LABORATORIO DI PREPARAZIONI ESTRATTIVE E SINTETICHE DEI FARMACI

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LABORATORIO DI PREPARAZIONI ESTRATTIVE E SINTETICHE DEI FARMACI Corso di: LABORATORIO DI PREPARAZIONI ESTRATTIVE E SINTETICHE DEI FARMACI Docente: Prof. Stefania Villa e-mail:stefania.villa@unimi.it tel. 02-50319368 http://users.unimi.it/stefaniavilla/

Lezioni frontali: 3 crediti = 24 ore Lunedì 15.30-17.30 aula A, Via Balzaretti Martedì 15.30-17.30 aula B, Via Balzaretti Esercitazioni in laboratorio: 5 crediti = 80 ore II turno dal 13, 16, 20, 23, 27, 30 APRILE; 4, 7, 11 MAGGIO dalle 8.30 alle 17.30 orario continuato IV turno:14, 15, 16, 17, 18, 21, 22, 23, 24 GIUGNO

PROGRAMMA DEL CORSO La sicurezza in laboratorio Progettazione dell’esperimento, cenni di retrosintesi e ricerca nelle banche dati, assemblaggio della vetreria e scelta delle attrezzature, Isolamento dei prodotti di reazione: La filtrazione La cristallizzazione e la purificazione per ricristallizzazione L’essiccamento La liofilizzazione La sublimazione Cromatografia di adsorbimento: TLC e cromatografia su colonna L’estrazione: -estrazione con imbuto separatore -estrazione in continuo -estrazione di composti organici acidi e basici Distillazione I prodotti naturali

Tecniche di estrazione di prodotti naturali: -enfleurage, macerazione, espressione, distillazione, estrazione con solventi, estrazione con fluidi supercritici, estrazione con l’ausilio delle microonde, estrazione con l’ausilio degli ultrasuoni, estrazione con liquidi pressurizzati Cenni di sintesi peptidica: - metodi classici in soluzione, metodi in fase solida e metodi in fase liquida - la scelta dei gruppi protettori - metodi per l’introduzione e la rimozione di gruppi protettori - metodi di attivazione e accoppiamento degli amminoacidi Spiegazione delle esperienze di laboratorio: TLC Separazione acido acetil salicilico - difenidramina Ricristallizzazione dell’acido acetil salicilico Estrazione della trimiristina dalla noce moscata Estrazione della caffeina dal the Estrazione dell’eugenolo dai chiodi di garofano Sintesi del Paracetamolo e ricristallizzazione Sintesi dell’acetato di isopentile (essenza di banana) Sintesi della lidocaina Sintesi del dipetide protetto Phe-Phe

Programma delle esercitazioni A.A. 2009-2010 1) - Analisi TLC di sostanze di interesse farmaceutico - Separazione della miscela Acido acetilsalicilico/Difenidramina mediante estrazione acido-base 2) - Ricristallizzazione dell’acido acetilsalicilico - Estrazione della Trimiristina dalla noce moscata e purificazione per cristallizzazione 3) - Estrazione della Caffeina dal the e purificazione per cristallizzazione 4) - Estrazione dell’Eugenolo dai chiodi di garofano e purificazione cromatografica - Sintesi del Paracetamolo e purificazione per cristallizzazione - Sintesi dell’aroma di banana (acetato di isopentile) e purificazione per distillazione - Sintesi della Lidocaina e purificazione per cristallizzazione - Protezione della L-Fenilalanina con il gruppo Boc - Liberazione della L-Fenilalanina etilestere dal suo sale cloridrato - Sintesi del dipeptide Boc-N-Phe-Phe-COOEt 10) - Purificazione del dipeptide Boc-N-Phe-Phe-COOEt per via cromatografica

LA SICUREZZA IN LABORATORIO “Nessuno aveva speso molte parole per insegnarci a difenderci dagli acidi, dai caustici, dagli incendi e dalle esplosioni: sembrava che, secondo la rude morale dell’Istituto, si contasse sull’opera della selezione naturale per eleggere fra di noi i più adatti alla sopravvivenza fisica e professionale”. Primo Levi Molti chimici che lavorano abitualmente con apparecchi e sostanze pericolose tendono infatti a sopravvalutare la propria capacità ed esperienza, quindi a sottovalutare i rischi a cui espongono se stessi e gli altri trascurando le necessarie precauzioni.

