DIRITTO DI OGNI MINORE AD AVERE UNA FAMIGLIA

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DIRITTO DI OGNI MINORE AD AVERE UNA FAMIGLIA

Il titolo della legge 184/83 pone il “diritto del minore ad una famiglia”. Detto principio viene subito dopo esplicitato nel comma 1 dell’articolo 1, laddove si chiarisce che “il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia”. Principio ribadito dall’art. 315bis c.c.: «Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti».

Art. 1 legge 184/83 1.            Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia.         2. Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la responsabilita’ genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto. Milano, 4 febbraio 2007

Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie competenze, sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l'abbandono e di consentire al minore di essere educato nell'ambito della propria famiglia. Essi promuovono altresì iniziative di formazione dell'opinione pubblica sull'affidamento e l'adozione e di sostegno all'attività delle comunità di tipo familiare, organizzano corsi di preparazione ed aggiornamento professionale degli operatori sociali nonché incontri di formazione e preparazione per le famiglie e le persone che intendono avere in affidamento o in adozione minori. I medesimi enti possono stipulare convenzioni con enti o associazioni senza fini di lucro che operano nel campo della tutela dei minori e delle famiglie per la realizzazione delle attività di cui al presente comma. 4.                 Quando la famiglia non è in grado di provvedere alla crescita e all'educazione del minore, si applicano gli istituti di cui alla presente legge. 5.                 Il diritto del minore a vivere, crescere ed essere educato nell'ambito di una famiglia è assicurato senza distinzione di sesso, di etnia, di età, di lingua, di religione e nel rispetto della identità culturale del minore e comunque non in contrasto con i principi fondamentali dell'ordinamento.

Cosa significa La norma intende affermare, come principio generale ed universale, che ciascun minore deve crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia d’origine. Solo ove ciò non sia possibile, vengono previste le modalità per farvi fronte, attraverso gli istituti dell’affidamento e dell’adozione.

Diritti e interessi del minore: il diritto all’educazione Il cittadino minore di età ha qualcosa in meno rispetto al cittadino adulto: gli manca la capacità di muoversi autonomamente nel mondo, capacità che acquisirà lungo il percorso di crescita. Ciò si traduce, sul piano giuridico, in una interessante situazione, in quanto pur godendo, in linea astratta, dei medesimi diritti, al minore va riconosciuto un diritto ulteriore, sconosciuto agli adulti: il diritto di crescere, che può tradursi nel diritto a diventare autonomi, meglio ancora definibile come diritto a diventare adulti, ovvero, in una parola, il diritto all’educazione Educare = e-ducere

Funzione educativa - Far progredire i componenti della societa’ dallo stato di passività infantile a quello di attività adulta - farli procedere dallo stadio di necessaria dipendenza a quello di indipendenza - farli passare da una assoluta mancanza di conoscenze all’acquisizione di nozioni indispensabili per esercitare un controllo sempre più efficiente. È un’attività che normalmente si svolge all’interno della famiglia: è questo, infatti, l’ambiente migliore per poter realizzare un armonico sviluppo della personalità, favorendo i processi di crescita psico-fisica e di socializzazione.

La famiglia, dunque… assume, una funzione strumentale e di garanzia Non esiste un diritto dei genitori “sui” figli, ma esiste solo un diritto dei figli a restare in quella famiglia che, sia pure attraverso una serie di aiuti, garantisce loro, in maniera valida, la realizzazione del diritto ad essere educati.

Capovolgimento della tradizionale visione “adultocentrica” La prospettiva non è più quella dei genitori, e della famiglia in genere, che esercitano il “diritto” di educare i figli e di tenerli con sé … ma sono i figli a vedersi riconosciuto il diritto, e quindi la naturale necessità, a crescere, a sviluppare la propria personalità all’interno di una famiglia, la “propria” famiglia. Non è più la famiglia ad aver diritto ai propri figli, ma sono i figli a vantare dei diritti verso la famiglia.

