Schopenhauer (1788-1860) Schopenhauer riprende il pensiero di Kant. Egli valorizza l’importante distinzione fra fenomeno e noumeno; difatti poiché per.

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Schopenhauer (1788-1860) Schopenhauer riprende il pensiero di Kant. Egli valorizza l’importante distinzione fra fenomeno e noumeno; difatti poiché per Kant la “cosa in sé” sfugge alla rappresentazione, bisogna allora limitarsi allo studio dei modi in cui l’oggetto si rapporta al soggetto. Egli vuole realizzare una metafisica che non va, di fatto, al di là dell’esperienza, “ma presenta soltanto la vera comprensione di quel mondo che esiste in essa”. (Il mondo come volontà e rappresentazione, 1819).

Pur valorizzando il pensiero di Kant, Schopenhauer sostiene che egli ha commesso l’errore di escludere definitivamente la possibilità di poter conoscere la “cosa in sé”. Egli infatti propone una nuova via d’accesso alla “cosa in sé” che non si esaurisce nell’analisi della “conoscenza”: la “cosa in sé” la identifica con la volontà. Con ciò giunge alla distinzione tra “mondo come rappresentazione” e “mondo come volontà”.

Mondo come rappresentazione Quando il soggetto è orientato verso l’esterno e vuol conoscere obiettivamente quel mondo fenomenico che gli sorge davanti, attraverso le categorie kantiana di spazio, tempo e causa, l’unica conclusione a cui può pervenire è che il “mondo è una sua rappresentazione”.

La Rappresentazione La rappresentazione è l’essere oggetto per il soggetto. “Tutte le nostre rappresentazioni sono oggetti del soggetto e tutti gli oggetti del soggetto sono nostre rappresentazioni.” Per Schopenhauer, la rappresentazione è sinonimo di parvenza, sogno, illusione. Egli riprende il principio dell’antico idealismo (Platone, l’antica saggezza religiosa dell’India), ma anche il concetto di Berkeley (esse est percipi). Il mondo che accade sotto i nostri sensi non è il vero mondo.

Il mondo della volontà Alla rappresentazione di Kant, sostiene Schopenhauer, si perviene tramite l’astrazione, per cui si esclude una altra dimensione importante, ossia la Volontà. Rivolgendo lo sguardo verso l’interno di noi, nell’autocoscienza, si giunge infatti in un nuovo mondo,quello della volontà che è qualcosa di irrazionale.

La volontà e il corpo Il corpo è il ponte di unione tra il mondo come rappresentazione e il mondo come volontà. Esso infatti è un corpo tra i corpi, oggetto tra gli oggetti e quindi soggetto a diventare oggetto di un soggetto, ossia una rappresentazione. Il corpo è tuttavia anche autocoscienza, ossia il corpo è conosciuto in tutt’altra maniera.

Nel nostro essere autocoscienza diventiamo consapevoli d’essere volontà. Volontà che agisce, che coincide con l’atto stesso che compie. L’atto è la manifestazione obiettiva della volontà. La volontà è l’essenza del soggetto, tuttavia questa rimane oscura, sarà sempre una incognita, qualcosa di irrazionale e quindi non risolvibile.

La natura è la manifestazione della Volontà Avendo identificato la cosa in sé con la Volontà, Schopenhauer giunge ad elaborare una filosofia che comprenda tutti i fenomeni presenti nella natura. In questa vi sono infatti dei fenomeni di per sé inspiegabili, quali ad es. la forza di gravità. La scienza ammette quindi l’esistenza di qualcosa di non conoscibile. Schopenhauer per rimediare all’irrazionalità dei fenomeni scientifici, afferma che le forze presenti in natura debbano essere nella loro essenza identiche alla volontà. Cerca insomma di dare una unità ai fenomeni scientifici.

La natura si rivela come un unico, complesso e stratificato fenomeno della volontà. Pur non giungendo tuttavia conoscerla, si può sostenere che essa sarà uguale e identica in tutti i fenomeni. La volontà giunge alla sua manifestazione in tutti i fenomeni attraverso le idee. Queste sono dei modelli che guidano la volontà nel suo oggettivarsi. La natura inorganica, quella organica, il mondo vegetale e, infine, l’uomo costituiscono gradi successivi e ascendenti di oggettivazione della volontà.

Scopo della Volontà La volontà ha solo uno scopo la propria autoaffermazione. La volontà non segue un processo finalistico consapevole, essa è una volontà di vivere astuta, che sfrutta ogni occasione per affermarsi, senza avere di mira alcuno scopo razionale: tanto meno la felicità del singolo.

La volontà è conflittualità La volontà è caratterizzata da una continua conflittualità. In tutti i piani della natura notiamo sempre uno spettacolo desolante di guerra e sopraffazione, dolore e miseria. Tutte le forze naturali lottano per contendersi il limitato spazio della materia. Per sopravvivere bisogna sopprimere altre forme viventi.

La coscienza e la volontà Essendo la volontà presente in tutti i fenomeni naturali, anche la coscienza dell’uomo sarà dunque una sua manifestazione. La coscienza è legata al funzionamento di un organo corporeo: il cervello. Le conclusione a cui vuole giungere Schopenhauer è che il suo idealismo è diverso dallo spiritualismo hegeliano. Egli infatti ammette che la coscienza è un “epifenomeno del cervello”.

