La salute mentale del bambino tra vulnerabilità, rischio e resilienza

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Transcript della presentazione:

La salute mentale del bambino tra vulnerabilità, rischio e resilienza Mauro Camuffo Direttore U.O. di Neuropsichiatria Infantile A.USL n.9 Grosseto Arezzo 16-6-2006

L’ESPERIENZA TRAUMATICA Un evento è traumatico “… quando minaccia la salute e il benessere di un individuo, quando lo rende impotente di fronte ad un pericolo, quando viola gli assunti di base della sopravvivenza ed evidenzia l’impossibilità di controllare e prevedere gli eventi” (Eisen e Goodman 1998) Un numero di bambini compreso tra il 14 e il 43% ha vissuto almeno un evento traumatico nella propria vita (ISTSS 2000)

La clinica e gli studi longitudinali hanno dimostrato che esistono bambini che, di fronte alle stesse situazioni ambientali e agli stessi eventi traumatici, hanno capacità significativamente maggiori o minori di sviluppare una psicopatologia: bambini invulnerabili o vulnerabili

BAMBINI INVULNERABILI invulnerabili come Ercole invulnerabili come Achille Meccanismi rigidi che permettono al bambino di costruirsi una muraglia intorno con cui resistere alle avversità Bambini che possono distruggersi completamente se viene toccato il loro punto debole

BAMBINI VULNERABILI Vulnerabili perché meno resistenti a tutto ciò che può nuocere e alle aggressioni La vulnerabilità è in continuo cambiamento ed è un concetto clinico qualitativo La soglia e il livello di vulnerabilità rappresentano le risultanti di fattori genetici ed ambientali incorporati nell’individuo che ne costituiscono, momento per momento, le competenze

I FATTORI DI RISCHIO ►I fattori di rischio riguardano tutte le condizioni esistenziali del bambino e del suo ambiente che implicano un rischio di psicopatologia superiore a quello che si osserva nella popolazione generale (Marcelli 1999) ►Insieme di variabili, tra loro interagenti, di tipo biologico, temperamentale, familiare e sociale, che possono rinforzarsi con effetti cumulativi ► Condizioni di rischio derivanti da ambiti diversi possono verificarsi contemporaneamente ed essere esacerbate o mitigate dal sistema familiare (Rutter 1987)

FATTORI DI RISCHIO CONNESSI ALLA GENITORIALITA’ “Tutte quelle condizioni in cui la funzione genitoriale, nelle sue componenti fondamentali di cura e protezione dei figli, è fortemente disturbata e influisce profondamente sulla qualità della relazione genitori-bambino” (Ammaniti 2001) Classificazione Diagnostica 0-3: Ipercoinvolgimento Ipocoinvolgimento Relazione ansiosa/tesa Relazione arrabbiata/ostile Disturbo relazionale misto Maltrattamento (verbale, fisico, abuso sessuale)

ICD 10, Asse V (situazioni psicosociali anomale associate): 0. Nessuna alterazione o inadeguatezza significativa dell’ambiente psicosociale 1. Relazioni intrafamiliari anomale 2. Disturbo psichico, devianza o handicap nel gruppo di sostegno primario 3. Comunicazione intrafamiliare inadeguata o distorta 4. Qualità anomale dell’allevamento 5. Ambiente circostante anomalo 6. Life events acuti 7. Fattori sociali stressanti 8. Stress interpersonale cronico associato alla scuola o al lavoro 9. Eventi-situazioni stressanti derivanti da disturbo/disabilità propri del bambino

GRAVIDANZA E MATERNITA’ IN ETA’ ADOLESCENZIALE Età (età più giovane = minore competenza): dati non omogenei (negli Stati Uniti, ogni anno, 500.000 bambini da madri sotto i 20 anni; McElroy e Moore 1997) Povertà: vita in aree ad alto tasso di criminalità e violenza (Brooks-Gunn 1986, Bronferbrenner 1986) Caratteristiche famiglia di origine: mancanza di sostegno sia pratico che affettivo (il sostegno della propria madre funziona solo se si vive in contesti abitativi diversi; East e Felice 1996) Risorse personali: deficit di self individuation (Wakshlag et al. 1996); ritardo mentale; basso livello di autostima (Koniac-Giffin 1989) Problemi legati alla salute mentale: depressione (Osofsky et al. 1993)

