I nuovi obiettivi terapeutici allo studio con statine

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Transcript della presentazione:

I nuovi obiettivi terapeutici allo studio con statine Dr. Paolo Piram MMG Zona Bassa Val di Cecina

Prima del “nuovo” è opportuno interpretare correttamente gli studi già conclusi si NNT - no RR

Aggiornamento sulla prevenzione primaria e secondaria delle malattie cardiovascolari con statine

L’immissione in commercio in Italia della lovastatina e dell’associazione simvastatina-ezetimibe, i nuovi studi sulla terapia aggressiva con statine e le più recenti metanalisi, necessitano di alcune puntualizzazioni al fine di rendere più appropriato il trattamento con statine.

I principali quesiti ai quali è opportuno dare una risposte sono i seguenti: il trattamento con statine nei pazienti con malattia coronarica (CAD) è giustificato indipendentemente dal livello di colesterolo LDL (c-LDL) basale?

Tutti i pazienti con CAD devono essere trattati con un approccio aggressivo o intensivo o è preferibile individuare i soggetti a rischio più elevato nei quali ridurre il c-LDL ai livelli raccomandati?

È giusta l’opzione che prevede la monoterapia con statina?

La terapia intensiva ad alte dosi di statina è sicura?

Quando è sicuro il rapporto costo efficacia?

Le statine in prevenzione primaria e secondaria alle dosi usuali

Le statine non hanno dimostrato di ridurre la mortalità per tutte le cause negli studi di prevenzione primaria (1,2,3,4,5) (Tab.1), pertanto, alla riduzione degli eventi cardiovascolari fatali e non fatali non sembra corrispondere una maggiore sopravvivenza. Infatti, al termine degli studi, il numero di soggetti che viene a mancare è sovrapponibile sia nel gruppo trattato con statina che nel gruppo placebo.

La revisione sistematica di Studer (6) conclude tuttavia che le statine in prevenzione primaria riducono effettivamente la mortalità per tutte la cause e che il numero dei soggetti che deve essere trattato (NNT) per un periodo di 3,3 anni per evitare un ulteriore caso di morte è pari a 228 con un intervallo di confidenza al 95% compreso fra 123 e 2958. Gli studi di prevenzione secondaria (7-13) (tab 2) e varie metanalisi che li hanno inclusi (14,15,16) hanno evidenziato che le statine riducono del 25-30% gli eventi coronarici e del 10-15% gli ictus ischemici nell’arco di 5 anni di trattamento. Questi risultati si traducono in un NNT di 20 – 30 per prevenire un ulteriore evento coronarico, di 80 – 100 per un ictus e di 50 per un caso addizionale di morte per tutte le cause a cinque anni di trattamento.

Secondo la metanalisi di Baigent (14) una riduzione del colesterolo LDL di 39 mg/dL nell’arco di un periodo di 5 anni è statisticamente associata ad una riduzione significativa della mortalità per tutte le cause del 12% e ad una riduzione degli eventi cardiovascolari maggiori (IMA, morte coronarica, necessità di rivascolarizzazione ed ictus) del 21%. La riduzione degli eventi si mostra proporzionale alla riduzione del colesterolo LDL. Gli autori precisano che il beneficio clinico assoluto è correlato prevalentemente al rischio individuale assoluto di tali eventi e alla riduzione del colesterolo LDL ottenuta con il trattamento farmacologico. Pertanto, è prevedibile che la riduzione proporzionale e assoluta della mortalità per tutte le cause sia di entità superiore nei soggetti a maggior rischio, compresi quelli che non presentano livelli elevati di LDL, nei quali la terapia con statine è indicata in quanto appartenenti alla popolazione che trae il maggior beneficio da questo trattamento(17). Nelle popolazioni nelle quali la mortalità è più bassa ed inferiore rispetto a quella osservata nella metanalisi il beneficio è invece meno consistente (14). Infatti, le statine procurano un beneficio assoluto molto piccolo nei soggetti a basso rischio. Ad esempio, nello studio ASCOT (4), la differenza tra farmaco e placebo nel numero di eventi cardiovascolari su 1000 pazienti per anno in termini assoluti è di poco più di 3 casi per l’IMA e di 2 per l’ictus. In altre parole, negli ipertesi ben controllati 5 anni di trattamento con atorvastatina aumentano la probabilità di non avere un infarto di due punti percentuale passando dal 95 al 97%.

Nei soggetti diabetici ad alto rischio l’indicazione alle statine è assoluta (12,13), ma nel diabete tipo II a rischio coronarico basso o moderato la terapia con statine può essere presa in considerazione dopo aver ottenuto la riduzione massimale possibile dei lipidi con la dieta, l’attività fisica, la perdita di peso ed un rigoroso controllo della glicemia.

