PLOTINO L’impensabile unità
PLOTINO: vita e opere Secondo Porfirio, allievo del filosofo e autore di una Vita di Plotino (unica fonte di notizie biografiche), il Nostro nacque a Licopoli nel 205 e nel 232 ebbe inizio la sua carriera filosofica ad Alessandria presso la scuola di Ammonio Sacca, grande filosofo e mistico neo-platonico che nulla lasciò di scritto. Nel 243 lascia Alessandria per seguire l’imperatore Gordiano (238-244) nella sua spedizione contro i Persiani, allo scopo di conoscere la leggendaria saggezza dei popoli orientali. Dopo il fallimento della spedizione, nel 244 giunge a Roma dove fonda una scuola filosofica che, successivamente, sarà frequentata anche dall’imperatore Gallieno (253-268) e da sua moglie Salonina. Fra il 254 e il 269 compone i suoi 54 trattati (ordinati da Porfirio in 6 gruppi di nove trattati ciascuno, e intitolati ENNEADI) e tenta senza successo di fondare in Campania Platonopoli, una città dove vigessero le regole politiche e lo stile di governo suggerito da Platone nella Repubblica e nelle sue altre opere politiche. Muore nel 270.
L’unità “Tutti gli enti sono enti in virtù dell’Uno … Infatti che cosa potrebbe esserci se non fosse unità? Tant’è vero che, privati appena dell’unità che vien loro attribuita, gli enti non sono più quelli. Esemplificando, non si ha esercito se esso non sa presentarsi uno, né si ha coro, né gregge, se non sono uno. Anzi niente casa o nave se non hanno unità, dal momento che la casa è un’unità, e così pure la nave, tanto che se perdono unità, la casa non sarà più casa e la nave non sarà più nave” (Enneadi, VI, 9, 1).
Un’osservazione Plotino giunge all’Uno per via di un’osservazione di svariati fenomeni della realtà e di come ci si presentano alla nostra percezione. Da questi fenomeni Plotino conclude SINTETICAMENTE che nessuna cosa può essere tale e può essere pensabile come tale senza che abbia e sia concepita come un’unità.
Gerarchia Non è possibile per Plotino pensare la molteplicità delle cose - che pur vediamo molteplici - senza presupporre l’unità. Dunque tutto dipende dall’unità e anzi “il grado di unità che caratterizza un determinato essere è indice del suo valore: quanto più una cosa è compatta nella sua struttura, tanto più occupa una posizione elevata nella gerarchia degli enti, quanto più è attraversata dalla molteplicità, tanto più in basso si colloca nella scala ontologica” (F. Occhipinti, Uomini e idee, Einaudi, 2010, p. 376).
L’unità a fondamento di tutto L’unità per Plotino ha quindi una funzione al tempo stesso ontologica (è criterio di una gerarchia nell’essere) e assiologica (è criterio di una gerarchia nel valore): quanto più una ente è unitario tanto più “è” e tanto più “vale”. Ma vi sono livelli diversi di unità, vi è un’unità puramente “esterna” come quella dei passanti per la strada o quella delle lettere dell’alfabeto, e vi è un’unità via via più profonda come quella di un gruppo di uomini legati da una missione comune o ancora quella di un corpo umano in cui ogni funzione è legata a e dipendente da un’altra. L’unità più profonda, che dà unità a tutto il resto, è quella dell’UNO stesso, principio, causa e radice di ogni unità.
L’UNO trascendente L’Uno, in quanto principio di unità della realtà, è TRASCENDENTE, cioè non si confonde con nessun oggetto della realtà: gli oggetti sono ciascuno uno ma sono anche molteplici (sono composti da più parti in relazione con altre parti di una più vasta molteplicità); INEFFABILE e INDEFINIBILE, cioè non vi si possono attribuire determinazioni, infatti qualsiasi determinazione introdurrebbe una molteplicità in esso (se io dico “l’Uno è”, già sto attribuendo al soggetto “Uno” il predicato dell’”essere” e quindi sto introducendo nell’Uno la differenza tra un soggetto e la sua caratteristica: in questo modo rendo l’Uno molteplice).
Apofatismo Dell’Uno si possono solo dare definizioni NEGATIVE: al posto di dire ciò che l’Uno è, se ne dà una descrizione dicendo ciò che l’Uno NON È. Questa modalità di conoscenza “per negazione” darà avvio a quella disciplina che successivamente, in epoca cristiana, sarà chiamata teologia apofatica (dal greco apòfasis=negazione).
L’Uno - Bene L’unica definizione in positivo che si può dare dell’Uno è quella relativa alla caratteristica di BENE (come era in Platone). Tale definizione non descrive l’essere profondo dell’Uno (cosa che è al di fuori delle possibilità umane), ma il modo in cui l’universo intero con le sue creature lo “considera”. Infatti ogni bene, ogni essere, ogni determinazione positiva viene al mondo dall’Uno. Dunque per il mondo l’Uno è Bene, malgrado in sé il Bene non possa essere un attributo pienamente corrispondente all’Uno.
