La struttura atomica Dal modello atomico di Thomson al modello della meccanica quantistica (Schroedinger)

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Transcript della presentazione:

La struttura atomica Dal modello atomico di Thomson al modello della meccanica quantistica (Schroedinger)

La scoperta dell’elettrone (1897) Thomson riempì un tubo di Crookes con del gas che, sottoposto a scarica elettrica a bassa pressione, emetteva luminescenza che partiva dal catodo e per questo definì raggi catodici. Questa luminescenza, se andava a colpire un mulinello interposto all’interno del tubo, lo metteva in movimento (voleva dire che erano delle particelle con massa); se inoltre veniva sottoposta ad un campo elettrico, veniva attratta dal campo positivo e respinta da quello negativo (voleva dire che erano particelle con carica negativa). Chiamò queste particelle elettroni a cui fu assegnata una carica convenzionale di - 1.

La scoperta del protone (1866) Nell’esperienza di Goldstein, il tubo di scarica usato da Thomson veniva modificato spostando il catodo, opportunamente forato, e ponendo all’interno del tubo un gas rarefatto. Per valori sufficientemente elevati della d.d.p.tra i due elettrodi, G. osservò su di un apposito rivelatore, uno schermo fluorescente posto alla sinistra del catodo, una tenue luminosità. Esso poteva essere interpretata ammettendo che gli atomi del gas presenti all’interno del tubo, per effetto degli urti subiti dagli elettroni provenienti dal catodo, , emettessero a loro volta elettroni, trasformandosi in particelle caricate positivamente. Queste ultime venivano attratte dal catodo e attraverso il foro colpivano il rivelatore. Tali radiazioni, in contrapposizione ai raggi catodici, furono chiamate raggi canale o raggi anodici. Successivamente W. Wienn e J.J.Thomson determinarono la carica e la massa di queste particelle, stabilendo che la loro carica positiva era uguale a multipli interi e piccoli di quella dell’elettrone e la loro massa corrispondeva alla massa degli atomi utilizzati nell’esperienza; in particolare usando l’idrogeno all’interno del tubo, verificarono che le particelle positive che si formavano erano le più elementari, avevano cioè la massa più piccola. Ognuna di esse, infatti, corrispondeva ad una particella unitaria di carica positiva che T. chiamò protone, che vuol dire fondamentale, primo.

Modello a panettone (1903) Nel 1903 Thomson propose un modello che dava dell’atomo l’immagine di una sfera omogenea carica positivamente, all’interno della quale si trovano gli elettroni, come “l’uvetta all’interno del panettone”, senza una disposizione spaziale definita. Il modello di T. non resse a lungo perchè fu messo in crisi dagli esperimenti che un suo allievo, E. Rutherford, condusse a Cambridge. Modello atomico di Thomson

Esperimento di Rutherford (1911) Consiste nel bombardare con raggi  una sottile lamina di oro, osservando su uno schermo fluorescente gli effetti che tali radiazioni producevano dopo averlo attraversato. R. osservò che la maggior parte delle particelle  passavano indisturbate la lamina d’oro, altre venivano deviate ed altre ancora addirittura rimbalzavano. R. immaginò l’atomo come uno spazio vuoto con gli elettroni che si muovevano al suo interno. Solo così si poteva giustificare il fatto che la maggior parte delle particelle  attraversavano indisturbate la lamina d’oro. Al centro, invece, immaginò che vi fosse una porzione di spazio infinitamente piccola rispetto alle dimensioni dell’atomo, il nucleo atomico, che conteneva i protoni. In tal modo si giustificava il motivo per cui soltanto le particelle positive  che passavano in prossimità del nucleo positivo venivano deviate dalla repulsione, mentre quelle che lo centravano rimbalzavano.

