Azione collettiva, norme e istituzioni Elster, capitoli XII, XIII, XV UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BRESCIA FACOLTA’ DI ECONOMIA Corso di Sociologia economica 2010-2011 Copertina Copertina Azione collettiva, norme e istituzioni Elster, capitoli XII, XIII, XV In questa lezione vedremo come sia difficile pensare che la cooperazione sociale possa costituire un fatto normale e diffuso nelle società a partire dal solo comportamento auto-interessato degli individui. Come sottolineano Elster e Gambetta, le norme sociali rafforzano i meccanismi della reciprocità, essenziali non solo alla cooperazione ma anche alla competizione sociale regolata (quella tipica dell'azione economica di mercato). L'azione umana dunque non può essere spiegata solo dal modello della scelta razionale, un'altro meccanismo essenziale è quello dell'agire normativo istituzionalizzato. Vedremo dunque: innanzitutto le differenze tra meccanismo della scelta razionale e meccanismo normativo; quindi ci soffermeremo sul funzionamento del sistema normativo-istituzionale con riguardo all'azione umana e soprattutto ai problemi di azione collettiva; infine cercheremo di introdurre qualche elemento problematico sul rapporto tra i due meccanismi.
La bandiera vivente Possiamo inziare dalla bellissima storia di Lake Wobegon Days riportata da Elster (p. 151: leggere). Siamo in presenza di un classico problema di azione collettiva: se tutti insieme vanno sul tetto o guardano nello specchio, la bandiera (il beno collettivo prodotto dalla loro cooperazione) si disfa e non c'è più nulla da vedere. E' una situazione che ricorda da vicino il dilemma del prigioniero anche se in questo caso è un gioco con n giocatori anzichè due soli. Un'altro esempio efficace è quello di una costituenda Associazione Bresciana Studenti di Economia e Commercio rivolta all'ottenimento di maggiori servizi per gli studenti. L'associazione ovviamente chiede risorse per lo svolgimento della sua azione di pressione e propaganda. Tutti gli studenti si iscriveranno volontariamente? Per lo studente animato da razionalità (individuale) sarà molto più vantaggioso lasciare che gli altri si impegnino, godendo poi degli obiettivi raggiunti dal cui utilizzo non può essere escluso nessuno. In questi due esempi vi sono racchiusi due importanti concetti: (1) quello di bene pubblico e (2) quello di free-rider. Vediamoli meglio.
I "beni pubblici" e il free-rider Un bene pubblico viene definito come un bene tale che, se un qualsiasi individuo di un gruppo lo consuma, ciò non può essere praticamente impedito dagli altri di quel gruppo. In altre parole, quelli che non pagano per quel bene non possono essere esclusi dal partecipare al consumo del medesimo, come accade quando si tratta di beni privati. Mancur Olson Gli esempi di bene pubblico sono numerosi: dal classico "faro" che indica una secca o uno scoglio in mare, alla difesa militare di un territorio, alle infrastrutture di una città (strade, illuminazione), ad un parco pubblico. In verità accanto a beni pubblici puri esistono beni che hanno un grado di pubblicità più o meno spinto (dai quali cioè è possibile - ma più o meno costoso - escludere coloro che non hanno contribuito alla loro produzione). Il free-rider è l'opportunista, lo scroccone che utilizza un bene senza aver contribuito a produrlo. Siamo qui dinnanzi emblematicamente al fallimento della razionalità individuale: il free-rider si comporta in modo del tutto razionale: se gli altri collaborano alla produzione del bene, egli potrà massimizzare la sua utilità (beneficiando del bene collettivo senza rinunciare alle risorse necessarie per ottenerlo). Eppure se tutti si comportano razionalmente e non collaborano il bene collettivo non si produrrà (come nel caso della bandiera vivente). Da queste considerazioni Olson deriva il suo famoso paradosso: ovvero l'improponibilità dell'azione collettiva intrapresa a partire dal comportamento razionale e auto-interessato dei singoli. Free-rider
Il paradosso di Olson Individui razionali, auto-interessati, non agiranno per ottenere il loro interesse comune o di gruppo, a meno che: il numero di individui di un gruppo sia molto piccolo, o vi sia coercizione (incentivi selettivi negativi), o qualche speciale accorgimento per fare sì che gli individui agiscano nel loro interesse comune (incentivi selettivi positivi). Secondo Olson non vi potrà essere nessuna azione collettiva spontanea per la produzione di un bene pubblico "puro". L'Associazione degli studenti . non otterrà contributi volontari se si limiterà a perseguire obiettivi pubblici (come luoghi comuni di ritrovo o appelli mensili); la bandiera vivente non si riuscirà più a realizzare senza un divieto di guardare o un vincolo a turni precisi (stabiliti in via d'autorità o tramite una lotteria). Secondo Olson, solo a tre condizioni si può dare azione collettiva a partire da individui auto-interessati. La prima condizione è la presenza di un gruppo ristretto di produttori/consumatori del bene pubblico: se il gruppo è poco numeroso, tutti sono in grado di comprendere che la loro defezione determinerà il fallimento dell'azione collettiva e se tutti sono interessati al bene pubblico che ne consegue saranno indotti alla collaborazione. La seconda condizione è data dalla possibilità di coercizione, dalla possibilità cioè di comminare incentivi selettivi negativi a coloro che non collaborano: il costo della coercizione modificherà le convenienze dell'attore razionale auto-interessato e lo indurrà a collaborare. In questo senso agirebbe il "divieto di guardare" se fosse possibile sanzionare chi non lo rispetta. In questo senso agiscono le sanzioni istituzionali nei confronti di coloro che non pagano le tasse. Ma sempre in questo senso agiscono le sanzioni negative che possono derivare dall'ostracismo sociale che circonda gli opportunisti (importanza del controllo sociale nel permettere la produzione dei beni pubblici: cfr. avanti). La terza condizione è data dalla possibilità dei gruppi o delle associazioni di incentivare in modo selettivo positivo la partecipazione: la nostra Associazione studentesca. potrebbe offrire per incentivare il pagamento della quota di iscrizione beni di carattere privato (beni di cui he solo coloro che hanno pagato potranno beneficiare) come feste in discoteca, assistenza agli studenti contro "ingiustizie" di trattamento da parte dei professori, ecc.