Il contatto con un composto chimico può avvenire per tre vie: Ingestione: (via orale) si tratta della via più grave e diretta, ma anche quella più facile da prevenire con alcune semplici precauzioni: Non assaggiare mai i composti che si sono preparati né alcun reagente (saccarina, aspartame, nitroglicerina); Non usare la bocca per aspirare soluzioni in pipetta. Usare esclusivamente sistemi meccanici di aspirazione; Non consumare e conservare alimenti e bevande in laboratorio, né usare vetreria di laboratorio come surrogato di stoviglie (ultrapotenza analgesica degli addotti di Diels-Alder della tebaina).

2. Inalazione: (via respiratoria); riguarda i gas, i liquidi volatili (solventi) e le polveri. Il pericolo è duplice, sia a livello locale (vie respiratorie e polmoni) che a livello sistemico (assorbimento alveolare e passaggio in circolo). L’inalazione di solventi non è completamente eliminabile, soprattutto in un laboratorio affollato, ma può essere limitata e ridotta a livelli non nocivi osservando alcune semplici misure precauzionali: Lavorare sempre in un ambiente aerato; Maneggiare i solventi bassobollenti sotto cappa; Maneggiare le polveri portando opportune mascherine a protezione di bocca e naso.

3. Assorbimento cutaneo: (via transdermica); i comuni solventi sono tutti assorbiti attraverso la pelle e, in generale, ogni liquido lipofilo a basso peso molecolare è potenzialmente in grado di attraversare la barriera cutanea. Un caso interessante è quello del DMSO: il composto in se non è tossico (è stato persino considerato come trattamento per l’artrite reumatoide), ma facilita il passaggio attraverso la pelle e le mucose di sostanze idrofile. Nel fegato il DMSO è in parte metabolizzato a dimetilsolfuro e quest’ultimo è escreto anche per via linguale, per cui se ne può sentire il sapore dopo un contatto cutaneo.

L’assorbimento cutaneo di composti chimici può essere limitato prendendo le seguenti precauzioni: Indossare sempre il camice; Indossare guanti quando si maneggiano composti chimici. Pur non garantendo di per sé una protezione efficace contro i liquidi lipofili, i guanti possono essere sfilati rapidamente in caso di contatto accidentale; Indossare preferibilmente pantaloni lunghi piuttosto che gonne e pantaloni corti; Non utilizzare scarpe aperte come i sandali; Gli occhi meritano poi precauzioni particolari. Acidi e basi concentrate, agenti ossidanti (bromo, permanganato) e disidratanti (acido solforico, anidride acetica, anidride fosforica) possono provocare lesioni irreversibili. Per questo motivo bisogna sempre portare gli occhiali di protezione.

Occhiali di protezione: quando si lavora con sostanze irritanti o corrosive o si eseguono operazioni che comportano rischi di esplosione o di schizzi di materiale, è indispensabile proteggere gli occhi con adeguati occhiali di sicurezza. Per una protezione maggiore si usano schermi facciali o visiere, particolarmente indicate per le distillazioni sotto vuoto o altre operazioni che comportino rischi di esplosione. E’ buona regola comunque usare SEMPRE gli occhiali da laboratorio anche quando si eseguono operazioni apparentemente non pericolose. Guanti di gomma: quando si lavora con sostanze tossiche corrosive o irritanti o con gas liquefatti, bisogna sempre utilizzare guanti di protezione. I guanti di lattice, comunemente utilizzati in laboratorio sono resistenti alla maggior parte dei solventi, agli acidi e alle basi diluiti ed alla maggior parte dei reagenti organici, purché il contatto non sia prolungato. Comunque devono essere sostituiti spesso anche se non presentano lacerazioni apparenti.

