La lingua della politica in Italia 1. Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo
La variazione linguistica La lingua non è un organismo immobile e definibile una volta per tutte perché si modifica in rapporto a diversi fattori: il trascorrere del tempo, lo spazio geografico, il livello socio-culturale di chi la parla (o la scrive), la situazione comunicativa, il mezzo di comunicazione che veicola il messaggio. Si è soliti riconoscere 5 variazioni linguistiche.
1. La variazione diacronica Lo studio di una lingua in diacronia (dal greco diá “attraverso” e crónos “tempo”) consiste nell’esame dei mutamenti che nel corso del tempo hanno interessato quella particolare lingua, non solo all’atto della sua nascita (nel nostro caso il passaggio dal latino volgare all’italiano) ma in tutta la sua evoluzione, fino al suo assetto attuale.
2. La variazione diatopica Le trasformazioni di una lingua in diatopia (dal greco diá “attraverso” e tópos “luogo”) sono quelle determinate dallo spazio geografico in cui quella lingua si parla. Per l’italiano basta pensare alla grande quantità di dialetti presenti nella nostra penisola, diversi da regione a regione, da città a città e, talvolta, da paese a paese.
3. La variazione diastratica Una lingua può mutare anche in relazione allo strato sociale, al grado d’istruzione e quindi alla competenza linguistica dei parlanti (o degli scriventi). Una persona di livello sociale elevato e di buona cultura parla e scrive in modo diverso da chi, poniamo, ha concluso i suoi studi con la licenza elementare.
4. La variazione diafasica (o situazionale) Studiare una lingua in relazione alla diafasia (dal greco diá “attraverso” e phasis “il parlare”) significa indagarne le trasformazioni legate alla situazione comunicativa. In un colloquio di lavoro si usa un “registro” formale mentre parlando con un amico si ricorre, a parità di significato, a un “registro” confidenziale.
5. La variazione diamesica Ogni lingua varia anche in rapporto alla diamesia (dal greco diá “attraverso” e mèsos “mezzo”), vale a dire a seconda del canale di comunicazione che viene scelto per trasmettere un dato messaggio. La lingua scritta presenta caratteristiche diverse rispetto alla lingua che si parla avendo di fronte un interlocutore.
Le varietà dell’italiano contemporaneo Nell’italiano contemporaneo scritto e parlato sono presenti almeno 4 varietà ben individuabili e definibili: l’italiano standard l’italiano neostandard l’italiano regionale l’italiano popolare
1. L’italiano standard (o normativo) Il requisito fondamentale di una lingua standard è, secondo gli specialisti, la sua “normalità”. Una lingua standard deve essere cioè la norma per tutta la società, la più diffusa in tutti gli usi scritti e in tutti i contesti della comunicazione orale, usata dalle persone colte, neutra e sovraregionale. Se si guarda all’italiano, questa varietà ci appare inevitabilmente un’astrazione. Può valere forse per un particolare tipo di lingua scritta, quello più formale, non certo per il parlato.
2. L’italiano neostandard (o dell’uso medio) Questa varietà d’italiano è stata definita: neostandard, perché coincide in buona parte con l’uso normativo ma accoglie anche fenomeni propri del parlato (e in espansione) e si configura quindi come base per un futuro nuovo standard comune, perché è la più usata sia nello scritto sia nel parlato dell’uso medio, perché si situa in posizione mediana tra l’uso formale e quello informale tendenziale, perché costituita da tratti linguistici in evoluzione, non ancora consolidati senza aggettivi, cioè italiano e basta.
3. L’italiano regionale Si tratta di una varietà di italiano parlato variamente influenzata dal dialetto nella pronuncia, nel lessico, nella sintassi. Pronunce del tutto prive di tratti regionali sono rarissime, anche nei parlanti più colti: è quasi sempre facile stabilire l’origine settentrionale, romana o meridionale di chi parla. In questo senso si può dire che parliamo quasi tutti un italiano regionale. Più marcati e meno frequenti nell’uso colto sono gli elementi dialettali nel lessico, nella grammatica e nella sintassi.
