Laboratori di ricerca universitari con considerazioni sommarie sull’applicazione della L.R. su ricerca e innovazione dal punto di vista di un universitario Mauro Velardocchia Torino, febbraio 2010
Contesto La legge regionale sulla ricerca (30 gennaio 2006) è stata applicata, dal punto di vista delle Università, principalmente sostenendo: 1.Programmi di ricerca con bandi regionali riservati agli Atenei piemontesi; 2.Accordi di programma Università-Industria (GM, Pirelli, ecc.); 3.di recente, poli di innovazione regionale Si tratterà brevemente di seguito quanto attiene al punto 1. La proposta è finalizzata a spostare la destinazione dei fondi regionali per la ricerca dal finanziamento a pioggia di progetti di ricerca, anche se attivati sulla base delle indicazioni dei poli di innovazione, alla fondazione o al potenziamento di laboratori di ricerca universitari.
Proposta Gli Atenei attualmente possono ricevere finanziamento pubblico dall’Europa, dall’Italia e dalle Regioni. A questo si può aggiungere il finanziamento, generalmente modesto, proveniente dal settore privato. L’Europa e l’Italia finanziano generalmente attività di ricerca con fondi prioritariamente destinati al funzionamento di laboratori già esistenti e all’assunzione di giovani precari (attraverso le forme di assegnisti di ricerca, borsisti e co.co.co.). La Regione purtroppo si è mossa lungo la stessa direzione. Il finanziamento regionale della ricerca è spendibile con grande difficoltà per spese di investimento (laboratori). I fondi regionali per la ricerca sono stati spesi dagli Atenei prioritariamente per assumere giovani laureati con contratti ‘precari’. Conseguenza evidente è che il numero di ‘precari della ricerca’ è cresciuto enormemente negli Atenei (al Politecnico è intorno alle 800 persone), portando a una situazione problematica da ogni punto di vista. E’ inoltre fin troppo ovvio che la capacità di una Regione di fare ricerca e innovazione risieda viceversa nei suoi laboratori e che il personale di questi debba essere a tempo indeterminato. La linea guida, di chiara inversione rispetto al passato, è che la Regione, a supplenza di quanto raramente fatto dallo Stato e di quanto generalmente non può esse fatto con contratti di ricerca europei, finanzi la costituzione di laboratori di ricerca e l’assunzione di tecnici idonei a garantirne il funzionamento nel tempo. Con i fondi disponibili si potranno fare uno o due laboratori solamente? Pazienza, meglio poco ma bene che tante promesse che lasciano o prefigurano molti problemi. Sarà quello dei laboratori un bene duraturo nel tempo, i cui risultati (a partire dalla verifica della sua costituzione…) potranno anch’essi essere valutati nel tempo.
Ulteriori considerazioni in breve Occorre inoltre considerare che il finanziamento della ricerca con fondi regionali ha mostrato evidenti problemi in termini di: -Lentezza nella valutazione dei progetti; -Gravi ritardi temporali (anni) nell’erogazione dei fondi, costringendo gli Atenei a consistenti anticipazioni di spesa, sovente per pagare persone assunte con contratti ‘precari’; -Inesistenza di una verifica dei risultati realmente ottenuti, limitandosi alla sola verifica di natura amministrativa; -Assenza di un progetto di consolidamento dei risultati raggiunti, adottando ad esempio politiche di sostegno all’assunzione di tecnici idonei a proseguire nel tempo le attività finanziate; -Scarsa visione della ricerca come supporto e rafforzamento della capacità competitiva dell’industria piemontese esistente. In tal senso, progetti come ad esempio quelli sull’idrogeno mal si combinano con la necessità di sostenere un’industria ancora oggi radicata nel contesto vastissimo della meccanica e delle sue numerose ramificazioni e applicazioni.
Considerazioni sommarie sugli accordi di programma (punto 2) La legge regionale sulla ricerca (30 gennaio 2006) è stata applicata, dal punto di vista delle Università, principalmente sostenendo: 1.Programmi di ricerca con bandi regionali riservati agli Atenei piemontesi; 2.Accordi di programma Università-Industria (GM, Pirelli, ecc.); 3.di recente, poli di innovazione regionale Molto sommariamente, per quanto riguarda il punto 2., si può esprimere un parere in generale positivo riguardo agli accordi di programma. Vincolati come risultati attesi a un regolare controllo incrociato tra centri di ricerca pubblici e aziende, hanno portato a una verifica dei risultati effettivi. Una verifica sui risultati concreti e non sulla coerenza amministrativa tra soldi stanziati e fatture. Quest’ultima in generale prescinde dalla coerenza coi risultati attesi. La pesante parte burocratica di accompagnamento dei provvedimenti è stata tollerata in virtù del vantaggio per Aziende e Università.
Sempre sommariamente, per quanto riguarda il punto3. (poli di innovazione). In linea di principio può essere una buona idea. Al momento tuttavia si può esprimere un parere negativo sull’attuazione e sui primi passi mossi. Il parere negativo è legato a due fatti: -troppi poli (dodici) a fronte del finanziamento disponibile. Si tratta di 60milioni di Euro fino al 2013, di cui 6 per i centri di gestione(!) e 54 (come recita il sito della Regione) per le domande dei soggetti aggregati per lo sviluppo di progetti o l’accesso a servizi ad alto valore aggiunto per la ricerca e l’innovazione; -le modalità di cofinanziamento dei centri di ricerca pubblici e delle Aziende (tema da approfondire). Faccio un esempio, da verificare, poiché mi è stato riferito da un collega professore. Uno dei poli (quello della meccatrona, nel torinese), approvati alcuni progetti, ha fatto sapere ai gruppi di ricerca universitari coinvolti che il progetto manteneva la sua consistenza economica iniziale ma che, non essendoci abbastanza soldi a disposizione del polo, doveva aumentare la quota di cofinanziamento a carico del gruppo di ricerca stesso… Considerazioni sommarie sugli accordi di programma (punto 3)