Incendi ed esplosioni I rischi di incendio ed esplosione possono essere limitati dalla conoscenza dei composti che possono provocare questi eventi e da una opportuna prevenzione a livello di programmazione dell’esperimento. Incendi ed esplosioni sono però a volte imprevedibili. Come commentato in un editoriale di una rivista chimica “ any chemical reaction that proceeds smoothly under normal conditions, can proceed violently in the presence of an idiot”. La maggior parte dei solventi organici con l’eccezione di quelli ad alto grado di alogenazione (la combustione è una reazione di ossidazione e il carbonio in questi composti ha già un numero di ossidazione elevato) sono facilmente infiammabili. Il pericolo incendiario di un solvente può essere valutato esaminando due parametri:

Esistono tre categorie di esplosivi a cui si fa riferimento con le frasi di rischio con i codici R1-R6, R16 e R18: Miscele gassose di idrogeno, acetilene e ossido di azoto (II) con l’aria; Composti contenenti un gruppo riducente ed uno ossidante all’interno della stessa molecola ad es. nitrati inorganici NH4NO3, esteri nitrici di polioli (nitroglicerina), polinitroderivati aromatici (acido picrico, trinitrotoluene), nitrofenoli e loro sali alcalini; Composti contenenti un legame debole la cui rottura richiede meno di 50 Kcal/mol; acetiluri di metalli pesanti, perossidi e idroperossidi, soluzioni concentrate di acqua ossigenata, peracidi, aloammine, sali di diazonio, diazoderivati, azidi, clorati e perclorati. Data la stabilità dei radicali a-ossigenati, gli eteri di alcoli non terziari subiscono facilmente auto-ossidazione, con formazione di perossiemiacetali, meno volatili degli eteri corrispondenti.

La distillazione di eteri bassobollenti (etere etilico, THF) porta quindi ad una rapida concentrazione dei perossidi nel pallone di distillazione. E’ pertanto di estrema importanza che questi eteri siano sempre distillati in presenza di agenti riducenti (Na metallico) usando il benzofenone come indicatore non solo di anidricità, ma anche di assenza di perossidi (l’anione radicale blu-verde ottenuto per trasferimento elettronico dal metallo al benzofenone è distrutto da acqua e perossidi). Il pericolo dovuto alla formazione di perossidi è indicato dalla frase di rischio R19. Il diazometano è un gas esplosivo, normalmente usato sotto forma di sale di Lewis con l’etere. Questo liquido giallo e bassobollente mantiene la tossicità ed esplosività del prodotto puro ed è preparato a partire da opportuni precursori del tipo N-metilico-N-nitrosoammidici, a loro volta potenti mutageni.

Superfici smerigliate possono innescare la deflagrazione del diazometano ed è quindi imperativo generare ed utilizzare il prodotto usando vetreria apposita priva di superfici smerigliate. Un altro pericolo è rappresentato dalla estrazione di soluzioni fortemente basiche con cloroformio. In ambiente fortemente alcalino avviene una a-eliminazione con formazione di diclorocarbene, che per la sua grande reattività può portare ad esplosioni improvvise quando si agita l’imbuto separatore. Una comune fonte di incendio è rappresentata dai catalizzatori che si usano per l’idrogenazione catalitica, che, allo stato ridotto in cui si trovano al termine della reazione sono altamente piroforici. Il filtro usato per la filtrazione non va mai lasciato seccare, ma smaltito immediatamente. Agenti riducenti (LiAlH4), reattivi organometallici (BuLi) e metalli alcalini possono facilmente infiammarsi in presenza di acqua