Allontanamento del minore dal nucleo familiare Si pone come eccezione alla regola, come extrema ratio, giustificabile soltanto in ragione di carenze dei familiari tali da mettere in pericolo il normale sviluppo del minore medesimo. Non è più possibile, oggi, distaccare il bambino dalla propria famiglia in ragione di difficoltà, magari di ordine economico o ambientale, in cui questa eventualmente versa, difficoltà magari superabili con un serio sostegno da parte degli enti a ciò tenuti .

Art. 1 comma 3 L’interesse del minore alla crescita nella famiglia di origine deve essere perseguito anche a costo di impegnare le strutture sociali in misure di sostegno di particolare intensità in favore del minore stesso e dei genitori (…) La ricerca di tali misure non può essere impedita da ragioni di difficoltà, e può essere omessa solo in presenza di una pratica impossibilità di attuazione o solo quando, per il contenuto e la durata che vorrebbero assumere, verrebbero a risolversi in una completa supplenza del ruolo dei genitori. (Cass. 29.11.88, n. 6452, GC, 1988, I, 2814).

Pertanto… Il legislatore ha inteso impegnare lo Stato e gli altri enti locali ad attivarsi fattivamente perché il diritto all’educazione non resti soltanto vacuamente declamato, ma si realizzi compiutamente, anche e soprattutto dove le condizioni della famiglia non ne consentano la sua piena espansione Anche se … viene, pero’, a questo punto, il dubbio che si tratti di un diritto non pieno, ma molto discrezionale ed eventuale, in quanto Stato ed enti locali intervengono “nei limiti delle risorse finanziarie disponibili”

L’affidamento familiare (art. 2) Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto disposti ai sensi dell'articolo 1, è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno.

Art. 2 commi 2 e 3 Ove non sia possibile l'affidamento nei termini di cui al comma 1, è consentito l'inserimento del minore in una comunità di tipo familiare o, in mancanza, in un istituto di assistenza pubblico o privato, che abbia sede preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza. Per i minori di età inferiore a sei anni l'inserimento può avvenire solo presso una comunità di tipo familiare. In caso di necessità e urgenza l'affidamento può essere disposto anche senza porre in essere gli interventi di cui all'articolo 1, commi 2 e 3.

Funzione dell’affidamento L’affidamento familiare è il principale istituto destinato a far fronte alla temporanea inidoneità dell’ambiente familiare del minore. In questo modo, il minore non viene sottratto alla propria famiglia, ma viene “appoggiato” ad altra famiglia, mantenendo e coltivando i legami con i propri familiari. È un modo, anche questo, di assicurare al minore il diritto alla propria famiglia, consentendogli, nel frattempo, la realizzazione del ben più pregnante diritto all’educazione.

Differenza tra affidamento e adozione La situazione che giustifica l'affidamento etero- familiare, a norma della L. n. 184 del 1983, art. 2 e segg., e quella che conduce alla pronuncia di adottabilità si differenziano, in quanto la mancanza di "un ambiente familiare idoneo" è considerata, nel primo caso, temporanea e superabile con il detto affidamento, mentre, nel secondo caso, si ritiene che essa sia insuperabile e che non vi si possa ovviare se non per il tramite della dichiarazione di adottabilità”.

Presupposti dell’affidamento l’inidoneità del nucleo familiare d’origine a garantire adeguatamente i bisogni di crescita del minore; la temporaneità delle difficoltà e una conseguente valutazione di recuperabilità, almeno in senso prognostico; il fallimento o l’impossibilità di interventi di aiuto e supporto al nucleo che consentano al minore un’adeguata tutela permanendo nella propria famiglia.

Temporaneità La necessità di ancorare la durata dell’affidamento al progetto di ripristino della idoneità del nucleo familiare rafforza la meta dello strumento (ossia quella del rientro del minore) ed evita il rischio che un allontanamento senza termine si possa tradurre semplicemente in una sorta di ratifica dello status quo rispetto alle difficoltà familiari.

