Il pensiero politico nella tradizione islamica (modulo 1.2) Bernard Lewis Il linguaggio politico dell’islam Un. of Chicago Press 1988 Laterza, 2005, capp.1-2 (pp. 3-49) Nascita del pensiero e del linguaggio politico islamico Peculiarità rispetto al pensiero politico occidentale Il modello islamico di diritto Il califfato Lo Stato islamico Un nuovo pensiero politico islamico
Comprendere la lingua del discorso politico nel mondo musulmano vuol dire innanzitutto, tornando alle origini della cultura giuridica islamica (VII/VIII secolo) analizzare le categorie fondamentali e originali di questo discorso per decifrarne la lingua e i suoi codici. Le origini del linguaggio politico islamico vanno ricercate nel Corano, nelle Tradizioni del Profeta, gli hadīth), nelle elaborazioni dei primi fuqahā’ (giurisperiti) dell’età classica della storia islamica (secc. VII-XVI).
Principio fondamentale della tradizione giuridica e politica islamica è la non distinzione fra Chiesa e Stato, fra sacerdotium e regnum, fra spirituale e temporale islam: dīn, dunya wa dawla (religione, società, Stato). Rilevanza politica dell’Islam l’Islam (variamente interpretato) è religione di Stato in praticamente tutti i Paesi musulmani ed è la base dell’autorità.
La cultura politica islamica è fortemente debitrice nei confronti del pensiero politico degli imperi romano-bizantino e persiano-sasanide: traduzione in arabo dei trattati di filosofia greca, dei manuali persiani sull’arte di governare e sull’etichetta di corte; prestiti linguistici dalle lingue latina, persiana, turca. Da questo patrimonio inestimabile, già nell’XI secolo il mondo islamico aveva saputo creare una vigorosa cultura politica espressa in lingua araba.
Il linguaggio politico islamico è ricco di metafore e allusioni che rendono stimolante l’analisi comparativa con altri sistemi di pensiero. Ad esempio l’idea di potere : Nel pensiero occidentale sotto/sopra; davanti/dietro Nel pensiero islamico vicino/lontano; dentro/fuori Il potere supremo è il centro: più si ha valore, più si sta vicini al centro: - jamā‘a (riunire, riunirsi) è termine positivo, da cui deriviano ijmā‘, consenso; jamā‘a, comunità, jāmi‘, moschea; - faraqa (separare) è termine negativo (firqa, setta, separazione): se si rifiuta il potere si esce, ci si allontana kharigiti, o meglio khawārij.
Ma, al di là delle metafore e delle specificità linguistiche, la differenza fondamentale fra i due sistemi di pensiero è la concezione stessa del potere politico: per il pensiero medioevale cristiano (S. Agostino, IV secolo), il corpo politico è creato dall’uomo e dal male, il governo è una punizione o comunque un rimedio al peccato originale. Solo nella Chiesa l’uomo può trovare la salvezza*. Questa concezione politica è chiara alla luce dell’osservazione storica: la civiltà cristiana è nata dalla caduta dell’impero romano, dal caos delle invasioni barbariche e dall’ascesa della Chiesa, inizialmente perseguitata. * Molti secoli dopo, S. Tommaso (XIII secolo), sarà il primo ad accordare una certa legittimità allo Stato e alle istituzioni politiche.
Per il pensiero politico islamico, al contrario, il potere temporale è un segno della benevolenza di Dio e il califfo (o comunque colui che governa) lo fa in nome di Dio e rispettando la sua Legge (sharī‘a). L’autorità politica è un beneficio divino, non un male. Dio è coinvolto nelle vicende dell’uomo e lo aiuta nelle sue vicende terrene, poiché tramite l’uomo Egli conferma la sua volontà e la sua supremazia. La civiltà islamica ha avuto origine con un evento trionfante, con l’ascesa rapida di un grande impero, che dalla penisola arabica si è diffuso rapidamente su Nordafrica e Medioriente, conquistando civiltà antiche, quella bizantina e quella sasanide. L’autorità del sovrano è voluta da Dio, in qualunque modo essa sia stata ottenuta o sia esercitata.