Rapporto costo/efficacia

Un farmaco efficace nei pazienti ad alto rischio lo è anche in quelli a rischio basso, ma il beneficio assoluto ed il rapporto costo/efficacia sono quasi sempre troppo bassi in questa circostanza. La stima del beneficio assoluto premette di identificare con maggiore chiarezza i soggetti che trarranno vantaggio dalla terapia con statine. Dato che non esiste una soglia ben definita per stabilire il punto a partire dal quale scattano i vantaggi o che rendono favorevole il rapporto costo/efficacia, non è ragionevole allargare incondizionatamente il trattamento ai soggetti a basso rischio (17).

TERAPIA INTENSIVA CON STATINE Si definisce terapia intensiva quella che adotta una qualsiasi statina ad una dose superiore a 40 mg/die in pazienti con CAD. (tab. 3)

Nei principali studi che hanno adottato le alte dosi di statina non è stata dimostrata una riduzione della mortalità per tutte le cause. Nella sindrome coronarica acuta (ACS) atorvastatina a 80 mg/die confrontata con pravastatina 40 mg/die (terapia standard) ha dimostrato di essere superiore a 24 mesi fin dal primo mese di trattamento nel proteggere contro morte o eventi cardiovascolari maggiori (20).

Alla riduzione del 16% del rapporto di rischio dell’end point primario composito hanno contribuito principalmente la riduzione del 14 % della necessità di rivascolarizzazione e del 29% di nuovo ricovero per recidiva di angina instabile. L’esito di questo studio, disegnato per dimostrare la non inferiorità della pravastatina rispetto alla atorvastatina, apporta un ulteriore guadagno di efficacia comparabile a quello ottenuto dalle statine ai dosaggi standard in prevenzione secondaria rispetto al placebo e quantificabile in un evento in meno ogni 26 pazienti con ACS trattati per due anni.

Nello studio TNT (19), alla riduzione del 40 – 50% nel gruppo ad alte dosi di atorvastatina del rischio di eventi cardiovascolari nei soggetti con angina stabile non ha corrisposto una riduzione della mortalità per tutte le cause. Anzi, il fatto che la mortalità per CAD sia inferiore di 26 unità nel gruppo atorvastatina 80 mg/die indica che la mortalità per cause non cardiovascolari avvenuta in 28 pazienti in più in questo gruppo, sebbene la differenza non sia statisticamente significativa e possibile frutto del caso, non risolve la questione del vantaggio reale delle terapie aggressive nei pazienti con angina stabile. La prescrizione aggressiva con statine a tutti i coronaropatici senza considerare il loro valore di LDL basale, la stratificazione del rischio e la comorbilità non si può ritenere giustificata in quanto sicurezza ed efficacia non sono state definitivamente dimostrate in questo studio.

E’ possibile che alcuni pazienti possano raggiungere bassi livelli di c-LDL attraverso la dieta ed il cambiamento nello stile di vita e non è stato ancora dimostrato che chi raggiunge bassi livelli di LDL colesterolo con dosaggi più bassi di statina abbia bisogno di dosi maggiori per ottenere i benefici previsti. Infatti, la terapia aggressiva con statine in tutti i pazienti indipendentemente dai livelli basali di LDL si fonda sulla convinzione che gli effetti benefici di questi farmaci siano da ascrivere ai loro effetti pleiotropici non correlati all’azione sui lipidi quali, ad esempio, l’effetto antinfiammatorio e antitrombotico, il miglioramento della funzionalità endoteliale e l’aumento della produzione di ossido nitrico. Questa posizione non trova nessun riscontro nei risultati dei trial di intervento che non forniscono alcun elemento per valutare quale possa essere l’impatto sugli outcome di mortalità e di morbilità cardiovascolare degli effetti pleiotropici la cui entità non può essere attribuita con sicurezza a nessuna molecola.

Recenti aggiornamenti delle Linee Guida (25) raccomandano di raggiungere livelli di c-LDL < 100 mg/dL nei pazienti con CAD che non appartengano alla categoria ad alto rischio (very high risk). Questo gruppo comprende pazienti con ACS, diabete, fattori di rischio gravi e scarsamente controllati e la S. metabolica per i quali la riduzione dell’LDL sotto i 70 mg/dL viene però considerata quale opzione terapeutica. I risultati dei trial su questo punto sono contraddittori in quanto, mentre nello studio HPS(12) simvastatina alla dose di 40 mg/die produce una riduzione del 24% rispetto al placebo del RR di eventi maggiori in pazienti con LDL basale < 135 e in quelli con valori < 100 mg/dL, nello studio PROVE-IT (20) il beneficio di 80 mg di atorvastatina rispetto a 40 di pravastatina sono maggiori fra i pazienti con un livello di LDL basale pari o superiore a 125 mg/dL rispetto a quelli che lo presentano inferiore a 125 mg/dL (rispettivamente 35% vs 7%). Inoltre in questo trial il 73% dei pazienti che presentava un livello basale di LDL <125 mg/dL non ha mostrato benefici statisticamente significativi rispetto al gruppo di confronto.

