Donald Winnicott Vero Sé e sviluppo dell’individuo (Playmouth 1896 – Londra 1971) Vero Sé e sviluppo dell’individuo
Winnicott utilizza il concetto di Vero Sé non rifacendosi ad una concezione metafisica o a una teoria dell’anima (pur non essendo concetti che si escludono!) → il concetto di Vero Sé contiene un’idea di per sé evidente, cioè che l’individuo è agente, intenzionale: il Vero Sé è la spontaneità originaria del soggetto.
Il Vero Sé contiene il senso del Sé, la certezza di esistere e di essere reali, di poter essere se stessi, creativi e spontanei; ad esso appartiene la percezione di una continuità della propria esistenza. al centro di ciascuna persona, c’è un elemento segregato, e questo è sacro ed estremamente degno di essere preservato (Winnicott).
Per Winnicott rappresenta quindi la creatività originaria del soggetto. La creatività corrisponde al naturale senso di espansione di sé che si sperimenta in quanto si è vivi. Quando siamo creativi ogni cosa che facciamo aumenta il senso di essere noi stessi (Winnicott 1970). Senza questo piano, per W., non c’è nulla. Felice è colui che è sempre creativo nella sua vita personale come pure nei rapporti con i partner, con i figli, con gli amici ecc. (1970, tr. it. 1986, p. 41)
Essere creativi significa essere “soggetti” a pieno titolo Essere creativi significa essere “soggetti” a pieno titolo. Essere soggetti significa esistere anche indipendentemente dallo stimolo esterno. Se il nostro sentirci vivi dipendesse esclusivamente da stimoli esterni, cessato lo stimolo cesserebbe anche la sensazione di sentirsi vivi. L’essere creativi di cui parla Winnicott allude proprio al sentirsi vivi anche quando non c’è lo stimolo che proviene dal mondo esterno.
“Fuori dalla mia finestra c’è una pianta, e il sole, e razionalmente so che deve essere uno spettacolo piacevole, per chi lo può vedere. Ma questa mattina per me tutto ciò non ha senso. Non riesco ad esserne partecipe e ciò mi rende profondamente conscio del fatto di non sentirmi reale” (Winnicott 1970).
Il mondo. questo grosso essere assurdo. [ Il mondo... questo grosso essere assurdo. [...] Scoprire che il mondo non ha senso, che è assurdo, provoca la nausea. [...] L'essenziale è la contingenza [= la non necessità delle cose]. Voglio dire che, per definizione, l'esistenza non è la necessità. Esistere è essere lì, semplicemente: gli esistenti appaiono, si lasciano incontrare ma non li si può mai dedurre. C'è qualcuno, credo, che ha compreso questo. Soltanto ha cercato di sormontare questa contingenza inventando un essere necessario e causa di sé. Orbene, non c'è alcun essere necessario che può spiegare l'esistenza: la contingenza non è una falsa sembianza, un'apparenza che si può dissipare; è l'assoluto, e per conseguenza la perfetta gratuità. Tutto è gratuito, questo giardino, questa città, io stesso. E quando vi capita di rendervene conto, vi si rivolta lo stomaco e tutto si mette a fluttuare... ecco la Nausea [...] La Nausea non è in me: io la sento laggiù sul muro, sulle bretelle, dappertutto attorno a me. Fa tutt'uno col caffè, son io che sono in essa [...] Ed ora lo so: io esisto - il mondo esiste - ed io so che il mondo esiste. Ecco tutto. Ma mi é indifferente. E' strano che tutto mi sia ugualmente indifferente: é una cosa che mi mette paura. E' cominciato da quel famoso giorno in cui volevo giocare a far rimbalzare i ciottoli sul mare. Stavo per lanciare quel sassolino, l'ho guardato, ed è allora che è cominciato: ho sentito che esisteva. E dopo, ci sono state altre Nausee; di quando in quando gli oggetti si mettono ad esistervi dentro la mano. (Sartre, La Nausea)
La creatività riguarda l’ “essere” sé stessi, e viene prima del “fare”.
Laddove il vero Sé sia stato traumatizzato, esso non deve più essere ritrovato e ferito di nuovo. Si sviluppa un falso Sé a difesa del vero Sé. Questo falso Sé può funzionare perfettamente, eppure sta all’opposto della salute psichica perché sorge dalla negazione del vero Sé.
Cos’è la salute mentale? La salute non è sinonimo di tranquillità. La vita di un individuo sano è caratterizzata da paure, sentimenti conflittuali, dubbi e frustrazioni, come pure da elementi positivi. La cosa fondamentale è che si senta di stare vivendo la propria vita, assumendosi le responsabilità di quanto si fa, il merito del successo e la colpa del fallimento. In tal caso si può dire che l’individuo è passato dalla dipendenza all’autonomia.
Essere e sentirsi reali sono le caratteristiche della salute Essere e sentirsi reali sono le caratteristiche della salute. Soltanto quando l’essere è acquisito (cioè quando sentiamo di essere noi stessi) possiamo procedere verso altre mete. Senza dubbio la gente dà per scontato il sentirsi reali. Ma a quale prezzo? In quale misura essi negano la verità che di fatto esiste il pericolo di sentirsi non reali, posseduti, di non essere se stessi, di precipitare all’infinito, di non avere una direzione, di essere separati dal proprio corpo, annientati, di essere un nulla, di non avere un luogo in cui stare… (D. Winnicott, Il concetto di individuo sano)
Lo sviluppo della creatività: fra onnipotenza e principio di realtà La vita creativa che corrisponde alla possibilità di non essere continuamente uccisi o annientati dalla compiacenza verso o dalla reazione a un mondo che fa violenza all’individuo; si tratta di riuscire a vedere ogni cosa in modo sempre nuovo. L’esperienza dell’onnipotenza è qualcosa di più di un controllo magico, ma include l’aspetto creativo dell’esperienza (Winnicott 1963)
Le fotografie dei grandi cacciatori che, come H Le fotografie dei grandi cacciatori che, come H. Hemingway, si fanno immortalare di fianco a un leone massacrato, ci danno un’idea degli sforzi estremi che un essere umano può compiere nel tentativo di trionfare sull’oggetto percepito oggettivamente (Winnicott)
Essere creativi significa, afferma Winnicott, “mantenere qualcosa che appartiene all’esperienza infantile: la capacità di creare il mondo”. in ogni atto creativo c’è sempre una porzione di “onnipotenza”
Ma l’essere creativi implica incontrare il mondo, la realtà esterna.
Inizialmente è la madre che si adatta ai bisogni del bambino per consentire che egli compia esperienze che sono coerenti con i suoi stati mentali. La madre, con la sua capacità empatica è capace di dare qualcosa di buono al bambino che, al suo livello, può solo fantasticare e “allucinare” degli oggetti: il bambino è solo con le sue illusioni, la madre conosce la realtà e può far sì che la fantasia del piccolo si connetta con la realtà. Ella, infatti, basandosi sulla sua intuizione, può fornire al bambino quegli oggetti che egli sta allucinando.