Percorsi possibili La legge 184/1983 individua due diversi percorsi attraverso i quali addivenire all’affidamento di un minore a terzi: una via che si basa sul consenso di chi esercita la responsabilità (un tempo potestà) genitoriale o del tutore e l’altra che dal consenso prescinde. L’art. 4, infatti, al primo comma statuisce che l’affidamento familiare “è disposto dal servizio sociale locale, previo consenso manifestato dai genitori o dal genitore esercente la responsabilità genitoriale, ovvero dal tutore”, mentre il secondo comma prevede che in caso di mancanza di tale consenso “provvede il tribunale per i minorenni” e si applicano gli articoli 330 e seguenti del codice civile.

Affidamento consensuale: procedura Normalmente è disposto dal servizio sociale territorialmente competente, per ovviare ad una situazione di difficoltà o disagio vissuta dal minore nell’ambito familiare La norma prevede che l’affidamento familiare disposto dal servizio sociale locale sia subordinato alla manifestazione del consenso da parte degli esercenti la responsabilità o del tutore; la portata di tale consenso non potrà certamente essere limitata alla manifestazione di una non contrarietà al fatto che il minore sia temporaneamente allontanato dal nucleo familiare trovando ospitalità presso terzi, dovendo piuttosto estendersi in primo luogo alla condivisione riguardo ai presupposti dell’intervento (individuazione dei motivi di inidoneità) e poi al contenuto del progetto di recupero (obiettivi, strumenti, modalità di verifica).

Audizione del minore Il primo comma dell’art. 4 prevede altresì che sia “sentito il minore che ha compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento”. La legge 184/1983 impone di sentire il minore, non di raccoglierne il consenso e ciò dovrà essere inteso dal servizio sociale come dovere di preparare il minore all’esperienza dell’affidamento familiare parlandone con lui in modo adeguato alla sua età, accogliendo le sue domande, le sue paure, motivando e spiegando le decisioni, prospettandogli che cosa succederà, affinché quella “questione che lo interessa” così da vicino possa essere condivisa e non subita passivamente.

Contenuti del programma Il programma di assistenza dovrà prevedere attività: in favore del minore: opera di sostegno educativo e psicologico (ad esempio, frequenza scolastica, attività sportiva, sottoposizione a terapie mediche, ecc..), i rapporti con la famiglia d’origine; in favore della famiglia d’origine: interventi volti alla rimozione delle difficoltà e al recupero delle competenze genitoriali, nonché al mantenimento dei rapporti con il minore secondo le modalità più idonee; in favore degli affidatari: misure di sostegno e di aiuto economico.

Natura dell’istituto L’affidamento familiare consensuale si configura come intervento socio assistenziale; conferma di tale qualificazione può rinvenirsi nelle disposizioni di cui al: comma 4 dell’art. 4 della legge 184/1983, allorquando è previsto che la durata dell’affidamento sia rapportata al complesso di interventi volti al recupero della famiglia d’origine, comma 3 dello stesso articolo, laddove si specifica che la relazione semestrale da inviare all’autorità giudiziaria (GT nel caso di affidamento consensuale, TM in casi di affidamento giudiziale) dovrà aggiornare sull’andamento del programma di assistenza, sulla sua presumibile ulteriore durata e sull’evoluzione delle condizioni di difficoltà del nucleo familiare di provenienza.

Contenuti del provvedimento motivazioni che hanno condotto alla decisione; tempi e modi dell’esercizio dei poteri riconosciuti all’affidatario; modalità attraverso cui i genitori e gli altri componenti il nucleo familiare possono mantenere i rapporti con il minore; indicazione del s.s. cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza; indicazione del s.s. cui è attribuita la vigilanza durante l’affidamento con l’obbligo di tenere costantemente informata l’A.G. (relazione ogni sei mesi); periodo di presumibile durata dell’affidamento (rapportabile al complesso di interventi volti al recupero della famiglia d’origine).