Il "dilemma del prigioniero" con molte persone Vantaggio per non cooperatore Vantaggi C Vantaggio medio B Come ricorda Elster, riprendendo il risultato principale del lavoro ormai classico di Olson, "cooperare significa agire contro il proprio personale interesse in un modo che avvantaggia ciascuno se alcuni - o forse tutti - agiscono in quella maniera" (p. 153). [E si noti che in questo senso cooperare è qualche cosa di più che coordinarsi: come abbiamo visto per gli equilibri delle convenzione il coordinamento non comporta di per sè agire contro il proprio interesse]. Per rappresentare questa situazione - che altro non è che un dilemma del prigioniero con n giocatori al posto di due - si può ricorrere all'efficace formalizzazione adottata da T. Schelling e ripresa dallo stesso Elster. La figura riportata nel lucido riporta due linee in grassetto. La più bassa (AB) rappresenta i vantaggi attesi dei cooperatori (cioè coloro che fanno ciò che è meglio per tutti se ciascuno si comporta in tal modo); mentre la superiore (OC) rappresenta i vantaggi dei non cooperatori. I benefici attesi variano ovviamente in funzione del numero di cooperatori (nel senso che si può ritenere che cooperatori addizionali accrescano il valore del bene prodotto o la probabilità che tale bene diventi accessibile). Che la non collaborazione sia individualmente razionale è illustrato dal fatto che la linea delle ricompense per i non collaboratori è nettamente più alta di quella dei collaboratori (OC > AB). Che per tutti sia meglio se ognuno coopera piuttosto che non lo faccia risulta dal fatto che B è più in alto di O. Come nel dilemma del priogioniero a due persone, il vantaggio maggiore C è ottenuto dal non collaboratore unilaterale (free-rider); mentre il risultato peggiore A tocca al cooperatore unilaterale. Se ci sono almeno D persone che collaborano, esse miglioreranno la loro situazione più di quanto accadrebbe se nessuno lo facesse. La linea sottile indica il vantaggio medio di tutti i membri del gruppo a seconda del numero di cooperatori. Tale linea deve partire da O e terminare in B. O D Numero di cooperatori A Vantaggio per cooperatore
Varianti al "dilemma del prigioniero" con molte persone L’eccesso di cooperazione è negativo: pulizie dopo un party Collaborazione unilaterale negativa: disarmo unilaterale Molti altre situazioni possono essere rappresentate con il formalismo grafico sin qui utilizzato. Di un certo interesse, oltre al caso (A) del presente lucido che rappresenta una situazione in cui azioni di collaborazioni unilaterali nuocciono a tutti (è il caso del disarmo unilaterale), sono i casi (B) e (C). Nel primo gli ultimi collaboratori vanificano in parte il lavoro dei primi (e il risultato è peggiore che se un certo numero si fosse comportato da free-rider); nel secondo in modo ancor più radicale la situazione è peggiore per tutti se ciascuno collabora. Esempi non sono difficili da trovare: per il caso (B) possiamo pensare alle pulizie dopo un party, alla volontà di tutti di far parte dell'esercito durante una battaglia, o alle conseguenze negative di un eccesso di partecipazione nell'aiuto alle popolazioni colpite da un disastro. Per il caso (C) valgono esempi analoghi con conseguenze non intenzionali negative tali da annullare gli stessi effetti positivi (nel caso del party la distruzione ad esempio del prato e non solo l'intralcio reciproco). Questi esempi sono interessanti soprattutto perchè ci fanno capire come in molti casi concreti i problemi che debbono essere risolti per ottenere una azione collettiva efficace non sono solo quelli della cooperazione, ma anche quelli del coordinamento: il problema non è solo quello di far partecipare all'azione il maggior numero possibile di persone ma talvolta anche quello di escluderne alcuni. Il problema cioè - difficile da far capire e da gestire - di chi possa essere autorizzato a comportarsi da free-rider (anche se in questo caso non si tratta propriamente di un free-rider). La cooperazione produce un effetto negativo (perverso): distruzione del prato dopo il party