Modello atomico planetario In questo modello proposto da Rutherford, l’atomo è strutturato come il sistema solare in cui la materia è concentrata nel nucleo e gli elettroni gli girano intorno. Il nucleo oltre ai protoni presenta anche particelle con carica neutra (i neutroni) che schermano la forza elettrostatica repulsiva rendendo l’atomo stabile. Protoni e neutroni costituiscono la massa atomica (A, ed insieme vengono anche chiamate nucleoni), mentre solo i protoni, il numero atomico (Z).

La scoperta del neutrone (1932) Con il dispositivo illustrato in figura, W. Bothe e H.Becker bombardarono sottili lamine di berillio con particelle  irradiate dal polonio. In tal modo scoprirono che dal berillio venivano emesse delle radiazioni secondarie che si propagavano a ventaglio e che non risentivano dell’azione né di un campo elettrico, né di un campo magnetico. Più tardi Chadwick, ripetendo l’esperimento su molti altri materiali, dimostrò che tali raggi erano costituiti da particelle aventi tutte la stessa massa, indipendentemente dal materiale usato, ma prive di carica e perciò chiamate neutroni.

La radioattività I neutroni all’interno del nucleo schermano la forza repulsiva che si verrebbe a creare tra i protoni stabilizzando così il nucleo stesso. Quando il rapporto n/p è lontano da 1,54, allora l’atomo diventa radioattivo, cioè emette delle particelle. La radioattività può essere: Di tipo : è tipica degli atomi a grande massa atomica come l’uranio; in questo caso vengono perse particelle  (2p+2n) per cui ad ogni particella perduta corrisponde una diminuzione di 4 unità di massa e 2 di numero atomico (l’uranio si trasforma in torio facendo due passi indietro nella tavola periodica). Di tipo : è tipica degli atomi con massa atomica piccola Se decade il protone : p n + + (antielettrone o positrone) Se decade il neutrone: n p + - Di tipo : corrisponde ad emissione di radiazioni elettromagnetiche con lunghezza d’onda dei raggi , sempre associata a radioattività di tipo  e . Cattura K: un elettrone dal guscio più interno (appunto K), viene attratto dal nucleo; si viene a creare così un lacuna elettronica che viene riempita da un elettrone che scala; questo elettrone emette energia sottoforma di radiazione elettromagnetica della lunghezza d’onda dei raggi X.

Crisi del modello atomico planetario Il modello atomico planetario viene messo in crisi dalla scoperta di due fenomeni fisici: lo spettro atomico e l’effetto fotoelettrico. Il primo è quel fenomeno che si verifica quando un atomo è portato all’incandescenza o dalla corrente elettrica o dal calore: esso emette dei colori che sono separati da linee nere verticali (spettro discontinuo). Il secondo fenomeno è caratterizzato dal fatto che un atomo colpito da una luce monocromatica, se a questa è associata una energia sufficientemente alta, emette elettroni.

Gli spettri atomici Gli spettri atomici possono essere di emissione e di assorbimento. I primi vengono prodotti da un atomo quando viene portato all’incandescenza: emette dei colori separati da bande nere (spettri di emissione discontinui o a bande); i secondi quando un gas freddo e rarefatto viene interposto tra una luce bianca ed un prisma ottico: il gas assorbe parte dei colori della radiazione bianca (che in realtà è policromatica).(spettro di assorbimento discontinuo). L’aspetto più importante dei due fenomeni è che spettro di emissione e di assorbimento di uno stesso atomo sono sovrapponibili; cioè i colori che un atomo emette quando viene portato all’incandescenza, sono quelli che lo stesso atomo riesce ad assorbire. Gli spettri di assorbimento sono, quindi, il negativo di quelli di emissione.

