Enrico Berti, Descartes: il metodo e il cogito

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Transcript della presentazione:

Enrico Berti, Descartes: il metodo e il cogito C’è un dualismo tra il metodo e il cogito: queste sono le due vere fonti del pensiero di Descartes, due fonti indipendenti e irriducibili l’una all’altra.

Il Discorso sul metodo (1637) attenua il dualismo Il Discorso sul metodo (1637) attenua il dualismo. Così viene raccontata la scoperta del metodo, all’inizio della seconda parte:

«In quel tempo ero in Germania, dove […] me ne stavo tutto il giorno solo, chiuso in una camera ben riscaldata […] ma sopra tutti gli altri attirò la mia attenzione questo pensiero: sono più perfette le opere costruite da uno solo che non quelle composte di pezzi fatti da artefici diversi».

Dagli scritti giovanili, contemporanei ai fatti esposti e mai pubblicati dall’autore, si ha l’impressione che si sia trattato invece di un avvenimento straordinario, decisivo per la vita di Descartes.

Il metodo negli scritti giovanili

«non ho mai incontrato nessuno il quale abbia un metodo Il 10 novembre 1618 Descartes incontra Isaac Beeckman, matematico olandese che così ricorda nel suo Journal: «non ho mai incontrato nessuno il quale abbia un metodo che combini così accuratamente la matematica con la fisica come quello di Descartes»

Nel marzo 1619 Descartes propone a Beeckman «una scienza completamente nuova, per risolvere in generale tutti i problemi in qualsiasi genere di quantità». Secondo Shea si tratta del metodo della «costruzione», detto anche «analisi», o «risoluzione», che consente di risolvere i problemi geometrici in termini algebrici, per esempio trovando l’equazione corrispondente ad una curva.

Negli Olympica, al 10 novembre 1619, Descartes scrive di aver trovato i fondamenti di una scienza meravigliosa e di aver fatto nella notte tre sogni, nel terzo dei quali vide un libro, nel quale stava scritto: Quod vitae sectabor iter?, cioè «quale percorso di vita seguirò?»

iter, percorso, in greco è espresso dal termine methodos

Nelle Cogitationes privatae Descartes scrive: «I detti dei sapienti possono ridursi a pochissime regole generali». Queste regole sono gli elementi del metodo, il quale è essenzialmente il procedimento dell’analisi geometrica applicato a tutte le scienze.

Sempre negli anni attorno al 1620 Descartes divideva le scienze in tre classi: quelle cardinali, che «si deducono dai princìpi più semplici e più conosciuti»; quelle sperimentali, fondate sull’esperienza e l’osservazione; e quelle liberali, come la politica, la medicina, la musica.

Le prime sono le scienze matematiche; le seconde sono le scienze fisiche, che si possono dimostrare per mezzo delle matematiche; le terze sono tutte le altre scienze, che possono esser ricondotte anch’esse alle scienze matematiche e fisiche.

«Regulae ad directionem ingenii» Tra il 1627 e il 1628, dopo i viaggi, Descartes incontra di nuovo Beeckman a Dordrecht e gli dichiara di essere in possesso di un metodo scientifico universale, consistente in una specie di algebra generale.

Dieci anni più tardi nel Discorso, le quattro famose regole: 1) non accogliere mai nulla per vero che non si conosca essere evidente; 2) dividere ogni problema in tante parti quante sono necessarie per risolverlo; 3) condurre con ordine i propri pensieri, andando dai più semplici ai più complessi; 4) fare dovunque enumerazioni così complete da essere sicuri di non avere omesso nulla. (evidenza, analisi, sintesi, enumerazione)

Sembrano regole del tutto ovvie, condivisibili da tutti, eppure specialmente le prime due, cioè l’uso dell’intuizione e quello dell’analisi, hanno una portata rivoluzionaria.