Estintori idrici: l’acqua viene spinta fuori dalla pressione di un gas, in genere anidride carbonica, che viene prodotto all’interno dell’estintore al momento dell’uso. Non sono molto usati nei laboratori chimici in quanto l’acqua può reagire con molte sostanze o addirittura, in caso di incendio di solventi immiscibili con essa, può espandere l’incendio anziché soffocarlo. Si possono utilizzare per spegnere incendi di materiali ordinari (legno, plastica, gomma, stoffa), purché non siano in prossimità di apparecchi elettrici sotto tensione; Estintori a schiuma: poiché la schiuma (formata per via chimica o meccanica) è in genere di natura acquosa, tali estintori presentano molte delle controindicazioni di quelli ad acqua; ad esempio non sono adatti per spegnere incendi di apparecchi elettrici sotto tensione. Si possono utilizzare per spegnere incendi di solventi organici, purché di estensione limitata; Estintori a tetracloruro di carbonio: sono molto efficaci per l’estinzione di incendi estesi implicanti apparecchi elettrici sotto tensione. Poiché per pirolisi delle sostanze in essi contenuti si generano vapori tossici (fosgene), l’area dell’incendio deve essere ben ventilata dopo lo spegnimento;

Estintori ad anidride carbonica: sono i più usati nei laboratori chimici per la loro efficacia contro incendi di varia natura. Dato che l’anidride carbonica non lascia residui, il getto dell’estintore può essere diretto anche su apparecchi delicati o fragili. Non sono indicati per spegnere incendi provocati da metalli reattivi, idruri o composti metallorganici. Se è stata usata una quantità elevata di anidride carbonica, l’ambiente dovrà essere ben ventilato per evitare il pericolo di asfissia; Estintori a secco o a polvere chimica: contengono generalmente sabbia asciutta mista a sostanze inorganiche (bicarbonato di sodio, farina fossile) e sostanze resinose. La polvere viene soffiata fuori da un gas sotto pressione, e forma una crosta sulla sorgente d’incendio isolandola dall’atmosfera. Sono efficaci contro incendi di varia natura; in particolare sono gli unici da usare per incendi dovuti a metalli reattivi, idruri metallici, metallo-alchili ed altri composti metallorganici. E’ opportuno disporre anche di un’apposita coperta da utilizzare per spegnere gli incendi degli abiti.

CROMATOGRAFIA SU STRATO SOTTILE (THIN LAYER CHROMATOGRAPHY - TLC) materiale granulare omogeneo fatto aderire sotto forma di strato sottile su un supporto piano. L’insieme del supporto e della fase stazionaria viene chiamato LASTRINA. FASE STAZIONARIA normalmente scorre lungo la fase stazionaria per capillarità oppure per gravità. FASE MOBILE

SUPPORTI VETRO: spessore 1-2 mm, facile da maneggiare, rigido ma fragile e pesante. Le lastrine hanno dimensioni variabili, in genere 20 cm x 20 cm, 10 cm x 20 cm , 5 cm x 20 cm . ALLUMINIO: sono disponibili in commercio dei fogli dallo spessore di 0,2 mm già rivestiti di fase stazionaria, dai quali è possibile ritagliare lastrine con le dimensioni desiderate. Sono facili da maneggiare, leggere e flessibili, ma sono facilmente deformabili.

Le fasi stazionarie più usate sono quelle POLARI CROMATOGRAFIA NORMALE La fase stazionaria è un materiale solido polare (come gel di silice, allumina e cellulosa) mentre la fase mobile è apolare; la separazione di miscele è dovuta principalmente a fenomeni di adsorbimento (formazione di legami non covalenti, quali ponti idrogeno, Van der Waals, dipolo dipolo, tra le sostanze e i siti attivi della fase stazionaria) CROMATOGRAFIA IN FASE INVERSA La fase stazionaria è non polare con proprietà di liquido, mentre la fase mobile è relativamente polare; la separazione è dovuta principalmente alla ripartizione dei composti tra le due fasi liquide. Le fasi stazionarie più usate sono quelle POLARI

FASI STAZIONARIE SOLIDE KIESELGHUR: si tratta di acido silicico amorfo di origine fossile, noto anche come “terra di diatomee” o “diatomite”. Viene lavorato in modo da ottenere una polvere con particelle molto porose. GEL DI SILICE E’ il materiale più usato. Sostanza amorfa e porosa è il prodotto di polimerizzazione dell’acido ortosilicico. Si ottiene per calcinazione a partire da una soluzione acida di silicato di sodio. La polimerizzazione dell’acido silicico, con eliminazione di acqua, porta alla formazione di granuli porosi sulla cui superficie sono presenti i siti attivi Si-OH.