L’effetto fotoelettrico: evidenze sperimentali Quando una luce monocromatica colpisce una superficie metallica, questa emette elettroni se la frequenza della luce incidente è superiore ad una frequenza minima detta “soglia”. Il numero di elettroni emessi non dipende dalla distanza tra la sorgente luminosa e la lamina metallica ma solo dalla intensità della luce incidente. Al di sopra della frequenza soglia, la velocità con cui gli elettroni sfuggono alla lamina metallica è proporzionale alla frequenza stessa. La spiegazione dell’effetto fotoelettrico è da attribuire ad Albert Einstein per il quale nel 1921 ebbe il “Premio Nobel per la Fisica”. La luce ,in questo fenomeno, non deve essere considerata come un’onda ma come un corpuscolo; l’energia associata ad un’onda dovrebbe, infatti, diminuire con l’aumentare della distanza con la lamina, per cui il numero di elettroni emessi dovrebbe calare all’aumentare della stessa; l’osservazione sperimentale dimostra che questo non accade: in questo fenomeno la luce si comporta come un corpuscolo al quale è associata un’energia che dipende dalla frequenza con cui la stessa luce viene emessa, secondo questa relazione E = h *  (dove h è una costante di proporzionalità diretta chiamata costante di Planck e  è la frequenza della luce incidente). Se la frequenza della luce incidente è superiore a quella soglia, la velocità con cui questi vengono emessi raddoppia al raddoppiare della frequenza. In questo fenomeno la luce viene trasferita in pacchetti discreti chiamati “quanti” da Planck e “fotoni” da Einstein. Con la spiegazione dell’effetto fotoelettrico nasce una nuova fisica, quella “quantistica”. Cosa succede se la frequenza della luce incidente è inferiore a quella soglia?

Spiegazione degli spettri atomici alla luce delle conoscenze sulla meccanica quantistica Quando la luce incidente ha una frequenza inferiore a quella soglia, non possiede sufficiente energia per far in modo che l’elettrone sfugga dal nucleo atomico. Questa energia, però, può essere assorbita dall’elettrone che compie un salto energetico allontanandosi dal nucleo (effetto fotoelettrico interno) (questa è quella radiazione che manca nello spettro di assorbimento). Quando l’elettrone ritorna nel suo stato fondamentale riemette l’energia che ha assorbito sotto forma di radiazione luminosa (spettro atomico di emissione) Gli elettroni quindi sono distribuiti nell’atomo su gusci concentrici chiamati livelli energetici; quando l’elettrone rimane nel guscio non emette o assorbe energia, ma quando si sposta in un guscio diverso allora assorbe dell’energia che restituirà quando ritornerà nel suo guscio originario.

La luce come onda e come corpuscolo Luis De Broglie eguagliò l’energia dell’equazione di Planck (E = h) con l’energia dell’equazione di Einstein (E = mc2) ed ottenne la seguente relazione: mc2 = h Giacché c = ,  = c/ per cui mc2 = hc/ quindi  = hc/mc2 da cui = h/mc Questa equazione in cui compare una grandezza caratteristica di un’onda come  ed una tipica di un corpuscolo come m, ci porta a dire che la luce presenta una doppia natura, si comporta in alcuni fenomeni come un’onda ed in altri come un corpuscolo, ma anche corpuscoli come gli elettroni, i protoni ed i neutroni possono comportarsi come onde (anche gli elettroni per esempio sono capaci di interferenza come le onde).

Il principio di indeterminazione di Heisenberg Nello stesso periodo di De Broglie, Heisenberg pubblicò alcuni suoi studi sul principio di indeterminazione. Non si può contemporaneamente conoscere con esattezza velocità e posizione di un elettrone in movimento, ma stabilire solo dove è la massima probalità intorno al nucleo di trovarlo. Questo spazio prende il nome di orbitale (identificato con la funzione d’onda  (psi)), che è caratterizzato dal presentare una sua energia, una sua forma ed un suo orientamento nello spazio. Queste tre caratteristiche dell’orbitale sono identificate con i numeri quantici. Il numero quantico principale (n) identifica l’energia dell’orbitale, il secondo numero quantico (l) identifica la forma ed il terzo numero quantico (m) l’orientamento nello spazio.