Primato della volontà sull’intelletto La coscienza comprende l’intelletto e la ragione: con il primo si intende la capacità di intuire il nesso causale fra i fenomeni (lo posseggono tutti gli animali superiori); la ragione è invece di pertinenza dell’uomo,ossia la facoltà del pensiero astratto. L’intelletto è servo della Volontà; esso offre alla volontà, la quale tiene segretamente le fila, i motivi affinché essa possa attuare consapevolmente, ciò razionalmente, ciò che già vuole incosciamente e irresistibilmente.

L’estetica Schopenhauer nella sua opera più importante, Il mondo come volontà e rappresentazione, oltre ad affrontare nei primi due libri il problema gnoseologico, affronta nel terzo libro anche il tema dell’arte. Questa è una forma diversa di conoscenza che si riassume nella nozione di genio. Mentre l’uomo comune conosce attraverso i sensi, l’intelletto e la ragione, seguendo anche una visione utilitaristica delle cose (fuggo dal dolore, ricerco il piacere), non giungendo a conoscere la cosa in sé;

la conoscenza, al contrario, del genio, ossia dell’artista, è rivolta all’idea. Si tratta di una forma di conoscenza che oltrepassa il fenomeno, la rappresentazione per giungere all’essenza delle cose. Se prima Schopenhauer sostiene nel primo libro del Mondo, che le idee, modelli della realtà, rimangono inconoscibili all’uomo, nel terzo libro ammette una forma diversa di conoscenza che permette di arrivare a conoscere l’essenza delle cose. Non sarà la scienza quindi a farci conoscere l’essenza delle cose, ma l’arte.Essa sa esprimere e rendere intuitivo l’aspetto vero delle cose oltre il semplice fenomeno.

La conoscenza artistica L’artista è “puro soggetto conoscente e limpido occhio del mondo”. Egli realizza il bello all’interno di una visione disinteressata del piacere. Sia l’artista che lo spettatore nella fruizione estestica, osservano disinteressatamente il mondo come pura rappresentazione della volontà. L’opera d’arte non ha una fine utilitaristico, soddisfare un piacere o togliere un dolore. Per quest’ultimo valga l’esempio dello spettatore che è capace di godere alla vista di un’opera che rappresenta dolore, paesaggi inospitali, terrificati (sublime). La musica rappresenta l’arte più importante, essa è la voce suprema della volontà stessa.

Arte come purificazione estetica Nel momento in cui nell’arte non vi è più la conflittualità connessa alla volontà di vivere, l’intelletto viene liberato momentaneamente dal servizio della volontà. Nell’opera d’arte, ad es. la tragedia, allo spettatore rimane la sensazione piacevole e liberatoria di un “distacco” momentaneo dalla sofferenza del vivere. Questa è chiamata purificazione estetica.

La libertà e volontà L’essere umano, per Schopenhauer, non è libero, ma si libera, superando gradualmente i condizionamenti del mondo fenomenico e approfondendo il senso della propria appartenenza al mondo noumenico, ossia la sua identità alla volontà metafisica. L’uomo è libero solo identificandosi nella volontà metafisica, sinonimo di vita. Egli ha due alternative etiche: affermare la vita e quindi la sua appartenenza alla volontà, oppure negare la vita e quindi la volontà.

L’asceta L’asceta è colui che sceglie di negare la volontà. Egli ha consapevolezza che l’essenza del mondo è volontà e questo comporta dolore,sofferenza. Egli ha orrore di tutto ciò quindi pur continuando a vivere sospende il proprio assenso alla volontà. Questa sospensione è il vero atto di libertà dell’uomo. Non si accetta il suicidio, poiché questo essendo un atto singolo non eliminerebbe la volontà di vivere che è infinita.

Il pessimismo di Schopenhauer La vita è una continua lotta, un processo di continua costruzione e distruzione: “ogni vivere è per essenza un soffrire”. L’uomo tende al piacere ma questo stimolo porta con sé il bisogno, il dolore. Quando raggiunge il piacere subentra però la noia, la quale è una conseguenza alla momentanea soddisfazione del bisogno. Cosa è meglio per la vita: affermarla o negarla?

La negazione della vita: l’ascesi L’ascetismo si traduce in una morale della compassione, ossia nella capacità di patire-con-l’altro, giungendo così ad respingere l’egoismo in quanto forma tipica di cui si serva la volontà di vivere. L’uomo compassionevole è colui il quale è giunto a comprendere che la radice comune della felicità e del dolore, del male e del bene, è unica in tutti gli essere senzienti e sofferenti, e si astiene perciò da ogni azione che possa in qualche modo danneggiarli. Colui che non sente il dolore altrui, può giungere alla purificazione morale attraverso la l’accettazione consapevole e rassegnata del dolore “sentito” in proprio.

Il nirvana La non volontà (noluntas) non ha di mira l’annullamento nichilistico dell’uomo e dei suoi valori, ma la sua trasformazione. Infatti al culmine dell’ascesi vi è il nirvana, ossia l’asceta coglie il tutto dell’esistenza: un oceano di pace o uno spazio luminoso di serenità.