INFINITÀ Una caratteristica importante che si può desumere “per negazione” è l’assoluta assenza di limiti: l’Uno è INFINITO. Tale infinità del primo principio contraddice significativamente un’antica tradizione della filosofia greca che aveva sempre considerato il limite segno di compiutezza e dunque di perfezione, tanto che, tranne alcune rare eccezioni, il principio primo, divino e perfetto del mondo era sempre stato considerato limitato.
L’Uno si autopone (la prima ipostasi) Come principio primo, assoluto, trascendente, ineffabile, indicibile, infinito, l’UNO non può essere causato da altro e deve essere al di sopra di ogni categoria ontologica (essere, sostanza, accidente etc.). Ciò che si può dire di questo Uno è dunque che si è prodotto da sé e da sé produce ogni altra cosa. Dunque dell’Uno si può dire solo che la sua è un’attività di produzione di sé stesso e di altro. Dunque l’Uno è infinita attività produttrice e autoproduttrice. Come tale essa identifica la prima ipostasi, cioè la prima e fondamentale entità autonoma in grado di dare origine e relazionarsi con l’altro da sé.
L’Uno è volontà In quanto assoluta autocausazione che è al tempo stesso causa del reale, l’Uno è enérgheia, pienezza che straripa come volontà. Si tratta di una VOLONTÀ liberata da tutte le implicazioni della contingenza, in cui si identifica pienamente l’Uno e da cui, per un atto di volontà eterno e immutabile, deriva tutta la realtà.
L’Uno genera La sua ricchezza straripante dà luogo a tutta la realtà. Perché? “Quell’[ente] che giunge alla perfezione genera e, non tollerando più di rimanere chiuso in se stesso, mette al mondo un altro essere […]. Come potrebbe il sommo e primo Bene, potenza di tutte le cose, starsene gelosamente racchiuso in sé o rimanere impotente? In tal caso come potrebbe ancora essere principio?” (Enneadi V, 4, 2). Dunque è necessario che l’Uno generi qualche cosa di ALTRO.
L’Uno emana (il pròodos) La generazione dall’Uno possiamo chiamarla emanazione o processione o anche irradiazione. Si tratta del processo per cui da un centro di potenza vengono fuori sempre nuove realtà, o per cui da un sole viene continuamente irradiata la luce. Questo non è frutto di una scelta arbitraria, non c’è l’Uno e poi la sua volontà di irradiare o emanare, l’Uno è la sua stessa libera volontà che irradia ed emana, ciò che l’Uno fa è ciò che l’Uno è, poiché nulla è separata nell’uno ma tutto perfettamente fuso nella sua suprema unità.
Conseguenze dell’emananzione Il principio, l’Uno rimane tale nel suo generare, nel senso che la generazione non lo impoverisce e non lo condiziona. Ciò che è generato è inferiore al generante e non serve al generante: il generato ha bisogno del generante ma non viceversa.
Ciò che viene generato Ciò che viene generato da parte dell’Uno è tanto più perfetto quanto più vicino alla sua fonte di generazione. Così si viene a creare una gerarchia di esseri digradante dall’Uno fino alla meno nobile materia sensibile e inerte (l’elemento più lontano dalla sua fonte). Questa gerarchia descrive tutta la struttura dell’universo sia sensibile sia soprasensibile. Una struttura piramidale che adesso andiamo a vedere.
L’Uno e il Nous (o Intelletto o Pensiero) Come avviene il processo di produzione – processione – emanazione? Tutto viene dall’Uno e dalla sua ricchezza inesauribile. La seconda ipostasi che viene dall’Uno (il quale corrisponde alla prima ipostasi) è il Nous o Intelletto, il quale coincide anche con l’essere Ipostasi significa realtà autonoma, delineata, “che sta”. Che cosa “sta” subito dopo l’Uno? Il Nous-Intelletto-Essere.
Come avviene la prima emanazione? La contemplazione ontogonica Dalla realtà ineffabile dell’Uno scaturisce una prima alterità. Dall’Uno si genera “qualcos’altro”. Questo indeterminato qualcos’altro si rivolge all’Uno per contemplarlo e viene da esso fecondato, riempito, colmato. Questo riempimento fa essere il qualcosa e lo fa diventare appunto Essere. L’Altro nato dall’Uno diventa ESSERE grazie al fatto che si rivolge di nuovo all’Uno per avere da esso tutta la potenza che lo fa essere quello che è.