Winnicott parla a tale proposito di “presentazione d’oggetto”. Dobbiamo supporre che il bambino abbia dei guizzi creativi in base ai quali cerca il contatto con la realtà; non essendo “organizzato” non riesce a contattare il mondo. Allora la madre, intuendo le volontà nascenti del piccolo, gli fornisce quegli oggetti che il bambino sta “allucinando”. Il bambino, cioè, è solo con le sue fantasie, la madre conosce la realtà e può far sì che la fantasia del piccolo si connetta con la realtà. Ella, infatti, basandosi sulla sua intuizione, può fornire al bambino quegli oggetti che egli sta allucinando.
L’esperienza del piccolo risulterà arricchita di elementi reali ed egli stesso inizierà a sentirsi reale. Il suo essere e sentirsi reale, che sta alla base della salute psichica, dipende dunque dal fatto che le connaturali tendenze alla crescita e all’espansione del suo Sé hanno trovato un ambiente favorevole e degli oggetti che corrispondevano alle sue fantasie.
Più in generale, la madre, insomma, supporta l’Io del bambino: calandosi al suo livello, gli consente di credere che le esperienze che compie possano trovare un corrispettivo nella realtà esterna, protegge l’Io del bambino e supporta l’evoluzione della sua identità (”preoccupazione materna primaria”). L’ “essere” viene garantito al bambino dalla madre.
Lo sviluppo psichico può essere immaginato dipanarsi lungo le seguenti direttrici: Dipendenza autonomia (a “spingere” verso l’autonomia è l’innata tendenza a evolvere) b. Inorganizzazione organizzazione c. Non integrazione integrazione
Dipendenza autonomia Dipendenza assoluta (primi 6 mesi) Dipendenza relativa (dai 6 mesi ai 2 anni) Indipendenza (viene raggiunta dai 2 anni fino all’adolescenza in maniera «assistita» e durante l’adolescenza come compito evolutivo specifico)
Per Winnicott, all’inizio non abbiamo una cosa che si chiama “un lattante”, ma solo un potenziale, un’innata tendenza alla crescita. Non esiste una cosa che si chiama “un lattante”, intendendo con ciò che se ci mettessimo a descrivere un lattante ci accorgeremmo che stiamo descrivendo un lattante con qualcuno. Il bambino piccolo non può esistere da solo, ma è fondamentalmente parte di una relazione. Quello che abbiamo (all’inizio) è una manciata di anatomia e fisiologia e a questa si aggiunge il potenziale di evolvere in una personalità umana. C’è una tendenza generale verso la crescita fisica e una tendenza allo sviluppo nella parte psichica dell’unità psicosomatica (Winnicott, Sviluppo affettivo e ambiente, 1965)
Inorganizzazione organizzazione Il neonato è non organizzato → Pur avendo un Vero Sé il bambino non ha un’organizzazione mentale. Deve imparare a pensare i suoi stessi pensieri e sentimenti, deve imparare a conoscere se stesso e il mondo esterno. Pur essendo se stesso sin dall’origine, non è in grado di sentire e pensare io sono. è necessario un ambiente che lo protegga dai vissuti di vuoto. Il «pensiero» della madre contiene il bambino entro una «pelle psichica» e lo organizza.
La madre è in grado di contattare e contenere il bambino grazie alla preoccupazione materna primaria, che permette alla madre di giungere a una inorganizzazione simile a quella del bambino per poter «funzionare» come lui e assieme a lui. Si tratta di una funzione spontanea, che non è scevra da un carico emotivo, che può condurre alla depressione. A tale proposito, come ricordava Bowlby, in molte culture le donne sono accompagnate e a loro volta sostenute da una figura femminile a loro vicina: cugina, amica, confidente.
Non integrazione integrazione Il bambino vive in uno stato di non integrazione in cui non possiede un unità corporea che gli permetta di riconoscere le sensazioni come proprie (non c’è differenza fra l’esperienza di sé bambino e la fame: il bambino è la fame, il sonno, il mondo).
Per permettergli il passaggio a un funzionamento integrato, la madre mette in atto le funzioni materne di: holding: è il «tenere», nel senso del «contenere», fisicamente e mentalmente, il bambino; il contenere non è qualcosa di «costrittivo»: il semplice fatto di empatizzare, di capire intimamente il bambino fa sì che egli si senta contenuto entro una «pelle psichica» (questo termine non è winnicottiamo). Da un punto di vista sistemico (che Winnicott non approfondisce) si potrebbe dire che c’è holding quando la madre come sistema vivente è il grado di risuonare e accordarsi col bambino in quanto sistema vivente. Si ha così una «dinamica» in cui due sistemi viventi autonomi eppure in relazione, si avvicinano e si allontanano. È stato visto che solo 1/3 delle interazioni madre bambino esprime sintonia. Ciò è normale. Ciò che è importante è la capacità di reincontrarsi, di riparare, di riaggiustare.
object presenting: il connettersi della madre alle «fantasie d’oggetto» del bambino (si veda sopra) handling: è la «manipolazione» del bambino, che favorisce l’insediamento della psiche nel corpo; di qui la certezza di riuscire ad abitare il proprio corpo. Certamente, a tutti può capitare di essere separati dal proprio corpo, di «non avere un luogo in cui stare. (cfr. la sensazione di straniamento dal proprio corpo di molti personaggi di Pirandello – si veda dopo)
→ Ogni tanto il bambino deve sapersi rilassare e tornare ad uno stato di non-integrazione. → Winnicott valorizza, come Balint, l’esperienza transitoria della non-integrazione, resa possibile dallo sfondo di una madre contenitiva. E, con Balint, pensa che l’esperienza artistica permetta di sperimentare momenti di non integrazione in un contesto di sicurezza. Rilassarsi per un infante significa non sentire il bisogno di integrarsi, essendo data per scontata la funzione di sostegno dell’Io svolta dalla madre (Winnicott, L’integrazione dell’Io nello sviluppo del bambino, in Sviluppo affettivo e ambiente, 1965, p. 74).
Ma nei momenti di tranquillità non c’è confine tra il mondo interno e il mondo esterno, solo una quantità di cose separate: il cielo visto attraverso gli alberi, qualcosa che ricorda gli occhi della madre che vagano fuori e dentro di lui… Manca ogni necessità di integrazione. Questa è una cosa estremamente importante da ricordare: senza di essa ci manca qualcosa. È un concetto che ha a che fare con l’essere calmi, rilassati, riposati, sentendosi tutt’uno con le altre persone e le cose, quando non c’è eccitazione in giro. Perché il mondo possa fluttuare dentro e fuori, senza fame da prendere e rabbia da dare, i bambini all’inizio hanno bisogno di cure molto appaganti. (Winnicott, L’introduzione primaria alla realtà esterna, 1948)
Analogamente anche la capacità di stare solo si instaura sullo sfondo della presenza della madre. Dice W.: la capacità di stare solo […] è l’esperienza di essere solo […] in presenza della madre. La capacità di essere solo ha un fondamento paradossale, cioè l’esperienza di essere solo in presenza di un’altra persona (1958, trad. it, p. 31). L’esperienza della solitudine è possibile solo a patto di aver sperimentato questa protezione dell’essere immaturo costantemente sull’orlo di un’ “impensabile angoscia” (1962, trad. it. 1965, p.69).