CONFLITTUALITA’ GENITORIALE Conflitto aperto: particolarmente distruttivo per la qualità dell’adattamento infantile Esposizione al conflitto fisico: grave minaccia al benessere emotivo e disadattamento (Carroll 1994) Disaccordi riguardanti l’accudimento: maggiore correlazione con presenza problemi di comportamento nei bambini di 3 anni (Jouriles 1991) Padri insoddisfatti: modello di distanziamento e di ritiro con il bambino; madri insoddisfatte: tendenza all’ipercoinvolgimento (Cowan e Cowan 1992)

SEPARAZIONE, DIVORZIO Fattori di rischio e vulnerabilità generali Variabilità clinica dei disturbi nei bambini in base all’età: particolare vulnerabilità sotto i 3 anni tra 2 e 3 anni, comportamenti di tipo regressivo con pianto, irritabilità e ritorno all’uso degli OT tra 3 e 4 anni, timore di perdere anche l’altro genitore, insicurezza, sensazione di atto ostile nei propri confronti, sensi di colpa (Wallerstein e Kelly 1980) in età successive, da lievi disturbi del comportamento ad accessi di angoscia, episodi anoressici o di insonnia, depressione, dist. della condotta (Horner et al. 2001)

TOSSICODIPENDENZA Assunzione di droga in corso di gravidanza: effetti diretti sullo sviluppo del feto (ma danno specifico su SNC non dimostrato) ►scarso accrescimento fetale, parto pretermine; dopo la nascita: ► disfunzioni neurocomportamentali (tremore e sobbalzi, diminuzione comp. interattivi, irritabilità, difficile consolabilità; Chasnoff et al. 1985, Ammaniti 2001) ► disfunzioni nell’area della regolazione (stati comp. più depressi, processi attentivi limitati e modelli anomali di comp. sociale e comunicativo; Beeghly e Tronick 1994) Abuso di alcol e di altre sostanze: accudimento disfunzionale e maltrattamento (Bauman e Dougherty 1983, Belsky e Vondra 1898, Rutter 1989); rischio multiplo

PSICOPATOLOGIA GENITORIALE (I) Disturbi affettivi marcati: disregolazione emotiva, dist. somatici, difficoltà di apprendimento, sintomi depressivi (Beradslee et al. 1983) Severità e cronicità: impatto maggiore della diagnosi specifica (Seifer e Dickstein 2000) Relazione con altri fattori di vulnerabilità (povertà, livelli di conflittualità familiare elevati)

PSICOPATOLOGIA GENITORIALE (II) Depressione: (Field 1992, Seifer e Dickstein 2000): disturbi della condotta attaccamenti insicuri disturbi depressivi Depressione cronica: esiti più sfavorevoli (Zeanah et al. 1997) Depressione post-partum: profonde ripercussioni sull’instaurarsi della relazione madre-bambino Psicosi primi 3 anni, patologia diagnosticata prima della gravidanza e con caratteristiche di cronicità rischio di morbidità = 10% con un genitore schizofrenico 30% se lo sono entrambi (Tienari 1985) relazioni fortemente perturbate nei più piccoli, deficit di attenzione, iperlabilità, ipersensibilità (Harvey et al. 1985)

LA NASCITA PREMATURA Fattore di rischio comunemente accettato I gravi prematuri presentano circa il doppio della psicopatologia della popolazione generale e percorsi di sviluppo profondamente anomali (Fava Vizziello 2003) “Il basso peso alla nascita è un provato fattore di rischio per deficit cognitivi e del comportamento, ritardo di crescita e difficoltà scolastiche e aumenta il rischio di disturbi del comportamento e psichiatrici” (WHO 2004).

I BAMBINI NATI PREMATURI Alcuni, pur in situazioni ambientali difficili, riescono a superare brillantemente le difficoltà, mostrano cioè una capacità (la resilienza) di resistere ai fattori negativi e allo stress fino a compiere una metamorfosi del dolore psichico e fisico sofferto nei duri percorsi in terapia intensiva neonatale senza supporto genitoriale “effetto farfalla” Esperienze dure, spesso reiterate da ulteriori interventi ospedalieri negli anni successivi

MALTRATTAMENTO E ABUSO Il maltrattamento infantile si riferisce a “pratiche di accudimento aberrante dei bambini che risultano inaccettabili per la maggioranza della popolazione in una data cultura e in un particolare periodo storico” (Ammaniti 2001) “Non è dovuto ad una singola causa, ma è il risultato di un’interazione di fattori a cui partecipano: 1) career predisposti, intrappolati in modelli relazionali conflittuali 2) bambini vulnerabili 3) stressor esterni” (Reder e Lucey 1997).

