio di Yves Klein, secondo il quale la sensibilità d’artista dovrebbe essere pagata a peso d’oro. PAG. 371

Pop art > Anni Cinquanta / Anni Sessanta In una società dominata dal consumismo, la Pop Art ha attinto i propri soggetti dall’universo quotidiano delle metropoli, in cui la vita dell’uomo è tempestata dai messaggi pubblicitari e si svolge tra fast food e supermercati. Per comprendere il messaggio bisogna ricordare il profondo cambiamento sociale di quegli anni, nei quali un benessere materiale diffuso e una comunicazione di massa ormai capillare trasformarono milioni di cittadini in consumatori sempre più alienati.

Richard Hamilton «Ma che cos’è che rende le cose di oggi così diverse, così attraenti?» COLLAGE 1956 26 X 25 cm Jan Van Eyck «I Coniugi Arnolfini» 1434

David Hockney A bigger splash, 1967

La Pop Art americana Nel 1962 il gallerista americano Sidney Janis organizzò una mostra che riuniva tutti coloro che, in Europa e in America, avevano aderito allo spirito pop o lo avevano preceduto: tra questi anche gli italiani Mimmo Rotella e Mario Schifano. La presenza della Pop Art americana alla Biennale di Venezia del 1964 ne decretò un successo che nessun altro movimento aveva avuto in modo così marcato a livello internazionale. PAG. 375

Claes Oldenburg Il culto dell’oggetto e del tradimento delle sue funzioni. PAG. 376

Roy Lichtenstein Il linguaggio dei fumetti in pittura

Andy Warhol Green Coca Cola, 1962 Bottiglie ripetute in una serialità che è la stessa con cui i beni di consumo si presentano negli scaffali dei supermercati. PAG. 383 Dipingeva «ciò che si vede ogni giorno», ma anche ciò che (persona o cosa) diventa oggetto di adorazione collettiva» PAG. 383

La Pop Art americana sfociò, all’inizio degli anni Settanta, in una tendenza denominata Ipperealismo. PAG. 385 Richard Estes Double Self-Portrait, 1976

Duane Hanson, Autoritratto con modella, 1979

La Pop Art in Italia Domenico Gnoli, Curl, 1969

Mario Schifano Grande particolare di propaganda, 1962

Pino Pascali, Contraerea, 1965 Louise Nevelson, 1959 Il grande ragno «Vedova Blu» rappresenta uno dei primi esempi di materiale sintetico, colorato nei toni tipici della plastica, utilizzato come ciò che penetrava nelle case e attraverso queste, di nuovo, nell’arte. PAG. 390

Michelangelo Pistoletto, “Tre ragazze alla balconata”, 1964

Giacomo Balla, Bambina che corre sul balcone, 1912 Mario Ceroli, La Cina, 1966 Giacomo Balla, Bambina che corre sul balcone, 1912

Negli anni Sessanta, la Pop Art si era limitata all’analisi oggettiva della realtà contemporanea, senza criticarne le contraddizioni ed accettandone i meccanismi di mercato. Altri gruppi artistici, negli stessi anni, hanno invece affermato un esplicito atteggiamento di rifiuto, elaborando forme di comunicazione diverse, ma tutte orientate a denunciare la logica del consumismo. Queste tendenze vengono definite NEOAVANGUARDIE L’attenzione si rivolse non solo e non tanto verso l’opera come risultato finito, ma soprattutto verso l’analisi del metodo, dell’idea, del processo Protesta contro il sistema commerciale e contro la trasformazione delle opere in merce per un circuito di lusso. Fuga dai luoghi tipici dell’arte (musei e gallerie), dai materiali tradizionali delle opere L’allargamento delle tecniche portò a contaminazioni con altri ambienti creativi Spesso la manifattura dell’opera viene affidata ad altri. Il compito dell’autore tende a fermarsi alla fase progettuale, con schizzi, disegni e riflessioni teoriche scritte La creatività non è più riconosciuta in quanto legata alla manualità PAG. 396