La madre normalmente devota e la progressiva disillusione dell’onnipotenza Quando la capacità allucinatoria si è consolidata spetta allora alla madre una progressiva disillusione (madre “normalmente devota”) Si procede ad una fase di separazione-individuazione e, “se tutto va bene”, ad una diminuita funzione di sostegno all’Io da parte della madre corrisponde solitamente un aumento delle funzioni dell’Io del bambino. Di lì in poi il bambino sarà capace di attacchi aggressivi verso la madre. A partire da questa fase è possibile apprendere dall’esperienza, ovvero da qualcosa che è fuori dal controllo onnipotente del bambino.
Approfondimento: l’aggressività e «l’uso di un oggetto» L’aggressività è un modo per esteriorizzare l’altro troppo intimo: per separarci dobbiamo aggredirlo! L’aggressività, nel suo versante positivo, serve al Sé per crescere, per separarsi, per sostenere gli impulsi, per rompere l’armonia (salvo poi riconquistarla) Finché non acquisiamo la capacità di usare le persone («oggetti») restiamo loro legati nella maniera della dipendenza totale. Siamo tutt’uno con loro, non sono esterne, sono parte del Sé: il nostro Sé dipende ancora da loro. Non abbiamo raggiunto la capacità di amare. Per amare qualcuno, questo qualcuno deve essere altro da noi! …non è possibile per me accettare come scontato il fatto che il primo impulso, nel rapporto del soggetto con l’oggetto (percepito oggettivamente, non come soggettivo), sia distruttivo ((Winnicott, 1971)
L’assioma fondamentale della relazione oggettuale è: ciò che è buono viene costantemente distrutto. Ciò che gli uomini non possono lasciare in pace è ciò che è buono. Essi devono poter prendere ciò che è buono e distruggerlo. E perché? Perché le cose buone possono sopravvivere. Solo dopo che è stata distrutta la cosa buona può essere amata, valorizzata e quasi adorata in un modo nuovo (Winnicott, 1970). Gran parte della violenza che esiste nel mondo proviene dal tentativo di compiere una distruzione che non è di per sé distruttiva, eccetto quando l’oggetto sopravvive o quando viene provocato fino alla ritorsione. La sopravvivenza delle cose fondamentali è quindi un valore grande e profondo per l’individuo, e la monarchia nel nostro paese è una di queste. La realtà diventa più reale e l’impulso individuale meno pericoloso (Winnicott, 1970)
L’oggetto transizionale L’oggetto transizionale consente di mantenere interrelate due aree altrimenti separate, quella della realtà interna e quella della realtà esterna. L’oggetto transizionale compare tra i quattro e i dodici mesi. Il bambino ha bisogno di investire un oggetto del potere transizionale, tali che rappresentino un ponte tra la realtà interna e quella esterna. Si colloca tra la “creatività primaria e la percezione obiettiva basata sull’esame di realtà”. Anche se non tutti i bambini vi fanno ricorso, la presenza dell’oggetto transizionale è un indice sicuro di una potenziale capacità di elaborare l’onnipotenza e la separazione.
L’oggetto transizionale viene quindi progressivamente dimenticato. Può rimanere nell’adulto nella consapevolezza di mantenere un “luogo di riposo”, ove lasciar fluttuare la mente e giocare con le proprie idee. Oppure come spazio del gioco, della creatività, del sentimento religioso, ma anche della perdita del sentimento affettuoso, dell’assuefazione alla droga, dei rituali ossessivi. W. distingue a tal proposito l’oggetto transizionale dall’oggetto feticcio o oggetto tossico. Quest’ultimo mantiene il soggetto in uno stato di continua dipendenza, distoglie da sé e dalla realtà esterna.
La parte principale della vita degli adulti, degli adolescenti, dei bambini e dei lattanti si svolge all’interno di quest’area intermedia, a metà strada fra soggettività e oggettività, sogno e realtà. La stessa civiltà può essere descritta a partire da questa visuale. Nei fenomeni transizionali occorre accettare il paradosso ce collega la realtà interna a quella esterna. Non chiediamo mai dell’orsacchiotto del bambino (che è un simbolo della disponibilità materna) se è stato creato o se era già lì.
Negli adulti l’area transizionale è l’area degli interessi culturali, lavorativi, religiosi, politici, artistici ecc. Tutto è «transizionale» in quanto «abitiamo» la realtà non passivamente, subendola, ma in modo attivo, tentando di comprenderla da nostro punto di vista: non ci sono «cose», ma le cose come sono per noi, pur restando «cose» esterne, «reali», non costruzioni soggettive.
Chi crea utilizza la propria spontaneità originaria, il proprio peculiare punto di vista, la propria prospettiva ma si «connette» con la realtà: la creazione è, così, un qualcosa di oggettivo-soggettivo Anche l’umorismo può essere visto come un fenomeno transizionale in quanto chi ride si distacca per un attimo dal dato oggettivo e lo rilegge secondo la propria prospettiva; c’è un guizzo di onnipotenza nell’umorismo, un qualcosa di «antidepressivo» in quanto chi fa umorismo non accetta di essere passivo: pur stando dentro la realtà, la assume in modo soggettivo.
Comunicare o non comunicare? (Winnicott 1963) Nell’ambito della salute esiste un nucleo della personalità che corrisponde al vero Sé. Ritengo che tale nucleo non comunichi mai direttamente con il mondo degli oggetti percepiti e che l’individuo sappia che questo nucleo non deve entrare in comunicazione con la realtà esterna né venirne influenzato. Sebbene le persone sane comunichino e amino comunicare, è anche vero che ogni individuo è un essere isolato che non comunica in modo permanente, in permanenza sconosciuto e mai realmente scoperto. […] Al centro di ogni persona c’è un elemento incomunicabile, inviolabile, che è sacro e va preservato. Le esperienze traumatiche, che portano all’organizzazione delle difese primitive, rappresentano una minaccia al nucleo isolato, la minaccia che venga scoperto, modificato e che ci si metta con esso in contatto. La difesa consiste in un ulteriore occultamento del Sé nascosto… Essere stuprati o essere mangiati dai cannibali sono cose di poco conto rispetto alla violazione del nucleo del Sé mediante la comunicazione che si insinua attraverso le difese. …possiamo capire l’odio che la gente ha verso la psicoanalisi, la quale è penetrata assai nella personalità umana e costituisce una minaccia per il bisogno che l’individuo ha di restare segreto e isolato. Il problema è: come isolarsi senza doversi circondare di barriere?