Per questi motivi le raccomandazioni delle LG si basano sui livelli di colesterolo LDL da raggiungere (target) che implicano differenti dosaggi di statina nei singoli pazienti a seconda dell’obiettivo prefissato. La maggiore predittività rilevata nello studio PROVE-IT della combinazione dei livelli di LDL colesterolo con i valori di PCR indica che, se la terapia a dosi standard di statina non abbassa i livelli di PCR a quelli desiderati, vi è l’indicazione a impiegare le dosi intensive (23,24).

Lo studio REVERSAAL (22) ha dimostrato che 80 mg/die di atorvastatina per 18 mesi rispetto a 40 mg/die di pravastatina favoriscono la non progressione della aterosclerosi ma, nonostante il trattamento aggressivo, non la sua regressione.

Del resto in tutti i trials che hanno valutato le alte dosi di statina anche fra i pazienti che hanno ricevuto questo trattamento si sono verificati eventi cardiovascolari. Questo indica che anche questo regime terapeutico aggressivo non può essere considerato come l’approccio finale definitivo.

Tollerabilità

La terapia ad alte dosi raramente procura insufficienza epatica, ma, nello studio IDEAL, l’incremento delle aminotransferasi oltre 3 volte i valori normali è avvenuto nell’1% dei pz in trattamento con atorvastatina e nello 0,1% nel gruppo simvastatina (p< 0.001; NNH 112). Nello studio TNT la tollerabilità epatica della atorvastatina alla dose di 80 mg/die è risultata inferiore (aumento dei livelli dei livelli di aminotransferasi nell’1,2% rispetto allo 0,2 % nel gruppo 10 mg/die per p<0,001, NNH 100).

Sul versante muscolare, se la rabdomiolisi è rara, la miopatia e i problemi muscolari riscontrabili fra i pazienti in trattamento con statina sono più frequenti. Dolori muscolari, crampi e debolezza muscolare anche non associati a modificazioni significative della CPK sono più comuni e talora associabili al rilievo di miopatia istologicamente documentato in presenza di livelli di CPK normali.

Tuttavia negli studi che hanno adottato un protocollo che prevedeva alte dosi di statina non sono stati rilevati questi effetti collaterali. La polineuropatia è un effetto avverso potenziale noto correlato alla somministrazione prolungata. (26)

Non ci sono motivi, nemmeno i dubbi sulla mortalità posti dallo studio TNT, per non trattare con statine i pazienti a rischio più elevato, tuttavia, quando la RAR derivabile da un incremento ulteriore del dosaggio è di piccole dimensioni o di non documentata certezza, forse è opportuno valutare accuratamente il peso che assumono i vantaggi potenziali rispetto ai rischi conseguenti.

Ezetimibe

Ezetimibe inibisce selettivamente il trasporto di colesterolo attraverso le pareti dell'intestino tenue e di conseguenza ne riduce il trasporto al fegato. La combinazione dell’ezetimibe con dosi basse di statina è un approccio efficace per la riduzione del colesterolo LDL ma al momento non sono disponibili risultati di trials che abbiano dimostrato che a questa azione sul parametro surrogato conseguano riduzione della morbilità cardiovascolare e della mortalità per tutte le cause. L’impiego di ezetimibe è limitato ai pazienti che non tollerano la statina o nei quali il trattamento con statina non permette di raggiungere il target della colesterolemia ritenuto ottimale.

Conclusioni

Le statine procurano un beneficio assoluto molto piccolo nei soggetti a basso rischio. La mancanza di una soglia ben definita per stabilire quando scatta un rapporto costo/efficacia favorevole, non rende ragionevole allargare incondizionatamente il trattamento ai soggetti a basso rischio. La prescrizione di statine ad alte dosi in tutti i pazienti con CAD senza considerare il loro livello di LDL basale, altri elementi di stratificazione del rischio e le co-morbilità, non è giustificato sulla base delle conoscenze attuali. La sicurezza dell’approccio con dosi elevate necessita di maggiori certezze.

Dove sta il “trucco” ? Proviamo a proporre a un paziente un farmaco che riduce gli eventi del 34%: di sicuro accetterebbe con entusiasmo Ma il 34% è il R.R: tradotto in NNT diventa 76 (vale a dire che per evitare un evento devo trattare 76 pazienti per 5 anni!)

Grazie della vostra attenzione