Il Minimalismo Esso indica un’arte fondata sull’utilizzo di forme primarie ed elementari, spesso tratte dal mondo della produzione industriale e sviluppate in sequenze ripetitive animate da minime variazioni sul tema. PAG: 397 Carl Andre, lastre di zinco e ottone, 1969 La scultura non è qualcosa da contemplare

Dan Flavin Santa Maria in Chiesa Rossa, 1966 L’azzurro viene utilizzato per la volta, luogo che allude alla serenità del Paradiso; il giallo oro per il retro dell’altare, luogo dell’apparizione e della gloria divina; il violetto per le zone che ricordano la Passione di Cristo. PAG. 400

Sol LeWitt Wall Drawing #260, 1975 LeWitt inaugurò nel 1969 la stagione dei Wall Drawings, trasposizioni della tecnica del disegno dalla carta alla parete e dunque allo spazio architettonico. Riservandosi il ruolo di ideatore dei meccanismi combinatori che governano l’intervento e delegando ad altri l’esecuzione, da quel momento LeWitt ha conferito alle sue opere una dimensione ambientale e avvolgente. L’opera abbandona così definitivamente il suo carattere oggettuale. L’emotività soggettiva si faceva da parte lasciando spazio alla logica del progetto e alla pratica dell’esecuzione L’opera poteva condurre a un risultato imprevedibile

Robert Morris Senza titolo, 1967 Già dai primi anni Sessanta aveva proposto opere che andavano nella direzione della distruzione della forma ordinata, statica e determinata in ogni suo aspetto dall’artista. L’opera è qualcosa di mai definito, come fosse un lavoro in corso il cui PROCESSO è solo in parte controllabile dall’artista. PAG. 401

Richard Serra Te Tuhirangi Contour 252m x 6m x 50mm 1999/2001 Nuova Zelanda

Joseph Kosuth (1945), One and Three Chairs (1965) L’Arte Concettuale Conta l’idea e non la sua realizzazione. Non è importante l’aspetto estetico del risultato. Negli anni Sessanta e Settanta gli artisti sperimentarono modi di comunicazione sempre più radicali, in nome di un’arte che rifiutava di diventare merce di consumo. Chi aderì all’Arte concettuale (ricordiamo in particolare Joseph Kosuth, nato nel 1945), per esempio, cercò di esprimere un nuovo concetto di creatività, incentrata sul momento ideativo. Per questi artisti il processo intellettuale che porta alla concezione di un’opera d’arte ha più valore dell’opera in sé, che può rimanere solo un progetto. Joseph Kosuth (1945), One and Three Chairs (1965)

Joseph Kosuth, One and Three Lamps (1965) All’osservatore sono offerti tre differenti linguaggi per comunicare un’informazione: un’icona, l’oggetto reale e le parole. Ma qual è la presentazione più rispondente al vero?

Gino De Dominicis (1947 – 1998), Cubo invisibile, 1967 (esposto per la prima volta nel 1969). Consiste nel perimetro di un quadrato tracciato a terra con vernice acrilica bianca. Lo spettatore è chiamato a completarla attraverso la propria immaginazione, visualizzando mentalmente il volume del cubo.

Bruce Nauman (1941) Walking in an Exaggerated Manner around the Perimeter of a Square (1967-68) Obiettivo dell’artista è la difficoltà di ogni comunicazione. Mettere lo spettatore in uno stato d’ansia.