Soluzioni centralizzate e decentralizzate istituzioni incentivi selettivi Ma una soluzione centralizzata è essa stessa un bene pubblico Abbiamo già visto come le soluzioni dei problemi di azione collettiva possono essere di due tipi: centralizzate o decentralizzate. Del primo tipo sono le soluzioni istituzionali (che impongono in via di autorità delle sanzioni - o incentivi selettivi negativi - a chi intenda sottrarsi alla partecipazione) o organizzative (che sono in grado di comminare incentivi selettivi positivi). Del secondo sono le soluzioni via mercato o via contrattazione. E' interessante notare come di fronte a problemi congiunti di cooperazione e di coordinazione (in situazioni cioè dove la collaborazione universale è indesiderabile) le uniche soluzioni efficienti sono quelle centralizzate. Le soluzioni decentralizzate è probabile infatti che generino una partecipazione o eccessiva o insufficiente. Solo quelle che possono contare su una agenzia in grado di coordinare la partecipazione e di trasferire i costi a tutti potranno essere efficaci. Eppure sono le soluzioni decentralizzate quelle che hanno ricevuto maggiore attenzione, in quanto le soluzioni centralizzate - a ben vedere - sono loro stesse il risultato di una azione collettiva (sono dei beni pubblici). Assicurare infatti il consenso (o la forza) ad una istituzione (o organizzazione) centrale richiede la collaborazione di tutti (o della maggior parte) degli interessati. Come dunque si potrà generare una soluzione istituzionale se valgono le riserve di Olson alla cooperazione da parte di soggetti razionali e auto-interessati? Questo quesito ha impegnato a lungo (e ancora impegna) la riflessione delle scienze sociali. Soluzioni decentralizzate: mercato negoziazione Le soluzioni centralizzate sono efficaci anche quando la collaborazione universale è indesiderabile
La cooperazione per effetto dell'egoismo La soluzione di Axelrod: gioco ripetuto strategia "colpo su colpo" Ma soprattutto nei giochi a n persone sono necessarie almeno tre condizioni: Axelrod ha affrontato il problema della possibilità che la cooperazione possa emergere spontaneamente da individui auto-interessati. La sua tesi è ottimista e deriva dall'introduzione dei giochi ripetuti. Sino ad ora abbiamo considerato giochi a due o a n persone ma sempre a una mossa sola e simultanea (one shot). Le situazioni di interazione sociale sono invece quasi sempre ripetute e secondo Axelrod questa condizione è essenziale per l'emergere spontaneo della cooperazione. Un giocatore coinvolto in un gioco ripetuto non avrà infatti interesse a defezionare se l'altro collabora e se ha interesse (come ha interesse) ai risultati dell'azione collettiva. Ci si può aspettare dunque che la strategia ottimale in giochi tipo dilemma del prigioniero ripetuti sia quella di collobarare finchè l'altro collabora e di defezionare solo nel caso in cui l'altro defezioni (per punirlo e insegnarle il valore della collaborazione). Axelrod prova la validità della sua tesi in modi diversi: attraverso un torneo di programmi computerizzati (dove chi gioca la strategia colpo su colpo vince) o con esempi (il più efficace essendo quello della collaborazione spontanea tra soldati nemici in trincee vicine). Molti studi successivi hanno comunque mostrato come siano necessarie condizioni assai impegnative perchè in situazioni reali si possa dare cooperazione. Ciò è dovuto soprattutto al fatto che le situazioni reali di interazione sociale sono giochi ripetuti a n persone e non a due (come nel caso analizzato da Axelrod). Ciò rende innanzitutto più difficile l'esercizio del controllo sui comportamenti defezionistici altrui e richiede che: (1) i giocatori non siano troppo miopi (e scontino perciò esponenzialmente il futuro con effetti che vanificano il valore presente della cooperazione futura); (2) i vantaggi della cooperazione siano abbastanza consistenti e il costo di una azione cooperativa unilaterale non troppo penalizzante; (3) infine che ciascun partecipante al gioco possa attendersi comportamenti razionali da parte degli altri (quindi una certa dose di fiducia, intesa come probabilità attesa di un comportamento non irrazionalmente dannoso da parte dei partner dell'interazione). 1. che gli individui non siano eccessivamen-te miopi; 2. che i vantaggi della collaborazione siano consistenti e le perdite per una azione co-operativa senza reciprocità trascurabili; 3. che vi sia fiducia nella razionalità altrui.