La prima emanazione: la riflessione su se stesso Questa alterità che diventa, si fa essere, riflette però anche su se stessa, ponendo se stessa come oggetto di riflessione, guardandosi proprio come una realtà riempita, fecondata e quindi nobilitata dall’Uno. Qui nasce il pensiero che riflette sull’Essere, il pensiero puro e assoluto che conosce in modo puro e assoluto l’Essere.
L’essere oggetto del Nous L’essere che è oggetto del Pensiero-Nous è il mondo platonico delle idee, dove sono contenuti tutti i paradigmi perfetti della realtà, differenziati concettualmente ma tutti facenti parte dell’unico Pensiero assoluto, il quale è infinito come lo è l’Uno ed è infinito in ogni sua parte in modo che in ogni idea sono contenute tutte le altre.
. Uno Pensiero-essere Pensiero infinito Essere infinito amore Dall’ UNO il Pensiero Essere, il quale riflette su se stesso in modo tale che tutto il pensiero è contenuto in tutte le idee-essere che il pensiero contempla, così che in ogni idea vi sono tutte le altre Uno . Pensiero-essere Pensiero infinito Essere infinito amore bontà grandezza bellezza virtù umanità proporzione durezza intelligenza qualità animalità
Il Nous e la molteplicità in unità Nel Nous vi è dualità o molteplicità, la dualità di pensante e pensato e la molteplicità delle idee pensate. In sostanza il Nous pensando, non può non pensare a qualche cosa. Ogni pensiero non può essere pensiero se non ha un oggetto da pensare. Anche se in questo caso l’oggetto è se stesso, il Nous, pensando si distingue in Nous-che-pensa e Nous-che-è-pensato, generando una prima dualità. Il pensato poi, cioè l’essere che il Nous pensa, corrisponde a tutti i modelli spirituali della realtà, cioè le idee platoniche, distinte le une dalle altre: ecco l’emergere di una molteplicità. TUTTAVIA tale molteplicità è perfettamente ridotta ad unità perché il pensiero compenetra totalmente il pensato e in ogni idea c’è tutto il pensiero cioè vi sono tutte le altre. Mentre l’UNO è UNO, il NOUS è UNO-MOLTI.
Dal Nous: l’Anima La terza ipostasi è l’Anima. Essa si genera a partire dalla potenza irradiante dell’Uno che continua a produrre l’Altro da sé. Il Nous-pensiero genera dunque un’alterità che si rivolge di nuovo a contemplare il Nous ricevendone la sua forma e il suo essere. Dunque grazie alla contemplazione del Nous l’anima pensa ma la sua essenza non è propriamente il pensare (altrimenti non si distinguerebbe dal Nous).
L’essenza dell’Anima L’essenza dell’anima è il dare vita, generare, ordinare e governare tutte le cose sensibili. L’anima è per eccellenza causa produttrice e ordinatrice, principio di movimento di tutto il cosmo naturale. L’anima dunque si rivolge al Nous e, ricevendone il pensiero, produce, governa e ordina le realtà sensibili che vengono dopo di lei. Quindi si colloca ai confini del mondo intellegibile, come ultima ipostasi prima del passaggio al mondo sensibile e guarda in entrambe le direzioni, generando il corporeo pur rimanendo di per sé incorporea.
L’anima “uno e molti” L’anima dunque si colloca in una posizione intermedia tra l’assoluta unità dell’Uno e la prevalente molteplicità della materia sensibile. Questa sua medietà è confermata dal fatto che essa risulta composita.
Anima del mondo La parte superiore dell’Anima o “Anima del mondo” è quella rivolta all’Intelletto-Nous dalla quale riceve la facoltà di pensare e le immagini-modello delle cose (le idee).
Le anime individuali Ma nell’anima le idee non sono tutte in tutte, bensì sono separate in una molteplicità di anime individuali che pur ritrovando la loro unità nell’Anima del mondo “intraprendono una vita personale, autonoma e libera nei movimenti” (parte intermedia dell’Anima). Tali idee costituiscono la sua ricchezza ma anche il principio della sua disunione.
L’anima-nel-corpo La parte inferiore dell’Anima è quella che si riveste dei corpi e li compenetra dando loro forma e vita. In tal modo, con i corpi nascono anche lo spazio e il tempo e si entra nell’ambito del mondo IMMANENTE. Questo compenetrare i corpi per l’Anima è un abitare i corpi che non comporta però una divisione irrecuperabile. Proprio perché l’Anima rimane una, pur nelle diverse anime e nei diversi corpi, il mondo ha una sua unità.
L’uomo L’uomo è quella parte di mondo sensibile in cui l’anima abita riflettendo, meglio che in tutti gli altri corpi, l’Anima universale. Anche l’anima dell’uomo infatti, pur governando le attività biologiche, e quindi pur rivolgendosi verso il “basso” del corpo, è caratterizzata da un’attività conoscitiva e razionale e in ciò sta la sua qualità sovrasensibile. Pertanto l’anima umana è il tramite tra i due mondi, quello sensibile e quello sovrasensibile.