La relazione con l’ambiente vissuto Dan Graham Public Space / Two Audiences, 1976

Daniel Buren (1938), Palais Royal, Parigi, 1986 L’artista realizza eleganti strutture dichiaratamente decorative, diventate negli anni dei gioielli nei più importanti sculpture parks del mondo. Dal giorno in cui scopre una tela a strisce da tappezzeria, della larghezza di 8,7 cm, in un mercato di Montmartre, Buren utilizza esclusivamente righe verticali bianche e colorate quale sintesi ideale del monocromo e del ready-made, e ne fa il suo marchio personale. Egli interpreta il suo lavoro di artista come site specific, estraneo ai luoghi canonici dell’arte. Le strisce vengono definite utensili vivi e hanno la funzione di richiamare l’attenzione dell’osservatore sulla realtà come fossero segnali stradali: vogliono fissare, indicare, sottolineare l’esistenza, attraverso l’opera, di quanto sta loro intorno,

Gordon Matta-Clark (1943-1978), Conical Inter-Sect (1975) La città diventa organismo vivente Gordon Matta-Clark, forza le strutture del linguaggio architettonico attraverso alcune metafore dirette: tagliando le pareti esterne di edifici industriali o mettendo in scena il processo di preparazione e consumo di cibo come azioni che costruiscono rapporti sociali. P. 91-92 Gli squarci nelle pareti di un edificio sono atti di trasgressione intesi come abbattimento fisico e metaforico delle barriere e dei confini sociali, economici e culturali. «Nella testa della maggior parte delle persone gli edifici sono entità fisse – afferma l’artista, - la nozione di spazio mutabile è virtualmente un tabù persino nella propria casa»

LAND ART Robert Smithson (1938-1973), Spiral Jetty, Utah, 1970 Ha un diametro di 450 metri e si spinge verso il lago per 1450 metri.

Queste opere si presentano come dei misteriosi reperti archeologici di una civiltà sconosciuta e fanno riflettere sul destino della nostra. P. 117 Michael Heizer (1944), Double Negative, Nevada, 1969

New Mexico, 400 aste d'acciaio inox alte 6 metri Walter De Maria (1935-2013), The Lightning Field (1973-1979) La natura è vista come fonte di energia e di vita e l’artista ne interpreta la grandiosità

Richard Long

Robert Irwin Varese Portal Room, 1974 James Turrell Sky Space I, 1976

Christo (1935) e Jeanne Claude (1935-2009) L’opera in quanto risultato finito rinuncia ad ogni ambizione di eternità e si propone come temporanea. La ricerca di Christo e Jeanne Claude hanno realizzato interventi eclatanti, come l’occultamento temporaneo, sotto enormi involucri di plastica, di isole, ponti, interi edifici storici. I materiali utilizzati, estranei all’ambiente naturale, ne sottolineano, per opposto, la grandiosità rispetto alla scala umana.

Claude Monet (1840-1926), La Cattedrale di Rouen, 1894 «Pensiamo un attimo a Claude Monet, alla Cattedrale di Rouen, la cattedrale gotica che viene dipinta in varie sfumature del rosa, del blu, dell’arancio, quindi un’interpretazione che l’artista dà all’opera architettonica. È quello che facciamo noi. Cioè per quattordici giorni abbiamo trasformato un edificio, il Reichstag, un edificio barocco pieno di sculture, pieno di ornamenti. Avvolgendolo così, si vedono soltanto le sue dimensioni principali che diventano in un certo senso più visibili, le masse, le torri. Il tessuto si muoveva con il vento, quindi non era né pietra, né legno, né marmo. Questo è quello che noi facciamo» (Christo)

Nascita della PERFORMANCE Dai tardi anni Sessanta si è assistito alle manifestazioni più estreme con artisti che usarono il loro corpo come unico strumento di espressione. Negli anni Sessanta, soprattutto a partire dalla Body Art, si sviluppò la nuova tecnica della performance. L’Azionismo Viennese Hermann Nitsch, Azione 1977

Vito Acconci (1940), Following Piece (1969) L’artista segue per strada uno sconosciuto fino a che questi non entra in un luogo a lui inaccessibile

Vito Acconci, New York, Galleria Sonnanbed, Seedbed (1972) Sono forme di resistenza autoimposta che stabiliscono anche una relazione con il pubblico, creando situazioni di imbarazzo e di disagio.