Credo che, inerente in ogni tipo di artista, si possa scoprire un dilemma dovuto alla coesistenza di due tendenze: il bisogno urgente ricomunicare e il bisogno ancora più urgente di non essere scoperto. Ciò potrebbe spiegare la nostra impossibilità a concepire un artista che arrivi alla fine del compito che impegna totalmente la sua natura. (Winnicott 1963)
Forse non è stata data abbastanza attenzione al fatto che il mistico si ritira in una posizione in cui può comunicare segretamente con oggetti e fenomeni soggettivi, poiché la perdita di contatto col mondo della realtà condivisa è compensata da un vantaggio nel sentirsi reale (Winnicott 1963).
Tutto ciò che è profondo ama la maschera; le cose più profonde provano perfino odio per l’immagine e il simbolo […]. Esistono fatti così delicati che si fa bene a coprirli e a renderli irriconoscibili sotto una grossolanità; esistono atti d’amore e di traboccante generosità, in seguito ai quali non c’è nulla di più consigliabile di prendere un bastone e picchiare di santa ragione il testimone oculare: e con ciò offuscare la sua memoria […] il pudore è ingegnoso. Non sono le cose peggiore quelle di cui ci si vergogna di più (F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, 40). Ogni profondo pensatore teme più l’essere compreso che l’essere frainteso (F. Nietzsche, idem, 290).
PATOLOGIA: da quanto si è visto, le patologie, per Winnicott, sono essenzialmente patologie del Sé → quando c’è un misconoscimento profondo del Sé si incorre nella psicosi e si mobilitano difese profonde per evitare che il Sé possa sperimentare angosce non sopportabili; → quando un senso del Sé c’è, allora si hanno disturbi del Sé, che possono essere più o meno gravi a seconda del livello di profondità in cui si è strutturato il falso sé (si veda dopo); → quando c’è deprivazione, ma c’è ancora la speranza di ritrovare la «madre» (che si cerca fuori perché non la si ha dentro, come madre «interna») allora ci possono essere tendenze antisociali, che hanno la funzione di appello all’ambiente. Il rischio è che le tendenze antisociali diventino «egosintoniche» e che il soggetto pensi di compensare con la «potenza» la sua fragilità. Ciò è pericoloso in particolare in adolescenza quando si deve strutturare un sé adulto. La «madre», può essere rappresentata anche da un’ideologia. Ma dove ci sia l’inconscia certezza di non poterla ritrovare, allora quell’ideologia diventa intoccabile, pena il riprovare angoscia. Ciò è da distinguere dal «trionfo sull’oggetto» - di cui aveva parlato la Klein e, in termini diversi, anche Fromm – che nega la dipendenza dall’oggetto e rende il soggetto onnipotente e insensibile.
Il falso sé stato patologico. Il falso sé domina la scena. Ci sono attori che sanno solo recitare, perché quando non recitano non si riconoscono come esistenti. Ma nei rapporti profondi?; stato di confine. Il falso sé schiaccia il vero sé. Però questo è riconosciuto, gli viene consentita una vita segreta. Questo può avvenire per difendere la persona da condizioni ambientali anormali. La malattia può rappresentare un «discorso» del Vero Sé; stato della sofferenza. Il falso sé si struttura in modo tale da permettere l’emergenza del vero sé fra le incrinature de falso sé. Se questo non accade, l’esito fallimentare (disperazione) può portare al suicidio. stato di fragilità. Il falso sé si struttura sulla base di un comportamento imitativo che non incide profondamente nella costruzione dell’Io. Questo causa una mancanza di integrazione dell’Io che sarà impegnato in uno sforzo continuo per «tenere dietro alla vita», con poche possibilità di sperimentare lo star bene con sé stessi. stato di salute. Il falso sé corrisponde all’atteggiamento sociale, alla maschera che tutti i giorni utilizziamo per interagire con gli altri senza mostrarci loro «col cuore in mano».
Melanie Klein (Vienna 1882 – Londra 1960)
Per il pensiero di M. Klein – che rappresenta il retroterra teorico del testo di Waddell, Mondi interni – l’Io è è esistente sin dalla nascita
Inoltre, per M. Klein gli “impulsi” (pulsioni) dell’Io sono sempre legate agli “oggetti”: per la Klein le unità di base dei processi mentali non sono blocchi di energia senza oggetto, ma unità relazionali. È mia convinzione che il bambino abbia fin dall’inizio della vita prenatale una relazione con la madre […] che è impregnata degli elementi fondamentali di una relazione oggettuale, ossia amore, odio, fantasie, angosce e difese (Le origini della traslazione, 1952, p. 49).
Per la Klein le fantasie sono la base dell’esperienza della realtà. il pensiero di realtà non può operare senza la concomitanza e il supporto di fantasie inconsce (Isaac, Natura e funzione della fantasia, 1943).
Approfondimento: fantasia e realtà: La Klein oscilla, relativamente al ruolo degli altri in relazione agli oggetti interni, fra varie sfumate posizioni, sottolineando sempre, tuttavia, anche nei suoi primi lavori, il ruolo degli altri reali. Ella afferma che ad oggetti primitivi rigidi si sovrappongano poi le immagini dei genitori reali; in altri momenti ipotizza che i primi oggetti derivino dalle percezioni dei genitori reali, ma grossolanamente distorte dagli impulsi del bambino; altrove ipotizza un meccanismo più fluido, in virtù del quale gli altri reali verrebbero poi deformati dal mondo interno del bambino: percezioni di oggetti reali si mescolano alle immagini proiettate cosicché nella successiva reinteriorizzazione gli oggetti interni che ne risultano sono parzialmente trasformati dalle percezioni di oggetti reali. Ecco allora che ai genitori reali si sovrappone sempre un’immagine fantastica di essi esageratamente punitiva.
La Klein ha messo in luce gli impulsi aggressivi del bambino, fra cui, in particolare, l’invidia (si veda dopo). Ella si figura che il bambino sia impegnato a possedere tutte le ricchezze che immagina contenute nel grembo della madre, tra cui il cibo, feci preziose, neonati e il pene del padre. Immagina e distrugge, nella fantasia il perpetuo rapporto sessuale reciproco dei genitori, che concepisce come uno scambio di preziose sostanze nutritive, inaccessibili a lui. Immagina che il proprio corpo sia abitato da un simile mondo di oggetti buoni e cattivi ed è occupato in un sempre rinnovato tentativo di: afferrare sostanze e oggetti “buoni” (in sostanza “buon” latte, “buone” feci, “buon” pene e “buoni” neonati) e, con il loro aiuto, paralizzare l’azione di sostanze e oggetti “cattivi” all’interno del suo stesso corpo; ammassare al suo interno abbastanza riserve per poter resistere agli attacchi sferrati contro di lui dai suoi oggetti esterni (Contributo alla teoria delle inibizioni intellettive, 1931).