4. L’italiano popolare È una varietà d’italiano regionale, scritta e parlata, che mostra un tasso di deviazioni dallo standard superiore a quello che si riscontra nel neostandard; ma presenta anche elementi suoi propri che il neostandard rifiuta. È usata soprattutto da persone con un basso livello d’istruzione.
Tra norma e uso La distinzione tra italiano standard e neostandard si fonda, come si è detto, sullo scollamento esistente tra la norma, ovvero le regole grammaticali e sintattiche che si studiano a scuola, e l’uso medio, vale a dire la lingua effettivamente parlata o scritta in situazioni e contesti mediamente formali. Vediamo ora in concreto quali sono i principali fenomeni che caratterizzano l’italiano neostandard come standard emergente.
I fenomeni del neostandard Si tratta di usi relegati per molto tempo alle varietà basse della lingua e che con il tempo compiono un’ascesa verso i registri di maggior prestigio; di fatto, si assiste a una sorta di erosione della norma dal basso. Del resto la norma linguistica cambia non solo nel tempo ma anche a seconda del contesto comunicativo. Molti dei tratti linguistici che esamineremo sono sbagliati (in astratto) ma funzionano benissimo nel parlato o in uno scritto informale.
Pronomi e congiunzioni nel neostandard I pronomi lui, lei e loro sostituiscono, in funzione di soggetto, i più blasonati egli, ella, essi. Viene largamente usato il ci attualizzante in forme come c(i) ho. Si preferisce il ci locativo al più formale (e burocratico) vi nel tipo c’è / ci sono. Il pronome gli vale non solo ‘a lui’ ma anche ‘a lei’ e ‘a loro’, mentre la norma prescriverebbe l’uso, rispettivamente, di lei e loro. Questo viene preferito a ciò. Le congiunzioni siccome, perché e quando soppiantano le più formali poiché, giacché e allorché. Si usa il che con valore generico (detto “polivalente”), in frasi come il libro che ti ho parlato (per il libro di cui ti ho parlato)
Indicativo vs. congiuntivo Il neostandard ammette l’uso dell’indicativo in costrutti per i quali la norma prescrive il congiuntivo (penso che è bello / penso che sia bello; ma anche nel periodo ipotetico dell’irrealtà: se lo sapevo non venivo / se l’avessi saputo non sarei venuto). Notevole anche l’uso dell’indicativo presente in luogo del futuro in frasi come domani parto (la norma vorrebbe domani partirò).
L’ordine degli elementi frasali Nell’italiano neostandard l’ordine canonico soggetto-verbo-complemento è variamente alterato a fini espressivi. Si hanno in particolare: dislocazione frase scissa frase a tema sospeso
1. La dislocazione È un costrutto che prevede lo spostamento, a sinistra o a destra, dell’elemento della frase su cui si vuole concentrare l’attenzione: Si ha dislocazione a sinistra, ad esempio, nelle frasi il caffè lo prendo amaro e a Marco glielo dico io (entrambe con ripresa pronominale). Si ha dislocazione a destra, invece, in frasi come lo leggo bene l’inglese e glielo faccio vedere io come si fa (entrambe con anticipazione pronominale).
2. La frase scissa Consiste nella scissione della frase in due elementi, il primo introdotto dal verbo essere, il secondo dal pronome che. L’effetto è la messa in evidenza proprio del termine compreso tra il verbo essere e il che, come nelle frasi è questo che volevo sentire e non è questo che intendevi?
3. La frase a tema sospeso È simile alla dislocazione a sinistra ma se ne differenzia perché la funzione logica dell’elemento messo in evidenza è chiarita solo dalla ripresa pronominale. Alcuni esempi: i bollini bisogna farne cento per prendere un regalo decente; Angelo ogni tanto ci andavo a prendere il caffè.
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