Il modello islamico di diritto La vocazione politica dell’Islam matura a Medina, dopo il 622, anno dell’Egira. L’Islam crea una sua propria giurisprudenza già con il primo documento politico della storia islamica, la cosiddetta Costituzione di Medina (anno 1 dell’Egira), in cui si stabiliscono per la prima volta le regole di convivenza con i non musulmani (ebrei). Con la prima fitna (rottura) della comunità, quella fra Sunniti e Sciiti alla metà del VII secolo, si comincia ad elaborare il mito della Comunità perfetta (umma). Nasce una teologia politica, la religione irrompe nella politica.
Tuttavia, l’uso dell’ijtihād (interpretazione) ha consentito di interpretare razionalmente la sharī‘a e di produrre il fiqh (diritto) ma anche il qanūn, consentendo la necessaria evoluzione del pensiero giuridico e politico. La dimensione giuridica dell’Islam implica dunque una sua autonoma secolarizzazione: il diritto ha costituito il terreno di mediazione fra la razionalità e la dottrina (ruolo svolto nel Cristianesimo dalla teologia). Il diritto ha assorbito la teologia.
Il califfato, la prima forma di autorità politica Il califfo (vicario del Profeta Muhammad) è l’autorità centrale suprema della umma dei fedeli e il suo potere si diffonde su tutta la dār al-islām. Il califfo benguidato‘Umar (634-644) coniò l’epressione amīr al-mu’minīn (principe dei credenti), ancora oggi utilizzata in particolare dalla dinastia sceriffiana (da sharīf, discendente del Profeta) al potere in Marocco. Il califfato è per definizione unico, ma nella storia dell’Islam, in epoca abbaside, ci furono almeno due “anticaliffati”, quello fatimide del Cairo e quello omayyade di Spagna, entrambi del X secolo.
La suprema autorità politica è designata con il termine imāma, che significa “carica e funzione dell’imām” (l’imām è colui che conduce la preghiera, dunque, per traslato, colui che guida la comunità, il capo religioso e politico). Per i sunniti l’ imāma è sinonimo di khilāfa (califfato), e l’imām si identifica nella figura del califfo (khalīfa). L’istituzione del califfato è durata fino al 1258, con la caduta dei Baghdad in mano ai Mongoli, ma poi è stata riesumata dall’ottomano Selim I nel 1517. Sarà Mustafa Kemal Ataturk, padre della moderna Turchia, ad abolire il califfato nel 1924 con una decisione che traumatizzerà l’intero mondo musulmano dell’epoca.
Dal X secolo il califfato comincia a svuotarsi di potere effettivo e al declino del califfo abbaside si accompagna l’ascesa di un’autorità concreta e temporale, quasi sempre definita con il termine sultān. Il termine sultān, presente nel Corano e molto diffuso, è stato utilizzato, in particolare dai turchi Selgiuchidi (XI secolo) in poi, per indicare il sovrano di una dinastia, in particolare in senso politico e militare. Emergono nel mondo musulmano molte altre forme di autorità politica: nel XX secolo comincia a diffondersi il termine malik (re) al posto di sultano, termine che fino ad allora aveva avuto sempre un’accezione piuttosto negativa (solo Dio è malik; se il termine è rivolto ad un uomo indica un potere arbitrale); altri termini molto diffusi erano e sono ra’īs (presidente) e za‘īm (leader).