Le critiche al paradosso di Olson Nonostante le difficoltà teoriche qui analizzate, la coope-razione sociale è la norma e non l'eccezione. Le critiche al paradosso olsoniano: il beneficio dell'azione collettiva per un individuo non è la differenza tra il risultato sperato e gli sforzi compiuti ma la somma di queste due grandezze (Hirschman); per la propensione a cooperare non è indifferente l'esistenza o meno di alternative individuali (di mercato) all'azione collettiva (Hirschman); la cooperazione ha luogo quando più motivazioni si rafforzano l'una con l'altra (Elster). Eppure la cooperazione sociale è la norma e non l'eccezione. Divertente è il racconto di Sen al riguardo (p. 163): "Dove si trova la stazione ferroviaria" - "Là", rispondo, indicando la direzione dell'ufficio postale, " e potresti per favore impostarmi questa lettera lungo la strada?" - "Certamente", mi risponde, intenzionato però ad aprire la busta appena me ne sono andato per controllare se in essa vi sia qualche cosa di valore. Sulla base di queste considerazioni sono state mosse molte obiezioni al modello puramente utilitarista dell'azione collettiva. E' questo un passaggio cruciale e che solleva ancora molte discussioni in seno alle scenze sociali. Limitiamoci per il momento a elencare le principali. La prima - di Elster - è puramente empirica e sostiene che alla base dell'azione collettiva vi possano essere motivazioni multiple e non un'unica motivazione (accanto alla motivazione razionale auto-interessata, anche motivazioni normative o emotive). La spiegazione e la previsione deve pertanto tener conto di un menù di opportunità motivazionali complesso. La seconda più radicale è di Hirschman il quale nota come talvolta il cooperare sia di per sè gratificante e anziché come costo si configuri come beneficio della azione collettiva (è il valore espressivo che l'uomo come animale sociale attribuisce in sè all'interazione con i suoi simili). La terza obiezione - dovuta sempre a Hischman - sottolinea come spesso chi decide compia dei confronti non solo intertemporali ma anche tra soluzioni alternative e come l'assenza di alternative individuali (exit) possa favorire l'azione collettiva (voice).
Motivazioni non egoistiche all'azione collettiva Partecipano solo se il loro contributo è necessario e sufficiente Numero partecipanti Utilitaristi Imparziali Utilitaristi Imparziali Tutte le obiezioni raccolte nel lucido precedente tendono ad evidenziare come gli individui umani difficilmente possano essere ridotti a pura razionalità calcolante sulla base di interessi auto-interessati. Come siano sorte le prime norme e le prime istituzioni sociali è difficile da dirsi (ma potrebbero, come abbiamo visto a suo tempo con l'estensione della favola della volpe e l'uva, essere sorte per mero accidente e successiva selezione naturale), resta il fatto che l'uomo è un essere intelligente in quanto opera dentro la società e le sue istituzioni. Ciò non annulla gli importanti risultati della teoria olsoniana ma li colloca in un contesto di motivazioni assai più ricco, dove elementi individuali auto-interessati, credenze frutto dell'esperienza idiosincratica e della cultura, norme e istituzioni giocano una complessa partita nel determinare la propensione alla cooperazione o al comportamento opportunista. In questo senso Elster tratteggia un meccanismo più realistico di innesco e accumulo di un processo cooperativo, distinguendo tre tipi caratteriali con motivazioni a partecipare di tipo diverso. I kantiani, per i quali la motivazione a cooperare è data dalla risposta alla domanda dell'imperativo categorico kantiano: "ma che cosa accadrebbe se ciascuno agisse così?" Sono i portatori di un'etica della convinzione per la quale non importano nè i risultati nè le circostanze, solo i principi. Gli utilitaristi (o forse meglio solidaristi strategici), portatori invece di un'etica della responsabilità e per i quali i risultati contano e le circostanze debbono essere valuate. Costoro parteciperanno solo a condizione che la loro partecipazione sia necessaria e sufficiente (non partecipano se molti partecipano o se nessuno partecipa). Infine gli imparziali che agiscono sulla base di un principio di giustizia distributiva: è doveroso fare la propria parte solo se anche gli altri fanno lo stesso. I kantiani (fascia sempre presente ma in misura limitata in tutte le società) potrebbero agire da stimolo o catalizzatore degli utilitaristi (i quali in presenza dei kantiani potrebbero ritenere la loro partecipazione necessaria e sufficiente). La somma di kantiani e utilitaristi mobilitati potrebbe agire sugli imparziali (per i quali diventa doveroso partecipare) e produrre così una azione collettiva significativa (ad esempio uno sciopero, una mobilitazione politica). Ma quando all'azione si aggiungono cumulativamente gli imparziali, tende a venir meno la necessità di partecipazione degli utilitaristi e dopo di questi viene meno anche quella degli imparziali. Ciò potrebbe spiegare molti andamenti ciclici dell'azione collettiva. Partecipano se anche gli altri lo fanno Kantiani Tempo Che cosa accadrebbe se ciascuno si comportasse così
I dilemmi dell’azione collettiva e le istituzioni Quanto sin qui visto sulle difficoltà (ma anche sulla possibilità nono-stante tutto) dell’azione collettiva, ha uno stretto legame con il tema che adesso dovremo affrontare delle istituzioni. Sotto un duplice aspetto: le istituzioni servono per ovviare alle difficoltà dell’azione collettiva; ma le istituzioni sono a loro volta “beni pubblici” che sem-brano richiedere una azione collettiva per essere prodotte.