Sulla base di tali processi – fortemente determinati dalle fantasie innate, da un lato, e dagli altri reali, dall’altro – si stabilisce una fitta rete di relazioni oggettuali interiorizzate. Il bambino può anche essere turbato e paralizzato dagli esiti di tali relazioni, soprattutto da quelle aggressive, che possono bloccare la sua creatività. Lo scopo dell’analisi infantile sarà, allora, proprio restituire la creatività al bambino.
Posizione schizo-paranoide / posizione depressiva Il bambino teme che la propria cattiveria (che proietta), gli “ritorni indietro”. Vive pertanto nella paura “paranoide”. M. Klein chiama pertanto questa dimensione come “posizione paranoide”. Il “Super-io” del bambino è alimentato da tali sentimenti di ritorsione Nella posizione paranoide il bambino separa gli oggetti buoni e gli oggetti cattivi: i primi vengono trattenuti psichicamente presso l’Io; gli altri espulsi (proiettati).
Successivamente, facendo proprie sollecitazioni di Fairbairn, la Klein affermerà che scissioni d’oggetto implicano scissioni dell’io: in sostanza “parti” di Io vengono scisse assieme agli oggetti (potremmo dire: ciò che viene scisso è l’intera relazione Io-oggetto) e tendono a ritornare in modo persecutorio ella ridenomina la posizione “paranoide” in posizione “schizo-paranoide”, dove “schizo” sta per “schizoide” nel senso di Fairbairn
Il processo di scissione permette all’Io di emergere dalla indistinzione affettiva originaria ordinando le cose in “buone” o “cattive”. Se la scissione non sarà stata troppo drastica, rimarrà una comunicazione fra conscio (buono) e inconscio (pieno di oggetti cattivi).
Fondamentale, per la Klein, è che l’esperienza del mondo (e dell’Io) come “buono” prevalga sulle esperienze del mondo (e dell’Io) come “cattivo”. il primo oggetto buono agisce come punto focale nell’Io. Esso bilancia i processi di scissione e dispersione, contribuisce alla coesione e all’integrazione, ed è strumentale alla costruzione dell’Io. (Note su alcuni meccanismi schizoidi, 1946, p. 6)
Approfondimento: il Super-Io arcaico e l’oggetto ideale Nel periodo 6-12 mesi il Super-Io arcaico si arricchisce dell’oggetto ideale: esso perde in parte il suo carattere feroce, ma incita il bambino alla perfezione promovendo l’identificazione, incoraggiandolo a crescere e gratificandolo. Il tentativo di tutelare l’oggetto d’amore dalle sue stesse pulsioni, che si esprime nel circolo “senso di colpa – riparazione”, induce anche alla sublimazione, alla produzione di simboli e alla creatività.
L’esperienza di un oggetto buono che prevale su quello cattivo rimane nella profonda memoria affettiva come idealizzazione dell’oggetto buono: essa si risperimenta nell’innamoramento, nel piacere estetico, nella costruzione di ideali e valori. Comunque il predominio delle esperienze buone su quelle cattive è essenziale ai fini di uno sviluppo armonico.
Uno dei fattori perturbativi di un sano sviluppo è, invece, l’invidia, espressione precoce dell’istinto di morte, attacca gli oggetti parziali, in particolare il seno. L’invidia impedisce di ricevere aiuto e conforto da un oggetto ideale e l’Io di priva della possibilità di arricchirsi mediante l’introiezione.
Approfondimenti: l’invidia All’invidia viene attribuita una posizione di estrema importanza in Invidia e gratitudine (1957, anche se riferimenti all’invidia si trovano già in La psicoanalisi dei bambini, 1932): essa è la forma più nefasta di aggressività innata: l’invidia vuole distruggere il seno non perché è cattivo, ma perché è buono. L’esistenza del seno al di fuori del suo controllo è intollerabile per il bambino e di qui discende l’invidia. Il danno arrecato dall’indivia sta nel fatto che la distruzione è diretta anche verso gli oggetti buoni, distruggendo i quali egli si impedisce quei momenti di sollievo che questi possono arrecare. La descrizione kleiniana dell’invidia ha un notevole potere esplicativo nel caso dei pazienti difficili, quelli che non sembrano trarre nulla di buono dalla relazione terapeutica e manifestano quella che Freud definì “reazione terapeutica negativa”.
Il bambino entra così nella posizione depressiva Nella seconda metà del primo anno di vita, secondo la Klein il bambino acquista la capacità di interiorizzare oggetti interi (in opposizione al scindere e dividere gli oggetti) e questo corrisponde ad una marcata variazione del centro della vita psichica. Il bambino entra così nella posizione depressiva L’angoscia “depressiva” è quella provata per l’oggetto intero, che il bambino teme di aver distrutto. Il bambino si sente svuotato e tenta allora di “riparare” la madre attraverso fantasie e comportamenti ricostruttivi.
Gratitudine e ansia per il destino dell’oggetto La Klein mette in luce come in questa fase vi sia un’autentica preoccupazione del bambino verso gli altri questa preoccupazione non è solamente una “formazione reattiva”, ma è espressione di una profonda gratitudine l’ansia per il destino dell’oggetto e il tentativo di ricostruirlo per mezzo dell’amore sono la forza motrice della personalità. In questi tentativi di riparazione l’io dubita di riuscire e questo costituisce un forte impulso al suo sviluppo.
Quindi, nello sviluppo normale all’invidia si contrappone la gratitudine. quando il bambino è sicuro del possesso di un oggetto ideale avrà meno bisogno di proiettare i suoi impulsi distruttivi e aumenterà la capacità di tolleranza e la forza energetica dell’Io. Con il sorgere della posizione depressiva si acquisisce la capacità di tollerare l’ambivalenza.
Riparazione Poiché l’oggetto amato è ora incorporato nell’Io, l’aggressione contro di esso non dà luogo a paure persecutorie, come quando il bambino era nella posizione schizo-paranoide (dove gli oggetti erano esterni), ma senso di colpa e lutto per distruggere un oggetto buono interno. Ma tali sentimenti incitano il bambino ad assumere un atteggiamento di riparazione.
Nella fase finale del suo pensiero la Klein vede la vita come una lotta fra l’integrazione creata dall’amore e la disintegrazione ad opera dell’invidia. Tenere insieme i due aspetti è penosamente difficile: devono essere riconosciuti i limiti dell’amore di ciascuno, la realtà dell’ambivalenza e devono essere affrontati l’ansia depressiva e il senso di colpa.
L’angoscia depressiva non viene mai superata per tutta la vita: l’ambivalenza verso gli oggetti rimane. La perdita viene vissuta come svuotamento e come risultato della propria distruttività e come rappresaglia per azioni odiose passate. Per contro, buone esperienze con altri sono importanti per ristabilire una speranza nella propria capacità di amare e di ricostruire. Nell’ultima fase della Klein, gli altri reali sono importanti.
