Commercio internazionale

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Commercio internazionale Lezione 2 Contesti storici e sviluppo economico

Il periodo fra le due guerre mondiali fu caratterizzato da contrastanti tentativi di risolvere le difficoltà di gestione di un sistema economico internazionale uscito dalla prima guerra mondiale con profondi squilibri repressi, che peraltro vennero acuiti dalla fase della ricostruzione post-bellica. L’aspetto, certamente non unico ma più vistoso, di tale instabilità possono considerarsi le ampie fluttuazioni nei cambi internazionali registrate tra gli anni 1919 e 1924. Nella seconda metà degli anni venti furono messi in atto dei tentativi di conferire stabilità alle relazioni economiche internazionali con un sistema di cambi fissi, che però si infranse contro ostacoli di notevole portata: mancanza di adeguati meccanismi di aggiustamento, effetti destabilizzanti di intensi flussi internazionali di capitale (in particolare dalla piazza di Londra a quelle di Parigi e New York) esplodere della crisi del ’29 e la successiva depressione degli anni trenta roberto.fini@univr.it

G. Myrdal (1972) descrive gli anni trenta del novecento come il periodo “dell’integrazione nazionale e della disintegrazione internazionale” Nella sua sinteticità è una definizione che ben descrive l’intreccio di anarchia monetaria e di ricorso al protezionismo commerciale del periodo, durante il quale si produssero le condizioni maggiormente negative per le relazioni commerciali internazionali In particolare esse vennero condizionate in maniera pesante da politiche commerciali caratterizzate dall’imposizione di forti dazi e in generale da restrizioni alle importazioni roberto.fini@univr.it

Nel corso della seconda guerra mondiale vennero adottate ulteriori politiche protezionistiche, concretizzatesi in prevalenza da severi controlli sui movimenti finanziari e reali. Alla fine del conflitto ci si pose il problema di rimuovere tali blocchi commerciali in modo da ripristinare una ragionevole libertà di movimento, sia per le merci che per i capitali. In questa direzione premevano in particolare gli USA, che percepivano perfettamente il rischio delle politiche protezionistiche che alla fine del conflitto avrebbero provocato loro serie difficoltà nel collocamento delle loro eccedenze commerciali Da qui quell’insieme di provvedimenti attuati subito dopo la seconda guerra mondiale tendenti a liberare il commercio internazionale e il varo di organizzazioni quali BIRD e IMF e gli accordi di Bretton Woods roberto.fini@univr.it

Le relazioni commerciali nel secondo dopoguerra, sono state influenzate da fattori economici e politici, sia di natura endogena rispetto ai singoli paesi (tipologie e caratteristiche dei settori produttivi, formazioni di lobby, ecc.), sia di natura esogena, essenzialmente a causa dell’esistenza di rapporti gerarchici informali tra paesi ed aree. Tutto ciò ha contribuito a determinare la definizione e l’evolversi di politiche commerciali nazionali, spesso tutt’altro che orientate al libero scambio roberto.fini@univr.it

Le teorie del commercio internazionale di derivazione neoclassica sono fondate sull’assunzione di ipotesi modellistiche molto restrittive e di difficile riscontro nella realtà, in particolare negli ultimi cinquanta anni, caratterizzati dal tumultuoso sviluppo dell’integrazione commerciale a livello planetario Un rilevante problema analitico, oltreché ovviamente denso di conseguenze pratiche, riguarda il ruolo dei PVS nella divisione internazionale del lavoro. Contrariamente al grande interesse mostrato dagli economisti classici per le cause in grado di determinare “la ricchezza delle nazioni” (o la loro povertà), gli economisti di orientamento neo-classico si sono dimostrati meno sensibili a tali problemi, rinunciando nei fatti a sviluppare una coerente teoria del rapporto fra commercio internazionale e sviluppo economico roberto.fini@univr.it

La teoria neoclassica è in grado di spiegare perché un paese godrà di miglioramenti in termini di benessere decidendo di specializzarsi nella produzione di quei beni in cui, data l’esistenze dotazione fattoriale che lo caratterizza, goda di un vantaggio comparato. Ma da questo punto di vista gli economisti neo-classici , in sostanza, prendono in considerazione le dotazioni fattoriali esistenti, in una visione statica della realtà economico-produttiva di un paese, ignorando, o quanto meno sottovalutando, le ragioni e i processi attraverso i quali si sono venute configurando tali dotazioni. roberto.fini@univr.it

