Hobbes.

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Hobbes.
Transcript della presentazione:

Hobbes

Convenzionalismo gnoseologico e politico La fama di Hobbes è legata principalmente al suo pensiero politico e alla fondazione che egli compie. Il potere senza vincoli del sovrano viene giustificato non in virtù della dottrina dell'origine divina della regalità, ma come effetto di una convenzione liberamente stipulata fra gli uomini. Tutta la sua filosofia, è caratterizzata da un impianto convenzionalistico. Infatti, in campo linguistico, il filosofo spiega l'attribuzione dei nomi alle cose sulla base di una convenzione dei parlanti, per quanto tacita e implicita.

L'origine sensibile delle idee Hobbes distingue tra due forme di conoscenza: 1. la conoscenza comune, che si fonda sull'esperienza sensibile e nella quale il linguaggio svolge una funzione decisiva. La conoscenza comune è chiamata conoscenza originaria, perché è all'origine di tutte le conoscenze e dunque anche di quella scientifica; o anche conoscenza fattuale, perché attraverso l'esperienza noi veniamo a conoscenza di come di fatto è la realtà; 2. la conoscenza scientifica o filosofica ha alla sua base la conoscenza comune, della quale rappresenta una complessa rielaborazione e rigorizzazione: per questo, la scienza è detta da Hobbes «conoscenza derivata». A differenza della conoscenza comune, la scienza non si limita a constatare come la realtà è fattualmente, ma si propone di spiegarne le ragioni, indicandone le cause.

La conoscenza comune originaria o fattuale si fonda sulle immagini sensibili dei singoli corpi e delle singole azioni da essi prodotte. Queste immagini sono generate dall'interazione dei nostri organi di senso con le proprietà geometrico-meccaniche dei corpi percepiti. Le immagini sensibili sono conservate dalla memoria sotto forma di idee: anche queste hanno un contenuto singolare (la memoria conserva per esempio, benché meno vivida, l'idea del singolo cane, o del singolo gatto, oggetto della sensazione). Sulla base delle immagini sensibili e delle idee conservate dalla memoria, l'uomo determina i propri comportamenti pratici.

Noi vediamo infatti che determinate immagini si presentano nell'esperienza costantemente associate, o disposte secondo un certo ordine di successione e vi facciamo abitudine. E sulla base dell'abitudine elaboriamo congetture e previsioni che possono rivelarsi utili e vantaggiose. Ricordando per esempio che l'immagine del fumo si presenta costantemente collegata con quella del fuoco, quando vediamo del fumo siamo portati a presumere che vi sia anche un fuoco; e quindi, se abbiamo freddo, ci muoviamo nella direzione del fumo alla ricerca di calore. E poiché all'annuvolarsi del cielo succede per lo più la pioggia, vedendo le nuvole ci attendiamo che piova, e dunque usciamo per strada muniti di mantello. La debolezza della memoria, tuttavia, riduce la capacità di previsione, rendendo incerto l'agire.

La concezione nominalistica del linguaggio Il linguaggio rappresenta un potente aiuto per la memoria. Attraverso i nomi è possibile infatti raccogliere le singole idee individuali delle cose percepite in classi dotate di una certa generalità. Per esempio, il nome "cane" è ciò che permette di classificare unitariamente molte idee tra loro anche notevolmente diverse. In questo senso, Hobbes definisce il nome «voce umana, usata come nota con la quale possa suscitarsi nella mente un pensiero simile a un pensiero passato»; l'altra funzione del nome è quella di essere segno usato nel discorso per comunicare ad altri un pensiero. Dall'impiego dei nomi risulta grandemente semplificata l'opera di collegamento e di confronto tra immagini e tra idee, non costretta a esercitarsi tra idee singolari infinitamente varie, ma appunto tra nomi, assunti a designare insiemi o classi di idee di origine sensibile.

Per Hobbes, che porta agli esiti estremi il nominalismo di Ockham, non esiste dunque alcunché di reale che corrisponda ai nomi; e neppure esistono concetti universali. È arbitraria la scelta del particolare nome impiegato per associare tra loro certe idee; ed è arbitraria anche l'associazione tra idee prodotta dal nome: che il nome "cane" comprenda per esempio i "san bernardo" ed escluda le "volpi" dipende esclusivamente dal fatto che in questo caso è prevalsa tra i parlanti la considerazione del rapporto domestico con l'uomo su quella della morfologia animale.