Principi, norme e istituzioni I princìpi sono l'interpretazione per-sonale delle norme, consuetudini o modelli di comportamento che ca-ratterizzano una società. I princìpi che regolano le nostre decisioni servono a dare conti-nuità e prevedibilità ai nostri corsi di azione. I princìpi a cui, come abbiamo visto, si ispirano le nostre decisioni servono a dare continuità e prevedibilità ai nostri corsi di azione. Continuità nel senso di vincolarci rispetto all'inversione di preferenze (cfr. lezione 8 lucidi 7 e 8) e alla conseguente tentazione di abbandonare anzi tempo corsi di azione intrapresi. In questo senso i principi hanno una funzione intra-personale. Prevedibilità nel senso di rendere certi i nostri comportamenti agli altri (anche a fronte di tentazioni o convenienze sopravvenute) e di permettere così forme di interazione e cooperazione stabili: funzione inter-personale. Ma da dove prendiamo i nostri princìpi? I princìpi ci derivano dalla società: sono il versante interno delle norme, consuetudini e modelli di comportamento vigenti in una certa società. Sono il versante interno in quanto noi interpretiamo sempre le norme sociali: le interpretiamo perchè abbiamo la necessità di applicarle a fattispecie concrete, le interpretiamo perchè possono anche esistere norme sociali in contrasto tra loro (conflitti o tensioni di ruolo). In questo senso sentiamo spesso l'esigenza di consigliarci con gli altri (gli amici dell'esempio) o di non confrontarci con gl altri (i genitori): perchè il processo di applicazione delle norme ha sempre una componente di discussione (esplicita o implicita) di tipo interpersonale. In questo senso i princìpi sono condizionati dalle norme, ma di fronte a situazioni "aperte" le nostre interpretazioni e - di conseguenza - la definizione che diamo di appropriatezza di un'azione in quella determinata situazione possono influire sui processi sociali di negozazione delle norme medesime. La sociologia definisce le istituzioni come un'insieme di norme che regolano un particolare sotto-sistema sociale (la famiglia, la scuola, lo stesso mercato, ecc.). In senso forte (quello adotttato da Elster) le istituzioni si caratterizzano in particolare per il fatto di rafforzare le norme attraverso un sistema di premi o sanzioni nei confronti di coloro che le applicano o le violano. Costituiscono per tanto l'elemento che conferisce attendibilità all'azione umana rendendo più costosa la violazione di un principio. Non si deve però dimenticare che i meccanismi di sanzione delle istituzioni debbono godere di un riconoscimento da parte di coloro a cui si applicano (le istituzioni debbono essere riconosciute come legittime) e che tale legittimità non può prescindere dai contenuti normativi delle istituzioni stesse. Vedremo come questa duplice dialettica tra principi soggettivi e norme sociali e tra norme e istituzioni è di fondamentale importanza nei processi di mutamento sociale. Le istituzioni sono l'insieme delle norme che regolano un sotto-insieme della società e ne raffor-zano l'applicazione.
Devo andare o no all'appuntamento? Mi interessa? SI Ma viola qualche mio principio? Forse sì Cosa diranno gli altri (genitori,amici)? Che non è appropriato Per introdurre l'argomento, torniamo per un momento all'esempio con cui abbiamo iniziato questo corso e mettiamoci nei panni non di chi ha aspettato inutilmente ma di chi ha preso la decisione di non andare. Supponiamo anche che all'origine del processo di scelta (difficile) che ha accompagnato la decisione vi sia un interesse sicuro (la proposta di appuntamento, supponiamo per un week end in campagna, con quella persona mi farebbe di sicuro piacere). Ma basta questo? Quando prendiamo decisioni siffatte (vale dire buona parte delle decisioni) ci limitiamo a considerare la convenienza dell'alternativa a fronte delle nostre preferenze? E' assai probabile che voi conveniate con me che anche di fronte ad un interesse forte e indiscusso qualche altra considerazione venga fatta e pesi nella nostra decisione finale. Ad esempio è probabile che (in maniera più o meno sistematica) ci si chieda se l'intraprendere quel corso di azione sia conforme o meno con qualche nostro principio. Per principio intendo qui un qualsiasi criterio che abbia per noi una valenza generale (che si possa applicare ad una intera classe di azioni e non invece ad una singola, specifica azione). Se l'unico nostro principio fosse quello di fare sempre quello che ci piace, non dovremmo avere problemi e andremmo assai probabilmente all'appuntamento. Ma tutti sappiamo che non è mai così semplice: qualche altro principio (non ispirato al puro piacere) entrerà probabilmente in gioco. Sarà bene accettare l'invito di un quasi sconosciuto? oppure sarà bene uscire con un ragazzo/ragazza molto più grande o di un altro ceto? oppure sarà bene passare due giorni soli con un ragazzo/ragazza? Spesso non è facile darsi una risposta univoca, e non solo perchè sulla decisione pesa il nostro interesse a dire si. In questi casi spesso possiamo chiederci tra noi (o chiedere espressamente) il parere di altri. Come se gli altri potessero giudicare in modo più sereno o comunque ritornarci una valutazione più oggettiva dei principi in gioco (ruolo degli amici come confidenti - oppure dei genitori a cui si racconta la classica bugia). Se l'esito del giudizio è negativo (l'azione non è appropriata), possiamo sempre tentare di trovare un qualche altro principio (possibilmente più forte) che la giustifichi o (se più debole) che almeno ne attenui la forza del divieto. Infine non ci resta che o violare consapevolmente i nostri principi o rinunciare all'azione desiderata. Posso giustificarlo o sono disposto a passare sopra? NO