Per la Klein, “l’io assorbe continuamente in sé l’intero mondo esterno (1935)”, internalizza aspetti buoni del mondo esterno e, facendoli propri, cresce e si sviluppa.
Difese nella posizione schizo-paranoide Le difese che si sperimentano nella posizione schizoparanoide sono volte a scongiurare la contaminazione degli oggetti buoni con quelli cattivi: scissione, idealizzazione, diniego della realtà interna ed esterna, repressione, artificiosità delle emozioni, identificazione proiettiva
Fra le difese, l’ “identificazione proiettiva” è un concetto tipicamente kleiniano che viene utilizzato per descrivere la scissione di parti dell’Io e la loro proiezione su altri. Quindi, parti non desiderate di sé sono attribuite ad oggetti esterni. Per la Klein l’aver proiettato parti cattive rende l’Io timoroso di rappresaglie e la paura di avere parti di sé imprigionate dentro l’oggetto aggredito. Il meccanismo dell’identificazione proiettiva sta alla base del delirio psicotico di essere un’altra persona (ad es. Cristo o Napoleone).
Normali sviluppi della posizione depressiva I normali sviluppi della posizione depressiva sono la riparazione, il rafforzamento dell’esame di realtà (con conseguente sviluppo della simbolizzazione e della creatività), la capacità di tollerare amore e odio nei confronti di uno stesso oggetto (perché si è acquisita la sicurezza della prevalenza dell’amore sull’odio), gratitudine che scaturisce dal senso di colpa.
Sviluppi patologici della posizione depressiva Gli sviluppi patologici della posizione depressiva derivano da una negazione del senso di colpa e da un rapporto maniacale con l’oggetto all’insegna dell’idealizzazione, che impoverisce la vita psichica e nega l’ambivalenza degli oggetti
Il rapporto maniacale con l’oggetto nega invece i sensi di colpa Il rapporto maniacale con l’oggetto nega invece i sensi di colpa. Esso è caratterizzato da tre sentimenti verso l’oggetto: dominio, trionfo, disprezzo, volti a negare la dipendenza e ad assicurarsi il dominio del mondo esterno. N.B. Ma quando gli sforzi di idealizzazione falliscono, come nel caso del lutto patologico, si innesca una spirale di colpa, autorimprovero e disperazione che conduce alla psicosi depressiva.
Ma esiste anche una mistificazione di questa capacità che trasforma: Per Bion esiste una genuina capacità di amare, di odiare e di conoscere. Ma esiste anche una mistificazione di questa capacità che trasforma: l’amore in cinismo, l’odio in puritanesimo/bigottismo Il conoscere in ipocrisia
Il circolo virtuoso che spinge il bambino, sicuro del possesso dell’oggetto amato, ad abbandonare le fantasie per accettare la realtà non è mai concluso una volta per tutte: esperienze di ambivalenza, colpa e privazione possono ricomparire anche nella vita adulta.
Approfondimenti: la psicopatologia La concezione della psicopatologia si è progressivamente spostata (soprattutto dopo l’introduzione delle “posizioni”) verso i nuclei psicotici e, nel caso delle nevrosi, alle eventuali psicosi soggiacenti. Nella Klein la tendenza è a vedere il buono come dato dall’esterno e il cattivo come un prodotto della psicologica originaria del bambino. La Klein tende a vedere l’influenza dei genitori sul bambino come uniformemente positivo, come fonte di immagini di amore a fronte dell’innata aggressività di lui. Talvolta mette in luce casi particolari: depressione della madre, mancanza di calore, avversione nei confronti del bambino, ma tali formulazioni non compaiono in relazione ad oggetti interni, che rispondono a caratteristiche universali. Le radici della patologia vanno ricercate nella cattiveria del bambino. È sicuramente strano che la Klein non parli delle deficienze genitoriali.
Per la Klein i fallimenti nell’elaborazione delle due posizioni darebbero luogo a punti di fissazione sui quali si innesta il disturbo psicotico dell’adulto. Inoltre, ella paragona i disturbi psicotici in generale alla posizione schizo-paranoidea, tanto da lasciar presumere che il neonato sia un piccolo psicotico. La Klein connette in unico quadro schizofrenia e paranoia: il delirio persecutorio tipico della paranoia deriverebbe dalla proiezione dell’oggetto cattivo. Lo schizofrenico fallisce nell’entrata nella posizione depressiva (non riesce ad integrare oggetto e sé) e resta in preda a violente scissioni e proiezioni e ad una confusione fra mondo interno e mondo esterno. Il depresso non riesce a conseguire la riparazione dell’oggetto (e di se stesso) e resta diviso fra l’Io cattivo e l’oggetto buono. Nella fase maniacale, invece, ad un Io grandioso si oppone un oggetto svalutato.
In breve Per la Klein, come per Freud, esiste una pulsione di vita e una pulsione di morte Le pulsioni si manifestano come fantasie inconsce originarie in cui il sé interagisce con un oggetto sotto l’influenza di emozioni primitive (che sono il riflesso delle pulsioni). Si è utilizzata la metafora della mente come teatro. Il prototipo della pulsione di vita è la relazione col seno buono. La proiezione dell’oggetto buono su nuovi oggetti è alla base della fiducia verso il mondo, del desiderio di esplorare ecc. La pulsione di morte viene intesa come derivante dalla cattiveria originaria del bambino e viene proiettata all’esterno. La Klein ha parlato assai del sentimento dell’invidia, una forma perniciosa di aggressività che conduce il bambino a voler depredare il corpo della madre di cose buone avendone, di rimando, la paura della ritorsione.
Il bambino viene descritto dalla Klein come impegnato ad ammassare oggetti buoni e preziosi, depredandoli dal corpo della madre, ma è impaurito dalla ritorsione da parte degli oggetti aggrediti. Il suo vissuto è caratterizzato dalla paura paranoide della ritorsione degli oggetti cattivi, sia esterni, in quanto ha diretto nei loro confronti la propria aggressività, sia di quelli che sono diventati interni in virtù dell’internalizzazione (che è un processo spontaneo e naturale di assorbimento dell’io degli oggetti). La Klein descrive una posizione schizoparanoide, in cui il bambino è impegnato ad ammassare oggetti buoni e a lottare e rifiutare gli oggetti cattivi, dai quali si attende sempre rappresaglia e punizione (paura paranoide). I meccanismi di scissione operano al massimo livello fino al 6° mese. Si parla in tal senso di relazione con oggetti parziali. La relazione con un oggetto assolutamente buono e idealizzato, scisso dall’oggetto assolutamente cattivo, rimane nelle nostre menti.