Lo Stato islamico Lo Stato islamico non è mai esistito se non all’epoca del Profeta. L’idea di uno Stato islamico si è prodotta nel tempo, a seguito di vicissitudini storiche, ma non è insita nei fondamenti dell’Islam. Le prime teorie sullo Stato sono in realtà elaborazioni filosofiche, fra le quali emerge quella di al-Farabi (IX-X secolo), che ipotizza un modello di Stato ideale su basi filosofiche, ove religione e filosofia sono in pieno equilibrio ed armonia, grazie alla scienza politica. Ma sarà al-Mawardi (XI secolo) a teorizzare per primo un modello islamico di Stato, formulando una dottrina organica del califfato, nel suo “I princìpi del potere”. Egli vive in un’epoca di crisi irreversibile del califfato. Per lui il califfo deve essere un ‘alīm che applica la sharī‘a e questo è sufficiente alla buona gestione del potere politico.
Dopo di lui altri sommi pensatori politici islamici - al-Ghazali (m Dopo di lui altri sommi pensatori politici islamici - al-Ghazali (m. 1111), Ibn Taymiyya (m. 1328) e Ibn Khaldun (m. 1406) - abbandonano l’utopia del califfato e si mostrano già consapevoli del fatto che lo Stato islamico non esiste più: il califfo è figura distinta dal sultano, il potere califfale è svuotato del suo contenuto concreto, esso è divenuto un mulk, un regno. Il termine per indicare Stato e sistema politico si modifica nel corso del tempo: inizialmente esso è dawla, risalente all’epoca della salita al potere degli Abbasidi, termine indicante “alternanza, successione, dinastia”. Più recente l’uso del termine hukūma, che si differenzia gradualmente dal generico Stato per andare a definire dalla metà del XIX secolo il termine governo. Infine, il termine watan traduce il nostro “nazione”, assumendo una colorazione più patriottica e nazionalistica nel XIX e XX secolo, sulla base di un’idea nuova, quella di lealtà ad un paese e a una nazione, non più ad una comunità o ad una dinastia.
La funzione dello Stato “Comandare il bene e negare il male” è il principio fondamentale del buon governo, tratto direttamente dal Corano: una responsabilità condivisa dal sovrano e dal suddito, cioè dallo Stato e dal cittadino. Lo Stato islamico non è uno Stato teocratico se si intende con tale termine uno Stato governato dalla Chiesa, poiché non vi è nell’Islam né chiesa né sacerdozio. E’ uno Stato teocentrico, se si intende con ciò uno Stato governato dalla Legge di Dio, dove Dio è il sovrano supremo, la massima fonte di legittimità dell’autorità politica, il perno attorno al quale ruota tutta la vita del cosmo e dell’uomo. Nella tradizione del pensiero politico islamico non è contemplata la fattispecie di Stato dittatoriale, poiché il diritto islamico non ha mai concesso potere assoluto al sovrano e raramente il sovrano ha potuto esercitare una forma assoluta di potere.
I limiti dell’obbedienza Lo Stato (e dunque il sovrano) non crea la legge ma esso stesso è creato e mantenuto dalla legge di Dio. Il dovere di obbedienza al governante è un obbligo religioso, fondato sulle parole del Corano e dalla sharī‘a. Il governante musulmano è un autocrate, ma non un despota perché le sue prerogative sono stabilite e regolamentate per legge. Egli è vincolato alla Legge e deve rispettarla. La maggior parte dei giuristi dell’epoca classica sostenne la tradizione autoritaria, conservatrice e quietista, ma nella storia dell’islam vi fu da sempre un’altra corrente di pensiero politico, più attivista e radicale, di opposizione politica e, inevitabilmente, religiosa. Entrambi le correnti di pensiero usano le vicende della vita del Profeta (opposizione, lotta, migrazione, ritorno dalla periferia al centro) come paradigma del giusto comportamento.
