Strategie Economiche della PA: I Modelli di Governance

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Strategie Economiche della PA: I Modelli di Governance Economia Pubblica e Strategie Economiche della PA: I Modelli di Governance

Il diciannovesimo secolo è stato caratterizzato dallo sviluppo del collettivismo, basato sulla protezione pubblica degli interessi dei lavoratori e dalla preferenza per l’azione collettiva.

Nel ventesimo secolo, ad una prima metà caratterizzata dai conflitti bellici, ha fatto seguito un periodo con grandi interventi pubblici diretti alla ricostruzione e alla riduzione degli squilibri, ed una fase (anni settanta e ottanta) con lo Stato sempre più ingombrante nella gestione delle politiche, negli interventi nell’economia privata e nelle fasi di programmazione dello sviluppo delle aree locali.

Gli anni novanta hanno visto una forte inversione di questa tendenza per la comparsa di un nuovo attore: l’Unione Europea

La nuova entità sovranazionale non sostituisce lo stato-nazione ereditato dal secolo che si è concluso, ma contribuisce alla definizione di una nuova architettura istituzionale basata su differenti livelli di responsabilità politiche, territoriali ed economiche con poteri differenziati.

Su uno stesso territorio è possibile programmare, all’interno di uno scenario ben definito, interventi differenziati che impattano sull’economia locale e sulla coesione sociale attraverso strumenti differenziati e con la parallela partecipazione di diversi livelli istituzionali.

In questo senso la nuova architettura istituzionale si lega al concetto di governance basato sull’interazione tra vari soggetti politici, diversi livelli istituzionali e dei gruppi economici e sociali presenti sul territorio; tale architettura non prevede un centro politico e decisionale.

Creare sviluppo significa: > raccogliere le istanze del territorio > trasformare le istanze in progetti finanziabili > individuare le fonti di finanziamento

degli interventi strutturali dell’UE Relazioni tra gli effetti all’infrastruttura di base Supporto Miglioramento delle condizioni di vita Sviluppo esogeno Coesione economica e sociale degli interventi strutturali dell’UE Relazioni tra gli effetti Fattore di sviluppo nel lungo periodo del reddito Aumento Fattori di sviluppo nel breve periodo Supporto alle strutture produttive Sviluppo endogeno Riduzione della disoccupazione Supporto alle risorse umane

L’Unione Europea ha di fatto determinato il superamento delle tradizionali divisioni territoriali dei singoli stati nazionali. Ricomporre l’unità economica, sociale e politica dell’Europa non poteva non richiedere una trasformazione dei rapporti non solo tra i singoli Stati e l’Unione Europea ma tra gli stessi Stati e gli enti territoriali.

Il ruolo delle amministrazioni pubbliche Per analizzare come il ruolo degli enti locali si sia evoluto anche in Italia, si devono tenere presenti, sulla base delle cose sin qui analizzate, i fattori che appaiono strettamente collegati: segue

segue l’impatto dell’Unione europea sull’assetto politico-istituzionale dei diversi stati nazionali e conseguentemente, la nuova concezione di programmazione del territorio che ne è discesa.

L’integrazione europea ha modificato radicalmente il ruolo delle regioni, riconosciute come l’ambito più idoneo dell’azione comunitaria, le quali sono divenute il mezzo per ridurre la distanza che separa i cittadini dalle istituzioni europee, grazie alla loro funzione di “portavoce” delle politiche territoriali. segue

segue In Italia, anche normativamente attraverso l’adeguamento dell’ordinamento costituzionale, si ritrovano dei segni inequivocabili di tali cambiamenti.

Il ruolo delle regioni deve di fatto configurarsi, da una parte, come ruolo di regolatore dei processi di sviluppo, finalizzato a canalizzare le energie locali verso gli squilibri territoriali, segue

segue e dall’altra, come funzione propulsiva per l’orientamento e l’attivazione di una progettualità di ampio respiro strategico che sia in grado di proporsi come soggetto forte di indirizzo per l’economia locale, segue

segue a patto naturalmente che si voglia scommettere sul rafforzamento istituzionale della regione, ampliandone cioè la delega delle funzioni e l’autonomia patrimoniale.

E’ forte la distinzione tra il Comune, soggetto pubblico dotato di secolare tradizione, la Provincia, ente intermedio di coordinamento e la Regione, ente di legislazione e programmazione che, anche attraverso proprie funzioni delegate agli enti locali, svolge appieno il suo ruolo di ‘luogo’ dove confluiscono le istanze territoriali.