Le difese che si sperimentano nella posizione depressiva sono volte a scongiurare la contaminazione degli oggetti buoni con quelli cattivi: scissione, idealizzazione, diniego della realtà interna ed esterna, repressione, artificiosità delle emozioni, identificazione proiettiva Quando il bambino sarà in grado di accettare i propri impulsi cattivi, sperimenterà la posizione depressiva, diminuirà l’uso di difese e inizierà a relazionarsi con l’oggetto intero. A consentire questo passaggio è la consapevolezza, da parte del bambino, del sicuro possesso di un oggetto buono, che aumenta la forza dell’Io e la sua capacità di tolleranza. “…il primo oggetto buono agisce come punto focale nell’Io. Esso bilancia i processi di scissione e dispersione, contribuisce alla coesione e all’integrazione, ed è strumentale alla costruzione dell’Io (Note su alcuni meccanismi schizoidi, 1946, p. 6) A differenza delle paure persecutorie della posizione schizoparanoide, il timore che il bambino sperimenta nella posizione depressiva è quello di far male all’oggetto buono. Ciò genera senso di colpa e angoscia depressiva e conseguente desiderio di riparare al male arrecato all’oggetto buono.
Il Super-io arcaico, che si era formato durante la posizione schizoparanoide, è costituito dal timore di rappresaglia da parte di oggetti interni cattivi non proiettati. Esso giunge a maturazione alla fine del 1° anno, col passaggio delle fantasie dalla madre al padre, e si caratterizza della paura di organi sessuali pericolosi e di relazioni sessuali fra i genitori distruttive. Il Super-io si arricchisce però anche dell’oggetto ideale perdendo, così, parte del suo carattere feroce, ma incitando il bambino alla perfezione (anche in modo crudele), promovendo l’identificazione, incoraggiandolo a crescere, gratificandolo. I normali sviluppi della posizione depressiva sono la riparazione, il rafforzamento dell’esame di realtà (con conseguente sviluppo della simbolizzazione e della creatività), la capacità di tollerare amore e odio nei confronti di uno stesso oggetto (perché si è acquisita la sicurezza della prevalenza dell’amore sull’odio), gratitudine che scaturisce dal senso di colpa.
Gli sviluppi patologici della posizione depressiva derivano da una negazione del senso di colpa e da un rapporto maniacale con l’oggetto all’insegna dell’idealizzazione, che impoverisce la vita psichica e nega l’ambivalenza degli oggetti; si nega anche la dipendenza e il bisogno che si ha di essi controllandoli con un senso di trionfo e disprezzo. Ma quando gli sforzi di idealizzazione falliscono, come nel caso del lutto patologico, si innesca una spirale di colpa, autorimprovero e disperazione che conduce alla psicosi depressiva.
Ronald Fairbairn (1889 – 1964) La centralità della relazione
Ronald Fairbairn – che elaborò i suoi contributi di psicoanalisi negli anni ’40 – pose al centro del suo interesse il profondo bisogno da parte del bambino di relazioni personali basate sull’amore. Egli affermò, in contrasto con Freud, che la motivazione centrale degli esseri umani è stabilire buone relazioni con gli altri (“la libido non è ricerca di piacere, ma ricerca d’oggetto”) Per Fairbain l’asse centrale attorno al quale ruota lo sviluppo del bambino sono le buone relazioni, all’insegna dell’affetto, dell’amore, della stima, della considerazione personale. Il bisogno di relazione è così centrale che “è meglio una relazione cattiva che nessuna relazione”
Nelle prime fasi dello sviluppo l’Io non è strutturato e dotato di una coscienza di sé di tipo riflessivo, ma è tutt’uno col caregiver. Il piccolo è, cioè, in “identificazione primaria” con l’altro. Così, se il bambino sperimenta relazioni insoddisfacenti, egli – in virtù dell’identificazione – giungerà a percepire se stesso come insoddisfacente e “cattivo”.
Questo sentirsi cattivo comporta un’esperienza molto dolorosa, addirittura catastrofica, nell’esperienza di Sé del bambino. …l’esperienza di non essere accettato e riconosciuto nel proprio bisogno di amore è un’esperienza devastante che, a livello profondo, è l’esperienza della vergogna per aver manifestato dei bisogni affettivi. Il senso del proprio valore è minacciato. Ad un livello ancora più profondo, si ha un senso di svuotamento e di morte psichica. La consapevolezza che il proprio amore è inutile genera un senso di futilità dell’Io… (Fairbairn 1944, tr. it. 1970, p. 140)
Fairbairn descrisse approfonditamente come tali esperienze relazionali negative possano essere controllate solamente tramite la loro rimozione nell’inconscio. la rimozione nell’inconscio delle esperienze negative è un espediente per “bonificare” le relazioni della loro “cattiveria” e farle apparire di nuovo positive e “buone”. È l’esperienza, tristemente nota, dei bambini abusati che non riescono ad accusare i loro aguzzini della violenza subita perché hanno bisogno di credere nella bontà della relazione.
Nell’inconscio, tuttavia, questi sentimenti negativi permangono; in virtù dell’identificazione, il proprio Io, inconsciamente percepito come profondamente “contaminato” di cattiveria, svuotato. Fairbairn tale parte dell’Io contaminata di cattiveria “sabotatore interno”, che rappresenta quella parte dell’Io profondamente contaminata da un senso di cattiveria e capace di boicottare i miglioramenti della personalità
Ciò genera una vera e propria situazione di tipo “schizoide” ovvero di scissione all’interno dell’Io. Ci sono, cioè, delle “parti” del nostro Io legate a delusioni relazioni molto profonde che intaccano e si legano al senso di sé da dover essere negate perché intollerabili. Questi individui percepiscono che il bisogno di amore, dipendenza e affetto sono pericolosi e vanno negati. L’amore è sentito come connesso alla distruzione e alla morte. È questo il senso dell’affermazione di Oscar Wilde che, nella Ballata della prigione di Reading, esclama “Ogni uomo uccide la cosa che ama” (Fairbairn 1940, tr. it 1970).
Inoltre, osserva Fairbairn, assieme alla inconscia sensazione di cattiveria dell’Io, v’è un’altra parte dell’Io, anch’essa diventata inconscia, che ambisce ad avere soddisfatti quei bisogni relazionali di cui non ha avuto esperienza. Tuttavia li desidera in maniera compulsiva, esigente, vorace, voluttuosa, “libidica”. Fairbairn chiama tale Io “Io libidico” e a suo parere assomiglia all’inconscio pulsionale descritto da Freud.
Riassumendo: Le relazioni insoddisfacenti generano, cioè, da un lato un bisogno insoddisfatto che assume una forma seduttiva, stimolante e, dall’altro lato, la continua frustrazione di quei bisogni da parte dell’ “Io cattivo” (sabotatore interno), che incarna la memoria del fallimento profondo di ogni tentativo di mettersi in relazione. Il sabotore interno, come suggerisce il nome, “attacca” rabbiosamente quella parte dell’Io (l’Io libidico) che manifesta desideri. Più in fondo, l’attacco del sabotatore interno rappresenta anche un attacco che il bambino rivolge verso sé stesso in quanto dipendente e bisognoso di relazione.
