Dante Alighieri oltre la Commedia L’intellettuale e il suo tempo (parte I) Appunti di Letteratura italiana Prof. ssa M. Rosaria Di Deco
Il Convivio Composto tra il 1304 e il 1307 è la prima opera dottrinaria di Dante. Nelle intenzioni, avrebbe dovuto essere un’enciclopedia in cui fosse raccolto tutto ciò che era necessario sapere. Il progetto era quello di scrivere 15 trattati dedicati all’esposizione di dottrine. Dante ha scritto solo i primi 4 trattati, perché poi fu assorbito dalla stesura della Commedia. Il primo libro è introduttivo, gli altri 3 aprono con una canzone (un tipo di componimento in versi), poi segue la prosa che commenta la canzone, spiegandone i significati nascosti
Il Convivio Nel I libro, Dante spiegando il titolo espone i fini dell’opera. Egli si propone di allestire un convivio (banchetto) della conoscenza per tutti coloro che, non conoscendo il latino, non hanno potuto impadronirsene. Il titolo deriva da una metafora: Dante prepara il banchetto = trasferisce in volgare le conoscenze essenziali che erano solo in latino. Le canzoni sono le vivande. Il commento in prosa costituisce il pane
Il Convivio Il Convivio testimonia l'acquisizione da parte di Dante di una profonda cultura filosofica, il delinearsi dei suoi interessi politici e lo sviluppo della sua riflessione linguistica. E’ qui che Dante propone la sua concezione del sapere, che è per gli esseri umani difficile ma necessaria conquista. L’intellettuale deve fornire un modello eticamente consapevole. Scritto in Volgare PROSIMETRO
Il Convivio È un’opera di diffusione del sapere rivolta a coloro che non conoscono il latino. A quell’epoca solo i nobili e gli uomini di chiesa conoscevano il latino STILE: tante similitudini e metafore per rendere più evidenti i concetti; prosa più “efficace” di quella della Vita Nuova. Dante ritiene che esistano persone nobili di cuore anche se non di stirpe che meritano di possedere la conoscenza (IV libro)
Il Convivio Nel II libro espone i 4 sensi delle scritture, di cui parla anche nell’epistola a Cangrande della Scala: letterale allegorico morale anagogico
Il Convivio Nel III libro vi è la celebrazione della FILOSOFIA, che orienta verso il Bene e proviene da Dio.
La questione della lingua Dante scrive il Convivio in volgare: Perché?
La questione della lingua "Non ci stupisce (…) se i giudizi degli uomini, che son presso che bestie, stimano che una stessa città abbia sempre parlato un medesimo linguaggio". Dante Alighieri
De vulgari eloquentia Dante Alighieri è il primo scrittore che pone il problema di una lingua nazionale e che elabora un tentativo per risolverlo. Il testo in cui ne parla è De Vulgari Eloquentia (Sulla retorica in volgare), scritto in esilio verso il 1304, in latino, perché rivolto ai dotti, ai letterati di professione: è quindi un'opera specialistica. Rimase incompiuta: si interrompe al cap. XIV del II° libro.
De vulgari eloquentia Scrivendolo, Dante si rifà a quell‘ esigenza di unità linguistica, culturale e nazionale che molti intellettuali, anche prima di lui, sentivano in varie parti d'Italia. Lo scopo del trattato è quello di definire un idioma volgare che possa conseguire un'alta dignità letteraria, elevandosi al di sopra delle varie parlate regionali e sottraendosi all'egemonia del latino. Dante era convinto che i tempi fossero maturi per trattare temi di alta cultura e di alta poesia anche in lingua volgare.
De vulgari eloquentia Il latino non è per Dante una lingua-madre o capostipite, ma la grammatica inalterabile per mezzo della quale i popoli riescono a intendersi al di sopra degli idiomi particolari, cioè è il prodotto di un'alta elaborazione logica, in quanto possiede una struttura grammaticale rigidamente definita e serve alla comunicazione dei concetti più complessi e difficili del sapere. In tal senso il periodo migliore per gli italiani è stato, secondo Dante, quello romano-imperiale.
De vulgari eloquentia Dante individua, nell'ambito della lingua del Sì, 14 dialetti, distinguendoli in due gruppi secondo i due versanti tirrenico e adriatico dell'Appennino. Egli ritiene che nessuno di essi possa aspirare a diventare il linguaggio eletto, comune a tutti i letterati italiani; lo stesso toscano non era che turpiloquium, e dissennati coloro che, solo perché parlanti, lo ritenevano il dialetto migliore. La lingua nazionale si sarebbe potuta facilmente avere in Italia se ci fosse stata l'unificazione nazionale: in questo caso, alla corte del sovrano si sarebbero riuniti gli ingegni migliori di tutta la nazione, e dal loro contatto quotidiano sarebbe nata una lingua che, senza identificarsi con un dialetto particolare, avrebbe ritenuto il meglio di tutti.
De vulgari eloquentia Non essendoci l'unità, il volgare illustre non poteva essere il prodotto di fattori storici e naturali, ma solo una costruzione artificiale di letterati: una lingua scritta, non parlata o parlata solo in ambienti molto ristretti, da persone di rango elevate.
De vulgari eloquentia Il volgare illustre doveva diventare il prodotto di un processo di depurazione delle forme rozze dialettali che ciascun poeta e scrittore doveva compiere nei confronti del proprio dialetto, al punto da determinare, nelle varie regioni, risultati abbastanza simili.
De vulgari eloquentia Il volgare illustre doveva diventare il prodotto di un processo di depurazione delle forme rozze dialettali che ciascun poeta e scrittore doveva compiere nei confronti del proprio dialetto, al punto da determinare, nelle varie regioni, risultati abbastanza simili. Dante vedeva "in Italia -dice nel De Vulgari- un volgare illustre, cardinale, aulico e curiale, quello che è di ogni città italiana e non appare essere di nessuna, col quale i volgari tutti degli italiani sono misurati, pesati, ragguagliati".
De vulgari eloquentia Questa nuova lingua sprovincializzata doveva avere per Dante appunto quattro caratteristiche: illustre (che dia onore e gloria a chi lo usa), cardinale (come un "cardine" attorno al quale devono ruotare le minori parlate locali), aulico (da "aula", cioè degno d'essere ascoltato in una corte regale), curiale (adatto all'uso di un'assemblea legislativa o senato).
De vulgari eloquentia Nella Divina Commedia Dante diede il primo esempio di come fosse possibile usare il volgare (in questo caso il fiorentino) ottenendo effetti poetici di grande valore e affrontando astratti problemi filosofici, politici, culturali. Il Petrarca e il Boccaccio proseguono sulla strada da lui indicata. Va precisato che la lingua della Commedia è il fiorentino parlato medio e non tanto il volgare illustre di Firenze: si può anzi dire che l'opera sia plurilinguistica, a causa dei suoi molti gallicismi, latinismi, lombardismi, idiotismi vari e neologismi