CLASSIFICAZIONE DELLE FORME DI MALTRATTAMENTO Abuso fisico (22%) Trascuratezza trascuratezza fisica (45%) trascuratezza educativa trascuratezza emozionale (22%) Abuso sessuale (18%) Abuso emozionale (18%) (Ammaniti 2001) Spesso in forma mista (Mrazek 1993), spesso all’interno della famiglia

FATTORI FACILITANTI Genitori vittime di deprivazione/ maltrattamento nella propria infanzia Età precoce (nel 19% dei casi meno di 3 anni di età) (Mrazek 1993) Bambini nati prematuramente,disabili o malati, che non mangiano normalmente, che hanno subito separazioni precoci (Reder e Lucey 1997) Ambienti sociali svantaggiati, condizioni abitative inadeguate, numerosità della famiglia e scarso distanziamento delle nascite, atteggiamento negativo della madre nei confronti della gravidanza (Altemeier et al. 1982; predittivo di trascuratezza, Egeland e Brunnquell 1979)

MALTRATTAMENTO E SVILUPPO (I) “I bambini traumatizzati, maltrattati, abusati vivono intensi sentimenti di disistima, colpa, paura, vergogna; si difendono dall’esposizione al dolore con difese di evitamento, che possono divenire patologiche nella “sindrome post-traumatica da stress” o cronicizzarsi con gravi conseguenze sullo sviluppo della personalità” (Cicchetti e Carlson 1987)

LA CAPACITA’ DI RESISTERE Perché alcune persone crollano sotto il peso degli stress mentre altre sembrano attraversare indenni avverse condizioni di vita ed eventi traumatici quali malattie, abusi sessuali, incidenti d’auto, lutti o guerre? La risposta di un soggetto a simili eventi (la sua “capacità di resistere”) è il risultato di un’interazione dinamica tra fattori di rischio e fattori protettivi, appartenenti a diversi livelli: biologico, psicologico, sociale, ambientale (Cicchetti 1984, Sroufe-Rutter 1984)

L’ADATTAMENTO POSITIVO Inizialmente l’attenzione era concentrata sui soli fattori di rischio e sulle conseguenze cliniche dell’esposizione in età evolutiva a situazioni/eventi stressanti Ma molti dei bambini posti nelle medesime condizioni avverse reagivano positivamente e in modo adattivo (Rutter 1979, Werner e Smith 1982, Antony 1987, Garmezy 1994, Masten, Best e Garmezy 1990, Green et al. 1994, La Greca et al. 1996, Salzer e Bickman 1999) Esempio: letteratura relativa agli abusi sessuali (21-49% dei soggetti adulti abusati nell’infanzia non presenta alcuna difficoltà di adattamento o disturbo comportamentale; Finkelhor 1990, Fergusson e Muller 1999) Più in generale: solo un terzo dei soggetti a “rischio” manifesta problematiche nell’adattamento, mentre i due terzi sopravvivono senza disturbi evidenti (Wolin e Wolin 1997, Kirby e Fraser 1997)

RESILIENCE (RESILIENZA) Per questi soggetti è stato introdotto il concetto di resilience (resilienza), ossia di “flessibilità”, di “adattamento positivo” in risposta ad una situazione avversa, da intendersi sia come condizione di vita sfavorevole sia come evento traumatico ed inatteso (Masten, Best e Garmezy 1990, Masten e Coatsworth 1998)

RESILIENZA In ingegneria: “capacità di un materiale di resistere a urti improvvisi senza spezzarsi” (Lo Zingarelli, 1995; Wikipedia 2004) In ecologia e biologia: “capacità di una specie di autoripararsi dopo un danno” (Wikipedia, 2004) Nelle scienze sociali: “capacità umana di affrontare le avversità della vita, superarle e uscirne rinforzato o, addirittura, trasformato” (Grotberg, 1996; Wikipedia, 2004) Nella teoria dei sistemi: “capacità che ha un sistema di resistere ai cambiamenti provocati dall’esterno, per sovrapporsi e superare queste crisi, approfittando del cambiamento qualitativo e mantenendo la coesione strutturale attraverso il processo di sviluppo” (Cordoba, 1997)

EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI RESILIENZA (I) Studi di Rutter sui bambini nati da genitori con disturbi mentali: molti non presentavano psicopatologie o comportamenti disadattivi (Rutter 1979); prima definizione di resilience come “risposta positiva di un soggetto allo stress e alle condizioni avverse” (Rutter 1990), intendendo come “positiva” l’assenza di conseguenze psicopatologiche Studio di Garmezy su un campione di bambini in famiglie di basso livello socio-economico: molti bambini erano competenti in ambito scolastico e non presentavano alcun disturbo comportamentale (Garmezy 1991)

EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI RESILIENZA (II) Studio di Werner (della durata di 30 anni) su una coorte di bambini nati in Kauai, un terzo dei quali considerato ad elevato rischio per le condizioni di estrema povertà e problematicità dell’ambiente familiare: ■ dei soggetti ad elevato rischio, un terzo crebbe competente e fiducioso e divenne un adulto attento e premuroso ■ resilience come il “consolidarsi delle competenze del soggetto posto in situazioni stressanti” (Werner e Smith 1992)

EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI RESILIENZA (III) Triplice natura del concetto di resilience: come adattamento positivo nonostante l’esposizione ad ambienti ad elevato rischio psico-sociale come funzionamento competente in presenza di forti eventi stressanti (acuti o cronici) come processo di recupero da un trauma Ma quali attributi del bambino, della famiglia, dell’ambiente potevano determinare un buon funzionamento del soggetto anche in situazioni ad elevato rischio psicosociale?

RESILIENZA E FATTORI PROTETTIVI Inizialmente, fattori protettivi concepiti come l’opposto dei fattori di rischio Poiché il rischio di disturbi generalmente aumentava in funzione del numero dei fattori di rischio coesistenti, ad un numero minore di fattori di rischio sembrava corrispondere un buon adattamento Dal momento però che in circostanze altamente problematiche un certo numero di bambini non manifestava alcun disturbo, il concetto doveva essere concepito in termini più complessi ed articolati

APPROCCIO ECOLOGICO ALLA RESILIENZA L’attenzione si estese dalla sfera individuale a quella familiare e a quella sociale, dai fattori individuali, tratti o variabili di personalità, che favoriscono un adattamento positivo (bambino invulnerabile o invincibile), alla resilienza multidimensionale e multideterminata Non vi è una sola fonte di resilienza o di vulnerabilità, dal momento che entrambe costituiscono l’esito dell’interazione di diversi fattori: ► predisposizioni genetiche (intelligenza, temperamento, personalità) ► qualità (abilità sociali, autostima ecc.) ► fattori ambientali (legami familiari, aspettative, apprendimento) (Waller 2001)

“RESILIENZA DINAMICA” La resilienza si riferisce ad un generale stato di adattamento nella vita quotidiana: non è detto che un individuo lo sia ogni giorno ed ogni minuto della sua vita (Masten 2001) Gli stessi fattori protettivi non possono essere considerati attributi fissi (Smith e Carlson 1997) Fattori di rischio e fattori protettivi non costituiscono categorie dicotomiche (Waller 2001) E’ possibile che fattori protettivi e fattori di rischio tendano ad accumularsi e ad essere pervasivi (Masten et al. 1999)

FATTORI PROTETTIVI IN SITUAZIONI AVVERSE Temperamento, coesione e supporto familiare (Weist et al. 1998) Supporto sociale (Garmezy 1993) Elevato QI (Garmezy, Masten e Tellegen 1984; Tiet et al. 1998) Capacità di problem solving (Rutter 1987, Masten e Reed 2002) Buone capacità genitoriali a livello affettivo ed educativo (Masten et al. 1988) Presenza di relazioni profonde con le figure di riferimento, stabilità della famiglia (Garmezy, Masten e Telegen 1984, Masten et al. 1998) “Locus of control” interno, abilità sociali (Luthar 1991) Positiva percezione di sé (Masten e Reed 2002)

UN’ ALTRA LISTA DI FATTORI PROTETTIVI (MASTEN 2001) Presenza di genitori competenti e protettivi Buone abilità cognitive Senso di autoefficacia ed elevata autostima Positiva visione del mondo Presenza di abilità riconosciute a livello sociale Adattabilità e personalità pro-sociale Presenza di relazioni profonde con coetanei pro-sociali e rispettosi delle regole Buone condizioni socio-economiche Presenza di un buon ambiente scolastico Legame con organizzazioni pro-sociali Buone relazioni di vicinato e presenza di risorse nella comunità