Precisazione: Rispetto a questa dinamica profonda avente a che fare relazioni buone o cattive, il senso di colpa che genera il Super-Io descritto da Freud agisce, per Fairbairn, a un livello più superficiale. Fairbairn pensa infatti che il senso di colpa sia una difesa “morale” più evoluta dietro la quale si cela una situazione più originaria legata a relazioni interiorizzate assolutamente cattive (in cui il proprio Io è sentito come indegno e cattivo). Il colpevolizzarsi viene utilizzato, cioè, per coprire e per tenere lontano dalla coscienza la sensazione profonda di disperazione legata alle relazioni cattive. Meglio, cioè, sentirsi in colpa che sentirsi indegno di esistere.
L’evoluzione come passaggio dalla dipendenza immatura alla dipendenza matura Crescendo il bambino sarà indotto a evolvere dalla dipendenza immatura alla dipendenza matura. Affinché tale passaggio possa avvenire in modo emotivamente sano occorre che il bambino abbia la sensazione di essere sostenuto e incoraggiato nell’ambito di relazioni in cui si sente amato come persona; altrimenti egli tale passaggio e l’aprirsi al mondo esterno come carichi di troppa ansia di separazione. L’ansia di separazione è spesso legata alla sensazione di sentirsi intrappolati in spazi troppo stretti o troppo ampi.
Approfondimento: Per Fairbairn le relazioni cattive rimosse nell’inconscio (che contengono un’esperienza dell’Io come cattivo e dell’altro come cattivo) sono alla base dei disturbi ossessivi, paranoidi, isterici e fobici. Si riportano i meccanismi di difesa così come vengono intesi da Fairbairn: La fobia rappresenta la tensione connessa al passaggio dalla dipendenza infantile a quella matura, nella speranza di “farcela” e nel timore di rimanere intrappolato, rinchiuso, inghiottito… Il conflitto è quello tra la fuga dall’oggetto e il ritorno all’oggetto. Il fobico adotta una posizione passiva e si pone nella scelta di fuggire dal potere dell’oggetto o sottomettersi ad esso. La paranoia è la più radicale, in quanto gli oggetti cattivi vengono trattati come assolutamente cattivi. Questi diventano dei persecutori che attaccano il soggetto dall’esterno. Il paranoide è caratterizzato da una grandiosità stravagante (perché non basata su una realistica autostima) che teme l’attacco da parte degli oggetti cattivi persecutori.
L’isteria non è una fissazione alla fase fallica come conseguenza della situazione edipica, come nella teoria freudiana, ma è un rifiuto degli organi genitali perché essi sono utilizzati per avere soddisfazioni di tipo infantile-dipendente. Fairbairn fa l’esempio di una bambina tenuta in disparte da genitori che non si occupavano di lei che inizia ad utilizzare la seduzione per avere il padre dalla sua parte. A differenza che per il paranoico e l’ossessivo, nell’isterico l’oggetto cattivo è trattenuto psicologicamente dentro: l’isterico vuole consegnare tutto ai suoi oggetti d’amore, spesso idealizzandoli, nella speranza di stabilire una relazione più rassicurante, ma non dà loro gli organi sessuali, che restano invischiati in un meccanismo di soddisfazione regressiva con l’oggetto cattivo e devono pertanto essere tenuti fuori dalla relazione idealizzata. L’isterico, come il fobico e l’ossessivo, ha in parte acquistato una maturità durante la fase di transizione, ma in parte è rimasto legato in modo immaturo ai suoi oggetti interni. Proprio l’esagerazione dell’isterico solleva il sospetto che il suo comportamento derivi dalla sovracompensazione d’un rifiuto. Questo sospetto è confermato nell’isterico dalla presenza di dissociazioni e l’analisi può evidenziare l’identificazione con i genitali rifiutati. Nell’ossessione, invece, c’è un po’ di atteggiamento oblativo della dipendenza matura. L’ossessivo è come se volesse metaforicamente espellere di propri oggetti cattivi e pertanto esercita un forte controllo, spesso connotato da alta aggressività, su di essi.
Iper-investimento difensivo del mondo interno Per paura di ulteriori “fallimenti relazionali”, il bambino si “attaccherà” di più al suo “mondo interno” fatto di relazioni con oggetti cattivi (che lo fanno sentire una nullità) e oggetti libidici (che stimolano il suo desiderio in maniera vorace). L’attaccamento al mondo interno va a compensare la sensazione di solitudine; ma così l’individuo si chiude in un circolo vizioso sempre più stringente, fino al punto che il dare e l’interagire autentico con gli altri viene sentito come un pericoloso “svuotamento”.
Melanie Klein aveva già evidenziato come il normale sviluppo infantile contempli il rafforzamento dell’esame di realtà (con conseguente sviluppo della simbolizzazione e della creatività) e la capacità di tollerare amore e odio nei confronti di uno stesso oggetto (perché si è acquisita la sicurezza della prevalenza dell’amore sull’odio e si prova gratitudine verso l’oggetto). L’espressione dell’aggressività diventa connotata da senso di colpa e dal desiderio di riparare al male fatto. Gli sviluppi patologici derivano invece da una negazione del senso di colpa e da un rapporto maniacale con l’oggetto all’insegna dell’idealizzazione, che impoverisce la vita psichica e nega l’ambivalenza degli oggetti; si nega anche la dipendenza e il bisogno che si ha di essi controllandoli con un senso di trionfo e disprezzo.
(Super-Io primitivo sadico e punitivo) Realtà esterna, altri Parte matura dell’individuo in interazione con la realtà e capace di interagire in senso realistico col mondo (Io centrale) Senso di colpa (Super-Io “morale” di Freud) (“non devi comportarti così”; “non essere così dipendente”; “non essere egoista, pensa come soffrono gli altri”; “sei proprio una persona cattiva” ecc.) Io solo, abbandonato, vergognoso del proprio bisogno di amore, con un senso di profonda disistima e di cattiveria (sabotatore interno) (Super-Io primitivo sadico e punitivo) Io che reclama aggressivamente il soddisfacimento dei propri bisogni, non più percepiti come puri bisogni relazionali e di affetto, ma come esigenze, “capricci”, lusinghe, seduzioni (che spesso si intrecciano con la sfera sessuale), uno sfruttare gli altri. Contro questo bisogno il sabotatore interno mobilita la sua aggressività (perché in fondo è un bisogno che si sviluppa da una mancanza, compensatorio, che il sabotatore interno rabbiosamente mette a tacere) (io libidico) Relazioni con oggetti interiorizzati, cui l’individuo è costretto a ricorrere in mancanza di una relazione soddisfacente con gli oggetti del mondo esterno