Azione consequenziale o azione appropriata? 1. Che desideri ho? 2. Che alternative ho? 3. Le alternative di cui dispongo che conseguenze hanno sui miei desi-deri? 4. Scegli l'alternativa che presenta le conseguenze migliori. 1. Chi sono io? 2. Che tipo di situazione è questa? 3. In questa situazione quanto sono appropriate per me le diverse azioni? 4. Fa ciò che è più appropriato. Non è difficile riconoscere nel modello decisionale di sinistra lo schema tipico dell'azione razionale che abbiamo analizzato all'inizio (desideri, opportunità, criterio di massimizzazione del risultato). Lo schema di destra invece definisce la tipica procedura decisionale che contraddistingue le azioni di tipo normativo. In questo caso non ci si chiede quale sia la conseguenza dell'azione rispetto ad un determinato obiettivo, piuttosto se l'azione che si intende intraprendere sia appropriata, data la situazione e date le norme che definiscono i comportamenti attesi per la categoria di persone a cui si appartiene in quella determinata situazione (concetto di ruolo: ragazzo/a; studente; docente; ecc.). Dall'esempio precedente si può evincere come spesso le due modalità di decisione convivano in maniera conflittuale: vi è quasi sempre una dialettica tra logica consequenziale e logica dell'appropriatezza, anche perchè le norme e i principi che regolano le azioni di ruolo non sono univoci e privi di ambiguità. Una situazione "ben integrata" o, per esprimerci con un termine che abbiamo definito in una lezione precedente, in equilibrio dovrebbe annullare la differenza tra i due tipi di logica e le ambiguità delle regole applicabili. Ma uno stato siffatto è puramente ideale, le società reali si avvicinano più o meno a tale ideale ma ne restano tutte assai distanti. Di qui la difficoltà talvolta nel prendere una decisione che mette in gioco principi diversi. E' comunque importante notare - da subito - come quale che sia il principio che faremo prevalere saremo in futuro maggiormente legati a quel principio e dovremo dentro noi stessi riconoscergli un peso condizionante maggiore (a meno che le conseguenze dell'azione intrapresa sulla base di tale principio si siano rivelate fallimentari). Questa caratteristica dei principi che reggono le nostre azioni è importante per capirne la natura e le funzioni. Le nostre decisioni tengono quasi sempre conto di entrambe queste prospettive: esse sono inestricabilmente intrecciate anche se possono avere un peso diverso a seconda del tipo di decisione e del contesto sociale.
Le istituzioni e la cooperazione sociale Incendio in un teatro affollato Paura Razionalità individuale Corsa verso l'uscita Panico Abbiamo visto come le istituzioni siano un insieme di norme sociali rafforzate nella loro applicazione da un sistema di sanzioni o - comunque - da una autorità a cui si trasferisce il controllo delle azioni individuali. Pur non essendo – come si è visto - l'unico meccanismo per risolvere i problemi di azione collettiva, le istituzioni svolgono una funzione sociale essenziale. Per meglio comprendere tale loro funzione si consideri il seguente esempio tratto da Coleman (uno dei maggiori teorici dell'azione dei nostri giorni). Si supponga l'incendio di un teatro affollato. Purtroppo il più delle volte si ha una conclusione infausta provocata dal panico. La spiegazione usuale in questi casi è di tipo irrazionale (la paura). Coleman fa notare che non è sufficiente appellarsi ad un comportamento razionale per sfuggire ad un esito infausto. Infatti anche se ciascuno si comportasse razionalmente, il panico non potrebbe essere evitato. Anche postulando persone fredde, in grado di valutare razionalmente l'azione migliore per cavarsi di impiccio, il panico si darebbe ugualmente sulla base di una struttura di interazione del tipo "dilemma del prigioniero". Se gli altri si comportano ordinatamente, uno sarà comunque più sicuro se si sarà lanciato verso una uscita; mentre se gli altri non sono ordinati non vi sarà comunque nulla da perdere lanciandosi verso un'uscita e sperando nella fortuna. Talvolta tuttavia il panico non si realizza. Perchè? Quasi sempre essenziale è la presenza o di regole che vincolano il comportamento in casi siffatti (si ricordi la regola per l'evacuazione delle navi: "prima le donne e i bambini"; le regole che il personale di bordo ci ricorda prima di ogni viaggio aereo; le regole di comunanza e solidarietà nel caso in cui sia una famiglia o un gruppo di amici che si trovi intrappolato) oppure di un qualcuno a cui venga riconosciuta una qualche autorità nel coordinare l'uscita (il direttore del teatro, ma forse più efficacemente un attore famoso e carismatico). Si noti come in questi casi paura e comportamento auto-interessato siano molto simili per natura ed effetti prodotti: rispondono nel caso specifico ad un istinto naturale per la sopravvivenza, di per sé non sbagliato o negativo, ma tale da produrre una conseguenza non voluta. I meccanismi che cercano di opporsi agli effetti perversi provocati dall'interazione di istinti naturali di sopravvivenza debbono essere molto forti. Le regole debbono essere sentite esistenzialmente o socialmente come molto profonde e vincolanti; chi cerca di esercitare un ruolo di coordinamento deve poter godere di una elevata credibilità nei confronti di chi si mette nelle sue mani. Trasferimento del controllo Uscita ordinata
