Le centrali nucleari Di: Giulia Canini 3°A Fonti: www.wikipedia.it.

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Le centrali nucleari Di: Giulia Canini 3°A Fonti: www.wikipedia.it

Cosa è una centrale nucleare? Con centrale elettronucleare (più comunemente centrale nucleare o atomica), si intende generalmente una centrale elettrica che, attraverso l'uso di uno o più reattori nucleari, sfrutta il calore prodotto da una reazione di fissione nucleare a catena autoalimentata e controllata per generare vapore (o gas come l'anidride carbonica) a temperatura e pressione elevate col fine di alimentare turbine connesse ad alternatori e producendo quindi elettricità. Il termine potrà essere esteso anche alle eventuali future centrali a fusione nucleare, che potrebbero impiegare un reattore a fusione nucleare; tuttavia la ricerca in questo campo è ancora in una fase sperimentale, la fusione nucleare controllata è stata ottenuta in laboratorio solamente per brevi periodi di tempo e con una bassa resa energetica

Qual è l’origine delle centrali nucleari? La fissione nucleare fu ottenuta sperimentalmente per la prima volta dal gruppo guidato da Enrico Fermi nel 1934 bombardando l'uranio con neutroni opportunamente rallentati con un blocco di paraffina. Tuttavia i fisici italiani non compresero correttamente il processo che avevano creato identificando erroneamente i prodotti di fissione con nuovi elementi transuranici la cui creazione spiegavano mediante decadimento beta. Nel 1938, nel periodo in cui Fermi era a Stoccolma a ritirare il premio Nobel, la spiegazione corretta del fenomeno venne descritta dai chimici tedeschi Otto Hahn e Fritz Strassmann, congiuntamente ai fisici austriaci Lise Meitner e Otto Robert Frisch. Determinarono che il neutrone, relativamente piccolo, è in grado di scindere il nucleo dei pesanti atomi di uranio in due parti pressoché uguali. Numerosi scienziati (tra i primi Leo Szilard) compresero che le reazioni di fissione rilasciavano ulteriori neutroni, con il risultato di potere originare una reazione nucleare a catena in grado di autoalimentarsi. Gli scienziati in molte nazioni (inclusi gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Francia, la Germania e l'URSS) furono spronati dai risultati sperimentali a chiedere ai loro rispettivi governi un supporto alla ricerca sulla fissione nucleare. Fermi non rientrò in Italia a causa delle leggi razziali(sua moglie era ebrea) ed emigrò negli Stati Uniti d'America, così come gran parte delle personalità della fisica europea. A Chicago gli fu affidata la direzione della realizzazione del primo reattore nucleare, conosciuto come Chicago Pile-1, che entrò in funzione il 2 dicembre1942. Famosa rimane la frase in codice con la quale fu comunicata alle autorità il successo dell'esperimento: «Il navigatore italiano ha raggiunto il nuovo mondo» parafrasando la scoperta dell'America da parte di Cristoforo Colombo. Questa attività fu condotta nell'ambito del progetto Manhattan, che portò anche alla costruzione di alcuni reattori a Hanford allo scopo di produrre plutonio da utilizzare per le prime armi nucleari (parallelamente fu approntato un piano di arricchimento dell'uranio).