Obiettivi e garanzie l’affidamento non sia attivato in violazione del diritto costituzionale dei genitori di occuparsi dell’educazione dei propri figli (art. 30 Cost.). l’inserimento del minore nella famiglia affidataria non venga vissuto come la risoluzione del problema, con abdicazione da parte del servizio sociale dalla responsabilità di aiutare la famiglia d’origine ad affrontare le proprie carenze e inidoneità per superare ostacoli temporanei o per acquisire le competenze genitoriali necessarie per crescere adeguatamente i propri figli il progetto di affidamento sia governato da un servizio sociale che, prendendo le distanze dall’improvvisazione, realizza una misura d’aiuto flessibile, lungimirante, aderente alle singole specificità.  

Art. 4 commi 1 e 2 L'affidamento familiare è disposto dal servizio sociale locale, previo consenso manifestato dai genitori o dal genitore esercente la responsabilità, ovvero dal tutore, sentito il minore che ha compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento. Il giudice tutelare del luogo ove si trova il minore rende esecutivo il provvedimento con decreto. Ove manchi l'assenso dei genitori esercenti la responsabilità o del tutore, provvede il tribunale per i minorenni. Si applicano gli articoli 330 e seguenti del codice civile.

Art. 4 comma 3 Nel provvedimento di affidamento familiare devono essere indicate specificatamente le motivazioni di esso, nonché i tempi e i modi dell'esercizio dei poteri riconosciuti all'affidatario, e le modalità attraverso le quali i genitori e gli altri componenti il nucleo familiare possono mantenere i rapporti con il minore. Deve altresì essere indicato il servizio sociale locale cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza, nonché la vigilanza durante l'affidamento con l'obbligo di tenere costantemente informati il giudice tutelare o il tribunale per i minorenni, a seconda che si tratti di provvedimento emesso ai sensi dei commi 1 o 2.

…segue Il servizio sociale locale cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza, nonché la vigilanza durante l'affidamento, deve riferire senza indugio al giudice tutelare o al tribunale per i minorenni del luogo in cui il minore si trova, a seconda che si tratti di provvedimento emesso ai sensi dei commi 1 o 2, ogni evento di particolare rilevanza ed è tenuto a presentare una relazione semestrale sull'andamento del programma di assistenza, sulla sua presumibile ulteriore durata e sull'evoluzione delle condizioni di difficoltà del nucleo familiare di provenienza.

Intervento del GT   Il provvedimento dei servizi – di tipica natura amministrativa - viene reso esecutivo dal giudice tutelare. Tale intervento è volto a garantire il controllo circa la legittimità del provvedimento, e la regolarità della procedura seguita.

Compito del giudice tutelare Verifica i presupposti dell’affidamento, e quindi la situazione di disagio temporaneo, onde scongiurare il rischio che attraverso il detto istituto si tenda a fronteggiare una situazione più grave, di vero e proprio pregiudizio per il minore, nel qual caso sarà negata l’esecutività del provvedimento, con contestuale trasmissione degli atti al tribunale per i minorenni per gli interventi di propria competenza

Perché? Bisogna praticamente evitare che l’affidamento familiare nasconda un’adozione mascherata, anche e soprattutto in virtù del fatto che tutto si gioca sulla temporaneità o meno della situazione di disagio familiare.  

Consenso dei genitori Poiché l’affidamento familiare consensuale è misura amministrativa, disposta da un ente che è privo di poteri coercitivi limitativi della responsabilità genitoriale, ne deriva inevitabilmente che, perso il consenso, verrà meno anche la validità dell’affidamento stesso. Pertanto o il servizio sociale saprà ricreare le condizioni perché i genitori possano esprimere un nuovo consenso, con la formulazione di un nuovo progetto, oppure, come spesso accade, perdurando le valutazioni di inidoneità dell’ambiente familiare, il permanere del minore fuori dalla sua famiglia dovrà trovare giustificazione in un provvedimento dell’autorità giudiziaria.