In ultima analisi, l'attribuzione di un certo nome a certe idee singolari e il raggruppamento di queste ultime che avviene di conseguenza, non ha fondamento se non in una convenzione. Essa si basa, cioè, sull'accordo (implicito) tra i parlanti che convengono di assegnare al nome un certo significato o, in altre parole, di avvalersene al fine di designare un determinato insieme di idee e non un altro, senza che ciò comporti «alcuna necessità metafisica o riscontro ontologico»

Il concetto hobbesiano di filosofia La conoscenza derivata o scientifica (o filosofia) ha in comune con la conoscenza originaria o empirica lo scopo (eminentemente pratico) di permettere previsioni e utili interventi sul corso della natura. La scienza, afferma Hobbes, «è in funzione della potenza (ovvero della capacità di operare); il teorema [...] in funzione del problema, cioè dell'arte del costruire; ogni speculazione fu istituita per qualche azione o lavoro». Come strumento per conseguire vantaggi pratici, la filosofia si distingue però dalla conoscenza empirica perché è dotata di maggiore efficacia. Sulla base della conoscenza empirica, infatti, è possibile stabilire solo connessioni piuttosto incerte tra le immagini sensibili. La filosofia, invece, è conoscenza rigorosa.

Hobbes nel De corpore: la filosofia è «conoscenza ottenuta mediante ragionamento rigoroso degli effetti o fenomeni in base alla comprensione delle loro cause o generazioni, e per converso delle possibili generazioni (o cause), in base alla conoscenza degli effetti». La filosofia e le specifiche discipline scientifiche nelle quali essa si articola mirano dunque a sostituire l'incerto sapere originario con la conoscenza delle connessioni necessarie che collegano causa ed effetto: e proprio da ciò deriva anche la loro maggior efficacia sul piano pratico, come guida nella manipolazione tecnica della natura, dovuta a una più sicura capacità di previsione degli eventi.

Conoscere è fare Per Hobbes, ed è uno degli aspetti più importanti del suo pensiero, la scienza implica il fare. Possiamo conoscere davvero soltanto ciò che noi stessi produciamo, o almeno riusciamo a riprodurre, ricostruendo il processo che lo ha prodotto. Per chiarire in che senso parli di generazione, Hobbes si riferisce a titolo di esempio alla geometria: conoscere il cerchio è saperlo generare, cioè conoscere le regole che ne consentono la costruzione in base alle sue proprietà, non per imitazione o per copia di un esemplare. Se disegnassimo un cerchio tramite l’esperienza non ne comprenderemmo la struttura, perciò la nostra produzione sarebbe approssimativa e limitata al modello. Comprendere la regola generativa consente invece di tracciare un cerchio di qualsiasi dimensione, rispettando la qualità che lo caratterizza, cioè l’equidistanza di ogni punto della circonferenza dal centro.

Delle cose che noi stessi facciamo o possiamo fare, conosciamo i princìpi e i passaggi deduttivi che conducono da essi alle conseguenze, perciò le conosciamo in modo necessario. Le acquisizioni sensoriali riguardano invece i fenomeni: percepiamo le immagini delle cose, ma senza comprenderne la ratio. Questo principio è applicato da Hobbes alle arti: sono certe quelle di cui possediamo i princìpi, ipotetiche le altre. Basandosi sul principio secondo cui è possibile conoscere soltanto ciò che si può fare, Hobbes dichiara non conoscibili, e quindi non oggetto di analisi filosofica, la teologia e la metafisica. L’oggetto legittimo della filosofia è individuato da Hobbes in due «corpi», i quali tuttavia richiedono metodi diversi: la natura e la società. La natura può essere conosciuta solo a partire dalle sensazioni, cioè a posteriori, mentre i principi della società derivano da noi stessi, sono cioè a priori.