Tuttavia i concreti processi storici hanno un peso: oggi si riconosce largamente che vi è molto più di una dotazione fissa, immutabile e da considerarsi “naturale” di fattori che determinano le condizioni per un determinato vantaggio comparato. In questo senso, il processo di decolonizzazione avviatosi tra gli anni cinquanta e sessanta, con il conseguente modificarsi dei rapporti di forza internazionali, ha visto svilupparsi una nuova branca, genericamente definita come economia dello sviluppo. Nell’ambito dell’economia dello sviluppo, la prima affermazione di peso è stata la constatazione che i modelli di specializzazione caratterizzanti i PVS non potevano considerarsi neutrali, ma il risultato dell’azione secolare del colonialismo, il quale aveva assegnato loro il compito di fornire un accesso alle principali materie prime e, al tempo stesso, di rendere possibile disporre di mercati di sbocco per attività manifatturiere dei paesi coloniali. Il vantaggio comparato non poteva dunque considerarsi come “naturale”, ma al contrario, il risultato “artificiale” di azioni consapevoli e di rapporti di forza esistenti. roberto.fini@univr.it

D’altra parte, sempre di più venivano avanzati dubbi sulla capacità del modello storico di specializzazione riguardo alla sua pretesa di garantire un processo sostenuto e duraturo di crescita economica ai paesi di recente indipendenza: si trattava di dubbi fondati sulla constatazione della profondità dei meccanismi di ineguaglianza insiti nel modello stesso, nel cui ambito asimmetrie strutturali, sia di natura tecnologica che politico-istituzionale, agivano nel determinare una redistribuzione internazionale del reddito fortemente penalizzante per i PVS. Conseguentemente a ciò, la ricerca di una ridefinizione dei vantaggi comparati divenne un imperativo sia teorico che empirico. Tale ricerca, alla fine di un lungo processo analitico, suggerì che la soluzione dovesse essere individuata nella realizzazione di estesi processi di industrializzazione su produzioni manifatturiere labour intensive. Questo suggerimento si scontrava però con le diseconomie di scala che impedivano, o comunque rallentavano, l’affermarsi di un processo di industrializzazione roberto.fini@univr.it

Commercio internazionale Lezione 3 Evidenze empiriche

La bilancia commerciale di un paese è la differenza fra il valore totale delle sue esportazioni e il valore totale delle sue importazioni. In formula: B = X – M È possibile avere tre casi diversi riguardo alla situazione della bilancia commerciale di un paese: X = M X > M X < M roberto.fini@univr.it

roberto.fini@univr.it

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Il paese che nel 2009 ha esportato di più non è la Cina, come si è portati a credere, ma la Germania. La Cina segue a poca distanza e leggermente più staccati si trovano gli USA, mentre gli altri paesi sono decisamente meno rilevanti sul piano dell’export; L’Italia si trova in ottava posizione con poco più del 3%, che è comunque un dato significativo tenuto conto delle dimensioni economiche del paese. In riferimento all’import il dato di maggiore significatività è il “primato” degli USA (se si esclude il caso dell’UE 27) che importa poco meno del 12%, mentre paesi come la Germania o la Cina sono attestati su valori decisamente più bassi. Spesso, per rendere l’idea di quanto un paese sia legato ad un altro dal punto di vista commerciale, ma anche valutario e in definitiva politico, si fa riferimento alla bilancia commerciale bilaterale, cioè la differenza tra le esportazioni e le importazioni tra due paesi. Per esempio, il disavanzo commerciale degli USA nei confronti della Cina ammontava nel 2009 a più di 200 miliardi di dollari. roberto.fini@univr.it

Commercio internazionale Lezione 4 Gli approcci ortodossi di derivazione classica e neoclassica

Teoria dei vantaggi assoluti (A. Smith) Teoria dei vantaggi comparati (D. Ricardo) Teoria delle dotazioni fattoriali (E.F. Heckscher e B. Ohlin ) roberto.fini@univr.it

Beni A B a =30 =20 b =20 =30 Beni A B Totale a =30 = -20 10 b Paesi Beni A B a =30 =20 b =20 =30 Paesi Beni A B Totale a =30 = -20 10 b = - 20 = 30 roberto.fini@univr.it

Beni C D c =30 =5 d =20 =5 Beni C D Totale c =30 = - 25 5 d Paesi Beni C D c =30 =5 d =20 =5 Paesi Beni C D Totale c =30 = - 25 5 d = - 20 = 25 roberto.fini@univr.it

In base al modello di Heckscher-Ohlin , le differenze fra due paesi non riguardano la dotazione tecnologica, e quindi la produttività che essa consente, ma la dotazione dei fattori produttivi. Si considerino, per semplicità, sistemi formati da soli due fattori produttivi, lavoro e capitale. Il fattore lavoro è remunerato attraverso il salario, mentre il capitale viene remunerato attraverso l’interesse. Dal momento che la regola di base di domanda ed offerta spiega che tanto più è alta la quantità di un bene offerta sul mercato tanto più basso sarà il suo prezzo, è possibile applicare tale regola anche ai mercati dei fattori produttivi lavoro e capitale: tanto più un paese è dotato di forza lavoro tanto più basso sarà il costo del lavoro; allo stesso modo, tanto più un paese è caratterizzato da grandi dotazioni di capitale, tanto più basso sarà il tasso che lo remunera. roberto.fini@univr.it