Le "risorse" istituzionali Le istituzioni intervengono rendendo una attività social-mente indesiderabile più penalizzante per coloro che potrebbero essere tentati di intraprenderla. Per fare ciò ricorrono a: 1. minaccia di sanzioni 2. promessa di incentivi 3. rafforzamento di accordi vincolanti 4. modifica del contesto negoziale 5. definizione di consuetudini di azione In situazioni del tipo di quella descritta nell'esempio precedente, abbiamo visto come le norme o l'autorità debbano essere molto forti per sormontare l'istinto di sopravvivenza (se l'attore che ho sempre ammirato rischia la sua vita e dice che bisogna uscire in ordine di fila, perchè dovrei comportarmi diversamente? se lo facessi verrebbe meno la mia auto-stima). Sempre comunque (anche se le sanzioni esterne non sono come abbiamo visto indispensabili) le istituzioni cercano di rafforzare le norme mediante sistemi vari. Oltre alla minaccia di sanzioni (o incentivi negativi: esplusione, multe, restrizione della libertà individuale mediante l'uso della forza legittima), le istituzioni possono ricorrere ad altri strumenti efficaci. Alla promessa di incentivi positivi, vale a dire a interventi che riducano i costi di un comportamento socialmente positivo: sgravi fiscali per chi fa investimenti o donazioni; sovvenzioni per imprese che investono in aree depresse o università che accettano minoranze, o contadini che allevino o macellino del bestiame. Un altro modo importante di intervenire delle istituzioni è mediante il rafforzamento e la vincolatività dei risultati di accordi spontanei tra le parti. Chi, dopo aver sottoscritto un contatto, non lo rispetti può essere trascinato in tribunale (mentre - si noti - nessuno lo può obbligare a sottoscriverlo). Chi ha contratto matrimonio non può sciogliere tanto facilmente la promessa: in alcuni ordinamenti non lo può proprio se non per gravi vizi (diritto canonico), in altri deve comunque sottostare a regole restrittive (le leggi che riguardano il divorzio). Così a livello internazionale l'ONU può sancire accordi intercorsi tra parti belligeranti (si vedano le recenti azioni di "polizia internazionale"). Elster ricorda infine il fatto che le istituzioni possono anche intervenire per modificare il contetso e dunque le opportunità delle contrattazioni tra persone. Su questo torneremo nel capitolo successivo. Non si sofferma invece (e tradisce così il suo approccio sostanzialmente utilitarista) su un ultimo importante meccanismo di condizionamento da parte delle istituzioni: quello di stabilire delle consuetudini di azione che si impongono spontaneamente in forza della loro usualità o abitudinarietà. Ma anche su questo dovremo tornare tra breve.
Istituzioni e significato dell'azione Ma le istituzioni non sono semplicemente i vincoli all'azione di individui i cui desideri e credenze vengono prima e non hanno nulla a che fare con le istituzioni me-desime. Come hanno mostrato in modo drammatico gli esperi-menti di Milgram (1974): "Gli individui sono propensi ad accettare le linee di condotta indicate dall'autorità legittima. Ciò significa che l'individuo concede all'autorità di definire il significato dell'azione, nonostante sia lui stesso ad effettuarla". Si può proporre qui l'esperimento di Asch (1952) che mostra - seppure in modo meno provocatorio e drammatico di quelli di Milgram - la forza di una maggioranza unanime seppure in errore nel condizionare l'opinione di un individuo. Il modello della razionalità limitata permette di prendere in conto questa forza condizionante delle istituzioni e del conformismo sociale che invece è trascurata dall'approccio utilitarista ortodosso. Ci permette di rendere conto del fatto che le decisioni umane sono prima che una questione di scelta una questione di interpretazione. Le istituzioni allora sopravvivono alla "ruggine" e alla sfida dell'opportunismo perchè vi sono processi sociali (eminentemente politici) che cercano di creare un senso comune, che condizionano credenze e desideri degli individui e costituiscono le pre-condizioni dell'esistere e del riprodursi delle istituzioni. Definizione di istituzione di Dan Sperber (p.78): “Una istituzione è la distribuzione di un insieme di rappresentazioni che è governato da rappresentazioni che appartengono all’insieme stesso” (auto-referenzialità delle istituzioni che tendono perciò ad auto-riprodursi). Per altro questo processo non è totalmente chiuso, gli individui continuano a mantenere una loro autonomia, tanto maggiore quanto minori sono le capacità adattive delle istituzioni. La razionalità individuale, anche se limitata e vincolata dalle routine codificate, non cessa di operare. L'ampiezza e la varietà di regole alternative (che è funzione del grado di integrazione sociale) fa in modo che uno dei fattori primari che influenzano il comportamento sia il processo (soggettivo) mediante il quale in una situazione specifica vengono evocate (a livello di principi e di credenze) alcune regole sociali anziché altre (meccanismi selettivi e attrattivi dell’attenzione). Inoltre l'inefficacia di alcune regole sociali stimola la devianza e la sperimentazione idiosincratica di soluzioni alternative che possono diffondersi e affermarsi attraverso processi di cambiamento sociale.
