Nella Bibbia il nome di una persona ne esprime l’identità. Ognu­no di noi è un nome e un volto. Questo anonimo è dunque presentato come in ricerca: del.

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Transcript della presentazione:

Nella Bibbia il nome di una persona ne esprime l’identità. Ognu­no di noi è un nome e un volto. Questo anonimo è dunque presentato come in ricerca: del proprio nome e mosso da desiderio di senso.

La ricerca di questa persona è al contempo spirituale e uma­na. Egli chiede che cosa deve fare per avere la vi­ta eterna: è dunque mosso da una ricerca spiritua­le, ma di fatto è anche in ricerca di sé, della pro­pria identità espressa al meglio dal proprio nome.

Certo, viene espressa verbalmente solo la ricerca spirituale, ma dietro a essa, nel non-detto, nell’i­nespresso, vi è un’umanissima ricerca di sé.

I mec­canismi di sublimazione sono sempre in agguato: ci si presenta con una ricerca spirituale, si pronun­ciano parole spirituali, ma si tacciono la sete e la carenza, la sofferenza e il bisogno umano, che for­se non si sa neppure riconoscere, verbalizzare ed esprimere.

Ci si presenta cercando l’assoluto, ma si nasconde il proprio desiderio, che Gesù tenterà di far emergere. La ricerca di quest’uomo si espri­me nel suo correre da Gesù, nel suo prostrarsi da­vanti a lui, nel suo interrogarlo (v. 17: «Che cosa devo fare...?»).

In questo vi è anche la contraddittorietà propria di chi non ha ancora un’iden­tità stabilita: egli mostra zelo ed entusiasmo, ma al contempo svela anche l’incertezza, il dubbio, il non sapere come muoversi, il non sapere che pas­si fare e che direzione prendere: «Che cosa devo fare?».

La ricerca si esprime essenzialmente come domanda: lasciare spazio all’altro è lasciare spa­zio alle sue domande, farlo sentire accolto in tut­te le sue domande.

Nessuna fretta di dare risposte, nessuna presunzione di avere sempre la risposta da dare: meglio, molto meglio, lasciare all’altro lo spazio di dirsi e di domandare.

La reazione di Gesù alla domanda del suo interlocutore è una contro-domanda che lo guida ad andare a fondo della sua ricerca e di se stes­so.

Qui vi è la sfida: risalire dalle domande che l’altro pone alla domanda che l’altro è.

Gesù non agisce come forse agirebbero oggi molti educatori e pastori - che sfrutterebbero la domanda sul «che fa­re» impiegando quella persona come forza-lavo­ro nelle molteplici attività pastorali, parrocchia­li o assistenziali -, ma intende l’oblatività e la ge­nerosità della persona come l’espressione del de­siderio di ex-sistere, cioè di uscire da sé per trova­re la propria identità nell’incontro e nella relazio­ne con gli altri. Ecco la domanda che ognuno di noi è.

La domanda è richiesta di luce, di orienta­mento, e orientarsi vuol dire volgersi a est, là dove sorge il sole. Questa luce la persona in ricerca do­vrà saperla trovare in sé: spesso noi non siamo co­scienti delle risorse e potenzialità che ci abitano.

Nel nostro testo, Gesù si comporta come colui che genera, fa nascere, che mette in atto una maieuti­ca: Gesù cerca di destare l’altro alla coscienza dei doni e delle risorse che ha già in sé. Qui emerge il «maestro» cercato da questa persona.

Maestro, insegnante, è colui che fa segno, che dà vita, che trasmette vita, che consegna simboli per interpretare la realtà e per orientarsi in essa.

Il maestro sa tra­smettere un’eredità. Non è colui che si sostituisce all’altro dicendogli che cosa deve fare o che scelte deve compiere.

 Anzi, è colui che fa nascere nell’al­tro la fiducia in se stesso, la fiducia di avere tutta la capacità per scegliere, decidere e reggere la pro­pria esistenza.

Antoine de Saint-Exupéry ha scrit­to: «Se vuoi costruire una nave, non cominciare a ordinare alle persone: tu fa’ questo, tu porta il le­gname, tu lavora alla vela, ecc., ma risveglia in lo­ro la nostalgia del viaggio, racconta loro la bellez­za del mare, instilla in loro l’amore per gli orizzon­ti sconfinati del mare aperto».

Se sorge questa pas­sione, allora verrà costruita la nave. E nella gioia, non per dovere.