Dopo la seconda guerra mondiale, il timore che la ricerca sui reattori nucleari potesse incoraggiare il rapido sviluppo di armi nucleari anche in funzione delle conoscenze accumulate, insieme all'opinione di molti scienziati che ritenevano occorresse un lungo periodo di sviluppo, crearono una situazione in cui la ricerca in questo settore fu tenuta sotto stretto controllo dai governi (celebre il carteggio tra Einstein e il presidente americano Roosvelt). Inizialmente la maggioranza delle ricerche sui reattori nucleari fu incentrata a fini puramente militari e per diversi anni a seguire le prime scoperte nel campo le applicazioni dell'energia atomica continuarono ad essere tali con la realizzazione di migliaia di testate atomiche in grado di alimentare quel timore costante di una guerra nucleare tra superpotenze mondiali che fu l'elemento base della successiva guerra fredda. A scopi puramente civili invece l'elettricità venne prodotta per la prima volta da un reattore nucleare il 20 dicembre 1951, alla stazione sperimentale EBR-I (Experimental Breeder Reactor I) vicino ad Arco, che inizialmente produceva circa 100 kW (fu anche il primo reattore a subire un incidente di parziale fusione del nocciolo nel 1955). Nel 1953 un discorso del presidente Dwight Eisenhower, «Atomi per la pace», enfatizzò l'utilizzo dell'atomo per scopi civili e sostenne un piano politico per porre in primo piano gli Stati Uniti in un'ottica di sviluppo internazionale del nucleare. Nel 1954 Lewis Strauss, presidente della Atomic Energy Commission statunitense, in un convegno di scrittori scientifici sostenne: «Non è troppo aspettarsi che i nostri figli usufruiranno nelle loro case di energia elettrica troppo economica per poter essere misurata».

Come funziona la centrale nucleare? In una centrale nucleare a fissione refrigerata ad acqua leggera, come ogni centrale elettrica basata su un ciclo al vapore, avviene una reazione che libera calore utilizzato per la vaporizzazione dell'acqua e quindi la generazione di lavoro meccanico. Il principio fisico alla base della generazione del calore in una centrale nucleare a fissione è dunque la fissione nucleare, ovvero la scissione del nucleo di atomi pesanti quali uranio e plutonio. Schema di funzionamento di una centrale nucleare a fissione di tipo PWR. Il calore sviluppato dalla reazione di fissione all'interno del reattore viene trasferito tramite un fluido refrigerante a un flusso di acqua che genera vapore saturo. Il vapore alimenta una turbina che tramite un generatore produce la corrente che alimenterà la rete elettrica.

Centrali nucleari: la loro sicurezza In alcune tipologie di reattori l'acqua del ciclo di potenza dei generatori a turbina non ha alcun contatto con il reattore nucleare, e quindi è esente da qualsiasi forma di emissione radioattiva; in altre tipologie (come ad esempio ireattori BWR o gli RBMK) invece questa separazione non esiste. In ogni caso, durante l'esercizio, una centrale nucleare emette piccole dosi di radioattività sotto forma di effluenti sia liquidi che gassosi, in particolare trizio, isotopi del cesio, del cobalto, del ferro, del radio e dello stronzio; tali emissioni perdurano anche a distanza di decenni dalla chiusura degli impianti in quantità che vanno dalle migliaia alle centinaia di milioni di becquerel. Le centrali nucleari a fissione seguono oggi norme di sicurezza di livello molto elevato e condensano un bagaglio tecnologico molto avanzato. Le centrali nucleari a fissione sebbene siano tra gli impianti più controllati hanno dato luogo a numerosi incidenti di varia gravità, alcuni anche famosi come ad esempio quello di Černobyl'. Procedure e tecniche costruttive si sono affinate nel tempo anche al fine di contenere i rischi tipici di funzionamento, tali rischi, però, non potranno mai essere completamente annullati. Dal punto di vista tecnico, una centrale nucleare recente dispone di sistemi di protezione (ad esempio la caduta del nocciolo) e di verifica tali da poter mitigare, sebbene non annullare, gli inconvenienti, almeno quelli prevedibili. La IAEA ha stabilito una scala (scala INES - International Nuclear Event Scale) di gravità degli eventi possibili in una centrale nucleare o in altra installazione, che si articola nei seguenti 8 livelli:

Livello 0 (deviazione): evento senza rilevanza sulla sicurezza. Livello 1 (anomalia): evento che si differenzia dal normale regime operativo, che non coinvolge malfunzionamenti nei sistemi di sicurezza, né rilascio di contaminazione, né sovraesposizione degli addetti. Livello 2 (guasto): evento che riguardi malfunzionamento delle apparecchiature di sicurezza, ma che lasci copertura di sicurezza sufficiente per malfunzionamenti successivi, o che risulti in esposizione di un lavoratore a dosi eccedenti i limiti e/o che porti alla presenza di radionuclidi in aree interne non progettate allo scopo, e che richieda azione correttiva. esempio: l'evento di Civaux, Francia 1998 e di Forsmark, Svezia 2006 Livello 3 (guasto grave): un incidente sfiorato, in cui solo le difese più esterne sono rimaste operative, e/o rilascio esteso di radionuclidi all'interno dell'area calda, oppure effetti verificabili sugli addetti, o infine rilascio di radionuclidi tali che la dose critica cumulativa sia dell'ordine di decimi di mSv. Livello 4 (incidente grave senza rischio esterno): evento causante danni gravi all'installazione (ad esempio fusione parziale del nucleo) e/o sovraesposizione di uno o più addetti che risulti in elevata probabilità di decesso, e/o rilascio di radionuclidi tali che la dose critica cumulativa sia dell'ordine di pochi mSv. Livello 5 (incidente grave con rischio esterno): Evento causante danni gravi all'installazione e/o rilascio di radionuclidi con attività dell'ordine di centinaia di migliaia di TBq come 131I, e che possa sfociare nell'impiego di contromisure previste dai piani di emergenza. esempio: l'incidente di Three Mile Island, USA (1979), l'incidente di Windscale in Gran Bretagna (1957). Livello 6 (incidente serio): evento causante un significativo rilascio di radionuclidi e che potrebbe richiedere l'impiego di contromisure, comunque meno rischioso dell'incidente di livello 7.

Impatto sulla sicurezza di un evento sismico esempio: l'incidente di Kyshtym, URSS (1957) Livello 7 (incidente molto grave): evento causante rilascio importante di radionuclidi, con estesi effetti sulla salute e sul territorio. esempio: gli incidenti di Chernobyl, URSS (1986), e Fukushima, Giappone (2011). I casi di incidenti gravi con estese contaminazioni esterne sono fortunatamente stati pochi; molto più numerosi e spesso poco noti sono gli incidenti con potenziale rischio esterno dovuti principalmente a errori umani e che sono stati confinati all'interno delle centrali grazie alle misure di sicurezza ed in qualche caso anche grazie alla fortuna, come nel caso di Browns Ferry in cui un gruppo di tecnici provocarono un incendio nel tentativo di riparare una perdita d'aria da un tubo[35]. Continui e molto frequenti sono gli eventi di livello 0 e 1, sia in occidente che nel resto del mondo e sono registrati sul sito dell'IAEA. Impatto sulla sicurezza di un evento sismico La sicurezza delle centrali rispetto ad eventi sismici è da sempre una preoccupazione concreta. Le centrali sono teoricamente progettate per resistere ai sismi, in particolare in Giappone, paese geologicamente instabile.

Tuttavia, i danni alla moderna centrale di Kashiwazaki-Kariwa (2007) per un sisma di 6,8 sulla scala Richter e l'esplosione alla più vetusta centrale di Fukushima verificatasi il 12 marzo 2011 in seguito ad un sisma di magnitudo 9,0 con epicentro a 130 km di distanza, dimostrano che le caratteristiche di progetto non sempre riescono a garantire l'assenza di fughe radioattive in caso di eventi sismici particolarmente forti Tuttavia, i danni alla moderna centrale di Kashiwazaki-Kariwa (2007) per un sisma di 6,8 sulla scala Richter e l'esplosione alla più vetusta centrale di Fukushima verificatasi il 12 marzo 2011 in seguito ad un sisma di magnitudo 9,0 con epicentro a 130 km di distanza, dimostrano che le caratteristiche di progetto non sempre riescono a garantire l'assenza di fughe radioattive in caso di eventi sismici particolarmente forti. Talvolta il progetto non tiene nemmeno conto di sismi di tale entità, per via dell'impossibilità tecnica od economica a far fronte a qualunque genere di sisma. Gli impianti giapponesi sono infatti progettati per resistere ad un sisma di magnitudo 8,5, ma l'impianto di Kashiwazaki-Kariwa ebbe problemi già con un sisma di grado 6,8. Il terremoto dell'11 marzo 2011 verificatosi in Giappone, (magnitudo 9,0) ha invece superato i limiti di progetto, con gravissime conseguenze. In realtà tale affermazione non è completamente corretta in quanto l'epicentro si trova a circa 130 km dalla costa e quindi il terremoto è stato sulla costa molto meno forte di quanto lo è stato nell'epicentro. Le centrali EPR ipotizzate in Italia dovrebbero reggere ad un sisma di grado 7,1. Va rilevato che un aumento della sicurezza comporta evidentemente una crescita esponenziale dei costi di costruzione, ed è noto da molti studi (MIT, UE, Citigroup ecc.) che questa maggiore richiesta di sicurezza è una delle cause che rende le centrali più moderne meno competitive economicamente sia rispetto a quelle più vecchie che rispetto ad altre fonti energetiche. Purtroppo molto spesso i costi vengono stimati sulla base di vecchie centrali più economiche, ma anche molto meno sicure, come l'esperienza giapponese sembra dimostrare.