In base a tale regola, il paese maggiormente dotato di forza lavoro si specializzerà in attività labour intensive, mentre il paese con forti dotazioni di capitale prenderà la via di attività capital intensive. Al teorema di Heckscher e Ohlin si era arrivati cercando di riprodurre, attraverso l’uso di strumenti derivati dalla teoria dell’equilibrio generale neoclassico, la dimostrazione della legge del vantaggio comparato di diretta derivazione ricardiana Il risultato di maggiore consistenza, sia teorica che empirica, da recuperare riguardava l’esistenza di mutui guadagni, come unica, e rassicurante, conseguenza del libero scambio fra paesi In un simile contesto, essenzialmente statico, la causa del commercio internazionale è agevolmente identificabile nell’opportunità che hanno i paesi di aumentare il proprio benessere rispetto a quanto accadrebbe in caso di equilibrio autarchico; ma soprattutto le conseguenze della dimensione internazionale risultano particolarmente ottimistiche: a certe condizioni, l’apertura allo scambio internazionale consente una più efficiente allocazione delle risorse date e, di conseguenza, assicura guadagni per tutti gli attori roberto.fini@univr.it

La “mano invisibile” del commercio svolge il suo compito facendo sì che gli scambi avvengano soprattutto fra agenti il più possibile diversi nell’elemento che per ipotesi non si può spostare, i fattori: alla fine del processo di scambio ciascuno degli attori vede aumentato il suo benessere, ma nell’economia nel suo complesso si produce un ulteriore risultato che va ben oltre Ricardo: Il vincolo della non-mobilità dei fattori viene completamente superato: l’economia si presenta con gli aspetti che avrebbe avuto se tale immobilità non fosse mai esistita. In altri termini, con il commercio internazionale si riproduce l’equilibrio tipico di un’economia integrata, corrispondente ad un unico grande mercato globale con completa mobilità dei fattori. In questa situazione i fattori produttivi di tutti i paesi percepiscono gli stessi compensi. roberto.fini@univr.it

Un successo, peraltro, non solo intellettuale: L’eleganza concettuale del modello di Heckscher e Ohlin è probabilmente all’origine del suo repentino e pressoché generalizzato successo nell’accademia neoclassica. Un successo, peraltro, non solo intellettuale: l’affermazione del modello come paradigma dominante diventa sin da subito criterio operativo per politiche economiche orientate all’affermazione dell’opportunità di un generalizzato libero scambio roberto.fini@univr.it

Le novità più recenti, che datano ormai almeno due decenni di vita, si verificano al di fuori, o quanto meno ai margini del modello di Heckscher e Ohlin. Sintetizzando, si può affermare che tali contributi seguono almeno due direzioni: la possibilità che comportamenti non walrasiani possano guidare le azioni degli agenti economici (imprese e/o paesi) coinvolti nello scambio; la rinuncia all’ipotesi di rendimenti costanti generalizzati, centrale nel modello di Heckscher e Ohlin, a favore della possibilità che si verifichino rendimenti crescenti roberto.fini@univr.it

Più in particolare, la prima linea di sviluppo riguarda paesi che non sono piccoli, o walrasiani, e non hanno incentivi a comportarsi come tali: un paese può considerare un vantaggio derivante dal commercio non tanto lo scambio passivo di stoffa contro vino, ma piuttosto quello derivante dalla consapevole e ricercata modifica delle condizioni iniziali. Tale modifica si può attuare attraverso la volontà della differenziazione “dagli altri”, anche se le ragioni di fondo restano ovviamente le stesse: massimizzazione dei profitti e aumento del potere di mercato. Ciascun paese può dunque comportarsi da monopolista ed avere comportamenti strategici conseguenti. Tale comportamento diventa di maggiore rilevanza quando si registra anche un leggero cambiamento dell’oggetto di scambio: non tanto, o non soltanto, beni ma tecnologie: non più stoffa o vino, ma conoscenza; non extraprofitti su beni che comunque potrebbero essere facilmente prodotti da altri, forse a costi inferiori, ma monopolio sui modi di produzione o su componenti strategiche del prodotto stesso roberto.fini@univr.it

Tale potere di mercato potrebbe però derivare non tanto o non solo da un’azione consapevole di ciascun agente, ma anche da altre cause, almeno in prima approssimazione identificabili come fattori indipendenti: le tecniche produttive adottate. Questa rappresenta l’altra grande intuizione delle analisi non ortodosse sul commercio internazionale: il mondo potrebbe essere caratterizzato per quel che riguarda certi settori, o certi beni, da rendimenti crescenti nella produzione. Le cause del commercio, per quanto riguarda ciascun paese, diventano allora la necessità di espandere i mercati e di spingersi oltre l’esistente nella quantità di merci prodotte roberto.fini@univr.it