Il modello geometrico della scienza Come Cartesio, anche Hobbes ritiene che alla radice degli errori compiuti dai filosofi vi sia una mancanza di metodo: esso deriva a suo giudizio precisamente dal fatto che le discipline filosofiche non provvedono alla preliminare definizione dei nomi che usano, generando così una grande confusione. Per superare questo difetto di metodo, la filosofia deve allora procedere alla rigorosa e univoca determinazione del significato dei nomi e dei termini impiegati. Come gli studiosi di geometria così anche i filosofi devono costringersi all'uso di vocaboli propri, e rifuggire dal linguaggio metaforico che, accettabile nel parlare comune e poetico, costituisce un ostacolo nella ricerca della verità, a causa del suo carattere vago e indeterminato e quindi ambiguo.

Dalla preminenza metodologica della geometria scaturisce l'aspetto più originale della concezione hobbesiana del sapere scientifico: ovvero l'idea che la filosofia debba fondarsi su una convenzione. Il discorso scientifico e filosofico non può aver luogo senza che siano preliminarmente determinate le condizioni e i limiti entro cui esso deve restringersi; su queste condizioni deve convenire tutta la comunità dei dotti, a garanzia dell'universalità del sapere scientifico.

La filosofia (scienza) è conoscenza «degli effetti attraverso le cause». E la più generale delle cause, da cui ogni effetto consegue, è per Hobbes il movimento dei corpi materiali. Il compito della convenzione che fonda la scienza non riguarda dunque questa fondamentale verità, ma consiste piuttosto nel determinare il significato dei termini con cui gli scienziati parlano di movimento e di corpi materiali. Le definizioni prime della filosofia fanno astrazione da ogni connotato di tipo qualitativo e stabiliscono convenzionalmente il significato dei "nomi" o termini scientifici (spazio, corpo ecc.) solo in rapporto a caratteristiche quantitative e a proprietà geometrico-meccaniche. In ambito scientifico, per esempio, non ci interessa se un corpo è colorato o profumato, ma soltanto se è grande o piccolo, sferico o cubico, in quiete o in movimento ecc.

La filosofia come calcolo dei nomi Ogni "nome" risulta determinato come una quantità o una somma di parti e può pertanto essere sommato, fatto oggetto di sottrazione, moltiplicato, diviso: in una parola, può essere — in virtù della convenzione che fonda la filosofia — trattato matematicamente, misurato. Per questo Hobbes può affermare che il ragionamento è calcolo e le dimostrazioni della filosofia sono operazioni analoghe a quelle della geometria e dell'aritmetica. Uomo= corpo + animato + razionale Animale = corpo + animato – razionale Se qualcosa è uomo, è anche animale. Se qualcosa è animale, è anche corpo. Se qualcosa è uomo, è anche corpo.

Il monismo materialistico di Hobbes L'esame del sistema di Hobbes evidenzia come il filosofo inglese miri a comprendere ogni ambito del reale in termini di movimento locale di corpi, conformemente alla concezione meccanicistica. Rispetto al sistema filosofico cartesiano, il meccanicismo di Hobbes si contraddistingue per il fatto di voler spiegare in termini rigorosamente meccanici tutti gli aspetti della realtà: non solo dunque i processi fisici, ma anche fenomeni quali sensazioni e pensiero concepiti invece da Cartesio come modificazioni o proprietà di una sostanza immateriale, la res cogitans, sottratta a spiegazioni di ordine meccanico. «Lo spirito», suggerisce infatti Hobbes nelle sue Obiezioni alle Meditazioni metafisiche di Cartesio, «non sarà nient'altro che un movimento di certe parti del corpo organico».

La filosofia politica La riflessione politica di Hobbes muove da una concezione pessimistica e misantropica, fondata sulla spiegazione meccanicistica dell'uomo: ogni uomo è necessariamente condizionato dai meccanismi dei propri istinti egoistici. Nello stato di natura, ciascun individuo vive sottomesso ai suoi istinti di essere asociale, egoista e violento, dominato dall'esclusivo interesse per la propria autoconservazione e la propria potenza. In questo stato, nessuno degli individui vede oltre lo scopo dell'autoconservazione. Tutti «hanno diritto su tutto» (ius omnium in omnia). Per questo, lo stato di natura è caratterizzato da Hobbes come bellum omnium contra omnes, o "guerra di tutti contro tutti", ossia da uno stato di perenne belligeranza, in cui ciascun individuo non ha mai piena sicurezza della propria vita e dei propri beni.

