La conversione di San Paolo

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Transcript della presentazione:

La conversione di San Paolo La scoperta Una nuova versione si aggiunge alle due già conosciute del capolavoro di Caravaggio della Conversione di San Paolo: la prima è conservata a Roma a Palazzo Odescalchi, nella chiesa dei Santi Apostoli di Roma, mentre la seconda si trova, sempre nella capitale, nella chiesa di Santa Maria del Popolo, nella Cappella Cerasi, famiglia dalla quale il dipinto era stato commissionato. Una terza versione del dipinto è stata ritrovata - grazie ad un esame radiografico compiuto dall’Enea - al di sotto del dipinto di Santa Maria del Popolo: essa mostra un Saulo più anziano, a terra ma non completamento disteso, con indosso una corazza e con lo sguardo rivolto allo spettatore. La scoperta, di grande importanza, è documentata in un volume recentemente presentato, dal titolo Caravaggio, Carracci, Maderno (Silvana Editoriale), che illustra anche le diverse fasi del restauro che ha interessato tutta la chiesa: dai finti marmi della cappella, alla struttura del Maderno, dalle pale che arredano la chiesa al soffitto, con l’Incoronazione, opera del Carracci.

La storia Nell'autunno del 1600, monsignor Tiberio Cerasi, tesoriere generale di Clemente VIII, commissionò ai due pittori più celebri tra quelli attivi a Roma, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio ed Annibale Carracci, la decorazione della cappella di famiglia che egli aveva acquistato nella chiesa di Santa Maria del Popolo. Caravaggio preparò la Conversione di San Paolo e la Crocifissione di San Pietro, mentre il Carracci eseguì l'Assunzione della Vergine. La prima versione dei due dipinti di Caravaggio, eseguiti su tavole di cipresso, fu rifiutata dai rettori dell'Ospedale della Consolazione, nominati eredi da Cerasi in punto di morte e Caravaggio fu costretto a correggere la sua opera. La scoperta di una terza versione della Conversione di San Paolo riveste un’importanza particolare: con molta probabilità anch’essa venne rifiutata dai committenti del Caravaggio a causa della grande violenza e drammaticità dei tratti e della rappresentazione e a causa dell’eccessiva lontananza dalla tradizione iconografica affermatasi in quel tempo: nessuno prima di Caravaggio aveva infatti mai osato rappresentare un’opera di una tale potenza, con tre personaggi, laterali rispetto alla maestosità del cavallo centrale, bloccati in una scena di grande movimento. E la stessa figura di Saulo, rappresentato con le fattezza di un vecchio, poteva aver creato difficoltà all’artista che coprì l’opera, per farne un’altra versione. Il famoso dipinto di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio è stato realizzato del pittore all’età di 30 anni ed è custodito presso la chiesa di Santa Maria del popolo a Roma,all’interno della cappella cerasi. la tela,di grandi dimensioni,è stata dipinta poco dopo quella pressa san Luigi dei francesi,per la cappella Cantarelli ove l’elemento luce squarcia la penombra del locale mettendo in evidenza la povertà e lo squallore.

Non dimentico di quest’atmosfera di luce, a circa ad un anno di distanza, gli viene commissionata un’altra conversione non più del discepolo Matteo bensì dell’apostolo delle genti Saulo di Tarso. Il modo scattante ed intimamente personale di trattare il dato religioso ne fanno un esempio espressivo ed un continuum della descrittività mistica della luce nelle scene sacre. La grande tela (2.30x1.75mt) propone la conversione di san Paolo per la via di damasco. Inconsueta l’ambientazione:la scena è una semplice stalla, una postazione poco prima la città verso cui Saulo era diretto. Testimoni della vicenda soprannaturale:il cavallo,che occupa più della metà del dipinto, un anziano palafreniere che appena s’intravede sulla destra del dipinto dietro il muscoloso collo del possente. Paolo invece è riverso a terra rappresentato nell’istante successivo a “quella luce del cielo che gli folgoreggiò intorno” abbattendolo al suolo. L’ambientazione poverissima come la vocazione di Matteo è scabra, spoglia tanto da parere ai suoi contemporanei persino blasfema;invece è la luce la vera ed autentica costruzione del dipinto che fa da protagonista principale nel teatro della vicenda.

Manifestazione della divinità, una sorta di teofonia nel compiersi meccanico,coatto di semplici azioni quotidiane è un farsi prossimo del Dio nella storia della semplicità. In questa tela proviene dall’alto una sorta di folgore divina che squarcia la tenebra del paganesimo,dell’indifferente,del persecutore,del calunniatore. Questo elemento cardine colpisce Saulo che cade; tutto è specchio di quella Fonte,ogni superficie,il bel mantello porpora di Saulo,il mantello pezzato del cavallo e i piedi nudi dell’anziano scudiero. Tutto si impressiona di quella luce, riverbera di quella potenza. Ma non è il mero significato simbolico che impressiona, bensì l’inquietante realismo di un corpo non ancora completamente caduto. Si scorge il moto ancora attivo delle gambe,inclinate,le braccia alzate,gli occhi accecati dalle palpebre chiuse in segno di difesa da quel bagliore. E’ un crescendo: la spada alla sinistra affrancata alla cinta è lontana, non può difenderlo,è li al suo fianco predata come il padrone. Sbigottiti per lo stupore degli attori di questa scena e anche noi osservatori,dal pathos evocativo caravaggesco. Il cavallo è in una posa singolare: l’anteriore destro è rialzato,d’istinto per non calpestare il cavaliere caduto. Mentre il palafreniere è anch’egli accecato dalla folgore divina che ha colpito Saulo, l’uno testimone,cosciente ma impossibilitato a comunicare la dinamica dei fatti è il cavallo con l’occhio aperto e rivolto al suo cavaliere. Nella prima versione del dipinto, rifiutata dai committenti, la scena presenta il salvatore nel momento in cui chiede:”Saulo,Saulo! Perché mi perseguiti?” Mentre nella versione ultima, quella ancora più accorata, resa nell’assenza, che cui fa percepire la fragilità di Paolo di fronte alla sovvranaturale maestosità della manifestazione celeste.