Nel caso recente del terremoto/tsunami dell'11-12 marzo 2011, alcuni reattori della centrale di Fukushima-Daiichi hanno subìto danni all'impianto di raffreddamento principale esclusivamente a causa dello tsunami, mentre il sistema di raffreddamento di emergenza (ECCS) non è entrato in funzione a causa dei danni ai generatori diesel di emergenza[. Occorre tuttavia precisare che i danni agli impianti di raffreddamento sembrano essere derivati dal blocco dei motori diesel di generazione elettrica, avvenuto in conseguenza esclusiva dello Tsunami verificatosi a causa del terremoto. Tali motori hanno funzionato per circa un'ora, prima di essere raggiunti dall'onda del maremoto. Essi erano posizionati a 6 metri di altezza, ma l'onda che ha raggiunto la centrale ha superato tale livello, attestandosi a circa 7-8 metri. Il blocco dei sistemi di raffreddamento non ha consentito la dissipazione del calore residuo, compromettendo il controllo dei reattori 1 e 3 (che erano quelli che destavano maggior preoccupazione), abbassando conseguentemente il livello di acqua nel nocciolo. Le alte temperature hanno generato la scissione dell'acqua in ossigeno ed idrogeno, il quale, essendo molto volatile, ha saturato gli ambienti esplodendo alla minima scintilla. Le esplosioni (documentate da diversi video) hanno provocato danni all'impianto di raffreddamento del reattore 2, il quale ha raggiunto elevatissime temperature, fino alla fusione parziale del nocciolo, con conseguenti gravi emissioni di radionuclidi nell'atmosfera. Nonostante lo spegnimento immediato del reattore, il calore residuo sempre presente non è stato smaltito portando al surriscaldamento del reattore 1, con necessità di depressurizzare il vessel in acciaio scaricando in atmosfera l'eccesso di vapore radioattivo tramite le ciminiere dell'impianto (dalle immagini tv dell'11 e del 12 marzo 2011 si nota infatti la fuoriuscita di vapore dalle ciminiere). Il permanere delle difficoltà di raffreddamento ed il conseguente surriscaldamento provoca di norma la produzione di idrogeno per scomposizione termica dell'acqua (evento tipico che si verifica in caso di surriscaldamento delle barre di combustibile a contatto con l'acqua, come avvenuto tanto a Three Mile Island che a Chernobyl).