Sul mercato sono disponibili diversi tipi di gel di silice, caratterizzati da vari gradi di purezza granulometria, contenenti o meno un legante, che di solito è gesso (gel di silice G) Il gel di silice può inoltre essere addizionato di uno o più indicatori di fluorescenza.

ALLUMINA Preparata a partire da una sospensione di idrossido di alluminio per calcinazione moderata (500°C). La capacità adsorbente dell’allumina, come anche quella del gel di silice, dipende dalla quantità residua di acqua, essendo quest’ultima in grado di bloccare i siti attivi superficiali essenziali per l’adsorbimento stesso. Si può ottenere allumina in tre forme: acida, basica e neutra, in funzione del pH della sospensione acquosa di partenza. L’allumina usata in TLC è generalmente basica (sospensione acquosa al 10% a pH 9,5). CELLULOSA costituisce l’evoluzione della cromatografia su carta, rispetto alla quale consente tempi di esecuzione più brevi. Si utilizza cellulosa di alta qualità, macinata e trattata in modo da ottenere fibre di lunghezza ottimale. Sono disponibili in commercio lastre di cellulosa naturale e di cellulosa microcristallina ad elevata purezza. Anche in questo caso possono essere addizionati indicatori di fluorescenza.

FASE MOBILE La fase mobile è costituita da un solvente o da una miscela di solventi (eluenti) che possono avere polarità diversa, caratteristica ricavabile dalle serie eluotrope presenti in letteratura. Serie eluotropa In cromatografia di adsorbimento esprime la forza di un solvente in funzione dell’adsorbente impiegato e si ottiene misurando il calore che si sviluppa quando un solvente puro viene fatto interagire con silice o allumina: si indica con ε.

Scelta della fase mobile Fase stazionaria e fase mobile devono interferire il meno possibile fra di loro indipendentemente dalla natura delle sostanze da separare. I componenti della miscela da separare devono poter interagire con entrambe le fasi. Il campione deve essere molto solubile nell’eluente.

PROCEDURE OPERATIVE Il campione, disciolto in opportuno solvente, viene deposto sulla lastrina come MACCHIA (spot) o come STRISCIA, utilizzando opportuni capillari di vetro (volume variabile da 1 a 10 µL) o siringhe. La lastrina così allestita viene posta quindi all’interno della CAMERA DI ELUIZIONE, normalmente un recipiente di vetro di forma e volume opportuni dotato di coperchio a tenuta. La fase mobile (eluente) viene posta sul fondo del recipiente. Il grado di saturazione della camera è fondamentale per la buona riuscita della separazione cromatografica.

SVILUPPO ASCENDENTE E’ la tecnica più diffusa. La semina è realizzata lungo una linea parallela al bordo inferiore dalla lastrina, a circa 1 cm da esso. La lastrina viene quindi appoggiata verticalmente all’interno della camera, assicurandosi che il solvente non lambisca o ricopra gli spot di semina. L’eluente risale la lastrina per capillarità e viene fatto correre fino a circa 1 cm dal bordo superiore della lastrina. I tempi di eluizione variano da 20 minuti a qualche ora, dipendentemente dall’eluente. > 0,5 cm 10 cm 1 cm

SEPARAZIONE DELLA MISCELA Fronte del solvente C B A A+B+C linea di semina STD A STD B campione STD C