A un governante giusto e legittimo il suddito deve obbedienza, ma si pone, sin dai primi secoli dell’islam, la questione della legittimità: quando un sovrano sale al potere legittimamente e quando invece è un usurpatore? Il prototipo del governante legittimo è da sempre l’imām o califfo, scelto dalla comunità, il cui governo deve essere caratterizzato dalla giustizia (‘adl). Nella storia del pensiero politico si assiste a un ridimensionamento del requisito della legittimità a favore di quello della giustizia: se il sovrano è giusto, può essere considerato legittimo. La contestazione ad un sovrano si fa non tanto sul modo in cui ha acquisito il potere ma piuttosto sul modo in cui lo esercita. Nella storia dell’islam ricorrenti sono stati i momenti di rottura (fitna, thawra, dawla).
La tirannide (istibdād) è comunque preferibile all’anarchia (fitna). Il requisito della giustizia, con il passare dei secoli e con le varie vicissitudini delle diverse società islamiche, prese a divenire secondario e le limitazioni imposte all’autocrazia del sovrano diminuirono a favore della concezione sempre più netta della necessità del dovere di obbedienza del suddito. La paura della perdita di coesione sociale, dell’anarchia, della disgregazione e della debolezza politica di fronte alle minacce esterne portò i giuristi a prediligere una versione quietista della vita della comunità. La tirannide (istibdād) è comunque preferibile all’anarchia (fitna). Ibn Batta p. 116 al Ghazali p. 117 Ibn Jama’a p. 117
Un nuovo pensiero politico islamico Nei secoli delle conquiste e dello splendore politico, il pensiero politico islamico si poneva il problema del trattamento dello straniero in terra d’Islam e non del musulmano nella dār al-harb (territori non musulmani). Ma con l’XI secolo (inizio della Reconquista spagnola, perdita della Sicilia a favore dei Normanni, inizio delle Crociate), poi con le conquiste mongole e, infine, con la colonizzazione europea, la questione di sempre più vaste comunità di musulmani che vivevano sotto il dominio di cristiani impose ai giuristi nuovi quesiti e la ricerca di inedite soluzioni. In risposta alla colonizzazione, in particolare, il pensiero politico islamico fu costretto ad adottare nuove categorie concettuali e un nuovo lessico: i regimi contro cui si lottava non erano più infedeli o dispotici ma erano stranieri o coloniali. La lotta veniva condotta non in nome della religione, ma in nome del nazionalismo (wataniyya), in uno spirito liberale assolutamente nuovo per il pensiero islamico.
Alla fine del XVIII secolo fanno la loro comparsa i termini “libertà” (hurriyya), “indipendenza” (istiqlāl), “imperialismo”(imbiriāliyya). Nel secolo XIX vengono promulgate le prime Costituzioni (molte delle quali effimere) nel mondo musulmano: nel 1861 in Tunisia, nel 1876 in Turchia, nel 1882 in Egitto, nel 1906 in Persia. I principi della dottrina classica occidentale - il carattere contrattuale ed elettivo di poteri sovrani, il principio della legittimità e della limitazione dei poteri, i valori di giustizia e libertà - emersero come temi fondamentali nel pensiero politico islamico, fondendosi (a volte faticosamente) con le categorie concettuali il pensiero tradizionale. Accanto alla sharī‘a emerse il termine qanūn, quel sistema di leggi e regolamenti emanati dallo Stato, più consoni alle esigenze della modernità. 1798 Napoleone Bonaparte lo usa per la prima volta
A quest’epoca di grandi speranze ed entusiasmi seguì, con le indipendenze nazionali del XX secolo, una fase di crisi e delusione. I governi emersi dalle lotte di indipendenza non furono all’altezza delle aspettative, la situazione sociale ed economica andò peggiorando, la libertà rimase un’utopia e un numero sempre più alto di musulmani si rifugiò, dagli anni Trenta del XX secolo, in una mitica “età dell’oro”, quella della grandezza dell’islam nascita del pensiero fondamentalista (o integralista o, meglio, radicalista). Il linguaggio politico dell’Islam tradizionale acquista una nuova valenza e un nuovo significato, nel tentativo di realizzare quella che è stata chiamata “l’utopia dello Stato islamico”, la realizzazione di società moderne basate su legislazioni sciaraitiche.