Al fine di evitare l'esplosione (chimica) di questo gas infiammabile nel nocciolo (vessel) del reattore, esso viene di prassi scaricato dal nocciolo al contenimento (edificio che racchiude il vessel). Tale rischiosa ma necessaria procedura nel caso del reattore di Fukushima-Daiichi 1 è successivamente sfociata nell'esplosione dell'idrogeno che ha distrutto la struttura di contenimento in cemento (evento simile a quanto avvenuto a Chernobyl) ma parrebbe aver ridotto i possibili danni al nucleo del reattore (cosa NON avvenuta a Chernobyl). Viceversa nel caso di Three Mile Island si riuscì ad evitare questa successiva esplosione di idrogeno. In tutti i casi citati (Chernobyl, Three Mile Island) tali fenomeni furono associati anche mediante un nesso causale ad una parziale fusione del nucleo del reattore, ed è pertanto tecnicamente molto probabile che un analogo fenomeno si sia verificato nel reattore n. 1 di Fukushima, tesi avvalorata dal fatto che in caso di seri problemi di raffreddamento lo scioglimento del combustibile è una conseguenza pressoché matematica. Il 13 marzo 2011 le autorità giapponesi hanno peraltro confermato che anche il reattore n. 3 (tecnicamente analogo al n. 1 ma di potenza maggiore), sta avendo simili problemi, in quanto le barre di combustibile non sarebbero totalmente coperte da acqua e quindi soggette a surriscaldamento. Problemi di innalzamento della radioattività ambientale a seguito dei danni provocati dal sisma si sono avuti anche presso la centrale nucleare di Onagawa.

Impatto ambientale in caso di incidente L'impatto ambientale in caso di incidente grave in una centrale è una delle preoccupazioni che riguardano l'uso civile dell'energia nucleare. Non è tuttavia l'unico impatto possibile: anche l'estrazione, la purificazione e l'arricchimento dell'uranio comportano notevoli impatti ambientali, non solo dal punto di vista della semplice radioattività, ma anche in termini di consumo di risorse idriche ed energetiche nonché l'uso di sostanze chimiche (fluoro, acido solforico) per l'attività di produzione del combustibile nucleare. Il trasporto e lo stoccaggio delle scorie nucleari comporta infine notevoli rischi potenziali. Per quanto riguarda l'impatto ambientale in caso di incidente, un criterio fondamentale diradioprotezione è che maggiore è la distanza dal sito dell'incidente, minore è il rischio. Questo aspetto è stato tragicamente riscontrato con il Disastro di Černobyl' del 1986: benché la nube radioattiva abbia percorso praticamente tutta l'Europa con gravi conseguenze, va rilevato che le aree circostanti la centrale sono tuttora inadatte alla permanenza umana (fu evacuata un'area di circa 30 km di diametro), mentre così non è per il resto d'Europa. Il motivo di questa differenza va ricercato nella tipologia di emissioni radioattive: gli elementi più pesanti ed a emivita lunga-lunghissima (uranio, plutonio...) tendono infatti a ricadere nelle immediate vicinanze di un impianto severamente danneggiato.

Viceversa elementi altamente radioattivi ma leggeri ed a vita relativamente breve-brevissima (cesio, iodio ed in generale i prodotti di fissione) tendono a "volare" più facilmente e quindi coprire ampie distanze. Il tempo di permanenza "in volo" permette tuttavia ad una quota di radioattività di decadere, per cui maggiore è la distanza dal sito incidentato minore sarà l'impatto radioprotezionistico. Naturalmente anche le condizioni meteorologiche hanno una notevole importanza nel trasportare o far cadere al suolo gli elementi radioattivi. In considerazione di ciò, non è corretto affermare che la presenza di centrali nucleari oltreconfine (Francia, Svizzera) determini situazioni analoghe all'avere impianti sul territorio italiano: in genere l'area di maggior controllo in caso di incidente severo è stimata in 50–70 km dal sito, corretta in base alla situazione meteo. Scorie Il problema delle scorie radioattive è probabilmente il più critico per l'industria nucleare a fissione. Il procedimento di fissione nucleare produce materiali residui ad elevata radioattività che rimangono estremamente pericolosi per periodi lunghissimi (fino a tempi dell'ordine del milione di anni). Si tratta di vari elementi radioattivi leggeri (i prodotti di fissione) e di combustibile esaurito (uranio,plutonio ed altri radioelementi attinoidi pesanti) che vengono estratti dal reattore. . Questo materiale, emettendo delle radiazioni penetranti, è molto radiotossico e richiede dunque severe precauzioni nel trattamento e nello smaltimento. Ad oggi applicazioni pratiche di soluzioni realmente definitive non sono ancora state realizzate e collaudate dal tempo