CROMATOGRAFIA BIDIMENSIONALE Seminando un singolo spot in un angolo della lastrina (1) è possibile effettuare una prima separazione utilizzando un opportuno eluente (2). Successivamente, ruotando la lastrina di 90°, si possono eluire ulteriormente le macchie ottenute con un solvente diverso (3). Questa tecnica è particolarmente utilizzata per la separazione di miscele particolarmente complesse e degli amminoacidi. 3 1 2

SVILUPPO CIRCOLARE Questa tecnica prevede l’impiego di una lastra circolare con uno sviluppo orizzontale. Nel foro centrale della lastrina si pone uno stoppino di cotone o di carta da filtro che permette il pescaggio dell’eluente dal fondo della camera. Le specie chimiche migrano dal centro della lastra (dove sono state seminate attorno al foro o direttamente sulla parte dello stoppino che fuoriesce) verso la periferia dando luogo, al posto degli spot tipici della cromatografia ascendente, ad anelli concentrici.

Quando lo sviluppo è completato, si estrae la lastrina dalla camera di eluizione, si indica il livello raggiunto dal fronte del solvente e si evapora l’eluente all’aria o con un phon. Se gli analiti non sono termolabili, è possibile asciugare in stufa a 100-105°C per qualche minuto. Per rendere visibili gli spots di sostanze non colorate possono essere utilizzate varie procedure: Rivelazione con raggi UV Rivelazione con reagenti chimici

RIVELAZIONE CON RAGGI UV Si irraggia la lastrina con lampade UV che emettono a 252 e 366 nm Sostanze Sostanze FLUORESCENTI non FLUORESCENTI la fase stazionaria deve essere impregnata con una sostanza fluorescente MACCHIE LUMINOSE MACCHIE LUMINOSE SU FONDO SCURO MACCHIE SCURE SU FONDO FLUORESCENTE

RIVELAZIONE CON REAGENTI CHIMICI A) Reattivi di uso generale: VAPORI DI IODIO: sono specifici per composti che contengono doppi legami. H2SO4 in etanolo + riscaldamento: permette la carbonizzazione delle sostanze organiche con comparsa di spot scuri su fondo bianco. KMnO4: reattivo ossidante che porta alla formazione nel sito di reazione di macchie scure per la formazione di MnO2

B) Reattivi specifici (gruppi funzionali o classi di sostanze) NINIDRINA: per amminoacidi e zuccheri. DRAGENDORFF: bismuto subnitrato + HCl +KI, per alcaloidi. REATTIVO CLORO-PLATINICO: per alcaloidi. FAST BLUE: complesso di Zn + o-anisidina, per cannabinoidi. ANISALDEIDE IN H2SO4: per steroidi, terpeni, fenoli, saponine. ARGENTO ACETATO: per caffeina.

CARATTERISTICHE della TLC: 1) SPECIFICITA’ 2) RIPRODUCIBILITÀ 3) EFFICIENZA 4) RISOLUZIONE 5) CAPACITÀ

SPECIFICITA’ è la capacità di una tecnica analitica di separare una sostanza dagli altri componenti interferenti di una miscela, permettendone una identificazione inequivocabile e senza dubbi. La specificità di una analisi in TLC è legata alla mobilità cromatografica dei componenti la miscela, espressa dal fattore di ritenzione assoluto. L’adozione di differenti metodologie di rivelazione delle macchie (UV o chimica) rende la tecnica in esame ancora più specifica.

fattore di ritenzione assoluto (Rf) MOBILITÀ CROMATOGRAFICA (corsa della sostanza sulla lastra) è determinata da Equilibrio di forze adsorbenti al supporto e di solubilizzazione nell’eluente d d s s d d i i (cromatografia normale) Viene espressa come fattore di ritenzione assoluto (Rf) Rf = di / ds dove: di = distanza percorsa da un componente ds = distanza percorsa dal solvente

RIPRODUCIBILITA’ La riproducibilità dell’ Rf, a parità di fase stazionaria e mobile, non è elevata perché dipende da diversi fattori: omogeneità dello strato di fase stazionaria, che dipende sia dalle caratteristiche delle particelle, che devono essere il più uniformi possibile, che dalla tecnica di deposizione dello strato; spessore dello strato; per le analisi in TLC si utilizzano generalmente strati aventi spessore di circa 250 µm; temperatura: deve essere mantenuta costante per evitare variazioni delle proporzioni in miscele di eluenti, dovute al cambiamento della tensione di vapore dei solventi stessi; grado di saturazione della camera di eluizione; volume di semina della miscela da separare. Con strati di 250 µm i migliori risultati si ottengono seminando 5-10 µg di campione.