Nelle Regulae Descartes dice: «possiamo giungere alla conoscenza delle cose senza alcun pericolo di inganno soltanto con l’intùito e la deduzione»

«per intùito intendo un concetto della mente pura ed attenta tanto ovvio e distinto, che intorno a ciò pensiamo non rimanga assolutamente alcun dubbio» «per deduzione intendo tutto ciò che viene concluso necessariamente da certe altre cose conosciute con certezza»

Nella geometria si parte da intuizioni (definizioni, assiomi, postulati) e si procede deducendo le conseguenze (teoremi). Descartes non pensa tanto alla deduzione, ma ritiene di possedere la via per scoprire dei princìpi veri risalendo, per così dire, a ritroso nella catena delle deduzioni, mediante il metodo dell’analisi.

«Regola quarta» il metodo deve spiegare «in quale maniera si deve far uso dell’intùito della mente e delle deduzioni, affinché si giunga alla conoscenza di tutto».

Gli «antichi geometri hanno usato una specie di analisi, che estendevano alla soluzione di tutti i problemi, sebbene l’abbiano nascosta ai posteri»

Questo metodo non è solo della matematica ma piuttosto deve «estendersi alle verità che si possono trar fuori da qualsiasi soggetto; io son persuaso che esso sia più importante di ogni altra cognizione a noi data umanamente, essendo quella che è fonte di tutte le altre»

Descartes allude alla scoperta dell’analisi geometrica attribuita a Platone Proclo proponeva anche di estendere l’analisi geometrica scoperta da Platone all’intera realtà, precisamente come farà Descartes.

«Regola quinta» «Osserveremo con esattezza il metodo, se ridurremo gradatamente le proposizioni involute ed oscure ad altre più semplici (ANALISI), e poi dall’intùito di tutte le più semplici tenteremo di salire per i medesimi gradi alla conoscenza di tutte le altre» (SINTESI)

Risposte alle seconde obiezioni delle Meditazioni metafisiche: «L’analisi mostra la vera via, per mezzo della quale una cosa è stata metodicamente scoperta, e fa vedere come gli effetti dipendono dalle cause»

«La sintesi al contrario, per una via affatto diversa, e come esaminando le cause per i loro effetti […], dimostra, a dire il vero, chiaramente tutto quello che è contenuto nelle sue conclusioni […]; ma non […] insegna il metodo con il quale la cosa è stata trovata».

Platone privilegia l’analisi, che considererebbe un metodo per la scoperta di nuove conoscenze.

Descartes si richiama a Platone. L’analisi comunque, anche nel senso di Platone, è possibile solo là dove le proposizioni sono convertibili, cioè sono concatenate in modo tale che si possa passare indifferentemente dalla precedente alla successiva così come dalla successiva alla precedente.

Aristotele ricordava che l’analisi di Platone funziona in modo sicuro solo quando le proposizioni sono convertibili, come accade appunto nelle proposizioni della matematica, le quali non assumono nessun accidente, ma solo definizioni.

In tale situazione il procedimento usato è sempre la deduzione, sia che si proceda dalle cause agli effetti, come avviene nella sintesi, sia che si proceda dagli effetti alle cause, come avviene nell’analisi

«Regola sesta» «Tutte le cose possono venir disposte per certe serie […] in quanto le une possono essere conosciute dopo di altre». «A ben considerare sono poche le nature pure e semplici, le quali è possibile intuire per prime e per sé, non in dipendenza da alcun’altra […]. Tutte le rimanenti vengono dedotte da queste»

L’origine del «cogito»

Il cogito, cioè la certezza dell’esistenza del pensiero, venne scoperto intorno al 1629 e venne poi riassunto nella quarta parte del Discorso sul metodo e in modo più ampio nelle Meditazioni metafisiche del 1641.