Lo stato di natura come modello concettuale Più che un'accertabile realtà storica, lo stato di natura è per Hobbes un'ipotesi ricavata dall' analisi della natura umana: una sorta di modello che prende forma nella storia ogniqualvolta sulla ragione prevalga la primigenia costituzione animale dell‘umanità. Tre dimensioni diverse dello "stato di natura", non più pensato astrattamente, ma concretamente verificabile nella quotidianità:  una dimensione prestatale, che è quella dei popoli primitivi non ancora politicamente organizzati;  una dimensione antistatale, che è quella dell‘anarchia e della guerra civile;  una dimensione interstatale, che è quella della rivalità diplomatica e politica tra stati sovrani.

L'eguaglianza originaria e la legge di natura L'eguaglianza originaria (il diritto di tutti su tutto) che caratterizza la condizione naturale non è un beato stato perduto, ma una situazione di perenne instabilità e insicurezza. Nello stato di natura nessuno, per quanto forte e potente, è mai completamente al sicuro dalle insidie del più forte. L'istintualità dell'uomo lo spinge a perseguire l'autoconservazione facendo leva sulla violenza, la lotta e la competizione. Ma l'uomo dispone anche della ragione, la quale si esprime nella "legge di natura": con questa espressione Hobbes designa l'insieme delle prescrizioni razionali che guidano l'individuo nel calcolo delle conseguenze delle sue azioni, allo scopo di assicurarsi l'autoconservazione. Tra queste prescrizioni, quella fondamentale impone (utilitaristica-mente) che «si deve ricercare la pace quando la si può avere; quando non si può, bisogna cercare aiuti per la guerra».

Mentre lo stato di natura è una condizione dominata dal diritto di tutti a tutto, la legge naturale tende a temperare tale assenza di vincoli, poiché risulta incongruente rispetto al fine dell'autoconservazione. Nello stato di natura ci troviamo insomma di fronte a una contraddizione tra il fine dell' autoconserva­zione e la "guerra di tutti contro tutti" che minaccia la stessa sopravvivenza. Lo stato di natura è dunque male, perché in esso il fine della vita, cioè l' autoconservazione, è sempre raggiunto a fatica e sempre revocato in dubbio.

Il patto sociale e la creazione dello stato Si tratta allora di interrogarsi sul modo in cui sicurezza e autoconservazione possano essere raggiunte. La risposta di Hobbes è contenuta nella teoria del patto sociale, che istituisce la società civile, supera lo stato di natura e fonda la sovranità come garanzia di pace e sicurezza per ciascuno. La società civile è secondo Hobbes frutto dell'esperienza e della cultura del genere umano. L'uomo non è adatto per natura a vivere in società, ma a ciò lo portano la retta ragione e l'esperienza. L'origine della società e dello stato sta dunque in un contratto, in un patto che crea una realtà nuova e artificiale, che costituisce un meccanismo efficace contro le storture della condizione naturale che minacciano l'autoconservazione.

Il patto che istituisce lo stato non intercorre tra due distinti soggetti ciascuno fornito di propri diritti, ma si stipula invece come mutuo accordo tra i singoli individui. Tutti gli individui decidono di rinunciare simultaneamente al loro diritto originario per unirsi in società e contemporaneamente delegano a un terzo non contraente il loro diritto su tutto. Hobbes chiama patto di unione questo contratto, in cui confluiscono il patto di società e il patto di subordinazione. Il contratto hobbesiano è patto di società perché la società non esiste in natura e si fonda su questo accordo che accomuna i contraenti; è però anche patto di subordinazione perché ciascun individuo rinuncia al proprio ius demandandolo a un terzo, verso il quale contrae l'obbligo dell'obbedienza.

Il potere irrevocabile e assoluto del sovrano Il sovrano, sia esso un singolo o un'assemblea, sarà l'unico a mantenere il diritto su tutto. Egli assume il supremo potere economico, esecutivo, legislativo, giudiziario e poliziesco e ha dunque la forza necessaria per garantire a ciascuno la sicurezza e l'autoconservazione, permettendo a tutti di vivere secondo le prescrizioni della retta ragione, senza timore che altri, non rispettandola, si avvantaggino impunemente nei suoi confronti mettendo a repentaglio la sua vita e i suoi beni. Compito del sovrano, tramite la promulgazione delle leggi civili, è rendere coattiva la legge naturale, accogliendone i principi nelle norme che solo a lui spetta stabilire.