Il richiamo L’anima, quasi prigioniera della materia, sente tuttavia il richiamo della sua origine. “Nessuna anima si è immersa completamente (nel sensibile, n.d.r.), ma esiste una sua parte che sta sempre nell’intellegibile” (Enneadi, IV, 8 [6], 8). Tale parte “indiscesa” vive in questo mondo come in esilio e sente il conatus verso l’altro mondo, eterno e assoluto, dell’essere e dell’Uno.
Dal molteplice all’Uno: il ritorno (epistrophé) L’anima umana, a partire dal suo conatus verso l’assoluto, intraprende già su questa terra il viaggio di ritorno dal sensibile al sovrasensibile. L’obiettivo da raggiungere è quello dell’emancipazione dalla dipendenza del corpo. Essa ha inizio con la pratica delle virtù civili: Intelligenza e sapienza – che si sviluppano senza il concorso del corpo. Temperanza – che frena le passioni. Coraggio/fortezza – che spinge l’anima a superare i timori legati al corpo. Giustizia – che pone il valore della vita nella ragione che va al di là delle inclinazioni egoistiche.
La bellezza Il percorso prosegue con la contemplazione della bellezza nel mondo. Si tratta di vedere nel mondo sensibile i segni dell’intellegibile unità, che ci attrae in modo platonicamente erotico verso di sé, facendoci anelare al sovrasensibile quale nostra meta fondamentale. Come per Platone, così per Plotino, vi è una scala della bellezza che va dal bello corporeo fino al bello immateriale oggetto di pura contemplazione.
Dialettica e filosofia verso l’Uno Il passo successivo è quello della ricerca di una scienza del reale che ci porti ai suoi vertici. Tale è la dialettica, disciplina che già Platone aveva visto come il metodo peculiare della filosofia e di cui Plotino sottolinea le valenze anagogiche (cioè la sua capacità di “elevare” all’assoluto).
Che cos’ è la dialettica “Ma che cos’ è la dialettica (…)? Essa è quell’attitudine che si ha per natura di esprimere, concettualmente, su ogni cosa, che cosa sia, in che differisca da altre cose e se abbia qualcosa in comune con loro; inoltre in quali esseri essa si trovi e in qual luogo sia, singolarmente; se la sua essenza esista realmente; quante cose siano esistenti e ciò che, per contro, differendone, non va annoverato tra gli esseri” (Enneadi I, 3,4).
La scienza della realtà In sostanza la dialettica è la scienza che mette in ordine la totalità del reale, producendo un sistema completo di tutto ciò che esiste e del grado di essere che ciò che esiste possiede all’interno di una gerarchia che va dal mondo sensibile all’Uno e viceversa. Il possesso di tale scienza consente all’anima di acquisire un sapere di ciò che è, elevandosi da quanto appare nelle nostre vicinanze e nel nostro mondo corporeo, fino al grado più alto dell’unità assoluta.
Tre livelli della dialettica L’elevazione avviene secondo tre tappe: “… un primo momento consiste nel passaggio dal corporeo all’incorporeo, un secondo consiste nel procedere di grado in grado nella sfera dell’incorporeo e un terzo consiste nel termine del processo, ossia nel raggiungimento totale e perfetto del fine ultimo, che per Plotino è l’unione estatica dell’anima con l’assoluto” (G. Reale, Storia della filosofia antica, Vita e Pensiero, Milano, 19875, vol. IV, p. 596).
ESTASI L’anima dopo aver raggiunto il vertice del sapere, abbandona ogni sapere e si riunisce con l’Uno, spogliandosi di tutto ciò che si era aggiunto alla sua originaria comunanza con l’Uno, cioè della sua corporeità, della sua individualità, delle sue passioni, ma anche del suo amore, dei suoi sentimenti, dei suoi desideri … il tutto per fare spazio all’Uno che la riempie totalmente per assimilarla a sé. Questo abbandonare se stessa per farsi vaso accogliente dell’UNO lo chiamiamo estasi ( = star fuori di sé).
Oltre la ragione e l’essere L’estasi comporta uno stato non di incoscienza, ma di sovracoscienza: non è un fenomeno irrazionale, ma va oltre a tutto ciò che la ragione può dire, non guadagna l’essere supremo ma va oltre l’essere, superandolo verso l’alto (come nella teologia negativa) e non verso il basso (come quando ci si allontana dal primo principio verso il non essere della materia). Questa è la realizzazione più piena della nostra umanità alla quale tutta la filosofia di Plotino è ordinata, proponendosi quale vero e proprio esercizio spirituale per dare un senso compiuto definitivo alla vita dell’uomo.