La "ruggine" delle istituzioni Vincoli alle azioni individuali per pro- durre beni collettivi Istituzioni Individui Abbiamo già visto come le istituzioni (necessarie per superare i dilemmi dell'azione collettiva) siano a loro volta il prodotto dell'azione collettiva (debbano cioè considerarsi beni pubblici). Per un approccio rigorosamente individualista le istituzioni (ancorché si tenda a considerarle come una realtà unitaria) sono fondamentalmente costituite da individui. Ciascun individuo ha degli interessi che possono essere divergenti, mentre la forza di condizionamento delle istituzioni dipende dal consenso che riescono ad aggregare (legittimazione). Per questo nozioni quale quella di "interesse nazionale" o di "volontà popolare" vanno usate con grande cautela. L'unanimità che presuppongono è semmai un'eccezione non certo la regola. In verità le decisioni delle istituzioni vengono spesso deviate e distorte dai comportamenti strumentali e auto-interessati degli individui cui spetta metterli in atto. Tocqueville parla in proposito di "ruggine" a cui tutte le istituzioni sociali sono sottoposte. La forma più visibile di ruggine istituzionale è la corruzione dei pubblici ufficiali. Una forma entro certi limiti più accettabile (se regolata e non occulta) è l'attività di lobbying. E si noti al riguardo che qualsiasi espediente volto a contenere questo processo di corrosione delle istituzioni (la rotazione delle cariche, l'elezione o la scelta a caso dei funzionari, istituzioni di secondo livello, ecc.) è destinato a rendere meno efficiente il funzionamento delle istituzioni e/o a riproporre il medesimo problema ad un livello più alto (chi controllerà i controllori?). Elster arriva ad affermare lungo questa linea di riflessione che le variazioni nel grado di corruzione tra paesi diversi è in larga parte spiegata dal senso civico dei funzionari piuttosto che dal disegno istituzionale che le caratterizza. Questa affermazione tradisce per altro un limite dell'approccio utilitarista alle istituzioni. Ragionando al limite, è impossibile fondare e garantire la permanenza delle istituzioni a partire da azioni razionali auto-interessate. Eppure le istituzioni continuano ad esistere (anche se con le difficoltà che abbiamo visto). Di contro le istituzioni spesso sono sottoposte ad evidenti fenomeni di path dependency. Ovvero eventi contingenti possono mettere in moto regolarità istituzionali che si auto-rinforzano grazie a “rendimenti crescenti di adozione” (Arthur). Una volta adottato uno schema istituzionale (ancorché non massimamente efficiente) comporta crescenti benefici che lo rendono difficilmente sostituibile (con uno più efficiente): fenomeno di lock-in. Ma le istituzioni sono a loro volta condizio-nate dagli individui
Istituzioni e modello “evolutivo” della razionalità limitata Abitudini e routine di azione codificate Effetti dell'azione Azione Capacità critiche e abitudini idiosincratiche E' possibile salvaguardare un approccio individualista senza cadere nelle antinomie del modello della scelta razionale ricorrendo in modo più coerente di quanto non faccia Elster al modello della razionalità limitata. Distinzione di Panebianco tra: (1) istituzionalismo rational choice; (2) istituzionalismo sociologico; (3) istituzionalismo evoluzionista. Per il modello simoniano, l'azione umana è innanzitutto determinata da abitudini, routine o repertori consolidati che permettono di prendere decisioni semplificate e senza doversi misurare di continuo e in modo defatigante con il problema della scelta informata. Gli approcci neo-istituzionalista ed evoluzionista (che dal modello di Simon hanno tratto molti spunti) mettono in luce come tali routine o repertori siano principalmente il prodotto dei processi di istituzionalizzazione sociale, il frutto dei modelli di comportamento codificati dalla cultura dominante (o dalle procedure vigenti dentro una organizzazione). Se le azioni che derivano da tali abitudini codificate culturalmente producono gli effetti attesi, si ottiene la conferma e il rafforzamento del repertorio che le ha generate. Viceversa se l'esito è contro-intuitivo o insoddisfacente si innescherà un processo di differenziazione degli individui dalle istituzioni codificate. Tale processo potrà consistere sia nello sviluppo di pratiche e routine idiosincratiche (determinate cioè dalla propria esperienza personale e non dal sistema sociale di appartenenza) sia nell'attivazione di una azione critica nei confronti delle istituzioni dominanti. Come ci ricorda A. Rorty nella citazione vista possediamo "sia gli abiti dei conservatori che le capacità critiche dei progressisti". La capacità di condizionamento delle istituzioni è dunque variabile e dipende sia dal grado di adeguatezza delle soluzioni codificate sia dall'emergere spontaneo di soluzioni alternative non istituzionalizzate. Per riprendere l'incipit famoso di Tolstoi in Anna Karenina: "Tutte le famiglie felici sono simili l'una all'altra, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo", possiamo dire che la normalità è fatta di routine largamente condivise, è insieme fonte e destinataria delle norme sociali, è base di una felicità che deriva dall'armonia con la società. Ma quando l'armonia si spezza, la ricerca di nuove soluzioni è faticosa, può generare infelicità e soprattutto passa attraverso un percorso tutto particolare. Norme e istituzioni Selezione sociale