E’ bene sottolineare che il ruolo rilevante che il legislatore ha voluto riconoscere alla regione, rispetto agli altri enti intermedi, non deve essere inteso come una ‘sostituzione’ della stessa allo Stato nella regolazione dei rapporti con gli enti locali; segue

segue se così fosse ci si troverebbe di fronte ad una prevaricazione della regione sulle autonomie locali, le quali verrebbero completamente svuotate della loro capacità di autorganizzazione e autogoverno e soprattutto significherebbe riproporre quel regionalismo fallimentare degli anni settanta, che non è stato in grado di determinare un’adeguata svolta dell’organizzazione delle stesse amministrazioni pubbliche territoriali.

Lo strumento necessario per promuovere il ruolo di regioni ed enti locali deve essere quello del completo decentramento delle attività di programmazione economica su scala territoriale.

Questo concetto di autonomia, intesa come processo che parte dal basso e che valorizza le capacità di indirizzo degli enti locali, rappresenta oggi l’unica via percorribile al fine di favorire e sostenere un processo di programmazione dello sviluppo territoriale in linea con i fondamenti indicati dalla nuova architettura istituzionale.

La provincia, sulla base di programmi pluriennali, svolge il ruolo di programmazione dello sviluppo, e il comune è titolare della funzione di controllo, intesa come la possibilità di modificare le scelte di indirizzo effettuate a livello provinciale, per farvi rientrare le istanze raccolte sul territorio.

Lo Stato gestore delle attività economiche, ingegnere sociale e dispensatore di beni, lascia, in questa fase storica anche grazie alla forte spinta del processo d’integrazione comunitario, il posto allo Stato regolatore, capace di guidare le attività dei privati, rispettandone la natura, e nello stesso tempo garantendo benefici collettivi attraverso la protezione degli interessi della collettività.

Uno Stato regolatore svolge per lo più attività regolativa ponendo condizioni di funzionamento efficiente ai mercati e ai privati; è uno Stato, quello regolatore, responsabile dell’efficacia delle proprie misure, nonché della prevenzione di eventuali effetti indesiderabili su altre sfere sociali delle medesime misure.

E’ stata per lungo tempo opinione diffusa, quella secondo cui, l’Unione Europea, fosse strutturalmente incapace di produrre politiche socialmente ed economicamente più avanzate di quelle adottate dai singoli Stati membri. Opinione formatasi soprattutto sull’analisi dei processi costitutivi delle politiche d’intervento.

Dal punto di vista formale, il policy-making comunitario è caratterizzato da una continua interazione tra gli Stati membri e le istituzioni comunitarie, per le seguenti ragioni : >l’iniziativa politica parte dai capi di Stato e di governo riuniti nel Consiglio Europeo >l’elaborazione tecnica delle misure comunitarie è affidata in larga misura a esperti nazionali, mentre la loro adozione formale è prerogativa del Consiglio dei Ministri; segue

segue >la discrezionalità della Commissione nell’esecuzione delle direttive del Consiglio è posta sotto controllo attraverso il sistema dei comitati; >la mediazione politica avviene all’interno del Comitato dei rappresentanti permanenti, detto Coreper; >l’attuazione è nelle mani delle amministrazioni pubbliche nazionali.

Uno Stato regolatore svolge per lo più attività regolativa, che si riferisce ad ambiti di attività svolte per lo più dai privati, ai quali vengono poste le condizioni di funzionamento efficiente. Lo Stato regolatore è responsabile della valutazione dell’efficacia delle proprie misure, nonchè della prevenzione di eventuali effetti indesiderabili su altre sfere sociali. segue

segue Uno Stato di questo tipo non può essere confuso con lo Stato che pianifica l’economia, o con lo Stato erogatore diretto di prestazioni, né con il cosiddetto Stato “minimo” che è sistematicamente astensionista e contesta energicamente l’espansione della stessa regulation.

La regolamentazione è pertanto il processo in cui si rileva non solo il momento della formulazione delle regole, ma anche quello della loro concreta applicazione, e quindi non l’astratta ma la concreta modificazione dei contesti d’azione dei destinatari.

La distinzione netta tra legislazione e amministrazione impone la presenza di autorità regolative indipendenti, che per alcuni versi sono dei veri e propri strumenti caratteristici dello Stato regolatore.

Lo Stato Regolatore può essere nettamente distinto dallo Stato Sociale se quest’ultimo è visto come un dispensatore di beni, così come va distinto dallo Stato interventista e pianificatore che tende a intraprendere programmi come il soddisfacimento di tutti i possibili bisogni sociali o la gestione globale dello sviluppo socio-economico.