Un altro problema del combustibile ucleare esausto (le scorie radioattive comunemente dette) decadimento radioattivo produce energia attraverso l'emissione di raggi beta (decadimento beta), e per questo è importante raffreddare le barre di combustibile nucleare dopo lo spegnimento di un reattore o quando diventano non più utilizzabili per produrre energia. Nel caso della fusione nucleare, invece, la produzione di energia avviene senza emissioni di gas nocivi o gas serra, e con la produzione di minime quantità ditrizio: un isotopo dell'idrogeno con un tempo di dimezzamento di 12,33 anni la cui radioattività non supera la barriera della pelle umana, e che non è quindi pericoloso per l'uomo se non viene ingerito. In ogni caso, i tempi di dimezzamento della radioattività residua sarebbero confrontabili con la vita media della centrale (decine d'anni).

Energia nucleare e riscaldamento globale L'energia nucleare è stata proposta al fine di ridurre le emissioni complessive di gas serra e mitigare così l'effetto del riscaldamento globale. Favorevoli ad un utilizzo dell'energia nucleare a tale scopo si sono dichiarati, ad esempio, il chimico James Lovelock ambientalista inventore dell'ipotesi Gaia, il premio Nobel per la fisicaSteven Chu a capo del Department of Energy statunitense sotto l'amministrazione Obama e il co-fondatore di Greenpeace Patrick Moore. La documento The Energy Challenge del Department for Trade and Industry(dipartimento del commercio e dell'industria) del Regno Unito sostiene l'opportunità del potenziamento dell'energia nucleare al fine di raggiungere gli obiettivi relativi alle emissioni di CO2. Nel documento si asserisce peraltro che l'emissione per kilowattora del processo produttivo dell'energia nucleare sia comparabile a quelle dell'energia eolica. L'Oxford Research Group, un'organizzazione non governativa indipendente con sede nel Regno Unito ha redatto nel 2007 un paper dedicato alla sicurezza dell'energia nucleare e alla sua relazione con il riscaldamento globale dal titolo Secure Energy? Civil Nuclear Power, Security and Global Warming, che contiene un esame critico della relazione del DTI. Il documento evidenzia come manchino, ad oggi, indagini e pubblicazioni scientifiche sufficientemente esaustive sulle emissioni del processo di produzione dell'energia nucleare, in cui sono coinvolti anche gas diversi dall'anidride carbonica, ma che potrebbero contribuire in maniera molto più significativa all'effetto serra. Le emissioni di gas serra sono dovute prevalentemente alla fase di produzione del combustibile nucleare che coinvolge l'estrazione e l'arricchimento dell'uranio e alla costruzione della centrale. La qualità del minerale di uranio estratto e il tempo di vita operativa della centrale risultano essere le due variabili principali nel determinare la quantità di emissioni

Sono stati pubblicati molti studi inerenti alle valutazioni, studi compiuti dalla IAEA, Vattenfall, Japan Central Research Institute of Electric Power Industry, Suitable Development Commission report, World Nuclear Association, Australian Nuclear Association, attribuiscono al nucleare dai 6 ai 26 g/kWh di anidride carbonica, mentre assegnano dai 5,5 ai 48 per l'eolico, dai 53 ai 280 per il fotovoltaico, dai 4 ai 236 per l'energia idroelettrica, dai 439 ai 680 per centrali termiche a ciclo combinato a gas e dai 860 ai 1200g per le centrali a carbone. Altri documenti invece assegnano valori per il nucleare tra gli 84 e i 122 g/kWh[52] contro i 755 per il carbone, i 385 per il gas e un intervallo tra gli 11 e i 37 per l'energia eolica. Il report dell'Oxford Research Group conclude che le emissioni derivanti da energia nucleare si attestano su valori intermedi tra quelli delle fonti fossili e quelli delle fonti rinnovabili, destinati ad aumentare nei prossimi decenni, e sottolinea la necessità di effettuare revisioni indipendenti sull'argomento.