COME AGISCE UN FATTORE PROTETTIVO ? MODELLO A Alcuni fattori influiscono positivamente solo in condizioni fortemente problematiche; nelle situazioni in cui sia presente un ridotto numero di fattori di rischio, infatti, non si riscontra alcuna relazione significativa tra fattore protettivo ed esito psicopatologico (interaction effect)

MODELLO B In altri casi, il fattore protettivo influisce sull’adattamento positivo del soggetto sia in situazioni fortemente stressanti che nella quotidianità, pur essendo il suo ruolo molto più marcato in situazioni ad elevato rischio (Cohen e Willis 1985)

MODELLO C Nel terzo caso, un fattore può agire positivamente, ed in misura sostanzialmente uguale, in situazioni ad elevato e basso rischio (main effect) (Garmezy 1985, Rutter 1987, Masten et al. 1988) In quest’ultimo caso, non essendoci alcuna interazione significativa tra fattori protettivi e fattori di rischio, si parla di “risorsa” anziché di fattore protettivo (Tiet et al. 2001, Masten e Reed 2002)

ANCORA IL MODELLO A L’interazione tra fattori protettivi e fattori di rischio (fig. 1) può avvenire secondo tre diverse modalità: 1) Il fattore protettivo agisce quale “cuscinetto” contro gli effetti negativi del fattore di rischio (Masten 1997)

2) Il fattore protettivo limita la catena di reazioni negative che contribuiscono allo sviluppo di conseguenze a lungo termine (Hawkins et al. 1992) 3) I fattori protettivi prevengono l’esposizione ad un dato fattore di rischio (Morriset 1993)

LA RESILIENZA INDIVIDUALE OGGI 1) Capacità di far fronte a situazioni sfavorevoli 2) associata alla capacità di continuare a svilupparsi e di aumentare le proprie competenze nonostante le situazioni avverse Principale indicatore di adattamento e quindi delle “competenze di resilienza” nei bambini = RENDIMENTO SCOLASTICO Sentimento di una base sicura interna Stima di sé (auto-stima) Sentimento di efficacia personale (Rutter, 1993; Giligan, 1997; Fonagy, 2000)

QUESTIONI APERTE Perché non tutti i bambini abusati sviluppano disturbi mentali o problematiche dell’adattamento? (le stime relative al numero di bambini asintomatici variano dal 21% al 49%; Finkelhor 1990, Fergusson e Muller 1999)

TRE IPOTESI Tre ipotesi sulla presenza di questi gruppi di bambini asintomatici (Kendall e Tackkett 1993, Fergusson e Muller 1999): gli esiti possono essere il risultato di una valutazione inadeguata i sintomi possono essere silenti, non evidenti al momento della valutazione ma evidenziabili in seguito alcuni bambini non sviluppano difficoltà di adattamento clinicamente significative

COME VALUTARE UN BUON ADATTAMENTO ? Alcuni autori, nella valutazione del soggetto, hanno preso in considerazione diverse aree del funzionamento Altri si sono limitati a considerare che non vi fossero disturbi mentali o problematiche gravi Altri ancora hanno ricercato indicatori positivi (competenze) e negativi (assenza di sintomi) Più recentemente, è prevalso il criterio dei “compiti evolutivi”, ossia delle aspettative che i membri di una data cultura nutrono nei confronti di un soggetto durante il suo sviluppo (Masten 2003)

ALTRE DOMANDE Posto che queste aspettative siano generalmente condivise nelle società occidentali, è possibile applicare gli stessi criteri in differenti ambiti culturali? A quali fonti di informazioni fare riferimento? Come valutare il funzionamento precedente del soggetto? Come valutare la persistenza nel tempo del funzionamento adattivo? Rispetto a quale evento un soggetto è resiliente? Ecc.