R relativo ( ) è dato dal rapporto Essendo queste condizioni non facilmente riproducibili, per confrontare i risultati di più corse cromatografiche è possibile utilizzare, al posto del fattore di ritenzione assoluto, il fattore di ritenzione relativo: R f relativo ( rel ) è dato dal rapporto = A / st dove: assoluto del componente A assoluto di uno standard di riferimento Non esistendo però una sostanza standard di riferimento sempre valida a cui rapportarsi, per effettuare una analisi identificativa di una sostanza in TLC è necessario seminare, sulla medesima lastrina accanto alla miscela in esame, i componenti puri (standard) che ci si aspetta di trovare, effettuando il riconoscimento per confronto diretto tra gli Rf degli spot incogniti con quelli degli standard seminati.

EFFICIENZA è la capacità del sistema cromatografico di mantenere compatta la macchia durante l’eluizione. Dipende da diversi fattori, alcuni dei quali sono: - GRANULOMETRIA della FS: è espressa dal diametro medio delle particelle e deve essere la più piccola possibile. - QUALITA’ DELL’IMPACCAMENTO della FS: lo strato sottile deve essere il più possibile uniforme e omogeneo. - MISCELA ELUENTE - CONDIZIONI SPERIMENTALI

RISOLUZIONE Esprime la capacit à del sistema di fornire, alla fine dell ’ eluizione, macchie ben distinte fra di loro. Dipende dalla specificità e dall ’ efficienza del sistema. Viene definita dalla seguente relazione: d R s = w A + B 2 Dove: d = distanza fra i centri delle due macchie w e w = diametro di ciascuna macchia A B misurato lungo la direzione della corsa dell ’ eluente Due macchie si possono considerare risolte se R > 1 s

La RISOLUZIONE è legata all’ EFFICIENZA e alla SPECIFICITÀ bassa buona bassa buona Efficienza bassa bassa elevata elevata Risoluzione insuff. buona insuff. elevata

CAPACITA’ EFFETTO BORDO : Fronte del solvente Quantità di campione che può essere depositata sulla lastrina per ottenere una buona separazione. Quantità eccessive determinano infatti macchie di forme irregolari che possono rendere scarsa la separazione e/o equivoca l’identificazione dei componenti della miscela salita non uniforme della fase mobile dovuta alla non uniformità della fase stazionaria o alla cattiva ambientazione della camera di eluizione : Fronte del solvente

ANALISI QUANTITATIVA La TLC è una tecnica tipicamente utilizzata a fini qualitativi. La determinazione quantitativa delle sostanze eluite non è infatti semplice, e richiede una rigida standardizzazione della procedura cromatografica. In particolare devono essere controllati i seguenti parametri: quantità di campione depositato e diametro degli spot; tempo di evaporazione del solvente dallo spot; temperatura alla quale è mantenuto il sistema; tempo di eluizione e corsa del solvente; temperatura e tempo di essiccamento della lastrina. La determinazione quantitativa può essere quindi effettuata con le seguenti modalità: eluizione in parallelo della miscela in esame e di soluzioni standard a concentrazione nota, seguita dal confronto tra le aree degli spot (errore 20-30%); uso di fotodensitometri e analizzatori di immagine (Tecnica TLC-Tlsee) con creazione di densitogrammi (errore 1-2%); asportazione della macchia ed estrazione con solvente (errore 2%), con successiva analisi quantitativa della soluzione con altra metodica.