Dissenso dei genitori Quando, invece, il progetto dei servizi non raccoglie il consenso dei genitori, o di entrambi i genitori, provvede il tribunale per i minorenni L’intervento del giudice minorile in questo caso è chiaramente finalizzato a superare il dissenso dei genitori, o di uno di essi, supplendo appunto, al mancato consenso. Ciò significa che per tutto il resto l’iter formale e sostanziale è lo stesso di cui all’affidamento consensuale, come viene ben chiarito dai commi successivi dell’articolo 4 della legge 184/83.

Intervento del TM Il tribunale per i minorenni interviene solamente per colmare il vuoto creato dal mancato consenso dei genitori; per il resto, il decreto emesso recepirà l’originario progetto predisposto dal servizio sociale, previa, chiaramente, verifica dei presupposti legittimanti l’affidamento stesso.

Durata dell’affidamento La norma pone un termine massimo per l’affidamento in questione, previsto in 24 mesi; termine che può essere prorogato nel caso si ritenga che la sospensione possa danneggiare il minore, nel senso che la situazione della famiglia d’origine non è migliorata, per cui l’eventuale rientro del minore potrebbe tradursi in un regresso del suo percorso di crescita.

Proroga La proroga va sempre pronunciata dal tribunale per i minorenni. La valutazione cui è chiamato il tribunale, in questo caso, investe la situazione complessiva e del minore e della sua famiglia biologica, dovendosi esaminare, o meglio riesaminare gli aspetti di difficoltà e inidoneità dell’ambiente familiare, soprattutto con riguardo alla possibilità concreta di recupero in tempi brevi.

Collocamento in struttura Ove non sia possibile l’affidamento eterofamiliare, è possibile ricorrere al collocamento in comunità caratterizzate da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli famigliari Il collocamento in istituto di assistenza pubblico o privato è consentito solo in mancanza di comunità di tipo famigliare ed esclusivamente per bambini che abbiano compiuto i sei anni (ed in ogni caso non più attuabile a decorrere dal 31.12.2006) L’ordine di preferenza descritto risponde al riconosciuto diritto del minore di sviluppare comunque la propria personalità attraverso relazioni familiari o di tipo familiare.

Soluzioni intermedie che si collocano tra l’aiuto e l’allontanamento - comunità mamma-bambino (con funzioni di guida alla genitorialità, tutela del minore e verifica delle relazioni e delle capacità genitoriali); - comunità genitori-bambino (utilizzata esclusivamente per genitori tossicodipendenti con funzioni, terapeutiche e riabilitative, ma anche con funzioni di guida alla genitorialità, tutela del minore e verifica delle relazioni e delle capacità genitoriali); - affidamenti parziali a famiglie di “appoggio” - convitto, comunità diurne, semiconvitto;

Soluzioni miste comunità collegate a reti familiari comunità più ampie con al loro interno microstrutture a carattere familiare (dove un contesto familiare o di tipo familiare interagisce con una struttura di tipo comunitario).

Affidamenti sine die? Il provvedimento del TM non ha limiti di durata

Affidamento a parenti È sempre possibile l’affidamento di un minore, da parte dei genitori, a parenti entro il 4° grado (art. 9 commi 4 e 5 legge 184/83) Non vi è bisogno di alcun provvedimento formale. Anche se, spesso, anche tale tipo di affidamento, se prolungato, viene formalizzato con un provvedimento.

Ratio della norma L’affidamento al parente entro il quarto grado è preferito dal legislatore a qualsiasi altro affidamento extragenitoriale.

Affidamento ad estranei Non oltre 6 mesi, dopo i quali è necessario segnalare la situazione al PMM

Situazione ritenuta a rischio. Se infatti per un verso il collocamento altrove del minore rientra fra i poteri del genitore di comprimere i diritti di personalità del figlio, ivi compreso il diritto di quest’ultimo a crescere nella sua famiglia per altro verso tale compressione non può porsi in contrasto con il preminente diritto del minore a crescere e svilupparsi in modo armonico, integrando in tal caso un abuso o un possibile abbandono meritevoli di essere valutati dall’AG minorile.