Centrali nucleari a fusione Le centrali a fusione nucleare si basano su un principio differente: anziché scindere atomi pesanti mediante bombardamento con neutroni come avviene nella fissione, la fusione implica invece l'unione di due atomi leggeri, generalmente trizio e deuterio, ottenendo dal processo una enorme quantità di energia termica, un nuovo nucleo più grande (quale l'elio) e nucleoni. È lo stesso processo che ha luogo nel Sole e nelle bombe termonucleari (o bombe all'idrogeno, infatti deuterio e trizio sono isotopi dell'idrogeno). Questo tipo di reattori è da anni allo studio di diversi gruppi di scienziati e tecnici, ma apparentemente ancora senza risultati apprezzabili in quanto, pur essendo riusciti ad avviare la reazione di fusione, a oggi non si è in grado di mantenerla stabile per tempi significativi. Attualmente si attende la realizzazione del progetto ITER, un impianto che vorrebbe dimostrare la possibilità di ottenere un bilancio energetico positivo (ma senza produzione di energia elettrica). Un altro progetto è DEMO che prevede la realizzazione di una vera e propria centrale a fusione nucleare. Le stime attuali non prevedono l'utilizzo effettivo di energia da fusione nucleare prima del 2050. Vantaggi e svantaggi Le centrali a fusione nucleare produrrebbero come principale tipo di scoria l'elio, che è un gas inerte e non radioattivo, inoltre non userebbero sistemi a combustione e quindi non inquinerebbero l'atmosfera: di fatto non avrebbero emissioni di pericolosità rilevante, ad esclusione del trizio. In più dovrebbero essere in grado generare grandi quantità di energia, superiori rispetto a quelle delle centrali a fissione odierne. Esistono vari meccanismi di fusione nucleare, e il più facile da produrre artificialmente richiede l'utilizzo di due isotopi pesanti dell'idrogeno:deuterio e trizio.

Il deuterio rappresenta una minima percentuale, un cinque millesimo dell'idrogeno in natura  e può essere convenientemente ottenuto ad esempio tramite elettrolisi dall'acqua pesante. Il trizio, al contrario, essendo radioattivo ed avendo una vita media molto breve, non è presente sulla Terra; può essere prodotto con reazioni nucleari indotte tramite bombardamento neutronico di isotopi del litio. Inoltre, per le sue caratteristiche affini all'idrogeno che possiede una forte capacità di trafilamento attraverso i contenitori, il trizio non può essere stoccato per lunghi periodi; deve essere prodotto sul momento sfruttando i neutroni prodotti dalle reazioni di fusione oppure da una centrale ausiliaria a fissione. Si può alimentare una reazione di fusione anche solo con atomi di deuterio, tuttavia il bilancio energetico, meno conveniente della reazione di fusione del trizio, ne rende molto più difficile lo sfruttamento ai fini della produzione di energia. La fusione richiede temperature di lavoro elevatissime, tanto elevate da non poter essere contenuta in nessun materiale esistente. Il plasma di fusione viene quindi trattenuto grazie all'ausilio di campi magnetici di intensità elevatissima, e le alte temperature vengono raggiunte con vari metodi, come l'iniezione di neutri, radioonde e nella prima fase di riscaldamento con correnti indotte (Effetto Joule). Il tutto rende il processo difficile, tecnologicamente dispendioso e complesso. Il problema delle scorie derivanti dall'attivazione neutronica di parti degli edifici del reattore, dovrebbe essere ridotto: i tempi di decadimento della radioattività indotta nei suddetti materiali sarebbero comparabili con i tempi di vita delle centrali stesse. E benché le quantità di materiale attivato possano essere considerevoli, il problema del loro stoccaggio potrebbe essere più semplificato rispetto al caso delle centrali a fissione. Comunque sia, i risultati nel campo della ricerca di materiali a bassa attivazione, sono incoraggianti.