LA PROMOZIONE DELLA RESILIENZA (I) Tutte quelle condizioni sfavorevoli al bambino che minano le basi del suo sistema immunitario e difensivo costituiscono le principali minacce per uno sviluppo adeguato. Nei bambini a rischio, di conseguenza, è necessario promuovere una serie di competenze e abilità attraverso specifiche strategie di intervento, per la prevenzione, la riparazione o la compensazione dei danni arrecati a questi sistemi difensivi. “La promozione della salute e di competenze specifiche si pone gli stessi obiettivi ed è tanto importante quanto la prevenzione del disagio” (Masten e Reed 2002)

LA PROMOZIONE DELLA RESILIENZA (II) La ricerca sulla salute mentale è sempre stata orientata verso la disfunzione psicologica e la salute è definita, erroneamente, in termini di assenza di malattia piuttosto che presenza di un completo stato di benessere mentale, fisico e sociale. Eppure l’assenza di benessere aumenta le condizioni di vulnerabilità ad una serie di avversità future e la guarigione non è legata alla rimozione del sintomo e di tutto ciò che è “negativo” ma, piuttosto, alla promozione e alla valorizzazione del “positivo” (Ryff e Singer 1996)

SALUTE COME BENESSERE Stato di salute come risultato dell’interazione di sei diverse dimensioni: auto-accettazione relazioni positive con gli altri crescita personale scopo nella vita padronanza ambientale autonomia (modello multidimensionale di benessere psicologico di Carol Ryff, 1989)

STRATEGIE DI INTERVENTO (I) (Masten e Reed 2002) Strategie centrate sul benessere: ristrutturazione cognitiva secondo le dimensioni di benessere del modello Ryff (1989), focalizzazione sulle aree meno sviluppate (Well-Being-Therapy), sulla qualità della vita, sulle strategie di coping, sul supporto sociale Strategie centrate sul rischio: rimuovere o ridurre l’esposizione del bambino a traumi di vario tipo

STRATEGIE DI INTERVENTO (II) Strategie centrate sull’assetto: incrementare o stimolare le risorse del bambino per lo sviluppo delle sue competenze Strategie centrate sul processo: influenzare i processi che cambieranno la vita del bambino

FATTORI DI RESILIENZA (I) L’incontro e la parola sono fattori importanti di resilienza; “il bambino organizza in più leggere rappresentazioni verbali la percezione concreta” (Fava Vizziello 2003) Fattori di resilienza propri del bambino o attivabili tramite l’aiuto dell’adulto: la messa in scena dell’avvenimento traumatico (gioco, sogno) lo sviluppo del senso di colpa e di attività riparative le modalità con cui gli altri accolgono l’evento la capacità di farsi un’idea dell’agente del trauma e costruzione di una spiegazione

FATTORI DI RESILIENZA (II) particolari stili di attaccamento … il senso di reintegrazione sociale tutte le variabili legate all’ambiente, al tipo di trauma, alle teorie del mondo presenti nel bambino e in famiglia condivisione con altri se il trauma è collettivo se il trauma è inferto da cause naturali anziché umane se la figura di attaccamento è protettiva e non essa stessa colpevole o vittima

VULNERABILITA’ E RESILIENZA Cappuccetto Rosso … … come tutti i bambini trasgredisce e va incontro al pericolo e al trauma, ma sopravvive e mantiene la propria integrità grazie alla funzione protettiva degli adulti di riferimento

VULNERABILITA’ E RESILIENZA Hansel e Gretel … … sono vittime della povertà e dell’abbandono, ma le loro risorse consentono di superare la carenza trasformandola, tramite un’inversione di ruoli, nel prendersi cura dei loro stessi genitori; uccidono la strega con arguzia e portano a casa il suo tesoro

VULNERABILITA’ E RESILIENZA Biancaneve … … sopravvive all’invidia, per la pietà dell’adulto e grazie ai legami extrafamiliari, e di fronte alla nuova prova dell’avvelenamento viene risvegliata dall’amore

VULNERABILITA’ E RESILIENZA Peter Pan … … è invece vulnerabile; fallisce nel riavvicinamento alla madre dopo i primi passi nell’indipendenza e quando torna trova la finestra chiusa; perde la propria ombra, cioè la propria realtà consistente, rimanendo in uno spazio sospeso, a sua volta non reale (l’”Isola che non c’è”)

VULNERABILITA’ E RESILIENZA Batman… “…essere resilienti non significa essere invulnerabili o invincibili; non si è intoccabili, inaccessibili alle emozioni, ai sentimenti, alla sofferenza. Se si dovesse confrontare una persona resiliente con un super-eroe si tratterebbe di Batman, piuttosto che di Superman. Batman possiede molte qualità, ma nessun super potere” (Anaut, 2003)