Il cogito non viene scoperto attraverso il metodo, ma attraverso un procedimento dialettico, ossia una dimostrazione per confutazione, come quella praticata da Socrate, da Platone e da Aristotele nella difesa del principio di non-contraddizione.

tre aspetti del cogito 1) considerare falso tutto ciò che può essere revocato in dubbio (momento negativo) 2) dubitare di tutto mostra l’indubitabilità della propria esistenza, cioè del Cogito (momento positivo) 3) questo per Cartesio non è un sillogismo, ma una nozione prima, di carattere particolare (induzione)

Il procedimento negativo è segno di un atteggiamento radicalmente critico e corrisponde alla prima delle operazioni della dialettica antica, cioè la confutazione (élenchos). Socrate poneva una domanda: una volta ottenuta la risposta, la confutava deducendo da altre risposte ottenute dagli interlocutori una conclusione che fosse in contraddizione con essa.

Aristotele analizza dal punto di vista logico la struttura della confutazione, affermando che è il «sillogismo della contraddizione», cioè la deduzione di conclusioni contraddittorie rispetto a una certa tesi

L’indubitabilità del dubbio Se metto in discussione lo stesso dubitare, non lo nego, ma lo riaffermo, perché il mettere in discussione è una forma di dubbio

Nelle Meditazioni metafisiche con l’ipotesi del genio maligno: «Non v’è dubbio che io esisto, s’egli mi inganna; e m’inganni fin che vorrà, egli non saprà mai fare che io non sia nulla, fino a che penserò di essere qualcosa»

Risposte alle Settime Obiezioni (Bourdin) «non si può dubitare che la sostanza che dubita così di tutto, o che pensa, non esista mentre dubita: questa è la terra ferma, sulla quale poggio le fondamenta della mia filosofia»

Nella dialettica antica, il principio di non-contraddizione risulta inconfutabile proprio attraverso la confutazione del tentativo di negarlo. Aristotele: “se chi lo nega dice qualche cosa di determinato, escluderà così l’opposto di quello che dice, e quindi affermerà il principio di non-contraddizione che invece voleva negare”

Il Cogito non risulta dal metodo matematico Descartes ricorda che il cogito non è frutto di un sillogismo, cioè non è la deduzione di una conclusione particolare da una premessa universale, ossia non può essere dimostrato col procedimento deduttivo proprio del metodo matematico

Risposte alle Seconde Obiezioni «Quando qualcuno dice: Io penso, dunque io sono, o esisto, non deduce la sua esistenza dal suo pensiero per forza di sillogismo, ma come cosa conosciuta per sé la vede con una semplice intuizione della mente»

secondo Aristotele i princìpi delle scienze non possono essere stabiliti per via dimostrativa, cioè mediante sillogismi, ma devono essere raggiunti per mezzo dell’induzione, ossia da casi particolari, conosciuti per mezzo della percezione, si deve salire a conclusioni universali

osserva Berti Quando Cartesio esclude la possibilità di dedurre il cogito mediante un sillogismo, vuole sottrarre il principio primo della sua metafisica al dominio del metodo matematico, e riconosce ad esso un carattere non molto diverso da quello che era riconosciuto ai princìpi nell’ambito della dialettica antica

Da una parte il cogito non è fondato attraverso il metodo, cioè attraverso la matematica, dall’altra il metodo in Cartesio non viene mai sottoposto al dubbio universale da cui ha tratto origine il cogito

Per dubitare anche della matematica occorre il dubbio iperbolico: Dio stesso potrebbe ingannarci facendoci apparire come vere dimostrazioni di matematica che in realtà non lo sono.

Ma tale ipotesi appare del tutto in contrasto con quello che Cartesio sostiene: Dio è garante delle verità eterne, e quindi della verità della matematica così come del metodo

Il metodo resiste al dubbio e si conferma come l’altra grande fonte, a fianco del cogito, dell’intera filosofia cartesiana

Accanto alla metafisica Cartesio costruisce una scienza tutta deduttiva, capace di spiegare l’intera realtà materiale: una fisica interamente deterministica Nella quinta parte del Discorso sul metodo spiega in maniera meccanicistica la stessa circolazione del sangue nel corpo umano