Gilbert & George (1943_1942), The Singing Sculpture, 1970 «Statue viventi». Il fatto che i loro volti fossero dipinti d’oro e d’argento, ribadiva che non stavano presentando se stessi ma mostrandosi in quanto statue.

Gina Pane (1939 – 1990), Azione sentimentale, 1973 «La ferita è la memoria del corpo: ne memorizza la fragilità, il dolore, dunque l’esistenza reale». «Il corpo che è, al tempo stesso, progetto/materiale/esecutore di una pratica artistica trova il suo supporto logico nell’immagine, attraverso il mezzo fotografico». Spine di rose conficcate sotto la carne, lamette, sangue e innocenti bouquet di fiori furono gli ingredienti delle comparse.

Marina Abramović (Belgrado, 1946), Onion (1995) Ciò che emerge dall’intera carriera dell’artista è avere saputo definire meglio di altri la performance: una tecnica che non è improvvisazione e che si rende necessaria solo quando l’opera nasce per favorire – o addirittura è costituita da – un flusso di energia che da fisica diventa autocontrollo mentale, secondo una disciplina che ha il rigore di una regola militare o monastica.

Joseph Beuys (1921-1986), 7000 querce, Kassel, 1982, documenta VII L’ultima quercia è stata piantata nel 1987

ARTE POVERA «’L’Arte Povera’ nasce nel 1967. Le opere escono dai confini tradizionali del fare artistico (pittura e scultura) perché utilizzano materiai di tutti i tipi come acqua, carbone, animali vivi, fuoco, tutta una serie di elementi che si possono trovare per strada, nella natura. Quindi una serie di entità che sono povere nel senso che non costano. Chiunque può farle: i materiali si possono reperire ovunque. Quindi, all’interno della storia dell’arte contemporanea è un grande strappo perché permette la realizzazione di opere effimere che si arrampicano in qualsiasi tipo di spazio. Non hanno bisogno di un contenitore tradizionale, fondamentalmente sono fluide, si muovono nello spazio liberamente, lo attivano, lo caricano di energia. C’è un modo di lavorare libero e aperto a tutte le situazioni». Germano Celant

Giulio Paolini, disegno geometrico (1960) John Cage, 4’ 33’’ - 1952 ANALISI GRAFICA Masaccio. “Trinità”(1426-28). Firenze, Santa Maria Novella

Michelangelo Pistoletto Venere degli stracci, 1967

Jannis Kounellis (1936), Dodici cavalli (1969) – Galleria L’Attico, Roma I dodici animali vivi sono legati alle pareti a distanze regolari, pulsanti di energia, ingombranti per la loro presenza fisica e il loro odore, simboli per antonomasia della potenza.

Studio Azzurro (1982), Il nuotatore (1984) Venezia, Palazzo Fortuny 12 programmi video sincronizzati, 24 monitor, 1 orologio elettronico La trasformazione spaziale indotta dal teleschermo, prima di tutto presenza fisica che altera lo spazio sensoriale di un ambiente, diventa, nelle mani degli artisti di Studio Azzurro, un nuovo materiale modellabile.

Mario Merz (1925-2003). Gli igloo costruiti dal 1967 Costituiscono un filtro tra lo spazio del mondo e quello intimo dei processi mentali e dei sogni, un fragile riparo e luogo di incontro, di concentrazione e di scambio.

Luciano Fabro (1936-2007), In cubo (1966)

Giovanni Anselmo (1934), Senza titolo, 1968 I lavori di Giovanni Anselmo rendono direttamente percepibili delle situazioni attive di energia. Una lattuga fresca funge da zeppa tra un piccolo blocco di granito e un parallelepipedo più grande, collegati da un filo di rame: la «vita» di questa «struttura che mangia» esige un continuo ricambio del vegetale, che disidratandosi provocherebbe la caduta del blocco più piccolo.

Gino De Dominicis (1947 – 1998), Tentativo di far formare dei quadrati anziché cerchi, 1969